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STORIA DELLA SUSSIDIARIETA’: DA BENEFICENZA A RISORSA STATALE

La famiglia, le organizzazioni private di volontariato e numerose e varie istituzioni non pubbliche, sono da sempre il centro ed il motore economico dell’Italia, soprattutto per quel che concerne l’erogazione dei servizi di pubblica utilità.

I servizi di pubblica utilità alla persona, quali la sanità, assistenza, istruzione e altro sono anche definiti “beni meritori”, la cui erogazione cioè è indispensabile per il benessere del singolo e della comunità.

Il settore della produzione dei servizi di pubblica utilità è caratterizzato da diversi fallime nt i del mercato che causano una carenza nella quantità o nella qualità di offerta di tali beni. Per tali motivi il libero mercato, talvolta, non è in grado di assicurare il benessere pubblico e, per ovviare a ciò, si richiama lo Stato ad intervenire direttamente nella produzione del servizio o nella regolazione del mercato.

Nel primo caso, quando lo Stato è il produttore del bene come ad esempio avviene nei settori quali il servizio idrico, la gestione dei rifiuti, il trasporto pubblico, è individuabile un deficit infrastrutturale: qualità non ottimale, produttività insufficiente, influenza di particolari gruppi di interesse, scarsa propensione ai bisogni degli utenti e all’innovazione nei servizi.

Quando invece il potere pubblico è intervenuto come regolatore dell’offerta o della domanda di servizi pubblici, e non più come diretto produttore, ad esempio, nei settori di energia elettrica, gas naturale e le telecomunicazioni, ha definito le regole secondo le quali l’impre sa, sostanzialmente monopolista, offre il servizio. Anche in tali settori si riscontrano segnali di una modesta qualità del servizio, scarsi investimenti e prezzi particolarmente elevati.

In entrambe le proposte lo Stato dispone di un ruolo predominante, come produttore o come regolatore, mentre lo spazio per i cittadini e per le imprese private rimane residuale, i quali partecipano nel mercato essenzialmente come consumatori.

Tuttavia la storia dello sviluppo dei servizi pubblici, nel nostro Paese così come nel resto d’Europa, segnala dei ruoli diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati a pensare.

Consideriamo, ad esempio, lo sviluppo delle strade in Inghilterra: fino al X secolo i diritti di passaggio erano detenuti da famiglie che componevano la società; a partire dall’ XI secolo, con l’avvento del commercio e dei pellegrinaggi di varia natura si evidenzia la necessità di un

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sistema di strade ampio ed efficiente105. La manutenzione delle strade viene affidata

principalmente alle “gilde”106 delle comunità e alle parrocchie e grazie al lavoro volontario

dei cittadini e delle associazioni si è ottenuto il libero uso delle strade per tutti.

In generale, nel nostro Paese, il mondo cristiano, fin dall’antichità, ha dato vita ad un sistema assistenziale basato sul concetto di caritas evangelica, che esorta all’offerta gratuita di cura dei bisogni altrui. Il “sistema di carità” che si delinea grazie all’operato cattolico è sostenuto da scelte libere e volontarie dei singoli individui che decidono di dedicarsi ai servizi di cura, di far parte di un’associazione elemosiniera o di costruire strutture di accoglienza e ricovero107.

Molte di queste attività assistenziali sono state realizzate tramite le Opere Pie, istituzioni nate nel medioevo e tuttora regolate sia dalla legislazione civile che da quella ecclesiastica. Tali realtà godono di notevole autonomia dal potere pubblico e delle garanzie tipiche degli istitut i ecclesiastici: possono disporre di lasciti e donazioni, usare patrimoni e rendite per realizza re liberamente molteplici forme di carità.

La rete assistenziale messa in piedi dalle istituzioni religiose ha sicuramente influito positivamente sull’espansione demografica, sulla crescita delle città e sullo sviluppo del moderno concetto di welfare.

Le iniziative promosse dai religiosi e dai laici sostengono da sempre l’assistenza agli orfani, l’educazione popolare, offrono strutture abitative e sanitarie ad anziani, inabili, minori abbandonati: tutto nell’ottica di una nuova sensibilità ai temi dell’infanzia e della famiglia. Tale sistema, in cui i protagonisti principali, nel ruolo di finanziatori ed erogatori del servizio, sono i cittadini e le libere associazioni è completamente rovesciato con la revoca della concessione ai privati e l’assunzione in capo all’amministrazione statale della competenza principale dell’erogazione dei servizi pubblici.

Una possibile spiegazione per questa manovra si riscontra nell’idea di utilizzare i servizi pubblici come strumenti di controllo del territorio e inoltre, talvolta, possono essere visti come fonte di profitto e capaci di assicurare nuove risorse finanziarie allo Stato108.

105 P. Garrone, Il principio di sussidiarietà nei servizi di pubblica utilità, in G. Vittadini (a cura di), Che cosa è la

sussidiarietà, Guerini, 2007, pag. 188.

106 Il termine “gilda” è usato per indicare associazioni a scopo religioso e di mutua difesa sorte a partire

dall’VIII secolo nei paesi anglosassoni e scandinavi. Inizialmente si caratterizzavano per l’obbligo di omertà e vendetta delle offese subite da altri membri ma successivamente le gilde si differenziano per mestieri e assicurano assistenza, cura per membri e familiari e istituiscono sistemi pensionistici per i membri inabili al lavoro.

107 E. Bressan, Breve storia della sussidiarietà, in G. Vittadini (a cura di), Che cosa è la sussidiarietà, Guerini,

2007, pag. 101.

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A tal fine, ad esempio, la legge Crispi del 1890 stravolge il concetto di assistenza sanitar ia diffuso fino ad allora in Italia, nazionalizzando e attribuendo personalità giuridica alle ventiduemila Opere Pie presenti nel territori, che presero il nome di IPAB, Istituzio ni pubbliche di assistenza e beneficenza. La legge riconosce le attività di cura dei bisognosi e degli indigenti come servizi di pubblico interesse e perciò attribuisce alle istituzioni erogatric i un carattere pubblico, sottoponendole, quindi, al controllo statale.

Secondo la legge Crispi, sono istituzioni di beneficienza “le opere pie ed ogni altro ente morale che abbia, in tutto od in parte, per fine: prestare assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità quanto di malattia, e a procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico”109.

La legge Giolitti del 1903 e successivamente il Testo Unico numero 2578 del 1925, con l’obbiettivo di assicurare ai cittadini i servizi essenziali, fissano la gestione diretta di questi in capo agli enti locali, in particolare ai Comuni e le Province. I servizi sono dettagliatame nte elencati all’articolo 1 del Testo Unico e si individuano, fra gli atri, la costruzione di acquedotti e fontane, nettezza pubblica, costruzione e ed esercizio di asili notturni, di molini e forni, di stabilimenti per la macellazione ecc.

Inoltre, nel secondo dopoguerra e con l’industrializzazione, a fronte cioè di un’assoluta assenza di attività ad iniziativa privata, è stato inevitabile l’ampliamento delle responsabilità in capo alle amministrazioni in ambito dei servizi pubblici.

In questo contesto, la Costituzione del 1948, fondandosi su principi di uguaglianza, solidarietà, democrazia e rilevanza del lavoro, ha imposto allo Stato e agli enti pubblici di intervenire per rimuovere gli ostacoli economici e sociali che si intromettono nello sviluppo della persona e nel raggiungimento del benessere dei cittadini. A tal fine, nel secondo dopoguerra, i settori dove le amministrazioni pubbliche, in Italia come in molti Stati europei, iniziarono ad operare furono: la disciplina del territorio, la tutela della saluta e del lavoro, la protezione della famiglia, della donna e del bambino, la tutela dei beni culturali e dell’ambiente, l’assistenza e previdenza, i servizi sociali, lo sviluppo delle regioni sottosviluppate.

A partire dagli anni novanta in Italia, si sviluppa il passaggio dal vecchio al nuovo regime dei servizi pubblici. Le motivazioni di questo passaggio sono molteplici: fondamentale è la spinta dell’ordinamento europeo verso l’apertura dei mercati nazionali con lo scopo di creare un

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mercato effettivamente unico; i cambiamenti tecnologici, inoltre, hanno sviluppato la concorrenza e permesso a più operatori di prestare servizi in un mercato in cui prima poteva agire un solo operatore; ed infine la necessità di ridurre le proprie spese ha spinto il potere statale a privatizzare numerose società pubbliche.

In questo contesto si introduce, a partire dagli anni 90 e poi con la “consacrazio ne ” costituzionale del 2001, il principio di sussidiarietà.

RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO NELLE ATTIVITA’ DI