• Non ci sono risultati.

PRESENTAZIONE DELL’OPERA

2.1. L’autrice Agnès Varda 13 e la Nouvelle Vague

Agnès Varda, nata Arlette Varda nel 1928 in Belgio da padre greco e madre francese, è stata una regista, sceneggiatrice e fotografa. Nel 1940 si trasferisce con la famiglia a Sète, dove si rifugia per sfuggire ai bombardamenti della guerra e passa la sua adolescenza prima di partire per Parigi; appassionata di arti plastiche e di fotografia, studia dapprima all’École des beaux-arts e poi all’École du Louvre.

Nel 1949 affianca il regista Jean Vilar e diventa la fotografa ufficiale della compagnia del Théâtre National Populaire, dove incontrerà il suo futuro compagno, il regista Jacques Demy. Ma il cinema si configura come la sua vera passione ed è per questo motivo che nel 1954 realizza il suo primo lungometraggio dal titolo La Pointe Courte, dove esprime il suo carattere femminista e che preannuncia la sua appartenenza al movimento cinematografico francese della Nouvelle Vague. Grande successo riscuote anche il successivo film Cléo de 5

à 7, che narra le avventure di una cantante sublime affetta da una malattia mortale. Il suo

attivismo femminista lo esprime in modo particolare nel film L’une chante, l’autre pas, con il quale propone un suo manifesto personale: attraverso il racconto di due donne, Agnès redige un catalogo di questioni femministe di un’epoca a dir poco euforica. Inoltre, nel 1971, fa parte delle donne che firmarono il “Manifesto delle 343”, una dichiarazione pubblicata dalla rivista Nouvel Observateur, in cui 343 donne ammettevano di aver avuto un aborto, esponendo se stesse alle relative conseguenze penali previste all’epoca14.

I film che realizza negli anni ’60 (come Le Boheur, Les Créatures et Lion’s Love), permettono alla critica di conferirle l’etichetta di “regista pioniera della Nouvella Vague”.

Alla fine degli anni ’70, lascia la Francia per spostarsi a Los Angeles dove gira film documentari come Murs, murs e Documenteur. Durante questo soggiorno, incontra il leader carismatico del gruppo musicale “The Doors”, Jim Morrison, e si ritrova a vivere quel periodo di euforia caratterizzato dai movimenti rivoluzionari del ’68, durante il quale sperimenta e amplifica il suo carattere eclettico.

Nel 1985, Agnès Varda ottiene il premio “Leone d’Oro” alla Mostra del Cinema di Venezia con il film Sans toit ni loi, un film che si pone come intermedio tra documentario dedicato all’emarginazione e racconto di un personaggio immaginato.

13 Per la redazione della biografia dell’autrice si veda sezione Sitografia, pag. 310. È stata inoltre consultata la

rivista mensile cinematografica L’avant scène cinéma n°664, giugno 2019.

14 Il manifesto rappresentò un esempio di disobbedienza civile, anche se nessuna delle firmatarie fu perseguita

ai termini di legge. (fonte: Wikipedia.org, https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_delle_343, consultato il 03/03/2020).

38

Dopo la morte del marito Jacques Demy nel 1990, Agnès realizza tre film in suo omaggio, tra cui Jacquot de Nantes, di cui, nel presente lavoro, si propone la traduzione della sceneggiatura e un relativo commento linguistico e traduttologico. Gira ancora Cent et une

nuit nel 1995, film che costituisce il suo personale tributo all’arte cinematografica

coinvolgendo i attori francesi di grande stima e altre star internazionali. Viene successivamente omaggiata nel 2005 con un Premio César onorario per il miglior film documentario autobiografico, Les Plages d’Agnès, e nello stesso anno è un membro della giuria al Festival di Cannes.

Finalmente, nel 2018, le viene assegnato l’Oscar alla carriera, un avvenimento molto importante in quanto Agnès Varda è stata la prima regista donna della storia del cinema mondiale a ricevere un tale riconoscimento. Muore nella sua casa a Parigi il 29 marzo 2019 all’età di 90 anni, onorata ai suoi funerali dai massimi rappresentanti della cultura francese. Il suo corpo è sepolto presso il cimitero di Montparnasse, insieme al marito Jacques Demy. Artista dalle mille sfaccettature, impegnata socialmente, Agnès Varda era prima di tutto una donna dalla personalità forte ed eclettica. Ogni minimo particolare della vita quotidiana era trasformato in arte, tanto da non riuscire a tracciare il confine fra la vita privata e la vita professionale. Il suo modo di fare cinema è intimo e personale, elegante e raffinato, attraverso il quale ha trattato spesso tematiche importanti, come la descrizione della complessità della sfera interiore e l’evocazione dei ricordi più intimi (come si vedrà più avanti nel film Jacquot de Nantes), la morte considerata come rottura e assenza e il concetto di “ouverture” secondo cui considera il film come una finestra sul mondo, di cui il regista ne disegna i confini, tanto da presentarlo come uno spettacolo (Alion, 2019: 58-67). A questo proposito, si vedrà come in Jacquot de Nantes non mancano elementi che richiamano in una

mise en abyme questo atteggiamento di “apertura” sul mondo: basti pensare che una buona

parte del film si svolge in un cortile e il corso del mondo “esterno” viene percepito attraverso l’inquadratura del corridoio che dà sul molo. Il mondo concepito come spettacolo si vedrà anche dalla presenza del teatro di marionette e degli innumerevoli schermi cinematografici che Jacquot costruisce precariamente per tutta la durata del film.

La sua spontaneità e il suo modo di fare cinema si ritrova perfettamente in linea con gli ideali della corrente della Nouvelle Vague, anche se Agnès Varda non amava sentirsi attribuire questa etichetta. Questo movimento cinematografico francese è nato sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso, periodo in cui la Francia vive in una profonda crisi politica, caratterizzata dai sussulti della guerra fredda e dai contrasti della guerra d’Algeria.

39

Pertanto, il cinema aveva assunto una funzione documentaria, in quanto testimoniava questa crisi interna e utilizzava i film come mezzi attraverso cui rifondare una morale nazionale. Si diffuse così la tendenza ad inserire nei film dialoghi idealizzati e moralizzanti che producevano nello spettatore un senso di distacco dalla realtà quotidiana. In quegli anni c’era una nuova generazione nel mondo intellettuale, che parlava, amava, lavorava e faceva politica in maniera originale e contro i rigidi schemi culturali dominanti; una nuova generazione che aveva bisogno di un cinema che riflettesse questa nuova visione del mondo15.

La Nouvelle Vague si configura, pertanto, come il primo movimento cinematografico testimone della nuova rivoluzione. L’estetica di questa corrente riposa su un modo diverso di creare prodotti cinematografici: i film della cosiddetta “nuova onda” sono girati con mezzi modesti, nelle strade, quasi mai seguendo un copione fisso, quanto le sensazioni e le improvvisazioni di attori e registi durante le riprese (Marie 1997: 81). Un esempio è costituito dal primo lungometraggio di Agnès Varda, La Pointe courte, che, come anticipato prima, segna la sua appartenenza a questo nuovo movimento. È stato recensito dal critico cinematografico francese André Bazin – nella rivista Le Parisien libéré nel 1956 – come un film “libre et pur” che racconta di una semplice storia d’amore di un uomo e una donna che stanno sul punto di separarsi dopo quattro anni di relazione, ma prima della separazione definitiva, passano qualche giorno in un borgo di pescatori, vicino Sète, chiamato appunto Pointe Courte, dove compiono un esame dei propri sentimenti, andando alla ricerca di se stessi e della propria verità. Questa pensierosa ricerca avviene in un villaggio che, nel frattempo, continua a vivere la sua vita indisturbato (un bambino muore, una coppia si sposa, si fanno gare sui canali nei giorni di festa…). Un lavoro originale e audace sia per il contenuto – sequenze quasi documentarie di scenari naturali di Sète si alternano a scene più “letterarie” e ricche di dialoghi –, sia per la modalità di realizzazione: al posto di cercare un produttore per il suo film seguendo un percorso classico, la regista se la cavò con i suoi propri mezzi, convincendo qualche compagno a lavorare con lei in cooperativa e così, con pochi soldi e qualche mezzo arrangiato, ma con grande coraggio e talento, il film è stato realizzato.

40

[…] cette totale liberté de style qui nous donne le sentiment si rare au cinéma de nous trouver en présence d’une œuvre qui n’obéit qu’à la volonté de son auteur, sans servitudes extérieures. (André

Bazin, Le Parisien libéré, 7 gennaio 195616)

In effetti, le sceneggiature della Nouvelle Vague si contrapponevano a quelle schematiche e rigide hollywoodiane, le cosiddette “sceneggiature-programma” che Francis Vanoye (citato in Marie, 1997: 88) definisce come strutture pronte ad essere girate.

In definitiva, il critico cinematografico Marie (1997: 81-83) riassume in otto punti i vari presupposti della pratica tecnica della Nouvelle Vague:

1. l’autore-regista è anche lo sceneggiatore del film;

2. egli non utilizza alcun découpage strettamente prestabilito e, nell’ideazione delle sequenze, nel dialogo, nella recitazione degli attori, viene lasciato largo spazio all’improvvisazione;

3. per le riprese privilegia gli ambienti naturali, ed esclude il ricorso ad ambienti ricostruiti in studio;

4. utilizza una troupe “leggera”, composta quindi da poche persone;

5. opta per il suono in presa diretta, registrato al momento delle riprese, piuttosto che per la post-sincronizzazione;

6. fa il possibile per non utilizzare illuminazioni aggiuntive troppo pesanti, scegliendo, con il suo direttore della fotografia, una pellicola ultrasensibile; 7. utilizza attori non professionisti per interpretare i personaggi;

8. se, invece, fa ricorso ad attori professionisti, opta per attori esordienti, che può dirigere con maggiore libertà.

Le scelte rivoluzionarie sopraelencate si ponevano l’obbiettivo di eliminare le frontiere tra cinema professionale e amatoriale, tra film di finzione e film documentario, ma soprattutto miravano e si sforzavano ad alleggerire per quanto possibile le pesanti costrizioni del cinema concepito sul modello commerciale e industriale.

41

2.1.1. Elle et lui : Agnès Varda et Jacques Demy. Un amour de cinéma

Ai fini di capire e fruire al meglio l’opera cinematografica oggetto del presente lavoro, è importante spendere qualche parola sulla coppia Agnès Varda e Jacques Demy, i cui nomi saranno associati per sempre l’un l’altro. Dopo l’incontro al Festival del cortometraggio a Tours nel 1956, in cui lei presentava il cortometraggio Du côté de la côte e lui Le Bel

Indifférent, iniziò una complicità amorosa quanto intellettuale e artistica, che li ha

accompagnati lungo i trentadue anni di vita passata insieme. Al di là della loro vita privata e intima, la forza di questa coppia risiede nell’impronta che hanno lasciato nel cinema francese e mondiale, una traccia profonda e durevole nel tempo dovuta alla loro complicità. La coppia Varda-Demy rifletteva i loro caratteri: entrambi erano moderni, paritari, femministi, rivoluzionari contro il conservativismo di quegli anni. Oggi la loro filmografia è studiata nelle università e nelle scuole di cinema come oggetto di culto che testimonia lo stile rivoluzionario della corrente della Nouvelle Vague. Come afferma il giornalista e critico del cinema Kaganski in un articolo17 dedicato alla vita dei due registi, concentrarsi sui loro lavori, significa da una parte tentare di soppesare tutto quello che artisticamente ha avvicinato queste due personalità forti e determinate, dall’altra scoprire come hanno potuto creare e lavorare indipendentemente, ognuno per proprio conto, senza mai collaborare ad un progetto artistico comune, ma influenzandosi in maniera più o meno cosciente. La coppia Varda-Demy ha in comune il modo libertino di concepire e fare cinema, un approccio che ha permesso di utilizzare i mezzi esclusivamente a seconda della loro volontà, evitando di farsi “intrappolare” da codici e convenzioni.

Entrambi si sono dedicati alla realizzazione di film-documentari, ognuno a modo suo, utilizzando nei loro film alternanza di colori che caricano l’immagine di grande forza connotativa e affrontando tematiche in vesti reali per quanto immaginarie: in particolare Demy amava trattare tematiche sia psicologiche che sociali (quali la coppia, la famiglia, l’incesto, la crisi del patriarcato, i sentimenti ecc.), ricorrendo sempre al suo “universo immaginario”: il suo cinema è una porta aperta alla stilizzazione e al fantasmagorico che caratterizzano le sue opere intime e sentimentali. Al contrario, Agnès Varda, pur condividendo il gusto per la fantasia, rimane sul versante del realismo e delle tematiche sociali del tempo.

Dopo la morte di Jacques causata da una malattia, nel 1990, Agnès ha voluto rendere omaggio al marito, realizzando tre opere cinematografiche, ossia un film e due documentari: 17 In Jacquot de Nantes. Dossier, rivista cinematografica Avant-scène cinéma n°664 juin 2019.

42

rispettivamente Jacquot de Nantes, in cui racconta la sua infanzia e la nascita della vocazione per il cinema a partire dalle memorie scritte del marito; Les demoiselles ont eu 25 ans in cui la regista parla di Demy, entrando nel suo cinema e raccontandone lo stile, e L’Univers de

Jacques Demy che offre una definizione della sua arte. Come si può intuire, Jacques Demy

resta costantemente presente nella vita e nel cuore di Agnès e con questi tre film lei testimonia, chiude e sottoscrive questo legame amoroso, esistenziale e artistico che ha mantenuto con il marito fino alla sua morte e che ha proseguito anche dopo. In un’intervista a Paris Match18, ha precisato di non poter reagire alla malattia del marito se non

comportandosi da cineasta quale era. Riferendosi in particolar modo al film Jacquot de

Nantes ha affermato: “J’ai capté son être, ses cheveux comme un paysage, sa peau qui était un peu tachée, ses yeux qui regardaient au loin, pour dire : Jacques est là pour toujours. Il est très difficile de raconter l’amour, la perte et la peine.” Sentimenti scaturiti dal legame

indissolubile che avevano creato, un legame ormai eterno, che ha segnato l’arte cinematografica francese e non solo della seconda metà del secolo scorso.