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PRESENTAZIONE DELL’OPERA

2.3. La sceneggiatura come genere letterario

Nel presente lavoro, si intende trattare la natura letteraria della sceneggiatura del film cinematografico, contenente una struttura narrativa. A questo proposito, risulta importante soffermarci brevemente su tale considerazione.

Fin dagli inizi del secolo scorso, la categoria di genere letterario era occupata esclusivamente dai testi manoscritti e stampati, ma questa considerazione che tende ad escludere ogni ulteriore evoluzione di questi testi, rappresenta una posizione alquanto conservatrice se non insostenibile (Nuvoli, 2004: 24), almeno da quando il cinema è nato. Come già anticipato nel capitolo precedente (v. supra Cap. 1, § 1.4.1.), per comprendere la natura della sceneggiatura come genere letterario è necessario far riferimento alla sua forma dinamica, che, come nell’opera letteraria, si manifesta attraverso il susseguirsi delle azioni che permettono alla narrazione di svilupparsi e progredire. Utilizzando la terminologia di Eco (1979), il testo della sceneggiatura presenta le condizioni elementari per poter individuare al suo interno un livello narrativo, quindi una fabula e un intreccio25: la

sceneggiatura narra di un agente, che da uno stato iniziale affronta una serie di mutamenti orientati nel tempo e prodotti da cause, per poi raggiunge un risultato finale, anche se provvisorio.

25 Per fabula si intende “lo schema fondamentale della narrazione, la logica delle azioni e la sintassi dei

personaggi, il corso di eventi ordinato temporaneamente”; per intreccio si intende “la storia per come viene raccontata, come appare in superficie, con le sue dislocazioni temporali, salti in avanti e in indietro, descrizioni, digressioni, riflessioni parentetiche” (Eco, 1979: 102).

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Giuliana Nuvoli (2004: 25), citando Aimeri (1998: 9), ci fornisce la seguente definizione di sceneggiatura:

La sceneggiatura è una storia raccontata per immagini; essa, più in dettaglio, è “la forma letteraria della storia che verrà raccontata attraverso le immagini in un film da farsi, di cui costituisce il progetto, ovvero uno strumento essenziale alla realizzazione concreta”.

Pertanto, in quanto “storia raccontata”, essa è sottoposta alle stesse regole del testo narrativo, presentando il paradigma aristotelico strutturato in tre atti – premessa, nucleo del racconto, conclusione (Cattrysse e Gambier, 2008: 45). La struttura della sceneggiatura si pone tra la forma narrativa e la forma drammatica perché, come nel romanzo, essa offre una rapida immedesimazione con i personaggi e la storia, e, come nel testo drammatico, presenta una rigida alternanza tra scrittura mimetica (le parti dialogate dei personaggi) e scrittura diegetica (con la quale il narratore racconta la storia, palesandosi o meno) – come si vedrà in particolare nel capitolo 4.

Inoltre, con l’avvento del cinema, e per la prima volta nella storia dei testi letterari, si verifica la possibilità di far coincidere l’immaginario letterario dell’autore con quello del lettore, anche se, come spiega Nuvoli (2004: 27), arriverà filtrato attraverso le operazioni effettuate da parte di tutti coloro che concorrono alla realizzazione del film: è per questo che l’autore di sceneggiature deve utilizzare la parola più attentamente rispetto al semplice narratore, perché deve trasmettere le proprie intenzioni prima di tutto al regista (se non coincide con la figura dello sceneggiatore), al fotografo, al macchinista, all’operatore della ripresa, ecc. che hanno il compito di trasformare delle parole in immagini; pertanto “deve contare non solo sulla suggestione della parola ed il suo potere di creare infiniti mondi, ma sul potere che essa ha di dare fisicamente vita, anche come fictio, ad altri mondi” (ibidem). La sceneggiatura, dunque, è da considerarsi – ancora di più rispetto ad ogni altro testo letterario – come un tentativo di rappresentare la realtà, che fa uso del linguaggio cinematografico, considerato da Pasolini come una “lingua internazionale o universale, unica per chiunque l’adoperi” (1965, 1966) in quanto lingua scritta della realtà che ognuno ha dentro di sé, con la quale sogna e con la quale costruisce le immagini della propria memoria. Pasolini esplica questa riflessione affermando che ognuno di noi in realtà fa cinema semplicemente vivendo e agendo: la realtà del mondo si configura pertanto come rappresentazione doppia, in cui si è attori e insieme spettatori. E come “noi, linguisticamente pensiamo […] così abbiamo la possibilità, interna a noi, di abbozzare un monologo

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cinematografico: i processi dei sogni e della memoria, sia involontaria che, soprattutto, volontaria, sono degli schemi primordiali di una lingua cinematografica, intesa come riproduzione convenzionale della realtà” (Pasolini, 1966: 206). Infatti, il ricordo implica una sorta di proiezione interiore di immagini, come fossero sequenze di inquadrature di un film.

Tutto ciò comporta un doppio lavoro per l’autore cinematografico che vuole fare un film, perché, mentre lo scrittore sceglie le parole per caricarle di un significato, l’autore cinematografico deve prima scegliere l’“immagine” di ciò che vuole rappresentare, poi caricarla di significato attraverso la parola (Pasolini, 1965: 169-170).

Una differenza sostanziale per ciò che riguarda la ricezione del testo di un romanzo e il testo di una sceneggiatura, risiede nella duplice valenza della parola: la storia che giunge sul foglio di un romanzo è già altra rispetto a ciò che era nella mente dell’autore, e ancora diversa sarà nel momento in cui verrà letta; al contrario, la sceneggiatura tende a recuperare tutti gli elementi spazio/temporali che la storia possiede nel momento in cui viene immaginata dall’autore, tendendo così a ricostruire la realtà. Indubbiamente anche i romanzi hanno la volontà di “ricreare la realtà”, ma questo processo può essere realizzato in modi infiniti, almeno tanti quanti saranno i lettori che leggeranno la storia: la parola si adatterà nell’immaginario del lettore, dando vita ogni volta ad una storia “diversa”; cosa che non accade con il film, in quanto la porzione di realtà che prende forma nel film è modellata sì sull’immaginario degli autori, ma resterà immutabile nel tempo26, fornendo un insieme fisso

di gesti, parole, immagini, ecc. Come mostra ancora Nuvoli (2004: 37), tutto questo porta a due considerazioni:

a. la parola è contenitore rigido che dà però la possibilità di infinite ricostruzioni; b. il film è contenitore più capiente, ma rinchiude la storia in una forma fissa.

Ne consegue, quindi, che la sceneggiatura non ha possibilità di essere ricreata, a meno che un regista non decida di prendere il testo e mettere in moto però un altro processo dinamico atto alla realizzazione del film.

Un altro elemento importante in un testo letterario che concerne la scelta delle parole, è costituito dalla nozione di “ritmo”, che Nuvoli (2004: 32-33) definisce come “chiave di scrittura di tutte le arti”; in particolare per un testo letterario, il ritmo costituisce la sua “spina dorsale” ed è legato al tempo che viene impiegato per la pronuncia di una parola, al suono che essa provoca e alla combinazione con i suoni delle parole vicine. Mario Vargas Llosa

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(citato in Nuvoli, 2004: 31) racconta di come lo scrittore Flaubert andava alla ricerca della “parola giusta” perché dovere dello scrittore era trovare “quella parola che poteva esprimere compiutamente l’idea, quella parola che suonava bene all’orecchio e che quando si adeguava perfettamente all’idea, si traduceva in armonia musicale”. Nel caso della sceneggiatura, la valutazione del ritmo della parola viene effettuata su due diversi piani: da un lato la valutazione delle parole che costituiscono il testo chiuso in sé; dall’altro la valutazione delle parole che verranno tradotte in immagini sonore sullo schermo e queste valutazioni sono spostate sullo spettatore molto più di quanto non accada per il fruitore del testo letterario:

Ciò che si chiama ritmo cinematografico non consiste dunque nell’aver centrato i rapporti dei tempi tra le inquadrature, ma nella coincidenza tra la durata di ogni inquadratura e i movimenti dell’attenzione che esso riesce a suscitare e a soddisfare. Non si tratta di un ritmo temporale astratto, ma di un ritmo dell’attenzione […]. (Betton, 1996: 80, citato in Nuvoli, 2004: 33)

Pertanto, questo ritmo cinematografico dipende in primo luogo dalla sceneggiatura, in quanto si basa sul ritmo che lo sceneggiatore attraverso le parole dà alla narrazione, così come lo scrittore di romanzi, ma anche sulla capacità e sulla conoscenza che lo sceneggiatore deve avere riguardo la tecnica del montaggio: come sostiene Nuvoli (2004: 34), citando Bonitzer (1990), “è nella scrittura stessa, nel momento in cui la sceneggiatura viene strutturata, in termini di découpage o meno, che la conoscenza del montaggio, come quella della fotografia e del suono, può stimolare l’immaginazione, proporre una soluzione che le parole rinunciano a trovare […]”.

In definitiva, la sceneggiatura non è un genere facile da definire poiché a differenza di un testo letterario, non esaurisce la sua funzione, lo ripetiamo, nell’ambito della parola, ma si configura anche come generatore di una serie variegata e indefinita di significanti (componenti visive e sonore), atti a generare ulteriori significati. Nuvoli (2004: 28) ci illustra, in aggiunta, il carattere versatile di questo testo, che a seconda del fruitore (che sia esso il lettore oppure il regista), si configura come:

- un catalogo dei pezzi del montaggio; - un puro testo di riferimento;

- una gabbia che contiene le indicazioni precise su tutto ciò che deve essere fatto; - un testo letterario da leggere e che viene “prima” del film;

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Tornando ora all’opera in esame in questo lavoro, dobbiamo precisare che il forte carattere anticonvenzionale visto in precedenza, che caratterizza il modo di fare cinema della regista Agnès Varda, ha fatto sì che il film Jacquot de Nantes fosse girato non seguendo rigidamente una sceneggiatura fissa: infatti molte scene della sceneggiatura originale sono state eliminate durante le riprese, e altre sono state aggiunte. La sceneggiatura originale del film, con le relative aggiunte ed eliminazioni, è stata pubblicata a posteriori dalla rivista

Avant-scène cinéma27.

Nel capitolo successivo, si propone la traduzione con testo a fronte della sceneggiatura definitiva del film Jacquot de Nantes, tenendo conto delle scene effettivamente girate e di quelle aggiunte durante le riprese. Si tiene a chiarire che le inserzioni dei film di Jacques Demy, sono stati volutamente lasciati in lingua originale per non esulare il senso di originalità dell’opera cinematografica. Allo stesso modo, le canzoni presenti nel testo non sono state tradotte in quanto considerate denotatori dell’epoca e della cultura in cui il film è ambientato e pertanto assimilate a un realia. Si riprenderà questo concetto nell’ultimo capitolo, in cui si fornirà una spiegazione delle strategie traduttologiche adottate.

27 Una rivista cinematografica francese nata nel 1961, che pubblica regolarmente sceneggiature originali dei

film, dai grandi classici a quelli che definiscono più “confidenziali”, che hanno segnato la storia del cinema francese e internazionale.

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CAPITOLO 3