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La riforma propone ulteriori modifiche anche relativamente al Titolo V della Costituzione e cioè nella parte che tratta il rapporto tra i livelli di Governo. In primo luogo, sono soppresse le previsioni costituzionali relative alle Province, quale ente costitutivo della Repubblica e viene profondamente rivisto il riparto di competenze tra Stato e Regioni, oggetto dell'articolo 117. Secondo i lavori preparatori della Camera, la riforma del 2001 era stata concepita in modo sbilanciato, attribuendo alle Regioni molte funzioni legislative che invece era giusto rimanessero al cento e questa situazione di disequilibrio ha dato origine a numerosi conflitt i e interventi correttivi da parte della Corte Costituzionale134.

La soluzione proposta dalla riforma del 2016 è quella di riportare al centro organicamente e non solo tramite interventi caso per caso, competenze e funzioni sottraendole in sostanza alle Regioni. E', in particolare, soppressa la competenza concorrente con una redistribuzione delle materie tra competenza legislativa statale e competenza regionale e una preponderanza della prima.

Tra le materie attribuite alla competenza statale si richiamano, in particolare: la tutela e la promozione della concorrenza; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema

133 Novellato articolo 117 della Costituzione, quarto comma .

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tributario; le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; le disposizioni generali per la tutela della salute; la sicurezza alimentare; la tutela e sicurezza del lavoro, le politiche attive del lavoro; l'ordinamento scolastico, l'istruzio ne universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica.

Nell’ambito della competenza esclusiva statale, l’elenco delle materie è ampliato e sono previsti casi definiti, nei lavori preparatori, di competenza “esclusiva attenuata”, poiché l’intervento del legislatore statale deve attenersi a “disposizioni generali e comuni” o “disposizioni di principio”135.

Una novità, invece, è relativa all’ambito della competenza regionale, in cui sono individua te specifiche materie che si aggiungono alla previsione residuale che attribuisce anche tutte le materie non espressamente riservate alla competenza statale.

Di significativo rilievo è, inoltre, l’introduzione della “clausola di supremazia”, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie di competenza regionale quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale136.

L’intento della riforma del 2016 è quello di porre rimedio alla confusa disciplina del riparto di competenze che ha provocato una serie di conflitti e, in sostanza, propone un ritorno alla gerarchizzazione delle istituzioni, attribuendo un potere prevalente a quelle nazionali. È palese che si ottenga, così, un capovolgimento del principio di sussidiarietà: la previsio ne, secondo cui ogni livello di governo è abilitato a disciplinare tutto ciò che sia in grado di controllare, salvo un intervento, appunto sussidiario del livello superiore solo quando necessario per ottenere determinati risultati, è svalutata dalla formulazione ampia e generica del principio di supremazia. Quest’ultimo principio, in sostanza, comporta un aumento dell’accentramento delle competenze e dei poteri allo Stato.

Unico vincolo previsto riguarda la procedura di approvazione della legge prodotta tramite l’utilizzo della clausola di supremazia: è necessario, infatti, il così detto procedimento monocamerale rinforzato. Il Senato, in rappresentanza degli enti regionali e locali deve deliberare sulla legge in oggetto e, qualora proponga delle modifiche, queste hanno valore “rafforzato”137. Tuttavia, la Camera può non conformarsi a queste modifiche pronunciandos i

a maggioranza assoluta.

135 Ivi, pag. 171. 136 Ivi, pag. 186. 137 Ivi, pag. 75.

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Risulta, quindi, una sostanziale riduzione delle competenze legislative delle Regioni e una incerta tutela da parte del Senato.

Si modifica, inoltre, la disciplina dell’articolo 116 relativa al regionalismo differenziato, in particolare, ridefinendo l'ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolar i forme di autonomia alle Regioni e introducendo il requisito della condizione di equilibrio tra entrate e spese del proprio bilancio.

Dal 2001 ad oggi sono state numerose le iniziative regionali per l’applicazione di questo articolo e, quindi, per l’ampliamento delle proprie competenze: il primo tentativo fu della Regione Toscana nel 2003 e, più recentemente, Veneto e Lombardia hanno negoziato col Governo per indire un referendum popolare volto a conoscere le preferenze della popolazio ne in relazione ad un aumento dell’autonomia regionale. Ad oggi, però, non risulta che sia mai stato dato seguito a queste richieste.

In conclusione, la stragrande maggioranza dei giuristi e delle forze politiche sono d’accordo nel ritenere che la riforma del 2001 ha lasciato delle notevoli lacune, soprattutto per quel che concerne il decentramento istituzionale e il federalismo fiscale, ed è perciò necessaria una riforma costituzionale che rinnovi l’ordinamento e i poteri, in linea con i modelli degli Stati europei. La legge costituzionale che potrebbe essere approvata nell’autunno del 2016, introduce importanti elementi di ammodernamento del nostro sistema ma si allontana dalla logica del principio di sussidiarietà, riportando il baricentro del potere a favore degli organi statali e dell’esecutivo.

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Conclusioni

Dall’analisi proposta emerge che l’introduzione nel contesto italiano del principio giurid ico di sussidiarietà è avvenuta contestualmente, da un lato, ad una trasformazione del concetto di sovranità e, dall’altro, ad un indebolimento delle istituzioni classiche di rappresentanza politica.

Il progetto di integrazione europea ha fatto sì che si diffondesse l’idea secondo cui gli Stati non possono essere gli unici detentori di potere politico. L’accentramento amministrativo si è dimostrato, in alcune occasioni, inadeguato e ciò ha permesso di superare le resistenze degli Stati nazionali, che hanno iniziato a cedere parte della propria sovranità a favore di enti sovranazionali o locali. In questo modo l’ordinamento europeo ha promosso il principio di sussidiarietà in senso verticale, cioè, una nuova allocazione del potere tra Comunità e Stati membri.

In Italia i gravi scandali di “mani pulite” e il diffondersi di un senso di diffidenza nei confront i della rappresentanza politica hanno fatto emergere la volontà dei cittadini di prendere coscienza degli strumenti di democrazia diretta e la diffusione di pratiche di cittadina nza attiva. Il merito dell’introduzione del principio nel nostro ordinamento e nella Costituzione è, infatti, da attribuire al proliferare di progetti di promozione dei diritti e di salvaguardia dei beni comuni, ad opera di associazioni, organizzazioni di volontariato e movimenti di partecipazione civica.

Nonostante non siano state accolte diverse proposte provenienti dal mondo dell’associazionismo nel corso degli anni ‘90, alle organizzazioni di partecipazione civica si attribuisce la paternità dell’articolo 118 della Costituzione, come riformato nel 2001, in cui si enuncia il principio di sussidiarietà in senso orizzontale.

L’importanza della sussidiarietà emerge dall’analisi del contesto economico del nostro Paese: i fallimenti dell’intervento statale, dovuti all’incapacità di conoscere i bisogni reali dei cittadini e all’esistenza di pressioni lobbistiche e politiche, fanno emergere la necessità di un approccio differente che sia in grado di stimolare la ricchezza del Paese. Alla luce del notevole aumento della spesa pubblica, il modello centralizzato appare inidoneo per la crescita del Paese.

In questo contesto il principio di sussidiarietà permette di ripartire le competenze decisiona li, conoscere le istanze locali e sviluppare le capacità del territorio, considerando, inoltre, la tradizione italiana di piccole e piccolissime imprese.

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Dal confronto con i dati istituzionali emessi dal Ministero dell’economia e delle finanze, risulta che il totale delle uscite della pubblica amministrazione italiana per soddisfare i bisogni pubblici è, in termini assoluti, più alto della maggior parte dei Paesi europei, ma se si guarda al grado di decentramento dei centri di decisioni, l’Italia si pone leggermente al di sotto della media europea. Ciò indica che il nostro sistema è ancora fortemente centralizzato.

Inoltre, la conferma del fatto che il decentramento delle risorse e delle decisioni favorisca la crescita della ricchezza, è individuabile dal modello econometrico presentato nel lavoro, in cui risulta che ad un incremento del grado di decentramento segue un aumento del tasso di crescita del PIL.

Risulta più difficile quantificare lo sviluppo della sussidiarietà di tipo orizzontale, e cioè, l’ammontare di risorse che lo Stato destina a sostegno dell’offerta e della domanda di beni e servizi prodotti e gestiti da singoli individui o da enti non profit. Tali organizzazioni, grazie ai due tratti qualificanti la struttura, cioè il vincolo di non distribuzione degli utili e la missio ne pubblica, risultano più adeguate a soddisfare gli interessi degli utenti e a garantire la tutela dei beni comuni. Negli ultimi anni, sempre più spesso, ogni amministrazione ha prodotto propri strumenti per disciplinare la collaborazione dei cittadini per la cura dei beni comuni. In linea con la previsione costituzionale, ogni livello di governo favorisce le autonome iniziative dei cittadini, tra cui finanziamenti diretti o esenzioni fiscali, a seconda delle precise esigenze del territorio.

L’incremento del numero delle organizzazioni non profit in Italia, il diffondersi di pratiche di solidarietà e di cittadinanza attiva, lascia trasparire un pieno riconoscimento e un uso sempre più esteso di strumenti di sussidiarietà orizzontale.

Dal punto di vista normativo, l’attuazione del decentramento amministrativo ha, invece, riscontato diversi ostacoli, dovuti alla rigidità della formulazione relativa alla distribuzione di competenze tra Stato e Regioni. Ciò ha comportato l’apertura di numerose questioni di competenza innanzi alla Corte Costituzionale e un ritardo nell’applicazione del principio in campo legislativo, amministrativo e fiscale. Allo stesso modo il progetto di federalis mo fiscale, introdotto nel 2001, appare non ancora completamente attuato. È stata sancita la libertà di autonomia impositiva per le Regioni e Comuni ma, a distanza di quindici anni, i tributi propri locali godono di uno spazio limitato e la maggior parte delle risorse versate dai contribuenti è destinata all’erario.

In conclusione, l’utilizzo sempre più diffuso di meccanismi che permettono agli enti di partecipare alle decisioni di governo nelle materie di loro interesse, come la conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province, ovvero come le forme associative tra

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Comuni sono segno di una nuova sensibilità verso una amministrazione responsabile coordinata e cooperativa. Allo stesso modo, l’utilizzo di forme di democrazia diretta come la destinazione dell’8 per mille sono piccoli sostegni alla sovranità del cittadino, alla libertà di scelta e alla partecipazione nelle decisioni di spesa.

Nel complesso il sistema italiano non ha ancora completamente recepito gli obbiettivi del principio di sussidiarietà, ma ci sono sicuramente stati passi avanti importanti in relazione al diffondersi di pratiche di cittadinanza attiva, al controllo delle responsabilità amministrat i ve e alla collaborazione tra livelli di governo e società civile.

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