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La nozione di intercettazione tra disciplina e prassi.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

LA NOZIONE DI INTERCETTAZIONE TRA DISCIPLINA E

PRASSI

Candidata Relatore

Daniela Belcastro Prof.ssa Valentina Bonini

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INDICE

- Introduzione ………..………pag. 3 - Capitolo Primo: Evoluzione Storica della Disciplina

1. Genesi storica delle intercettazioni: da strumento del regime a mezzo di

ricerca della prova ………...pag. 6 2. Le intercettazioni nei codici di procedura penale del 1913 e del 1930…....pag. 8 3. L’avvento della Costituzione ……….………....pag. 11 4. La l. 18 giugno 1955 n. 517 ……….………...……...pag. 13 5. La sentenza n. 34 del 6 aprile 1973 della Corte Costituzionale ………....pag. 14 6. La l. 8 aprile 1974 n. 98, detta la normativa cardine ….…………...…….pag. 15 6.1 (segue) La l. 18 maggio 1978 n. 191 ……….….pag. 17 7. L’entrata in vigore del codice Vassalli ……….….pag. 18 7.1 (segue) La l. 23 dicembre 1993 n. 547 e l. 1 marzo 2001 n. 63...….pag. 21

- Capitolo Secondo: Le Intercettazioni tra Costituzione e Fonti Sovranazionali 1. Art. 15 Cost.: il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione ……….…...pag. 23

2. Riserva di legge e di giurisdizione ………...…..……...pag. 30 3. Principio dell’inviolabilità del domicilio, art. 14 Cost. ……….pag. 34 4. Fonti sovranazionali ………..…....pag. 39 4.1 (segue) Il diritto alla riservatezza...……….pag. 46

- Capitolo Terzo: Le Intercettazioni di Conversazioni o Comunicazioni

1. Nozione di intercettazione ……….pag. 51 2. Caratteri dell’intercettazione:

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a) la segretezza delle comunicazioni captate ……….…...…...pag. 56 2.1 (segue) Segretezza e riservatezza: la registrazione ad opera

dell’interlocutore ………...pag. 57 3. b) La terzietà del captante ………...pag. 61

3.1 (segue) Agente segreto attrezzato per il suono ………...………pag. 62 4. c) La clandestinità della captazione ………...pag. 68

5. I Limiti di ammissibilità ………pag. 70 6. I presupposti: “gravi indizi di reato” e “assoluta indispensabilità” ……...pag. 72 7. Gli impianti utilizzabili.……….pag. 76

8. Le intercettazioni ambientali anche nei luoghi di privata dimora ……….pag. 80 9. Cenni procedimentali……….pag. 90

- Capitolo Quarto: Nuove Forme di Captazione delle Comunicazioni

1. Nozione di prova atipica: modalità ed efficacia di assunzione nel processo penale ………...………...pag. 97 2. Nuove forme di captazione ………..………pag. 108 3. I tabulati telefonici ………...pag. 110 3.1 Direttive Comunitarie e il Codice della privacy ……….……..pag. 120 3.2 La direttiva “Frattini” e il decreto legislativo n. 109 del 2008 ..…...pag. 124 4. Le video riprese ………..……….pag. 130 5. La localizzazione satellitare tramite GPS ………...………….pag. 136 6. Le operazioni sotto copertura della polizia giudiziaria ………...pag. 140 - Conclusioni ………..………...pag. 147 - Bibliografia ………...pag. 152 - Giurisprudenza ………..pag. 160 - Ringraziamenti ………..pag. 165

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INTRODUZIONE

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni costituiscono uno dei più importanti mezzi di ricerca della prova utilizzato dagli inquirenti. Intorno alla tematica delle intercettazioni ruotano principi di portata costituzionale, quali l’esigenza processuale di acquisizione delle prove e, d’altro canto, il rispetto dei principi fondamentali dell’essere umano. In particolare, le esigenze processuali ed il diritto di informazione sulle vicende giudiziarie si confrontano con la tutela della privacy, dell’identità personale e della dignità delle persone coinvolte, direttamente o indirettamente, dalle indagini processuali e il diritto alla riservatezza. Il mezzo delle intercettazioni ha la capacità, da un lato, di invadere la sfera personale di un soggetto, controllando le sue conversazioni e compromettendo il diritto di libertà e segretezza delle comunicazioni sancito dall’art. 15 Cost.; da altro lato, l’esigenza di reprimere in modo adeguato i fatti di reato e le attività criminali. È uno strumento non solo a «sorpresa», ma anche occulto, cioè nascosto agli interessati per l’intero periodo del suo svolgimento. Proprio a quest’aspetto esso deve la straordinaria efficacia investigativa che lo caratterizza. Ignari del “terzo orecchio” in ascolto, talvolta, i conversanti rendono inconsapevoli confessioni. Dunque, in una sola espressione, “la storia delle

intercettazioni è un movimento a pendolo; ciclicamente, una di queste esigenze prevarica l’altra”1.

A chi si accosti alla materia risulta evidente come nel codice di procedura penale manchi una definizione normativa del concetto di intercettazione, limitandosi a dettare una serie di limiti all’ammissione e all’utilizzo del mezzo. La nozione si ricava dallo studio dell’evoluzione tecnologica degli strumenti di captazione clandestina.

Il presente elaborato si pone come obiettivo quello di ripercorrere l’evoluzione dell’istituto in esame, partendo da una analisi storica finalizzata a confrontarsi con le nuove forme di captazione delle comunicazioni. Il lavoro è strutturato in quattro capitoli che analizzano i molteplici aspetti legati al tema delle intercettazioni, attraverso una analisi di elaborazioni dottrinali e pronunce

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giurisprudenziali. Alla ricerca di una completezza espositiva si è ritenuto necessario dedicare un primo capitolo all’evoluzione storica della disciplina delle intercettazioni. Analizzando i differenti approcci che si sono succeduti nel tempo, partendo dal codice di procedura penale del 1913 in cui vi è un cenno legislativo delle intercettazioni con riferimento limitato a quelle telefoniche, fino all’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, e le successive riforme.

Il secondo capitolo, invece, si pone l’obiettivo di individuare i principi generali nel precetto costituzionale dell’art. 15 Cost., dove trova protezione l’interesse “alla libertà e segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come

connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dell’art. 2 Cost.”2, e si stabilisce una riserva di legge e di giurisdizione. A sua volta l’art. 14 Cost. proclama l’inviolabilità del domicilio, che costituisce una forma di espressione della libertà personale. Lo studio prosegue con cenni procedimentali dell’istituto delle intercettazioni e le tutele offerte dalle fonti sovranazionali; in particolar modo si analizza il diritto alla riservatezza, come diritto nato per rispondere ad esigenze sociali di intimità della vita privata di ogni essere umano.

Il terzo capitolo intende prendere in considerazione l’esame dell’istituto delle intercettazioni da un punto di vista tecnico e giuridico della materia, esaminando le caratteristiche generali della disciplina a partire dalla nozione di intercettazioni, nonché i caratteri distinguenti (segretezza delle comunicazioni captate, strumenti di captazione e terzietà e clandestinità del captante). Ripercorrendo i presupposti dell’istituto ed i limiti di ammissibilità, fino alle intercettazioni ambientali.

Il quarto capitolo, infine, affronta le più innovative forme di captazione delle comunicazioni e l’evoluzione tecnologica, partendo dalla nozione di prova atipica, la modalità ed efficacia di assunzione nel processo penale. Lo studio si sofferma, in modo dettagliato, sul delicato problema dell’acquisizione dei tabulati telefonici, cioè l'acquisizione dei dati esteriori alla comunicazione e sugli ulteriori mezzi come le videoriprese, intese come strumento di captazione visiva di quanto

2 A. Bargi, voce Intercettazioni di comunicazioni e conversazioni, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. I Agg., Utet, 2005, p. 791.

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accade in luoghi pubblici all’insaputa di chi in esso si trova; ed ancora, sul c.d. pedinamento elettronico, vale a dire il sistema di monitoraggio satellitare tramite

GPS (global positioning system), che rappresenta uno dei temi maggiormente

discussi in ambito dottrinale e giurisprudenziale, curando, altresì, le operazioni sotto copertura della polizia giudiziaria in tutta la durata dell’operazione di intercettazione.

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CAPITOLO PRIMO

EVOLUZIONE STORICA DELLA DISCIPLINA

Sommario: 1. Genesi storica delle intercettazioni: da strumento del regime a mezzo di ricerca della prova. – 2. Le intercettazioni nei codici di procedura penale: del 1913 e del 1930. – 3. L’avvento della Costituzione. – 4. La l. 18 giugno 1955 n. 517. – 5. La sentenza n. 34 del 1973 della Corte Costituzionale. – 6. La l. 8 aprile 1974 n. 98, detta la normativa cardine. – 6.1 (segue) La l. 18 maggio 1978 n. 191. – 7. L’entrata in vigore del codice Vassalli. – 7.1 (segue) La l. 23 dicembre 1993 n. 547 e l. 1marzo 2001 n. 63.

1. Genesi storica delle intercettazioni: da strumento del regime a mezzo di ricerca della prova.

Le prime documentazioni relative alle esigenze di tutela delle comunicazioni si hanno già a partire dal 1790, in Francia, dove era già stata proclamata l’inviolabilità della libertà di corrispondenza, riconoscendo una protezione verso le ingerenze da parte dei pubblici poteri. Per contro, in Inghilterra, Cromwell giustifica il controllo sulle poste come “il mezzo migliore per scoprire e prevenire gli attentati contro il Governo”3 ed in seguito, la censura è largamente tollerata. Non a caso nel 1822 fu aperta una lettera diretta ad un membro della Camera dei Comuni, egli reclamava non tanto la violazione del segreto epistolare, quanto il fatto come una violazione dei privilegi riguardo la sua carica4. Anche negli Stati Uniti si ebbero segni notevoli relativi alle intercettazioni, emblematico fu lo scandalo di Watergate (un complesso di edifici di Washington nei quali hanno sede alberghi e uffici) scoppiato nel 1972, che

3 P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (libertà di), in Enc. dir., vol. X, Giuffrè, Milano, 1962, p. 746.

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portò alla richiesta di impeachment e alle dimissioni del Presidente degli Stati Uniti, all’epoca Richard Nixon, a causa della scoperta di alcune intercettazioni abusive effettuate nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico, ad opera di uomini legati al Partito Repubblicano. E ancora, ulteriore caso emblematico in materia, fu il caso “Olmstead”5, nel 1926 la Corte Federale dello

Stato di Washington, condannò a quattro anni di reclusione e al pagamento di una multa di 8.000 dollari il contrabbandiere di alcool Roy Olmstead, sulla base di prove raccolte attraverso le intercettazioni del suo telefono, per aver violato il Volstead Act, legge sul divieto di fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcool. Olmstead fece ricorso alla Suprema Corte degli USA sostenendo che le prove raccolte tramite le intercettazioni erano state effettuate senza approvazione giudiziaria e costituiva una violazione dei diritti sanciti dal IV e V emendamento della Costituzione americana. La Corte rigettò il ricorso, dichiarando che la Costituzione non era stata in alcun modo violata. La decisione della Corte Suprema, però, sarà ribaltata nel 1967 dalla sentenza Katz v. United States che sancirà il diritto alla privacy attribuendo una tutela costituzionale di chi conversava privatamente attraverso l’uso del telefono6.

Diverso fu in Italia l’approccio alla nuova materia, a titolo di esempio, la prima intercettazione casuale si ebbe nel 1903. Durante il secondo mandato di Giolitti da Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno D’Italia, un centralinista ascoltò una strana telefonata tra un Ministro del Regno e sua moglie. Il contenuto della telefonata riguardava l’approvazione all’indomani di un decreto di carattere finanziario e pertanto il Ministro suggeriva alla moglie di investire su una serie di titoli che dal giorno seguente avrebbero risentito positivamente del decreto. Il centralinista annotò gli estremi della telefonata: ora, località, numeri telefonici corrispondenti agli interessati, nominativi delle persone e il riassunto della conversazione. Capì che non si trattava di una usuale conversazione e riferì l’accaduto al Capo di Gabinetto del Primo Ministro, azione, questa, che provocò il

5 A. Gaito, Seminario: diritto alla riservatezza e intercettazioni, Facoltà di Giurisprudenza, Sapienza Università Di Roma, in Arch. pen., 2012, p. 7 ss.

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rinvio dell’approvazione del decreto7. L’evento provocò la creazione di un reparto

all’interno della Polizia di Stato, c.d. “Servizio di Intercettazione”, di cui fecero ampio uso i Governi Giolitti e Nitti per la sorveglianza delle personalità più in vista del mondo politico, economico, giornalistico e religioso8. Nel successivo periodo del regime fascista, anche Mussolini mise in atto il lavoro svolto dai Governi precedenti, infatti ordinò al Servizio di Intercettazione di mettere sotto controllo i telefoni di figure di maggior rilievo, politici di opposizione, intellettuali, giornalisti, militari, con assoluta assenza dei principi garantisti, utilizzandolo come strumento di regime. Ascoltare le conversazioni comportava la trascrizione di ogni singola parola detta, numerate su appositi blocchetti, e al termine dell’orario di lavoro l’operatore doveva firmare al ritiro e alla consegna del blocchetto. Ancor più le intercettazioni vennero usate come strumento di regime, nel 1924 a seguito del delitto dell’On. Giacomo Matteotti: furono tenuti sotto controllo i telefoni dei principali giornali e politici di opposizione9. Questo comportava l’ascolto delle conversazioni e l’intromissione da parte del Governo nella sfera privata del singolo cittadino, senza alcuna tutela per quest’ultimo.

2. Le intercettazioni nei codici di procedura penale del 1913 e del 1930.

Nel sistema processuale penale, tre codici di procedura penale hanno disciplinato l’istituto delle intercettazioni. Il codice del 1865 ignorava totalmente tale istituto, perché promulgato antecedentemente all’invenzione del telefono che costituisce il primo strumento di comunicazione a distanza10. Prima della creazione delle trasmissioni via cavo o via etere, il rapporto fra il mittente ed il destinatario di una comunicazione si instaurava tramite la messa in circolazione di

7 U. Guspini, L’orecchio del regime. Le intercettazioni telefoniche al tempo del fascismo, Brescia, 1973, pp. 18-19.

8 U. Guspini, L’orecchio del regime. Le intercettazioni telefoniche al tempo del fascismo, Brescia, 1973, pp. 19-24.

9 U. Guspini, L’orecchio del regime. Le intercettazioni telefoniche al tempo del fascismo, Brescia, 1973, pp. 45-50.

10 P. Bruno, voce Intercettazioni di comunicazioni e conversazioni, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, vol. VII, 1993, p. 175.

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oggetti (scritti). Tale considerazione fa capire come una corrente dottrinaria11 fosse solita classificare l’intercettazione come una sottospecie di sequestro (sequestro epistolare). In realtà, successivamente, ci si rese conto come le due figure in esame appaiono differenti: il sequestro è volto ad assicurare al processo qualcosa già noto agli inquirenti, anche se sono state poste alcune obiezioni, mentre l’intercettazione è finalizzata alla ricerca di elementi istruttori sconosciuti. Una prima formulazione in maniera superficiale delle intercettazioni, limitatamente a quelle telefoniche, si ebbe nel codice del 1913, artt. 17012 e 23813.

Erano state introdotte disposizioni normative volte a sequestrare la corrispondenza telefonica, con un provvedimento dell’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 170 c.p.p., in caso di sequestro di carte sigillate, lettere ecc. soltanto l’autorità giudiziaria poteva aprirli. Essendo segreta la corrispondenza telefonica, come dispone l’art. 31 della legge 3 maggio 1903, n. 196, era necessaria una disposizione di legge che permettesse alla polizia giudiziaria di intercettare o impedire comunicazioni14, ma quando ne ravvisino la necessità e l’urgenza gli ufficiali di polizia giudiziaria potranno procedervi senza alcuna autorizzazione preventiva da parte dell’autorità giudiziaria. Quanto all’art. 238 comma 3 c.p.p. del 1913, non conteneva alcun divieto esplicito in relazione ad una delega da parte dell’autorità giudiziaria, il giudice potrà delegare le operazioni di intercettazioni alla polizia giudiziaria, o personalmente farsi assistere da ufficiali o agenti15. Il codice del 1913 disciplinava solamente le intercettazioni di comunicazioni a distanza tra privati e non menzionava le intercettazioni inter

praesentes.

11 L. Mortara – U. Aloisi, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, Torino, 1914, I, p. 473, parlavano di sequestro della corrispondenza telefonica; nello stesso senso, Pergola, il codice di procedura penale illustrato articolo per articolo, sotto la direzione di U. Conti, Torino, 1937, II, p. 359.

12 L’art. 170 comma 3 c.p.p. recitava: “Gli ufficiali (di polizia giudiziaria) possono anche, per i fini del loro servizio, accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni, od assumerne cognizione”.

13 L’art. 238 comma 3 c.p.p. recitava: “Il giudice può accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni, o assumere cognizione”.

14 L. Mortara – U. Aloisi, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, Torino, 1914, I, p. 290.

15 L. Mortara – U. Aloisi, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, Torino, 1914, I, p. 473.

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Occorre rilevare che nel periodo storico in cui venne introdotto l’istituto delle intercettazioni, non era all’avanguardia come attualmente, ma venivano usati dei mezzi di captazione grossolani e non evoluti. Dunque, l’istituto non ebbe molta rilevanza all’esordio della sua introduzione, essendo all’inizio del regime fascista molto repressivo e non disposto a sottostare alle regole giudiziarie. Tuttavia, il codice del 1913 si rivelò incompatibile sul piano politico e fu sostituito dal codice del 1930 di Alfredo Rocco. Ripropose, in maniera quasi identica, il testo del 1913, attribuendo alla polizia giudiziaria ed al giudice istruttore piena libertà di accesso presso qualsiasi ufficio o impianto telefonico, allo scopo di trasmettere messaggi e ascoltare le conversazioni intercettate16, ignorando ancora una volta i principi garantisti. Non facendo riferimento alle intercettazioni inter praesentes, ma solamente alle intercettazioni di comunicazioni telefoniche, essendo una copia del codice del 1913, rimase il forte potere alla Polizia Giudiziaria e al Giudice di disporre del mezzo delle intercettazioni, senza bisogno di una apposita motivazione. L’istituto delle intercettazioni nel codice era disciplinato agli artt. 22617 e 33918, l’operazione di captazione veniva effettuata presso gli impianti telefonici di pubblico servizio dall’operatore telefonico sotto l’osservazione della Polizia Giudiziaria. Pertanto, il codice del 1930 non disciplinava in maniera adeguata l’istituto delle intercettazioni, essendo un mezzo che aveva già dimostrato le reali potenzialità; ma la presenza di norme lacunose, senza garanzie, che attribuivano alla polizia giudiziaria quasi di “abusare19” della propria competenza, causò una disciplina alquanto carente.

16 P. Bruno, voce Intercettazioni di comunicazioni e conversazioni, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, vol. VII, 1993, p. 175.

17 L’art. 226 comma 3 c.p.p. recitava: “Gli ufficiali di polizia giudiziaria, per fini del loro servizio, possono accedere agli uffici o agli impianti di pubblico servizio per trasmettere, intercettare o impedire comunicazioni prenderne cognizioni o assumere altre informazioni”.

18 L’art. 339 comma 3 c.p.p. recitava: “Il giudice può accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio e trasmettere, intercettare o impedire comunicazioni, assumere cognizione. Può anche delegare un ufficiale di polizia giudiziaria”.

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11 3. L’avvento della Costituzione.

La tragica esperienza della guerra e il feroce sterminio fece nascere l’esigenza di una tutela dei diritti, non solo dal punto di vista del diritto interno, con l’entrata in vigore della Costituzione, ma anche l’esigenza di una tutela di rango superiore e la necessità di stabilire convenzioni a livello internazionale che vincolassero gli Stati aderenti al rispetto di un catalogo minimo di diritti.

L’entrata in vigore della Carta Costituzionale, approvata nel 1947 dall’Assemblea Costituente e promulgata dal Capo provvisorio dello Stato ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, mutò radicalmente il problema dell’assenza di diritti per il singolo cittadino. Nelle specifiche norme dedicate ai diritti dell’individuo e del processo penale si avverte una discontinuità con le norme previste dal codice Rocco. Si ricordano le sedute del 24 gennaio e del 26 marzo 1947 dell’Assemblea Costituente, in cui si affermò “piena libertà di comunicare

con altri e usando dei mezzi esistenti, sia postali che telegrafici e telefonici”

garantendo un’esclusione di “qualsiasi controllo o censura, e con garanzia di

piena segretezza20”, ammettendo un previo controllo dell’attività giudiziaria.

Il legislatore costituzionale non riuscì a liberarsi totalmente dalle impostazioni culturali ereditate nelle legislazioni precedenti, ma codificò principi fondamentali e privilegiò l’ottica dei diritti inviolabili, cioè connaturati alla persona prima ancora di un riconoscimento formale in una norma di diritto positivo21. In questo contesto non si possono tralasciare quei principi che fanno riferimento alla persona umana, vi rientrano tra i diritti inviolabili: l’art. 2 Cost. “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”; l’art. 13 Cost. tutela la libertà personale; in questo contesto sono rilevanti gli artt. 1422

20 Relazione all’Assemblea Costituente della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, 1946, vol. I, p. 104.

21 G. Conso, V. Grevi e M. Bargis, Compendio di procedura penale, Cedam, 7^ ed., Padova, 2014. 22 L’art. 14 Cost. recita: “Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”.

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“principio di inviolabilità del domicilio” e 1523 “la libertà e segretezza delle

comunicazioni”, che prevedono la doppia riserva di legge e di giurisdizione, ponendo un limite alle competenze della polizia giudiziaria, a differenza di quanto accade per la libertà personale e per quella domiciliare, poiché qui si conferisce il potere di azione alla sola autorità giudiziaria, che è chiamata ad operare esclusivamente con atto motivato conforme alla legge. La differenza tra l’art. 15 Cost. e gli artt. 13 e 14 Cost., quest’ultimi riguardano soltanto l’accusato, come avviene per le perquisizioni, alle quali può essere presente o farsi assistere; la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni incidono sempre su altri soggetti oltre all’inquisito, sia esso l’interlocutore telefonico, il mittente o il destinatario di una lettera. La delicatezza del concetto di libertà non è secondaria,

a fortiori, visto che si è osservato come nel momento in cui il cittadino apprende

con gioia che libertà e segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite, la stessa dura pochissimo, poiché sono previste già le restrizioni di tale libertà e di tale segretezza, con la conseguenza, sia pure con atto motivato dell’autorità giudiziaria, che ci si possa sentire spiati anche nelle proprie lettere e nelle proprie conversazioni telefoniche, augurando, perciò, una libertà assoluta quanto all’espressione di opinioni nell’ambito della propria sfera privata24.

Tuttavia, con l’avvento della Costituzione e l’introduzione dei diritti inviolabili e garanzie oggettive, l’art. 226, ultimo comma, c.p.p. del 1930 divenne incostituzionale25 e il mezzo delle intercettazioni non era più utilizzato dalla polizia giudiziaria in maniera autonoma, ma l’utilizzo veniva limitato.

23 L’art. 15 Cost recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

24 In tal senso, V. Tieri, Atti dell’Assemblea Costituente, seduta del 16 marzo 1947, p. 666. 25 G. Conso, La “privacy” e il telefono, in La Stampa, 7 settembre, 1971; L. Giogoli, Le recenti riforme processuali penale, in Riv. Pen., 1956, I, p. 80; G. Gosso, voce Intercettazioni telefoniche, in Enciclopedia del diritto, vol. XXI, 1971; P. Rossi, Lineamenti del diritto penale costituzionale, Priulla, Palermo, 1954, p. 102 ss.

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13 4. La legge 18 giugno 1955 n. 517.

Nonostante la presenza della Costituzione, si dovette attendere sette anni per un’evoluzione garantista sancita dalla legge n. 517/1955. La legge ha modificato oltre centotrenta articoli del codice del 1930 seguendo una precisa strategia, poiché non vi era il tempo necessario per discutere di nuovi istituti, vennero reintrodotte le garanzie sperimentate nel codice liberale del 191326. La legge del

18 giugno 1955 n. 517 inseriva un 4° 27 comma all’art. 226 del c.p.p. e venne imposto l’obbligo dell’emissione di un decreto motivato dell’autorità giudiziaria per autorizzare qualsiasi attività di intercettazione da parte della polizia giudiziaria. Per procedere alle intercettazioni sono necessari i seguenti requisiti che dovranno essere specificatamente menzionati nel decreto motivato: rispondenza delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria in base alle funzioni assegnate dalla legge, per verificare che le intercettazioni non si prestino ad essere forme di intrusione nella vita privata dei cittadini a scopo indebito, ad esempio, per finalità a sfondo politico28; esistenza di un «fondato motivo» per ritenere che dall’ascolto delle conversazioni possano derivare elementi utili per le indagini: occorre che il giudizio del magistrato si fondi su dati obiettivi (testimonianze, riscontri documentali ecc.) da cui si desume che un soggetto abbia violato o possa violare la legge penale, o che la prova di ciò sia ricavabile dall’effettuazione delle intercettazioni; le operazioni possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria, anziché dall’autorità giudiziaria, per motivi legati a fattori di urgenza e tempestività, così come la possibilità di decidere lo stato delle indagini. L’importante che l’incarico non venga affidato alla polizia giudiziaria solo per ragioni di comodità o nell’erronea convinzione che in essa si trovino degli incombenti29.

26 P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 18^ ed., Milano, 2017, p. 31.

27 L’art. 226 comma 4 recitava: “Per intercettare o impedire comunicazioni telefoniche o prenderne cognizione gli ufficiali di polizia giudiziaria devono munirsi di autorizzazione dell’autorità giudiziaria più vicina, che la concede con decreto motivato”.

28 Si pensi alle intercettazioni nel regime fascista (R. Pannain, Intercettazioni telefoniche, in Arch. Pen., 1961, n. 1, p. 151) o a quelle che sarebbero state messe in atto dal SIFAR e dal comando generale dell’Arma dei carabinieri (F. Bassanini, L’inchiesta parlamentare sul SIFAR, il segreto militare e i poteri del Parlamento, in Relazioni sociali, 1968).

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L’istituto ha subito un’ulteriore novità in forza della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva in Italia come legge ordinaria il 4 agosto 1955 n. 848. All’art. 8 della Convenzione veniva tutelato il diritto di ogni persona “al rispetto della sua vita

familiare, del suo domicilio e delle sua corrispondenza”.

5. La sentenza n. 34 del 1973 della Corte Costituzionale.

La prima e più importante pronuncia in materia di intercettazioni è la sentenza del 6 aprile 1973 n. 34 della Corte Costituzionale, la quale, pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 226, ultima comma c.p.p., proposta dal Tribunale di Bolzano, ricava dall’art. 24 Cost. e dai principi generali del processo penale alcune regole che rimangono implicite nel codice30.

Grazie alla sentenza si pose fine ad un problema di tipo interpretativo a quello che, in dottrina, era stato ritenuto un difetto dell’art. 15 Cost.: imporre al legislatore di fissare le garanzie, senza specificare quale esse siano31. Infatti, la Corte afferma che all’interno dell’art. 15 Cost. trovano protezione due distinti interessi: uno riguardo alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e l’altro connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch'esso oggetto di protezione costituzionale32. Quindi, l’art. 15 Cost. non si limita a proclamare l’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (I comma), ma prevede espressamente (II comma) che "la loro limitazione può avvenire soltanto

30 Secondo G. Riccio, A. De Caro, S. Marotta, Principi costituzionali e riforma della procedura penale: una rilettura della giurisprudenza costituzionale 1956-1988, 1991, p. 214, la Corte era convinta “Che una pronuncia diversa ugualmente non avrebbe frenato il patologico fenomeno delle intercettazioni abusive, in quel periodo al centro dell’attenzione collettiva e reale obiettivo delle ordinanze di remissione”; di qui la scelta di una sentenza formalmente di rigetto, ma sostanzialmente ricca di incisive e feconde enunciazioni di principio.

31 G. Treves, La difesa della libertà individuale nella nuova Costituzione, in Riv. dir. pubbl., 1947, p. 134.

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per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge".

L’operazione delle intercettazioni non resta affidata alla polizia giudiziaria, ma si attua sotto il diretto controllo del giudice e la richiesta di autorizzazione delle intercettazioni va valutata con cautela, proprio perché ne deriva una grave limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni.

La Corte si impegnò ad individuare le possibili cautele considerate come doverose e il “nucleo minimo” dell’istituto, cioè le garanzie indispensabili per la legittimità costituzionale delle intercettazioni, quali la sindacabilità nel corso del procedimento del decreto di autorizzazione ed il conseguente divieto di utilizzare i risultati ottenuti qualora quel provvedimento risultasse carente; l'obbligo del segreto per chiunque partecipi alle operazioni d'ascolto; il dovere di acquisire agli atti solo il materiale probatorio rilevante per il giudizio; la predisposizione di servizi tecnici atti ad assicurare un controllo effettivo dell'autorità giudiziaria sulle intercettazioni33. Inoltre, la Corte ha stabilito che l’art. 226, ultimo comma, non è in contrasto con l’art. 15 Cost., poiché al II comma, enuncia espressamente la possibilità di limitare il diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria, altrimenti, in mancanza di una previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria, verrà leso il principio della libertà e segretezza delle comunicazioni34. Non a caso questa sentenza è stata definita come “una tappa di primaria importanza nella storia della nostra giurisprudenza costituzionale in materia processuale35”.

6. La l. 8 aprile 1974 n. 98, detta la normativa cardine.

Il veloce rinnovamento dell’istituto e la rapida introduzione della legge n. 98 del 1974 “Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni”, è dovuta alle varie sollecitazioni formulati dalla Corte

33 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 5. 34 Sentenza C. cost., 6 aprile 1973, n. 34.

35 V. Grevi, Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte costituzionale in tema di intercettazioni telefoniche, in Giur. cost., 1973, p. 338.

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costituzionale per far intervenire le Camere, oltre alle proteste dei mass-media per la scoperta di uno scandalo di spionaggio politico attuato per mezzo di moltissime intercettazioni illegali36. La legge introduce per la prima volta nel codice di procedura penale una disciplina organica delle intercettazioni, regolava presupposti, forme, modalità esecutive e sanzioni delle intercettazioni.

Furono introdotti nel codice di rito gli art. 226 bis, 226 ter, 226 quater e 226

quinquies che dettano la disciplina in materia di facoltà relative alle

comunicazioni o conversazioni, autorizzazione all’impedimento, esecuzione delle operazioni e divieto di utilizzazione delle intercettazioni illecite. Per la prima volta fu introdotto il limite normativo con la specifica materia dei reati per i quali era possibile effettuare l’intercettazione, in particolare gli articoli 226 bis e 226 ter prevedevano tale catalogo dei reati per i quali l’intercettazione era consentita e l’autorizzazione motivata del giudice istruttore o del pubblico ministero, presupponeva “seri e concreti indizi di reato” in presenza dei quali soltanto l’atto può essere autorizzato, la durata delle intercettazioni non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata (solo per due volte) con ordinanza, per periodi successivi di quindici giorni, ove perdurino le condizioni; l’art. 226 quater introdusse regole precise sulla registrazione delle operazioni e localizzazione degli impianti presso la procura della Repubblica, sullo svolgimento delle operazioni, sul deposito dei verbali a favore della difesa; era inoltre previsto lo stralcio delle intercettazioni nulle o irrilevanti. Dopo un silenzio assoluto ci fu anche il primissimo cenno legislativo sulla possibilità di ricercare la prova a mezzo di intercettazione ambientale, art. 226 quinquies, come norma di chiusura, il quale vietava l’utilizzazione delle intercettazioni illegittime, sebbene, «a pena di nullità insanabile da rilevare d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento». Collegandolo all’art. 615 bis del codice penale, tutt’ora vigente, regola le interferenze illecite sulla vita privata che si realizzano quando sono sottoposte ad intercettazione di conversazioni private comprese quelle tra presenti a mezzo di

36 “All’improvviso la nazione si era accorta di esser coperta e spiata da una vastissima rete di ascolto telefonico più o meno abusivo, ove servizi segreti in lotta fra di loro, polizie varie sia pubbliche che private, gruppi eversivi, concorrenti furbi ad aste pubbliche e financo mariti cornuti concorrevano nel voler sapere tutto di tutti, documentandolo in nastri magnetici utili sia a umiliata prova giudiziaria, sia ai ricatti pubblici che privati”; così lo descriveva App. Milano, 19 maggio 1980, M. Orlandi, in Giur. it., 1981, p. 388.

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indebita intrusione nel domicilio. Ma, solamente con l’introduzione del codice del 1989 il legislatore disciplinerà in modo chiaro le intercettazioni ambientali.

Inoltre, la legge n. 98/1974 ha sostituito l’art. 339 del codice di procedura penale “Accesso agli uffici telefonici, telegrafici e di radiotrasmissione”. Il giudice quando procede per uno dei reati indicati all'articolo 226-bis, con decreto motivato, può disporre l'accesso agli uffici od impianti telefonici, telegrafici e di radiotrasmissione indicati nella prima parte dell'articolo 226-quater.

6.1 (segue) La l. 18 maggio 1978 n. 191.

A partire dal 1978 a causa della diffusione del terrorismo e dell’espansione della criminalità organizzata, ci fu un “riflusso” sul piano delle garanzie, emblematica fu la legge 18 maggio 1978 n. 191. Si assistette ad un sostanziale deficit di garantismo da parte delle istituzioni, essa introduceva una serie di riforme assolutamente efficaci per le esigenze investigative degli inquirenti, che tuttavia erano fortemente lesive delle libertà personali dell’individuo e consentite proroghe, sostanzialmente indeterminate dell’attività di intercettazione. Infatti, la Polizia Giudiziaria aveva la possibilità di eseguire le intercettazioni con degli impianti presenti presso i propri uffici e la possibilità di ricevere a scopo probatorio proroghe a tempo indeterminato; inoltre si ammetteva che gli esiti dell’operazione di intercettazione potevano essere acquisiti anche in procedimenti diversi da quello per il quale l’intercettazione era disposta.

Soprattutto, la medesima legge consentiva forme di intercettazioni “preventive”, di natura “extra processuale”, quest’ultima ripresa nell’ambito delle Disposizioni in materia di prevenzione, di cui introduceva la possibilità di intercettazione nei confronti di persone sottoposte a misure cautelari personali37. Rappresentava un quadro in forte contrasto con le previsioni costituzionali, giustificato in via esclusiva dal periodo storico in cui vennero introdotte queste

37 C. Parodi, Le intercettazioni – Profili operativi e giurisprudenziali, Giappichelli, Torino, 2002, p. 13.

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riforme. Si ebbe un’evoluzione dell’istituto delle intercettazioni al momento della stesura del codice Vassalli.

7. L’entrata in vigore del codice Vassalli.

Con l’avvento della Costituzione e delle diverse normative intervenute per colmare i vuoti legislativi in materia, l’istituto ha subito un’evoluzione storica che ha rappresentato la base per la redazione degli articoli del codice di procedura penale del 1989 in materia di “Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”. Sicuramente ha inciso il passaggio da un sistema di tipo inquisitorio ad un sistema di tipo accusatorio del processo penale, caratterizzato dal contraddittorio opposto alla segretezza del sistema inquisitorio. Il sistema accusatorio si basa sul principio dialettico38, caratterizzato dal principio della “separazione delle funzioni processuali”, si tende ad evitare che si abusi di un potere e che il giudice, necessariamente imparziale, sia in grado di dirimere la controversia, restando in una posizione di assoluta neutralità psichica. Inoltre, le caratteristiche essenziali del sistema accusatorio sono il principio di iniziativa di parte, iniziativa probatoria di parte, il principio del contraddittorio, il principio di oralità, i limiti di ammissibilità della prova e della custodia cautelare. Particolare importanza del sistema è assunta dalla presunzione di innocenza: spetta a colui che accusa portare prove che dimostrino la reità “al di là di ogni ragionevole dubbio39”. Oggetto del processo non è l’innocenza dell’imputato, bensì la sua colpevolezza in relazione al fatto descritto nel capo d’imputazione. Se il pubblico ministero non riesce a provare la colpevolezza dell’imputato e convincere il giudice al di là di ogni ragionevole dubbio, il giudice deve dichiarare non colpevole l’imputato.

Il nuovo codice di procedura penale entra in vigore in Italia nel 1989, anche se i lavori preparatori ebbero origine molto tempo prima. Nel 1962 il Ministro della Giustizia nominò una commissione, presieduta da Francesco Carnelutti, per

38 P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 18^ ed., Milano, 2017, p. 8. Al giudice, che deve essere indipendente ed imparziale, spetta di decidere sulla base delle prove prodotte dalle parti.

39 P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2017, p. 10. Sancito dall’art. 27 Cost. «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».

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la riforma della struttura del processo penale. L’esito della commissione non fu quello sperato, a causa di conclusioni non unanimi. Carnelutti nel 1963 presentò la bozza di uno schema del codice di procedura penale, in cui si ipotizzava un sistema di tipo accusatorio puro, basato sull’oralità e sulla netta separazione tra le fasi processuali, senza alcuna previsione, né regolamentazione dell’esame incrociato. Tale riforma, appunto per tale motivo, incontrò forti opposizioni40. Nello stesso anno, il Governo presieduto da Giovanni Leone, elaborò un disegno di legge delega che prevedeva la riforma del codice di procedura penale, ritenuto impossibile affidare al Parlamento l’elaborazione del codice, ma mai posto in discussione. Successivamente furono proposti vari disegni di legge delega, ma soltanto nel 1974 la legge fu promulgata. Di conseguenza, fu istituita una commissione presieduta dal Prof. G. Pisapia che presentò il testo del progetto preliminare nel 1978. La legge delega, però, conteneva difetti fondamentali che portarono il Governo ad interrompere l’iter della delega stessa. Ma nel 1980, a causa di atti di terrorismo, vennero proposti vari emendamenti, che si configuravano, però, come nuova delega; venne nominato un nuovo comitato, il quale si occupò di formulare la nuova struttura del codice. Il processo penale si basava su un sistema di tipo accusatorio, la prova si sarebbe dovuta creare nel dibattimento in contraddittorio tra le parti, era eliminata la figura del giudice istruttore sostituito da un giudice senza poteri di iniziativa probatoria41. In seguito, fu istituita una nuova commissione nominata dal Ministro della Giustizia, G. Vassalli e presieduta dal Prof. G. Pisapia, la quale formulò un progetto preliminare con esito positivo dalla Commissione parlamentare. Il 22 settembre1988 fu approvato il testo del nuovo codice, entrato in vigore il 24 ottobre del 1989.

Il nuovo codice è diviso in due parti e undici libri, per un totale di 746 articoli. Il titolo III del terzo libro è interamente dedicato ai mezzi di ricerca della prova. Le intercettazioni non sono più un mezzo di prova come nei precedenti codici, ma un mezzo di ricerca della prova, non sono di per sé fonte di convincimento del giudice, ma rendono possibile acquisire cose, tracce o

40 O. Mazza, L’illusione accusatoria: Carnelutti e il modello dell’inchiesta preliminare di parte, in L’inconscio inquisitorio, a cura di L. Garlati, Milano, 2010, p. 153.

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dichiarazioni dotate di attitudine probatoria. Con le varie riforme, le intercettazioni divengono un atto di indagine del Pubblico Ministero attuato previa autorizzazione o convalida del giudice delle indagini preliminari, e non più un atto della Polizia Giudiziaria. Il legislatore ha preferito adottare una formula ampia e soprattutto “aperta”: il capo IV, dall’art. 266 all’art. 271, disciplina l’istituto delle “Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”. Fu introdotto il secondo comma dell’art. 26642 c.p.p., che regola un importante novità, la captazione tra

presenti, identificandosi nelle intercettazioni ambientali.

Il concetto di intercettazione riceve un ampliamento e forza espansiva, capace di prevedere a priori le eventuali acquisizioni future della tecnologia, in modo tale che senza aver bisogno di interventi normativi ad hoc, è possibile intercettare qualsiasi forma di corrispondenza venga in futuro inventata. La scelta di introdurre un corpo di regole e cautele, eventualmente estese alle nuove tecnologie significa escludere a priori soluzioni pericolose: quelle altrimenti invocabili dall’art.189 c.p.p.43.

Nonostante il codice del 1989 ha modificato l’intero processo penale, erano anni in cui era forte l’emergenza nei confronti della criminalità organizzata, l’istituto dell’intercettazione subisce nuovamente modifiche. Il decreto legge del 13 maggio 1991 n. 152 (convertito in legge n. 203/1991) al capo VII prevede «Modifiche alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni» in tema di lotta alla criminalità organizzata44 e la legge del 7 agosto 1992 ha introdotto l’allungamento dei termini delle operazioni, qualora si proceda per fattispecie criminose di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p.

42 L’art. 266 comma 2 c.p.p. recita: “Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazione tra presenti. Tuttavia, qualora avvengano nei luoghi indicati dall’art. 614 del c.p., l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”.

43 In tal senso l’art. 266 c.p.p. ricorda la risposta data da M. Nobili, Progetto di un nuovo codice di procedura penale per la repubblica di San Marino, al difficile problema delle prove atipiche, che in quel progetto, vengono disciplinate attraverso l’estensione della disciplina sulle prove, neutralizzando, il rischio del «vuoto» di cui all’art. 189 c.p.p. .

44 Art. 13 del decreto legge recita: “in deroga a quanto disposto dall’art. 267 del c.p.p., l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’art. 266 c.p.p. (…) quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata in ordine ai quali sussistono sufficienti indizi”.

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7.1 (segue) La legge 23 dicembre 1993 n. 547 e legge 1 marzo 2001 n. 63.

Il legislatore, nonostante le riforme sopra citate, inserì nel codice l’art. 266

bis, con la l. 23 dicembre 1993 n. 547, avente ad oggetto Modificazioni ed

integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale, che permette “l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche”, sentì l’esigenza di dettare un articolo specifico a causa di una lettura restrittiva dell’art. 266, ma in realtà era sufficiente tale articolo e non necessariamente l’introduzione dell’art. 266 bis, in quanto il termine «telecomunicazioni», usato nell’art. 266 c.p.p., comprende “qualunque sistema per la trasmissione a distanza di

informazioni di diversa natura (segnale telegrafico e telefonico, dati numerici

ecc.)45” e il requisito «a distanza» si riferisce anche a qualche metro fra mittente e destinatario. L’art. 266 bis è inutile dove prevede l’intercettazione dei flussi informatici per i “procedimenti relativi ai reati indicati all’art. 266 c.p.p.”, mentre ha un contenuto precettivo nella parte in cui estende l’utilizzo delle intercettazioni ai reati commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche e telematiche, perché tali reati non erano indicati nel catalogo dell’art. 266 c.p.p.46. Inoltre, la legge, all’art. 12, inserì il comma 3 bis all’art. 268 c.p.p.: “quando si procede a

intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati” e sostituì i commi 6,7 e 8.

Con questa legge il legislatore ha voluto dare al nostro ordinamento una disciplina base per l’accertamento e la repressione dei crimini informatici dovuti a causa della nascita di Internet e all’avvento dell’era digitale, che rende più agevole l’inserimento di condotte e attività illecite configurandosi attraverso la rete.

Negli anni ’90 sono sorte varie problematiche riguardo la (in)utilizzabilità delle dichiarazioni degli informatori della Polizia Giudiziaria e dei Servizi di sicurezza. Sono state superate dalla l. 1marzo 2001 n. 63, in sede di attuazione dei principi costituzionali del giusto processo, modificando gli artt. 203 e 267 c.p.p.,

45 voce Telecomunicazioni de La nuova enciclopedia delle scienze, Milano, Garzanti, 1988, p. 1396.

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introducendo ad entrambi i commi 1 bis, il comma 1 bis dell’art. 267 c.p.p.47 e il comma 1 bis dell’art. 203 c.p.p.48. Diretti ad impedire che le dette dichiarazioni

possano giovare ai fini della individuazione dei gravi indizi atti a giustificare l’utilizzo delle intercettazioni. L’art. 203 c.p.p. prevede uno ius tacendi in relazione ai nomi degli informatori. Qualora l’ufficiale di Polizia Giudiziaria decida nel corso dell’escussione di rivelare l’identità dell’informatore, l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni sarà disciplinata dall’art. 195 c.p.p. e non più dall’art. 203 c.p.p. .

47 L’art. 267 comma 1 bis recita: “Nella valutazione dei gravi indizi di reato, si applica l’art. 203”. 48 L’art. 203 comma 1 bis recita: “L’inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni”.

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CAPITOLO SECONDO

LE INTERCETTAZIONI TRA COSTITUZIONE E

FONTI SOVRANAZIONALI

Sommario: 1. Art. 15 Cost.: il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazioni. – 2. Riserva di legge e di giurisdizione. – 3. Principio dell’inviolabilità del domicilio, art. 14 Cost. – 4. Fonti sovranazionali. – 4.1 (segue) Il diritto alla riservatezza.

1. Art. 15 Cost.: Il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazioni.

L’art. 15 Cost. riconosce come inviolabili la “libertà e la segretezza della

corrispondenza” e “ogni altra forma di comunicazione” stabilendo che “la loro limitazione può avvenire soltanto con atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Al fine di poter meglio comprendere la portata dell’art. 15 Cost., è necessario esaminare, anche se brevemente, quelli che furono i lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, dai quali emerge chiaramente come il contenuto della libertà di corrispondere e comunicare in modo riservato si ponga “(...) al pari

della libertà domiciliare garantita dall'art. 14 Cost. come un ampliamento ed una precisazione del fondamentale principio di inviolabilità della persona umana sanzionato dall'art. 13 Cost.”.49 Vi è da sottolineare che i lavori preparatori ebbero diverse articolazioni. Infatti, dapprima si decise per la formulazione di un articolo unico delle tre libertà inviolabili, poi, prima della discussione del 20 settembre 1946 avvenuta nella I Sottocommissione, il testo del progetto Basso –

49 P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (libertà di), in Enc. dir., vol. X, Giuffrè, Milano, 1962, p. 744.

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La Pira era cosi formulato: “la libertà e la segretezza di comunicazione e

corrispondenza in qualsiasi forma sono garantite. Può derogarsi a questa disposizione per specifica decisione dell'autorità giudiziaria. Durante il tempo di guerra, per disposizioni di legge possono essere stabilite limitazioni e istituite censure. La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata per legge”. Successivamente al dibattito (Atti Ass. Cost., 88) il testo fu leggermente

modificato: “La libertà e la segretezza di comunicazioni e di corrispondenza in

qualsiasi forma sono garantite. Può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell'autorità giudiziaria. La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure per il tempo di guerra. La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata”. Nella seduta della Commissione plenaria dei 75 (Atti

Ass. Cost., 169), su proposta dell’On. Perassi, si decise di tornare all'originaria formulazione e di dedicare alla libertà in esame un articolo a sé stante, con la rilevante esclusione della norma relativa alle limitazioni in tempo di guerra.50 In Assemblea, inoltre, fu approvato un emendamento aggiuntivo, al II comma dell’art. 15 Cost.: “ed in pendenza di un procedimento penale”, così da escludere il caso della semplice inchiesta penale, dai poteri limitativi dell’autorità giudiziaria. In sede di coordinamento finale l’On. Ruini propose di sopprimere l’emendamento ed aggiungere l’inciso “secondo le garanzie prescritte per la

tutela della libertà personale”; la proposta fu accolta solo parzialmente, in quanto

fu abolito l’emendamento e della proposta dell’On. Ruini rimase solo “con le

garanzie stabilite dalla legge”.

I costituenti consideravano gli artt. 13, 14 e 15 Cost. fortemente connessi tra loro, nel senso di considerare la libertà di comunicare riservatamente come proiezione spirituale della persona, quale naturale completamento delle garanzie previste dall’art. 13 e dall’art. 14 e più in generale alla dignità umana prevista dall’ art. 2 Cost. . Peraltro, sullo specifico nesso tra l’art. 2 e l’art. 15 Cost., si è pronunciata la Corte Costituzionale con le sentenze n. 366/1991 e n. 81/1993, confermando il principio secondo il quale “il complesso delle libertà

costituzionali forma, per così dire, quasi un tessuto, e nel contesto delle singole

50 V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione Italiana con i lavori preparatori, 1976, p. 69.

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disposizioni vi sono delle categorie, delle sottospecie, dei rapporti, e delle linee di "derivazione" del principio fondamentale dell'art. 2 della Costituzione”51.

La garanzia costituzionale della libertà e segretezza della corrispondenza ruota attorno ai due istituti fondamentali in materia di tutela dei diritti di libertà: la riserva di legge e la riserva di giurisdizione. Si tratta, quindi, dello stesso modello di tutela già adottato per la libertà personale, art. 13 e per la libertà di domicilio, art. 14, che in questo caso trova un determinante correttivo. Infatti, nell’art. 15 non si prevede ciò che nei due precedenti articoli è espressamente contemplato: la possibilità di un intervento straordinario in caso di necessità ed urgenza, da parte dell’autorità di polizia, salva la successiva convalida del giudice. Ci si è chiesti se tale mancanza fosse una “svista” del Costituente52 o una omissione voluta o da riportare “a fattori occasionali e contingenti quali si manifestarono nel corso dei

lavori preparatori che condussero alla redazione dell’art. 15 Cost.”, cui sopperire

sul piano di un’interpretazione estensiva di quanto previsto dagli artt. 13 e 14 Cost.. Tuttavia, la mancata previsione di poteri di intervento dell’autorità di polizia è stata interpretata come una scelta consapevole del Costituente, sia per le garanzie di tutela di una situazione che coinvolge anche la posizione di un terzo, destinatario o mittente, sia per la maggiore facilità delle limitazioni della libertà e segretezza della corrispondenza, rispetto alla violazione della libertà personale e domiciliare, quindi di un rischio maggiore del verificarsi di abusi che tutto ciò comporta.

La coscienza della estrema delicatezza del tema e la consapevolezza dell’utilità nelle esperienze processuali, fece sì che il presupposto con cui il Costituente affrontò il tema delle intercettazioni, fu quasi “spirituale”. Perciò, non possiamo non ricordare il richiamo dell’On. Ruini in sede Costituente: “nell’avvicinarsi ad una Costituzione si prova quasi un senso religioso”53. Parlare

51 V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1963, p. 41.

52 In tal senso, G. Baschieri, L. Bianchi D’Espinosa, C. Giannattasio, La Costituzione italiana, Firenze, 1967 p. 90.

53 M. Ruini, Relazione del Presidente della Commissione al Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana, presentata alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 6 febbraio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, vol. I, Roma, 1970.

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delle intercettazioni significa comprendere la Carta Costituzionale al fine di capire la portata e l’estensione dei diritti inviolabili e le inscindibili limitazioni, con l’effetto di ragionare sulle “giuste” regole per l’attuazione e il rispetto della riconosciuta libertà e segretezza di comunicare54. Come più volte detto, l’analisi dei profili costituzionali in tema delle intercettazioni, ruota intorno all’art. 15 Cost., disposizione cardine e all’art. 14 Cost. .

Partendo da una analisi dell’art. 15 Cost., è opportuno ricordare come durante l’Assemblea Costituente si decise di riservare a tale articolo, una disciplina parzialmente diversa rispetto gli artt. 13 e 14 Cost. L’art. 15 Cost. risponde perfettamente alla realizzata intenzione del Costituente di servire norme precise, semplici e chiare a tutto il popolo e tutela due situazioni distinte, ma complementari: la prima consiste nel “(…) diritto di poter comunicare e

corrispondere con altri soggetti, senza che sia portata alcuna interruzione o sospensione al corso di una normale corrispondenza. La seconda coincide con la pretesa che soggetti diversi dai destinatari, individuati dai mittenti, (…) non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto di una corrispondenza o di una comunicazione”55. Si distingue un momento dinamico, quale la libertà in senso stretto suscettibile di una tutela graduale, consentendo anche temporanei fermi che siano strumentali all’intervento dell’autorità giudiziaria, ed un momento statico, quale la segretezza delle comunicazioni. La segretezza si trova in un rapporto di interdipendenza con la libertà di comunicazione: se fosse tutelato uno solo dei due diritti, la libertà o la segretezza, la protezione accordata dall’art. 15 Cost. sarebbe priva di contenuto56. Il termine segretezza si concretizza quando il comunicante intende riservare una conversazione o un messaggio a uno o più soggetti determinati, con l’esclusione di chi non ne sia destinatario diretto o indiretto, quindi o a colui al quale la conversazione è rivolta, o a ogni persona consapevolmente posta dai comunicanti in condizione di percepire57. La

segretezza della comunicazione deve emergere sotto un profilo strettamente

54 A. Vele, Le intercettazioni nel sistema processuale penale, Cedam, Milano, 2011, p. 2.

55 V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1963, pp. 63 e 91.

56 A. Pace, Commento all’art.15 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1977, p. 85.

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oggettivo, il mittente dovrà servirsi di una forma espressiva e di un mezzo che siano riconoscibili come segreti. A titolo di esempio, il dialogo tra persone che discutono ad alta voce in un luogo affollato non potrebbe dirsi segreto, perché chi effettua una tale conversazione accetta il rischio che chiunque possa percepire le sue parole.

La segretezza è un aspetto specifico della più ampia libertà di comunicare con soggetti predeterminati.

L’art. 15 Cost. tutela non solo la corrispondenza, ma anche “ogni altra

forma di comunicazione”. Il termine corrispondenza non trova una definizione

legislativa, ma l’art. 616, comma 4 c.p. intende per corrispondenza quella epistolare, telegrafica e telefonica. La corrispondenza può rientrare come species particolare nel concetto di ampio genus “forme di comunicazione”, le quali possono essere definite come: “rapporti psichici diretti, ancorché mediati,

consistenti nella trasmissione di idee o di notizie, che una persona fa ad una o più altre persone determinate, col mezzo di cose atte a fissare, trasmettere o ricevere l’espressione del pensiero”58. Per determinare il concetto di comunicazione

appare, pertanto, del tutto irrilevante sia l’oggetto in cui si concretizza il contenuto della comunicazione, sia la forma espressiva utilizzata per trasmettere il pensiero, consistita nell’uso di una qualunque lingua, o di segni convenzionali. Inoltre, risulta irrilevante il mezzo con cui il soggetto si serve per trasmettere il contenuto di una notizia, che potrà identificarsi con possibili nuovi mezzi di comunicazione, anche per poter rispondere alle necessità del continuo sviluppo tecnologico che caratterizza i giorni nostri.

Dunque il concetto di comunicazione, ai fini della tutela prevista nella norma costituzionale, è il più esteso possibile quanto all’oggetto e alla forma in cui la comunicazione si realizza e al mezzo attraverso cui essa giunge a destinazione. Per acquisire il carattere di comunicazione, deve essere formulata da un soggetto, mittente, al fine di farla pervenire nella sfera di conoscenza di uno o più soggetti determinati, i destinatari. Infatti, non costituiscono comunicazione o corrispondenza i pensieri destinati a rimanere nella sfera personale del soggetto

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che li compie, che, peraltro, non trovano tutela costituzionale diretta, al limite riconducibili agli artt. 13 e 14 Cost.; né un qualsiasi scritto destinato a rimanere come una nota o diario personale; né i pensieri destinati a uscire dalla sfera personale del soggetto indirizzati a una collettività indeterminata di persone, che trovano tutela nell’art. 21 Cost. . Diversi sono i valori sottesi dall’art. 15 Cost. rispetto all’art. 21 Cost., libertà di manifestazione del pensiero: il primo ha lo scopo di tutelare la riservatezza della comunicazione tra soggetti determinati, quindi, sia il diritto a trasmettere e sia quello di ricevere messaggi, che rientra nei diritti fondamentali della persona umana; il secondo invece garantisce la diffusione del pensiero senza confini, né segreti, tutelando solo il soggetto attivo della manifestazione del pensiero59.

Si può, dunque, affermare che le espressioni di pensiero che mirano a trasferirsi nella sfera conoscitiva di un numero indeterminato di persone, integrano la nozione di manifestazione del pensiero tutelata ai sensi dell’art. 21 Cost.60. Invece, la garanzia costituzionale offerta dall’art. 15 Cost. incide anche sulla ricostruzione del rapporto tra libertà e segretezza della corrispondenza. Infatti, vi potrebbero essere interferenze nella segretezza che non si traducono in interferenze nella libertà, nel caso delle intercettazioni telefoniche, ovvero, potrebbero verificarsi interferenze nella libertà che non incidono nella segretezza, come nel caso del fermo postale. Risulta evidente come sia la segretezza del messaggio ad assumere rilevanza per l’individuazione dell’esatto confine tra l’art. 15 e l’art. 21 Cost. .

L’elemento determinante sarà l’animus del soggetto, consistente in un atteggiamento psicologico per cui la formulazione del proprio pensiero abbia per fine la comunicazione, cioè la trasmissione di un pensiero o uno scritto epistolare, ad un altro soggetto. Tale intentio cesserà al termine del rapporto comunicativo, quando il destinatario abbia preso conoscenza del contenuto del messaggio61,

59 P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il Mulino, Bologna, 1984, p. 163.

60 P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (libertà di), in Enc. dir., vol. X, Giuffrè, Milano, 1962, p. 746.

61 V. Manzini, Diritto penale italiano, Utet, Torino, 1947, p. 781, al contrario sosteneva che la comunicazione cessa “quando, ormai, per il decorso del tempo o per altra causa non (gli) si può assegnare che un valore meramente retrospettivo, affettivo, collezionistico, storico, artistico, scientifico o probativo”.

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venuta meno l’attualità della comunicazione e il messaggio inviato sarà espressione dei diritti fondamentali tutelati da altre norme costituzionali, come la libertà personale, la libertà domiciliare, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa62.

Possiamo, dunque, affermare che sono due gli elementi costitutivi della fattispecie che rientrano nella tutela dell’art. 15 Cost.: l’intersubiettività o personalità della comunicazione e attualità della stessa63, che precisa la contestualità e la durata nel tempo della comunicazione.

Su un piano diverso dalla segretezza, sia pur strettamente collegato, opera il principio di libertà delle comunicazioni: è libero l’atto comunicativo che non subisce coercizioni da parte dei privati o dei pubblici poteri64. È riconosciuto, in altri termini, il diritto di autodeterminarsi in relazione alla possibilità di entrare in contatto con terzi o di astenersene, rispetto alla distinzione interna tra il profilo positivo e negativo di tale posizione soggettiva, al fine di non subire una limitazione nel suo esercizio sotto forma di inibizione, interruzione o qualsiasi altra interferenza65.

È ormai pacifico come la segretezza rappresenta un aspetto essenziale della stessa inviolabilità della persona e dunque è direttamente riconducibile alla categoria dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. . L’art. 15 Cost. estende la sfera di applicazione ad ogni forma di comunicazione comprendendo, pertanto, anche quelle forme che esulano dal concetto di corrispondenza in senso stretto. Da un punto di vista soggettivo, la tutela del suddetto articolo deve ritenersi a vantaggio di tutti gli individui, cittadini, stranieri o apolidi e a vantaggio delle formazioni sociali66, ma anche del c.d. “non cittadino”, come previsto dall’art. 10

62 A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Cedam, Padova, 1985, p. 232.

63 Due elementi descritti nell’art.19 reg. post. 18 aprile 1940, n. 689. Secondo alcuni autori, tra cui C. Caruso in La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, 2013, p. 136, un ulteriore requisito è la determinatezza dei destinatari; mentre secondo P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (libertà di), in Enc. dir., vol. X, Giuffrè, Milano, 1962, p. 740, questo sarebbe ricompreso nel primo requisito.

64 A. Vele, Le intercettazioni nel sistema processuale penale, Cedam, Milano, 2011, p. 10.

65 C. Marinelli, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Giappichelli, Torino, 2007, p. 66.

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