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L'evoluzione del principio di sussidiarietà nell'ordinamento italiano

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INTRODUZIONE 1

1. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’___________________________________________ 4 COSA E’ LA SUSSIDIARIETA’ _________________________________________________________ 4

Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa ______________________________________ 5 Genesi filosofica del principio__________________________________________________________________ 7

IL PRINCIPIO NELL’ORDINAMENTO EUROPEO _________________________________________ 9 IL PRINCIPIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO_________________________________________ 11

Dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei cittadini _________________________________________ 11 Cenni del principio nel diritto _________________________________________________________________ 12 Il Titolo V della Costituzione __________________________________________________________________ 15 Significato e portata del principio _____________________________________________________________ 16

DUE INTERPRETAZIONI DI SUSSIDIARIETA’ ___________________________________________ 17 2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ NELL’ECONOMIA ___________________________ 19

I MODELLI ECONOMICI ___________________________________________________________ 19

Il modello liberista __________________________________________________________________________ 20 Il modello marxista __________________________________________________________________________ 21 Il modello keynesiano _______________________________________________________________________ 22

I FALLIMENTI DEL MERCATO _______________________________________________________ 23 IL RUOLO DELLO STATO NEL MERCATO ______________________________________________ 26

I fallimenti dell’intervento statale _____________________________________________________________ 27

SPESA PUBBLICA E SUSSIDIARIETA’ VERTICALE _______________________________________ 29

Effetti della sussidiarietà sul PIL _______________________________________________________________ 34

SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE TRA CONCORRENZA E DEMOCRAZIA _____________________ 35 3. SUSSIDIARIETA’ VERTICALE _____________________________________________ 39

IL RIPARTO DI COMPETENZE NELLE ESPERIENZE EUROPEE ______________________________ 39 IL RAPPORTO TRA STATO E REGIONI IN ITALIA________________________________________ 41

Limiti alla potestà legislativa__________________________________________________________________ 41

SUSSIDIARIETA’ STATICA E DINAMICA_______________________________________________ 42 FONTI DI AUTONOMIA DEGLI ENTI _________________________________________________ 44

Intervento della Corte Costituzionale sul riparto di competenze __________________________________ 44 Forme associative per lo svolgimento delle funzioni _____________________________________________ 48 Funzioni comunali ___________________________________________________________________________ 51

UNITA’ E DIFFERENZIAZIONE NELLE POLITICHE SANITARIE______________________________ 52

Elementi di omogeneizzazione ________________________________________________________________ 53 Elementi di differenziazione __________________________________________________________________ 56

ANALISI COMPARATIVA DELLE PERFORMANCE REGIONALI _____________________________ 60 4. FEDERALISMO FISCALE _________________________________________________ 64

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RITARDI NEL PROCESSO ATTUATIVO ________________________________________________ 65 AUTONOMIA IMPOSITIVA E LE PRINCIPALI RISORSE LOCALI ____________________________ 66

Fabbisogni e costi standard___________________________________________________________________ 70 Distribuzione delle imposte __________________________________________________________________ 71

SANZIONI E PREMI PER L’OPERATO DEGLI ENTI _______________________________________ 72

Lotta all’evasione fiscale _____________________________________________________________________ 73 5. SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE ___________________________________________ 75

STORIA DELLA SUSSIDIARIETA’: DA BENEFICENZA A RISORSA STATALE ___________________ 75 RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO NELLE ATTIVITA’ DI INTERESSE GENERALE __________ 78

Strumenti di sussidiarietà orizzontale __________________________________________________________ 80 Sussidiarietà e Quasi Mercati _________________________________________________________________ 82

SOGGETTI E PRATICHE DI SUSSIDIARIETA’ ___________________________________________ 84

Cittadinanza attiva __________________________________________________________________________ 84 Forme associative e mondo imprenditoriale ____________________________________________________ 85 Le fondazioni _______________________________________________________________________________ 86 I soggetti pubblici ___________________________________________________________________________ 87

NUMERI DAL MONDO NO-PROFIT __________________________________________________ 88 TUTELA DEI BENI COMUNI: LA LEGALITA’ ____________________________________________ 89 PERCHE’ E’ IMPORTANTE LA SUSSIDIARIETA’ _________________________________________ 90 APPENDICE: LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 2016____________________________ 92

Il nuovo bicameralismo differenziato __________________________________________________________ 92 La riforma del Titolo V _______________________________________________________________________ 95 Conclusioni ______________________________________________________________ 98 BIBLIOGRAFIA ________________________________________________________ 101

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INTRODUZIONE

Lo studio si propone di analizzare il grado di applicazione e di sviluppo del princip io di sussidiarietà nell’ordinamento italiano. L’analisi ha considerato la normativa nazionale, le politiche pubbliche e le pubblicazioni istituzionali aventi ad oggetto il rapporto tra Stato, Enti Locali e società civile.

Il principio di sussidiarietà regola i rapporti tra i diversi livelli di governo, proponendo la dislocazione di alcuni servizi di interesse generale a favore delle istituzioni più vicine al territorio. La sussidiarietà attua una profonda riforma del potere pubblico, delle responsabilità e competenze dei vari enti, andando a creare nuovi spazi per la libera iniziativa degli individ ui. La trasformazione e ridefinizione della sfera pubblica non ha nulla a che fare con forme radicali di secessione e separazione tra i territori ma, al contrario, l’obbiettivo del principio è promuovere azioni di solidarietà e sostegno tra le amministrazioni e la società civile.

Il principio, nella sua declinazione originale rintracciabile nella dottrina sociale della Chiesa, afferma il primato dell’individuo che, singolarmente o in forma associata, è in grado di conoscere e soddisfare i bisogni e le esigenze presenti nel territorio. Lo Stato, invece, è chiamato a favorire l’iniziativa privata e ad agire in maniera suppletiva quando questa o l’operato degli enti di livello inferiore siano inidonee o insufficienti.

Questa trama concettuale ha ispirato e determinato l’assetto normativo e giurisprudenzia le degli ultimi decenni.

I processi di globalizzazione e di integrazione tra popoli hanno trasformato il concetto di “sovranità”, di tradizionale ideologia stato-centrica, portando alla nascita del progetto Europa e, nel 1992, alla stipula del Trattato di Maastricht, in cui il principio di sussidiarietà acquisisce una collocazione giuridica centrale. La positivizzazione del principio a livello comunitar io ha, inizialmente e prevalentemente, affermato la dimensione verticale della sussidiarietà; ha, infatti, disciplinato un particolare sistema di relazione tra Comunità europea e Stati membri in ordine alla ripartizione delle competenze e all’allocazione del potere.

La previsione nell’ordinamento comunitario ha promosso l’adozione del principio anche in quelli nazionali.

In Italia, a partire dagli anni ’90, si vive un periodo di crescente affermazione della sussidiarietà che si conclude con l’esplicita introduzione nella Costituzione grazie alla riforma del Titolo V del 2001. In questo periodo sono numerose le normative che dimostrano particolare interesse verso il riconoscimento giuridico dell’autonomia della società civile,

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verso la valorizzazione del settore del volontariato, fino alla realizzazione di un nuovo assetto del sistema politico. In questo senso, è fondamentale il contributo offerto dalla legge Bassanini del 1997 e dal Testo unico sugli Enti Locali del 2000 a favore di una riallocazio ne dei compiti amministrativi e ad una nuova considerazione dell’iniziativa privata come risorsa per l’attività amministrativa.

Il riformatore costituzionale del 2001 declina il principio di sussidiarietà all’articolo 118 della Costituzione: per il profilo verticale, il primo comma individua i soggetti di rappresentanza politica dotati di autonomia, attribuendo una particolare posizione di favore al livello comunale; per il profilo orizzontale, il quarto comma esplicita i rapporti tra statualità e società civile, delineando un nuovo modello di gestione pubblica, definito di “amministrazio ne condivisa”.

Questo lavoro di tesi si basa sulla proposta di dar attuazione alla sussidiarietà in quanto possibile risposta al problema della tragedia dei beni comuni: evidenziati i maggiori fallime nt i del mercato e dell’intervento statale nell’economia e a fronte dei profondi squilibri struttura li causati dall’aumento della spesa pubblica, risulta necessario introdurre un sistema che favorisca la riallocazione delle risorse e dei centri di decisione.

Per quantificare l’effetto della sussidiarietà nel nostro sistema economico si presenta un’analisi dei dati pubblicati da fonti istituzionali, quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed Eurostat. Tali dati permettono di individuare, e comparare con i principali Paesi europei, il grado di sussidiarietà verticale e, cioè, il grado di decentramento della spesa pubblica in Italia.

Nel testo, inoltre, si riporta un modello econometrico tale da misurare la relazione tra sussidiarietà verticale e crescita economica del Paese.

Per individuare, invece, l’effetto che la sussidiarietà orizzontale ha sull’economia si può considerare l’insieme delle risorse che i pubblici poteri riservano, in varie forme, alla promozione dell’offerta privata di beni e servizi di interesse generale e al sostegno della domanda di tali beni. Dal lato dell’offerta si può considerare la ricchezza che lo Stato non incassa ma devolve, su indicazione dei cittadini, ad enti ed organizza zioni con fini sociali. Dal lato del sostegno alla domanda, rientrano, fra questi strumenti, alcuni meccanismi di leva fiscale che garantiscono all’individuo la libertà di scegliere l’erogatore tra una pluralità di fornitori; tali meccanismi di sussidiarietà risultano, però, difficilmente quantificabili. Per considerare le possibilità e le capacità del sistema italiano di dare applicazione al princip io di sussidiarietà è imprescindibile analizzare le fonti di autonomia degli enti e, cioè, i limit i

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della capacità legislativa, regolamentare e amministrativa, così come previsti dalla Costituzione, dalla legislazione e dalle pronunce della Corte Costituzionale.

Per sottolineare il rapporto di conflittualità esistente tra l’esigenza, da un lato, di unitarie tà delle politiche e, dall’altro, di differenziazione dei territori necessaria per dare attuazione ad un sistema federale, si presenta brevemente la realtà del settore sanitario. Il settore della sanità risulta interessante perché, in tale contesto, emergono diversi livelli di responsabilità e governo: lo Stato deve tutelare un diritto fondamentale dell’individuo e vigilare sulla sua applicazione mentre le Regioni, negli anni, si sono dimostrate livelli strategici per realizza re gli obbiettivi di salute del Paese.

Una volta individuati gli ambiti di competenza di ogni livello di governo, è indispensab ile analizzare se gli enti hanno a disposizione risorse sufficienti per finanziare le proprie funzio ni. In tal senso, a partire dal 2001, il legislatore nazionale ha proposto l’attuazione di un modello di federalismo fiscale, in cui competenze, spese ed entrate sono fortemente decentrate, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale. Il federalis mo, se ben applicato, costituisce la premessa per raggiungere l’efficienza e la professionalità nelle amministrazioni, ridurre gli sprechi e azzerare l’evasione fiscale. Tuttavia, l’attuazione di tale progetto ha subìto grossi ritardi e non si può ancora parlare di un percorso completato, ciò ha, per giunta, realizzato preoccupanti anomalie strutturali.

Il principio di sussidiarietà, inoltre, è declinabile in senso orizzontale: promuove il riconoscimento del ruolo centrale e fondamentale delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato nella erogazione dei servizi di pubblica utilità. La rete assistenziale messa in piedi, dapprima, dalle istituzioni religiose e, più recentemente, dal proliferare di associazio ni di volontariato, ha influito positivamente sull’espansione demografica, sulla crescita delle città e sullo sviluppo del welfare.

Secondo la previsione costituzionale, lo Stato deve agevolare la partecipazione dei privati nell’offerta di beni e servizi pubblici e, a tal fine, adopera strutture, risorse e strumenti di vario genere, che assicurano diversi gradi di autonomia alle iniziative private e permettono il completo passaggio da welfare state a welfare society.

Il principio di sussidiarietà attiene a numerose questioni di rilievo nell’attuale contesto politico e sociale. Infatti, la recente proposta di riforma costituzionale, che sarà sottoposta a referendum popolare nell’autunno del 2016, coinvolge l’applicazione del principio di sussidiarietà. La riforma interessa ambiti che si sono discussi in questo lavoro di tesi e, quindi, per completezza dell’analisi, si riportano, in appendice, le principali questioni del possibile futuro assetto dell’ordinamento italiano.

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1. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’

COSA E’ LA SUSSIDIARIETA’

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una intensificazione del dibattito pubblico sull’introduzione nel nostro ordinamento normativo del principio di sussidiarietà. In questi momenti di riflessione sono emerse differenti e numerose declinazioni di tale concetto. All’inizio di questa analisi riguardante le applicazioni del principio è utile rimarcare l’invito ad indagare la sussidiarietà con lenti non rigide e “non dogmatiche” ma “aperte, curiose verso trasformazioni ormai irreversibili di ciò che è pubblico nella realtà e nell’immaginario”1.

La sussidiarietà è un principio normativo introdotto negli ultimi decenni nel nostro ordinamento i cui effetti sono, per un occhio meno esperto, maggiormente visibili nella quotidianità delle piccole comunità. Infatti, esistono numerosi settori in cui i cittadini, singolarmente o in associazioni, sono chiamati ad intervenire, offrendo beni e servizi, in alternativo allo Stato. Il proliferare di cittadini attivi e di associazioni che rispondono alle esigenze della comunità e svolgono attività di interesse generale ha contribuito a diffonde re un nuovo modello di governo e di responsabilità politica e amministrativa.

L’intento di questo lavoro sarà individuare le conseguenze dell’approccio sussidiaristico nella sfera pubblica.

La sussidiarietà è un principio giuridico e politico contenuto nel diritto e nelle regole che presiedono l’allocazione delle funzioni e dei poteri tra i soggetti pubblici, ma è anche qualcosa di più: è un’esperienza sociale e territoriale avente a che fare con la libera azione dei cittadini, singoli e associati, e con la loro volontà di perseguire un’attività di interesse generale. L’introduzione di tale realtà nella nostra società ha profondamente riformato il potere pubblico, ha riorganizzato le responsabilità e competenze in diversi livelli di governo, concependone nuovi, pensiamo ad esempio al riconoscimento di entità sovranazionali quali la Comunità Europea. L’introduzione del principio ha dato la possibilità ai singoli individ ui di soddisfare alcuni interessi della comunità andando ad integrare e delle volte sostituire completamente l’operato dello Stato.

La rivoluzione rappresentata dalla sussidiarietà avviene in un contesto di trasformazione e ridefinizione della sfera pubblica ma non ha nulla a che fare con forme radicali di secessione

1 A. Cantaro, Nota di lavoro. Le domande della sussidiarietà, in C. Magnani (a cura di), Beni Pubblici e servizi

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e separazione da essa. L’obbiettivo del principio è, al contrario, promuovere e garantire azioni di reciproco sostegno che coinvolgono soggetti diversi, pubblici e privati. La sussidiarie tà provvede a sviluppare le relazioni tra società civile e amministrazioni pubbliche, piuttosto che il loro contrasto. La sussidiarietà non tratta di deleghe di competenze e dismissioni di servizi e beni pubblici al mercato ma di nuovi strumenti di collaborazione e azioni di reciproco sostegno tra istituzioni pubbliche e società civile, di garanzia del coinvolgimento e del protagonismo nelle attività pubbliche di cittadini attivi, autonomi, solidali e responsabili. L’introduzione nell’ordinamento italiano, come vedremo, è conseguenza diretta dei processi di integrazione europea e di globalizzazione internazionale che hanno spinto verso la trasformazione del concetto di “sovranità”, di tradizionale ideologia stato-centrica, e verso un indebolimento delle istituzioni classiche di rappresentanza politica. Dentro una sfera pubblica così rinnovata si è creato spazio per l’autonomia della società civile.

Le conseguenze giuridiche dell’introduzione del principio nell’ordinamento hanno avuto un forte impatto istituzionale sull’organizzazione del potere pubblico, ma prima di analizza r ne la portata e il contenuto individuiamone le origini.

Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa

Il merito di aver dato voce al principio di sussidiarietà è stato riconosciuto alla dottrina sociale della Chiesa Cattolica attraverso la pubblicazione di diversi documenti nel corso del Novecento, volti ad disciplinare le relazioni tra Stato e singoli.

Già nel 1891 l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII contiene cenni relativi all’organizzazione di tipo sussidiaristico della vita sociale, poi nel 1931 la Quadragesimo Anno di Pio XI (che celebra appunto il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum) ne fa esplicita enunciazione e successivamente anche la Mater et magistra di Giovanni XXIII, gli scritti di Giovanni Paolo II, fino alla Deus caritas est di Benedetto XVI si pongono come obiettivo quello di tutelare la persona dalle ingerenze dello stato: la preoccupazione comune in tutti i documenti è che l’attività statale releghi la persona e la famiglia a ruoli subalterni e non ne riconosca il primato.

In particolare, la Rerum Novarum esplicita il principio di sussidiarietà in senso positivo, cioè prevede le modalità e i contesti in cui è richiesta l’azione statale: “se qualche famiglia si trova per avventura in sì gravi strettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l'intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale.”

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E ancora: “Non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto invece che si lasci all'uno e all'altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti. Tuttavia, i governanti debbono tutelare la società e le sue parti”2.

Nell’enciclica Quadragesimo Anno, invece, si esplicita il profilo negativo del principio, il dovere di non ingerenza: “siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”3.

Nello stesso documento la natura suppletiva dell’attività statale viene esplicitata: “è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento” e solo in questa maniera “potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione”4.

Nella stessa enciclica, inoltre, Pio XI afferma che il rispetto di una gestione in linea con il principio di sussidiarietà ha conseguenze positive sul benessere della società: “quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso”5.

Più recentemente Benedetto XVI afferma: “non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto”6.

Il principio di sussidiarietà non rimane, in questi documenti, a livello teorico ma viene declinato negli ambiti sociali più importanti per lo sviluppo della persona umana e di una società democratica. La sussidiarietà si applica ad esempio all’educazione familia re,

2 Papa Leone XII, Rerum Novarum, 1891 in www.vatican.va/content/leoxiii/it/encyclicals/documents/hf_l

-xiii_enc_15051891_rerum-novarum.html.

3 Papa Pio XI, Quadragesimo anno, 1931 in www.vatican.va/content/pius

-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310515_quadragesimo-anno.html.

4 Ibidem. 5 Ibidem.

6 Papa Benedetto XVI, Deus Caritas est, 2005 in

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all’istruzione, all’economia, al mondo del lavoro. Nel caso dell’istruzione più volte si afferma la libertà della scuola, si esclude il monopolio scolastico perché contrario alla divulgazio ne della cultura e alla promozione del pluralismo sociale e si sollecitano le istituzioni affinché le sovvenzioni siano erogate alle famiglie lasciandole libere di scegliere secondo coscienza. Nell’ambito dell’assistenza le fonti affermano il ruolo primario e insostituibile delle organizzazioni senza fini di lucro che trovano una solida tradizione nella figura dell’Opera Pia.

La dottrina cattolica che si desume da queste fonti si pone in opposizione alle concezioni dello statalismo e del liberismo; si ritiene che lo Stato o il mercato non possano organizzare la vita sociale e la convivenza degli individui, ma al contrario che siano strumenti e strutture per affermare il primato della persona umana.

Genesi filosofica del principio

La riflessione della dottrina sociale della Chiesa riprende la teoria filosofica di San Tommaso d’Aquino, il quale considera l’uomo un animale socievole e politico, per natura incline alla vita in comunità e liberamente e responsabilmente orientato verso il bene. Su questa concezione antropologica si promuove il pluralismo sociale e si costruiscono le istituzio ni politiche e governative che avranno il compito di aiutare il singolo a realizzare gli obiettivi che non è capace di svolgere autonomamente, e cioè “correggere, se trova qualcosa in disordine, supplire se ci sono mancanze, perfezionare se qualcosa di meglio può essere fatto”7.

La sussidiarietà così intesa riconosce la persona come fulcro del sistema politico e per questo lo Stato ed ogni altra articolazione della società civile devono agire in funzione del suo benessere e garantirne la libertà. La persona è la prima protagonista della costruzione del bene comune, tuttavia è sempre bisognosa di un sostegno che le deve venire dalle formazio ni sociali e, in subordine, dal potere politico.

La teoria tomista valorizza, quindi, il pluralismo del corpo sociale, le autonomie e la persona, ponendo le basi per la formulazione, che verrà secoli più tardi, del principio di sussidiarie tà di tipo orizzontale.

Allontanandoci dalla filosofia scolastica di San Tommaso, Johannes Althusius, giuris ta tedesco del 1600 e precursore del pensiero federalista, prevede un ulteriore limite al potere statale: quest’ultimo, nell’esercizio delle sue funzioni, deve confrontarsi, da una parte, con il

7 F. Vecchio, Declinazioni costituzionali del principio di sussidiarietà, in Magnani (a cura di), Beni pubblici e

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complesso di istituzioni private, famiglie, associazioni, che sono state costituite direttamente dalla vocazione naturale dell’uomo sociale, e dall’altra anche con le istituzioni che sono espressive di una autonomia locale. Nel territorio, cioè, vi sono strutture di organizzazio ne sociale (città, province e signorie) che hanno un effettivo potere politico. Althusius in questo modo teorizza una forma di sussidiarietà di tipo verticale, attraverso la quale anche le sottostrutture hanno funzioni e responsabilità politiche e il sovrano interviene solo nelle ipotesi in cui le azioni di queste ultime siano inefficaci o insufficienti.

Althusius, nella sua opera Politica Methodice Digesta, si oppone all’assolutismo dell’età in cui vive, rifiuta che il potere sia soltanto nelle mani del sovrano-Leviatano e propone delle soluzione per regolare i rapporti tra potere centrale e autonomie. Teorizza, infatti, il concetto di contratto sociale, attraverso il quale il popolo affida allo Stato la funzione giurisdiziona le in cambio di protezione e tutela della libertà8.

Con il diffondersi del liberalismo, in polemica con le teorie assolutistiche e stato-centriche, si declina la sussidiarietà come strumento per difendersi dall’invasione del potere statale. Secondo le formulazioni di Locke, nell’opera Il secondo trattato sul governo del 1690, le istituzioni sovrane sono l’individuo e il mercato, in quanto strumento di regolamentazione dei rapporti sociali e luogo in cui i singoli possono esaltare la loro libertà. In questo contest o anche le associazioni e gruppi sono di ostacolo alla piena realizzazione dell’individuo, e perciò si rifiuta il ruolo di intermediazione dei corpi sociali. Solo l’individuo e lo Stato sono i centri di imputazione del principio che si declina in senso negativo: si diffida lo Stato a compiere ingerenze nella sfera individuale che non siano strettamente necessarie per raggiungere quegli obbiettivi che gli individui non siano in grado di realizza re autonomamente.

Lo Stato deve intervenire soltanto come potere regolatore delle azioni dei cittadini al fine di svilupparne l’autonomia e la responsabilità9.

Elemento comune alle tre matrici individuate è la centralità dell’individuo e la valorizzazio ne della sua libertà, da utilizzare come mezzo per soddisfare le proprie esigenze; su questa idea

8 L. Selva Verzica, Principio di sussidiarietà orizzontale e gestione dei servizi pubblici locali, lavoro di tesi

presso Università di Padova, a.a. 2011/2012 consultabile

http://paduaresearch.cab.unipd.it/7509/1/SELVA_VERZICA_LUIGI_tesi.pdf.

9 F. Vecchio, Declinazioni costituzionali del principio di sussidiarietà, in Magnani (a cura di), Beni pubblici e

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si costruisce la sussidiarietà come principio “relazionale” che specifica i rapporti tra autorità e libertà, tra diversi livelli di governo, tra enti territoriali e enti funzionali10.

Nelle moderne previsioni del principio, come vedremo, si distingue un profilo “negativo” che comporta il divieto di ingerenza delle comunità superiori rispetto a quelle inferiori e un significato, talvolta passato inosservato, di tipo positivo, che impone alle organizzazioni di governo di livello superiore di offrire sostegno economico, istituzionale, legislativo, e favorire le organizzazioni minori11.

Nonostante le prime declinazioni del principio risalgano, come abbiamo visto, ad ormai più di un secolo fa, quanto in esso contenuto è ancora di grande attualità, come dimostra l’introduzione nei diversi ordinamenti giuridici europei. Il principio di sussidiarietà ha subìto una trasformazione: da principio puramente filosofico è divenuto, più recentemente, un importante principio giuridico.

IL PRINCIPIO NELL’ORDINAMENTO EUROPEO

La contingenza delle vicende storiche e politiche del Novecento, la devastazione della Grande Guerra che mette in crisi la natura del principio di nazionalità, la crisi economica e la globalizzazione, evidenziano l’incapacità degli Stati di rispondere a problematic he importanti.

Le catastrofi ambientali, il traffico di armi, di essere umani, di droga sono questioni che fuoriescono dal territorio nazionale e possono essere gestite efficientemente solo da organismi diversi dal singolo governo statale.

Nel corso del secolo si diffonde l’idea che non possano essere gli Stati gli unici detentori del potere politico, titolari della forza coercitiva e della produzione del diritto. Messa in crisi tale idea di accentramento si individuano altri soggetti che, a seconda delle circostanze, in linea col principio di sussidiarietà, possono realizzare finalità di interesse collettivo, meglio dello Stato o in alternativa ad esso. Se livelli di governo diversi dallo Stato centrale dimostrano di poter ottenere risultati migliori allora vi è la condizione e la giustificazione per spostare la competenza decisionale verso l’alto o verso il basso.

10 D’Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quaderni Costituzionali, num.1/2001, pag. 17. 11 V. Cerulli Irelli, Sussidiarietà, in Enciclopedia Giuridica, 2003, pag. 1.

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In questo contesto si inserisce la nascita del progetto Europa: “un processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà ”, come recita il Trattato di Maastricht.

È proprio nel testo di questo Trattato, nel 1992, che il principio acquisisce una collocazio ne giuridica centrale, con l’obiettivo di superare le resistenze degli Stati nazionali, di tradizio ne assolutista e stato-centrica, che guardavano con diffidenza la riduzione della propria sovranità e procedevano a rilento verso la costruzione dell’Europa. Cedere parte della propria sovranità a favore di una autorità sovranazionale non è stato un processo automatico; per questo nel processo di integrazione europea è stata necessaria una accelerazione dei trasferimenti di competenze degli Stati a favore della Comunità12.

Il testo del Trattato di Maastricht all’articolo 3B (oggi articolo 5 Trattato CE) stabilisce che: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente Trattato.

Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se, e nella misura in cui, gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.”

Con questo articolo la positivizzazione del principio a livello comunitario ha, inizialmente e prevalentemente, affermato la dimensione verticale della sussidiarietà, cioè una nuova allocazione del potere tra Comunità e Stati membri.

Questo enunciato ha promosso l’introduzione del principio anche negli ordinamenti naziona li; ad esempio, all’indomani del Trattato, nel 1993, si modifica l’articolo 23 del Grundgeset z tedesco e si costituzionalizza il principio di sussidiarietà.

In Italia, con una decina di anni di ritardo, nel 2001, si provvede alla riforma della Costituzione.

12G. Cotturri, Culture e soggetti della sussidiarietà, in C. Magnani (a cura di), Beni pubblici e servizi sociali in

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IL PRINCIPIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei cittadini

Nell’ordinamento italiano l’introduzione del principio si raggiunge dopo un periodo di crisi delle istituzioni della “Prima Repubblica”.

Con la legge costituzionale numero 3 del 2001 di revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione si chiude un decennio di crescente affermazione della sussidiarietà. Negli anni ’90, infatti, sono state numerose le normative che hanno dimostrato interesse verso il riconoscimento giuridico dell’autonomia della società civile, verso la valorizzazione del Terzo settore, fino a giungere ad un nuovo assetto del sistema politico. Parte della dottrina parla di un periodo di transizione dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei cittadini13.

Oltre al fondamentale riconoscimento giuridico, si moltiplicano i progetti di promozione dei diritti e salvaguardia dei beni comuni, grazie a federazioni tra associazioni come il Forum del Terzo Settore, istituti di credito come Banca Etica che finanziano attività di volontaria to, mercati e reti di Gruppi di acquisto solidale (GAS).

La rivoluzione che si vive nei nostri territori negli anni Novanta, all’indomani dei gravi scandali di “Mani Pulite” e la conseguente diffidenza nei confronti della rappresentanza politica, dimostra che i cittadini hanno preso coscienza degli strumenti di democrazia diretta che vanno dal diritto di voto, alla proposizione di referendum, leggi e candidature ad incarichi pubblici, e alla pratica di azioni civiche per la tutela dei diritti e nei confronti delle inadempienze dello Stato, fino ad una diretta gestioni di funzioni pubbliche. Numerose pratiche di questo tipo sono raccolte in Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà, un sito internet gestito da diverse associazioni e movimenti di partecipazione civica, tra cui Legambiente, Astrid, Cittadinanzattiva. Nella piattaforma sono riportati episodi di sussidiarietà orizzontale e cioè storie di cittadini che partecipano attivamente alla cura dei beni comuni: dalla raccolta di rifiuti, alla cura di parchi, a pensionati che assicurano la sicurezza stradale in prossimità delle scuole14.

13V. Ferla, Cronache della sussidiarietà, 1997-2010 in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto,

Carocci, 2010.

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Con l’accoglimento del principio in Costituzione, in sostanza, nessun cittadino può essere multato per aver pulito un parco o ritinteggiato delle strisce pedonali, come invece prima della riforma del 2001 poteva succedere15.

Tra i principi fondamentali della nostra Costituzione possiamo individuare delle tracce di sussidiarietà, ancora prima della riforma del 2001, tale da poterla considerare come princip io non scritto, implicito e già affermato nel testo costituzionale del 1948.

Pur non facendo uso della parola «sussidiarietà», i costituenti italiani hanno adottato una serie di soluzioni ispirate al principio. Ciò è riscontrabile nell’articolo 5 della Costituzione, in cui si sancisce il principio della promozione delle autonomie locali e da cui si deduce la decisione di favorire tali autonomie attraverso il più ampio decentramento amministrativo. Secondo il testo costituzionale, infatti, l’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomie e del decentramento sono garanzie di un miglior funzionamento della burocrazia e di una cosciente partecipazione dei cittadini alla vita politica economica e sociale16.

In altre previsioni vi sono “decisioni di preferenza” verso le formazioni sociali: si tratta di casi in cui i costituenti hanno allocato le competenze in capo ai singoli, anziché allo Stato. Ad esempio l’articolo 8 riserva alle confessioni religiose il potere di organizzarsi secondo i propri statuti mentre nella disciplina della famiglia si attribuisce ai genitori il dovere e diritto di mantenere, istruire ed educare i figli, prevedendo la funzione suppletoria dello Stato solo in caso di incapacità dei genitori. Inoltre la Repubblica deve agevolare la famiglia in questi adempimenti attraverso misure economiche o di altro tipo siano necessarie.

Cenni del principio nel diritto

Per quanto riguarda il riconoscimento giuridico del principio vi sono numerose leggi di sostegno all’autonoma iniziativa della società civile: pensiamo alla legge sul volontaria to, numero 266 del 1991, che ha consentito a organizzazioni private di solidarietà lo svolgime nto in via autonoma di attività di sostegno alla persona; così anche la disciplina delle cooperative sociali, numero 381 del 1991, che riconosce questo particolare tipo di società e affida loro la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; e ancora la legge numero 383 del 2000 che

15 E. Vinci, Multati per eccesso di cittadinanza, in LaRepubblica.it, articolo pubblicato il 25 luglio 2000,

consultabile in http://ricerca.repubblica.it/repubblica /archivio/repubblica/2000/07/25/multati-per-eccesso-di-cittadinanza.html.

16 S. Vitelli, L’approccio della dottrina alla sussidiarietà, in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto,

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riunisce varie realtà tra movimenti, gruppi e associazioni, sotto la figura giuridica delle associazioni di promozione sociale che sono chiamate a svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi, senza finalità di lucro.

La legge numero 64 del 2001 ha istituito il Servizio Civile Nazionale e possiamo considerar la come la politica che ha maggiormente diffuso il concetto di sussidiarietà, basti pensare ai migliaia di giovani volontari che hanno avuto la possibilità di agire da protagonisti in settori come la cura e l’assistenza, la tutela dell’ambiente, lo sviluppo della cultura ed educazione. Le leggi che hanno più incisivamente orientato verso l’introduzione del princip io nell’ordinamento italiano sono sicuramente state la legge numero 59 del 1997, la riforma amministrativa dello Stato e dei suoi rapporti con gli enti locali, e il Testo Unico sugli Enti Locali numero 267 del 2000.

Nella legge Bassanini del 1997 si affida alle Regioni ed agli Enti Locali tutte le funzioni e compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo nelle rispettive comunità, e si prevede in capo agli stessi la responsabilità “di favorire l’assolvimento di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità”.

Il principio non viene espressamente declinato verticalmente e orizzontalmente ma si prevede una riallocazione delle funzioni e dei compiti amministrativi, verso la dimensione territoria le ottimale. Una volta riconosciuta la differenziazione e non omogeneità del territorio naziona le, si prescrive di rilevare i bisogni dei cittadini nel contesto territoriale di riferimento e, a questo punto, individuare il livello istituzionale che è maggiormente idoneo a soddisfare tali bisogni. Vi è quindi una presunzione di appropriatezza del livello comunale che si preferisce, in quanto più vicino ai cittadini, fino a quando non si dimostri che, per la peculiarità del contesto e per gli interessi coinvolti, l’ente di livello territoriale superiore sia in grado di rispondere meglio ai bisogni. L’attività amministrativa deve quindi essere affidata all’ente più idoneo, cioè quello che avendo osservato più da vicino, sappia dare un miglior giudizio sui bisogni e sull’efficace assolvimento della funzione pubblica17.

Una seconda formulazione del principio di sussidiarietà è rintracciabile all’articolo 3 del Testo Unico, in cui si definisce la autonomia statutaria, normativa, organizzativa, amministrativa e finanziaria degli enti e si precisa il principio di sussidiarietà come criterio di distribuzio ne delle competenze. Di particolare interesse è l’ultimo comma secondo cui “i Comuni e le

17D. Donati, La sussidiarietà orizzontale nell’evoluzione normativa, in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore

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Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazio ni sociali”. Tale inciso riflette l’inclusione dell’iniziativa privata tra le funzioni degli enti locali, come risorsa con cui questi ultimi assolvono ai loro compiti. La libera iniziativa dei cittadini funge da supporto e sostegno all’attività degli enti e proprio per questi motivi deve essere favorita e valorizzata.

Le forti spinte da parte del mondo dell’associazionismo portarono la questione riguardante il riconoscimento del loro contributo al benessere sociale in seno al Parlamento. Così nel 1997, si istituì la Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali. Tra le bozze di riforma costituzionale che approdarono nella Commissione, numerose e importanti sono state quelle provenienti dalle iniziative civiche, come Parte Civile e Forum del Terzo Settore, nate nel 1994, che suggerivano uno sviluppo del concetto di sussidiarietà di tipo orizzontale. Tali movimenti di partecipazione sociale proponevano, con una modifica all’articolo 114 della Costituzione, il riconoscimento dei cittadini tra i soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica, al primo posto e a pari grado, insieme a Comuni, Province, Regioni e Stato, e richiedevano in capo a tutti i soggetti il rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità nel perseguimento degli interessi generali. Si proponeva, cioè, che si ponesse in capo ai cittadini, così come è previsto per gli enti locali e lo stato centrale, l’obbligo del rispetto dei princip i fondanti l’azione amministrativa.

Nonostante all’epoca non siano state ascoltate molte proposte provenienti dal mondo dell’associazionismo, a queste si attribuisce la paternità dell’articolo 118.4, nell’attua le versione.

L’insuccesso delle proposte di iniziativa civica si desumono dalla formulazione generica prodotta dalla Commissione, cioè quella secondo cui “nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa dei cittadini … le funzio ni pubblic he sono attribuite a Comuni, Province, ecc.”. Come commentato da Cotturri, professore di Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università di Bari, rispetto non è sostegno e neppure astensione dall’intervenire18.

18 G. Cotturri, Culture e soggetti della sussidiarietà, in C. Magnani (a cura di), Beni Pubblici e servizi sociali in

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Il Titolo V della Costituzione

Con la legge numero 3 del 2001 il principio di sussidiarietà è costituzionalmente garantito all’articolo 118 della Costituzione, dando il via a quello che si chiama decentramento amministrativo.

L’articolo al primo comma prevede che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. In questa previsione è declinato il profilo verticale del principio: si elencano i soggetti, di rappresentanza politica, tutti dotati di autonomia e tutti posizionati su di uno stesso livello. In particolare, la norma sembra dare preferenza al livello comunale, in quanto ente più vicino ai cittadini e maggiormente in grado di conoscerne le esigenze, così come è previsto nella legge Bassanini e nel Testo Unico. In questo modo tale principio si oppone a quello di accentramento, proprio dell’organizzazione pubblica nella prima lunga fase di formazio ne dello Stato moderno.

La sussidiarietà accompagnata ai criteri di differenziazione e adeguatezza assume la veste di parametro per valutare le scelte del legislatore nell’allocazione delle funzioni amministrative. Con la garanzia dell’adeguatezza si assicura che i vari enti abbiano la necessaria capacità organizzativa e finanziaria di disciplinare e amministrare i settori attribuiti, mentre la differenziazione riconosce la non uniformità degli strumenti e delle azioni messe in atto dagli enti, in ragione della differente dimensione, popolazione e ammontare di risorse disponibili. Si riconosce, quindi, che non tutti i Comuni sono uguali tra loro, così come non lo sono Regioni o Province, e in virtù di tale realtà si delinea una efficiente flessibilità amministrat i va e organizzativa in tutto il territorio nazionale.

L’ultimo comma esplicita i rapporti tra statualità e società civile, il così detto profilo orizzontale: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autono ma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”

La disposizione prescrive che in base al principio di prossimità e pertinenza le attività di interesse generale siano poste in capo ai cittadini, ritenuti fino, all’accertamento del contrario, idonei ed adeguati a tale compito. La dottrina si è più volte soffermata sulla portata del verbo “favorire” nel testo, da doversi intendere come “dovere di favorire” spettante in capo ai soggetti elencati. In altre parole, la Costituzione riserva a favore dei cittadini la gestione di attività di interesse generale e il soddisfacimento dei bisogni collettivi mentre individua in

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capo ai livelli di governo il compito di promuovere, sostenere tali attività e l’obbligo di intervenire in “subsidium” nel caso di inadeguatezza dei primi19.

L’articolo 118, per quel che riguarda l’ultimo comma, non si limita ad enunciare un princip io astratto da interpretare ma, secondo Arena, professore di Diritto amministrativo presso l’Università di Trento e presidente di “Quelli del 118”20, individua una fattispecie concreta in

cui sono già indicati i soggetti, azioni ed obiettivi e che, riconoscendo il ruolo di soggetti autonomamente attivi nel perseguimento dell’interesse generale, assicura diritti fondati su un nuovo paradigma pluralista e paritario, lontano dal tradizionale sistema gerarchico tra amministrazione e amministrati 21.

Con l'aumentare dell'autonomia legislativa ed amministrativa degli enti locali il legislatore ha compreso la necessità che essa fosse affiancata anche da una maggior indipendenza sul piano economico. Con la riforma del Titolo V si riconosce autonomia finanziaria non solo alle Regioni, come prevedeva il precedente testo, ma anche a Comuni, Province e Città metropolitane.

Tale riforma ha posto le basi per uno sviluppo in senso federale del sistema fiscale italia no, che si basi sul principio essenziale di autonomia finanziaria di entrata e di spesa e sulla disponibilità di risorse autonome per gli enti territoriali, mediante l’applicazione di tributi e di entrate propri, superando il modello di finanza derivata.

La riforma del Titolo V introduce la sussidiarietà anche all’articolo 120 della Costituzio ne, prevedendola come principio che, unitamente al quello di leale collaborazione, deve essere perseguito nell’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Governo nei confronti degli enti territoriali, e deve essere rispettato dal legislatore nel dettare la disciplina di detti poteri.

Significato e portata del principio

Il nuovo principio costituzionale permette di superare le tradiziona li dicotomie pubblico-privato, amministrazione-amministrati e grazie ad esso le funzioni pubbliche non sono riservate al monopolio statale. Possiamo dire che questa previsione mina una antica tradizio ne del pensiero politico che ha in Hobbes il suo rappresentante e che, con una sorta di diffide nza

19 S. Vitelli, L’approccio della dottrina alla sussidiarietà, in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto,

Carocci, 2010.

20 Comitato formato da movimenti sociali e associazioni e istituito nel 2002 per promuovere l’applicazione

dell'articolo costituzionale.

21 V. Ferla, Cronache della sussidiarietà,1997-2010 in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto,

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verso gli individui, ritiene l’ordine sociale prodotto esclusivo dello Stato. La sussidiarie tà, invece, dimostra come sia lo Stato a riconoscere alla società e ai singoli cittadini l’autonomia, la responsabilità ed una migliore capacità di soddisfare gli interessi generali.

Non si tratta di un abbandono delle responsabilità in capo ai governanti, non si riducono quantitativamente i compiti e gli interventi pubblici secondo una logica liberale. Al contrario, con la revisione del 2001 i compiti pubblici si sono allargati, prevedendo una mobilitazio ne anche di tipo positivo: le istituzioni devono assicurare le precondizioni all’azione sociale, accogliere le proposte, valutare l’idoneità delle attività ed eventualmente completarle.

Le misure legislative adottate per adeguare il sistema di welfare all’articolo 118 così riforma to (iniziative di favore fiscale, il meccanismo del 5 per mille e altre politiche pubbliche di sostegno, di cui tratteremo) sono finalizzate a favorire la crescita e la formazione di capitale sociale e di cittadinanza attiva, alla luce degli articoli 2 e 3 della Costituzione22.

L’esperienza legislativa italiana ha dato valore alla partecipazione dei cittadini e delle associazioni del terzo settore e degli enti locali in settori particolarmente significativi quali salute, assistenza sociale, istruzione, volontariato, mercato del lavoro. Dopo la riforma del Titolo V, l’ordinamento italiano ha iniziato ad adeguarsi a regimi di favore verso il non profit e verso mercati di beni sociali in cui il cittadino possa liberamente scegliere tra pubblico e privato.

DUE INTERPRETAZIONI DI SUSSIDIARIETA’

Un approccio detto “civico” al tema della sussidiarietà, alla luce della promozione del senso civico dei cittadini e della loro volontà di partecipare come impulso per una buona gestione dei beni comuni, delinea un nuovo modello di gestione pubblica, definito “amministrazio ne condivisa”. I rapporti tra istituzioni e singoli non sono più di tipo verticale, gerarchico e unidirezionale ma si passa ad un rapporto di tipo orizzontale, paritario, fino a divenire di tipo circolare. La sussidiarietà circolare, così intesa, è caratterizzata dalla cooperazione e dall’esistenza di una fitta rete di interazioni tra diversi centri di potere che mettono in comune le proprie risorse per affrontare insieme i problemi di una società sempre più complessa. Il

22 L’articolo 2 nel senso in cui si richiama il cittadino alla solidarietà politica, economica e social e. L’articolo 3,

2° comma per quel che riguarda i compiti dello Stato di rimozione degli ostacoli alla partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale.

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principale obbiettivo dell’amministrazione condivisa è, come vedremo, quello di risolvere la “tragedia dei beni comuni”.

Una differente applicazione del principio si basa sulla “genialità creatrice” delle persone, che dimostrano la capacità di produrre “valore aggiunto”, grazie all’iniziativa privata ed attività imprenditoriale. Secondo una analisi economica, il principio si adegua efficacemente alla struttura del mercato italiano, caratterizzato dalla maggior presenza di imprese di piccole o medie dimensioni. Tale approccio di tipo privatistico e “neo-corporativo” ha come obbiettivo quello di aiutare le imprese, investendo nel territorio e nella ricerca, e favorire la crescita economica del Paese e la competizione. Principali protagonisti di questa applicazione sono i soggetti gestori diretti di servizi un tempo sotto il monopolio statale, a favore dei quali sono stati introdotti, negli ultimi anni, agevolazioni fiscali, concessioni e finanziamenti pubblic i. Si tratta di imprese che realizzano attività parastatali, in una logica di supplenza alla inadeguatezza dell’offerta istituzionale, e allargano il mercato dei beni pubblici, dei diritti universali e dei servizi di welfare23.

Il protagonismo dei cittadini, favorito dallo Stato, ha rivoluzionato la gestione dell’amministrazione e ha contribuito alla realizzazione di uno spirito solidaristico nella vita delle comunità. Concretamente, il dilagare dell’idea di sussidiarietà, ha portato alla luce una volontà, dei singoli e dell’intera società, di non voler arrendersi al degrado, alla decadenza dei beni comuni, a sentimenti di crisi e sfiducia; al contrario le scienze sociali parlano di “capitale sociale”, indicando la civilizzazione della società, il diffondersi di senso civico e la volontà di impegnarsi responsabilmente verso la collettività.

Nei prossimi capitoli vedremo come questa chiamata alla collaborazione e alla responsabilità , alla luce delle riformate organizzazioni dei livelli di potere, ha dato vita a interessant i esperienze territoriali e a diversi modelli, i cui elementi comuni sono la sovranità del cittadino e la garanzia della libertà e dei diritti sociali.

23V. Ferla, Cronache della sussidiarietà,1997-2010 in G. Arena, G. Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto,

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2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ NELL’ECONOMIA

I MODELLI ECONOMICI

Nelle prossime pagine analizziamo l’applicazione del principio di sussidiarietà in ambito economico: si evincerà che data la realtà economica attuale l’approccio sussidiaristico appare necessario e funzionale.

L’intervento dello Stato in molte attività economiche, al fianco di imprese private, fa sì che il nostro sistema si caratterizzi come economia mista. Le scelte degli individui possono orientarsi verso i beni offerti dal settore privato o dal settore pubblico.

Lo Stato può partecipare direttamente nel mercato della domanda e offerta dei beni o può influenzarne la produzione e la vendita da parte delle imprese attraverso regolamentazio ni, sussidi e divieti.

La possibilità di un intervento pubblico nella produzione è costituzionalmente previsto all’articolo 43, secondo cui “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

In Italia, fino a qualche anno fà, i settori che vedevano la partecipazione statale erano molteplici: dalla produzione di automobili e aeroplani all’energia elettrica e numerosi altri. La realtà economica è talmente complessa che risulta necessario utilizzare strumenti di calcolo e di sintesi che offrano una versione semplificata e chiara di essa, senza ovviame nte perdere informazioni né fornire una descrizione irrealistica dei meccanismi economici. Per dare una spiegazione ai processi economici fondamentali, i modelli economici rispondono a tre basilari domande relative alla produzione: cosa, come e quanto produrre?

I modelli economici che in queste sede risultano maggiormente rilevanti sono:

 Modello liberista;

 Modello marxista;

 Modello keynesiano24.

24 G. Martini, Sussidiarietà e modello economico: la specificità italiana, in G. Vittadini, Che cosa è la

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Il modello liberista

La formulazione di tale modello avviene in un periodo di transizione dall’era agricola verso l’industrializzazione e si sviluppa in Europa e negli Stati Uniti fino ai primi decenni del Novecento.

L’economia liberista, o di mercato, basa il sistema sul primato dei prezzi che sono intesi come strumenti per allocare le risorse. I prezzi, infatti, sono dei segnali che servono a non sprecare le risorse, data la loro scarsità, e indirizzare le decisioni degli operatori verso quale bene produrre, la quantità di esso e quale tecnologia utilizzare per la sua produzione. Ad esempio, per individuare cosa e quanto produrre l’imprenditore guarda al prezzo di vendita del bene: un prezzo alto indica un’alta domanda di quel bene.

Il costo della manodopera da retribuire più quello degli altri fattori produttivi indicano all’imprenditore il mix ottimale necessario per raggiungere un determinato livello produttivo da cui trarre profitto.

Alla base di questa formulazione vi è la teoria della mano invisibile convenzionalme nte attribuita ad Adam Smith, secondo cui gli individui agendo utilitaristicamente, volti a massimizzare il proprio benessere, pongono l’intero sistema in una situazione di efficienza, in cui tutti i possibili scambi tra domanda e offerta avvengono con successo senza che vi sia alcuna perdita di risorse. Tale teoria, nota anche come “laissez faire”, ritiene che lo Stato non dovrebbe interferire con il funzionamento del mercato ma, al contrario, la libera concorrenza permette ai singoli individui di raggiungere il proprio interesse privato, che è quello di ottenere un profitto personale. Allo stesso tempo anche l’interesse pubblico è perseguito perché si ottiene un miglioramento nel benessere dell’intera società. Non vi è bisogno di un governo che regolamenti cosa produrre perché il bene è prodotto solo se vi è sufficie nte domanda e cioè se l’ammontare che i consumatori sono disposti a pagare è maggiore del costo di produzione di tale bene. Né vi è bisogno che il governo controlli la qualità e il processo di produzione: la concorrenza eliminerà i produttori inefficienti.

Tale principio è tradotto nel così detto Primo Teorema Fondamentale dell’Economia del Benessere: un mercato perfettamente concorrenziale è efficiente e quindi apporta un miglioramento nel benessere complessivo della società. Più precisamente, il libero mercato permette di raggiungere un’allocazione di risorse che è definita Pareto-ottimale, cioè a partire

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da tale allocazione non è possibile redistribuire le risorse in maniera da incrementare l'utilità e il benessere di un individuo senza ridurre quella di almeno un altro.

Il Secondo Teorema del modello liberista risponde ad una questione lasciata aperta dal primo principio che riguarda l’efficienza del sistema, così come raggiunta dal libero mercato: si ritiene che non siano considerati altri fattori che determinano il benessere della società, come ad esempio l’equità della distribuzione delle risorse. Le questioni relative alle ingiustizie sociali non sono risolte. Pensiamo al fatto che in un sistema si può definire ottimale una modifica che migliora di molto la situazione di individui ricchi, lasciando immutata quella dei poveri. O in altre parole, secondo questo criterio, non si potrebbe migliorare la condizio ne di un povero se questa circostanza determinasse una riduzione di utilità per un ricco. Ovviamente in contesti così delineati, è possibile che sorgano delle tensioni sociali dovute al divario tra classi, allo sfruttamento delle classe operaia, all’alto tasso di disoccupazione e povertà.

Date queste critiche, il Secondo Teorema prevede che sia possibile riallocare le risorse quando l’allocazione iniziale sia diseguale, cioè quando il libero mercato abbia creato gravi disparità di ricchezza. In questo caso risulta necessario l’intervento di un soggetto esterno al mercato che, avendone l’autorità, sottragga all’individuo ricco le risorse da trasferire al soggetto meno ricco. La tassazione generale è lo strumento mediante il quale lo Stato redistribuisce le risorse. Avvenuta la redistribuzione della ricchezza secondo i criteri di equità che formula lo Stato, le forze di mercato sono di nuovo libere di agire e conducono ad una nuova allocazione Pareto-efficiente.

Il modello marxista

Nella seconda metà dell’Ottocento Karl Marx porta l’attenzione sul ruolo dei diritti di proprietà dei fattori produttivi. Secondo Marx, il libero mercato non prevede le tutele necessarie per il lavoratore, che quindi viene sfruttato dai proprietari dei mezzi di produzione per ottenere quanto maggior guadagno possibile. Ai lavoratori che prestano la manodopera resta una minima parte del valore creato.

Il modello marxista propone l’abolizione dell’iniziativa privata e del sistema dei prezzi e introduce una figura chiamata “pianificatore centrale”, il quale dovrà decidere cosa, quanto e come produrre e, inoltre, quante risorse assegnare a ciascun individuo. Lo Stato, nel ruolo di pianificatore centrale, ha la capacità di influenzare tutte le scelte, sia quelle interessano la collettività che quelle che riguardano la sfera individuale.

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Le critiche a questo modello di economia pianificata dal punto di vista liberale riguarda no, innanzitutto, l’incompletezza delle informazioni che detiene il pianificatore centrale. Il sistema dei prezzi, abbiamo visto, permette di individuare facilmente i bisogni degli individ ui e abolendo tale strumento è difficile immaginare un governo che possa conoscere e organizzare tutte le preferenze dei suoi cittadini. Inoltre, il controllo pubblico sull'allocazio ne delle risorse comporta una notevole diminuzione della libertà individuale: i consumatori non possono scegliere cosa comprare, né i lavoratori dove lavorare.

In tale contesto sono assenti, anche, incentivi che incoraggino i lavoratori ad essere più produttivi e a risentirne, ovviamente, sarà la qualità della produzione.

Il modello keynesiano

Tale modello prende il nome da John Maynard Keynes, economista britannico che elabora la sua teoria durante la Grande Crisi degli anni ‘30. A fronte della grave disoccupazione che stava colpendo gli Stati Uniti e l’Europa e della drastica riduzione della ricchezza naziona le, si diffuse l’idea che il libero mercato avesse funzionato male. Keynes mette in discussione il sistema concorrenziale perché tramite esso ci si può trovare in una condizione definibile di equilibrio fra domanda e offerta che presenta però livelli di sottoccupazione di capitale e lavoro, lontano quindi da quello che si dovrebbe chiamare benessere.

Keynes, senza giungere alle conseguenze radicali del marxismo, sostiene che lo Stato possa fare qualcosa per contrastare la crisi, stabilizzando l’economia attraverso politiche monetarie, regolamentazioni sui mercati finanziari, interventi diretti in quei settori ritenuti strategic i. L’intervento statale deve riguardare anche le politiche sociali di cura e assistenza agli anziani, ai meno abbienti, ai disoccupati.

Tale teoria economica analizza, quindi, le condizioni del modello liberista che portano a soluzioni inefficienti e che forniscono una giustificazione per l’intervento pubblico; le fattispecie che vengono comunemente definite fallimenti del mercato sono:

 Insufficiente concorrenza

 Beni pubblici

 Esternalità

 Asimmetria informativa

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I FALLIMENTI DEL MERCATO

Insufficiente concorrenza

Alla base del libero mercato, abbiamo visto, vi è l’ipotesi di concorrenza perfetta tra le imprese, necessaria affinché nessuna di esse abbia un potere di mercato tale da poter influenzare il sistema dei prezzi fino a fissare un livello troppo alto. Nella realtà, però, vi sono dei settori in cui poche imprese controllano l’intero mercato o addirittura vi sono casi in cui sembra più efficiente far produrre un determinato bene da una sola grande impresa. Pensiamo ad esempio ai lavori riguardanti grandi infrastrutture, come la rete ferroviaria, rete autostradale, l’erogazione dell’acqua, la distribuzione del gas e dell'elettricità.

Nei casi di monopoli naturale i costi sostenuti da una sola impresa nel produrre l'intera quantità domandata risultano inferiori a quelli che sosterrebbero due o più imprese contemporaneamente presenti sul mercato. La presenza di un unico operatore appare quindi più efficiente di una pluralità di imprese.

Talvolta, nei casi di concorrenza monopolistica, l’impresa riesce a comportarsi strategicamente scoraggiando la concorrenza ed eliminando ogni tentativo di entrata nel mercato. L’insufficiente concorrenza porta, in questi casi, a prezzi troppo elevati e quindi a meno scambi rispetto quelli possibili, causando una perdita di benessere complessivo. La regolazione di tale situazione è affidata all’intervento statale attraverso la nazionalizzazio ne dell’impresa, oppure attraverso la regolamentazione dei monopoli e rigorose politic he antitrust.25

Beni pubblici

Sono tali quei beni che il mercato non offre per nulla o non abbastanza e si differenziano dai beni privati per due caratteristiche: quella di non escludibilità e di non rivalità. Con la proprietà di non escludibilità si intende che sia difficile o impossibile escludere un individ uo dal godimento del bene, mentre la non rivalità indica che l’utilizzazione da parte di un individuo addizionale non impedisce ad un’altra persona di usufruirne contemporaneamente. I principali esempi di beni pubblici sono la difesa nazionale, l’istruzione, la rete stradale, un faro sulla costa.

Sono beni per i quali le transazioni non avvengono attraverso il sistema dei prezzi, poiché risulta difficile esigere un pagamento da tutti gli individui che ne godono, e perciò le imprese

Riferimenti

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