LE INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZION
3. b) La terzietà del captante.
Il secondo carattere, affinché si possa parlare di intercettazione è rappresentato dalla terzietà del captante. Infatti, se l’operazione di intercettazione consiste nel captare una conversazione in corso da un mittente ad un destinatario, è impensabile che l’uno o l’altro possa intercettare la propria comunicazione o la comunicazione a lui diretta, ma è necessario che la captazione sia effettuata da parte di un terzo soggetto, all’insaputa dell’interlocutore. Qualora, infatti, la conversazione fosse registrata da uno dei partecipanti si avrebbe violazione della riservatezza e non della segretezza.
Anche in questa sede non sono mancate alcune perplessità: secondo alcuni autori148, tutti gli interlocutori devono essere all’oscuro della captazione; secondo altri149, invece, la conoscenza da parte di uno degli interlocutori non esclude il carattere intercettivo. Pertanto, se si segue la seconda tesi, si è in presenza di intercettazione quando un conversante fa ascoltare ad un terzo la conversazione, registrata con mezzi occulti sulla propria persona, all’insaputa dell’interlocutore. Contrariamente, la prima tesi, quella di escludere l’intercettazione laddove uno degli interlocutori sia a conoscenza della captazione, non sembra essere un’opinione accettabile, poiché il diritto alla segretezza di conversazioni o comunicazioni è diritto soggettivo che spetta a tutti gli interlocutori150 e che sul piano processuale si traduce nel diritto a non essere intercettati senza un previo decreto del giudice o del pubblico ministero. Di conseguenza, non è pensabile che
147 Cass., sez. I, 2 marzo 1999, Cavinato, in C.e.d. Cass., RV. 213697.
148 G. Illuminati, La disciplina processuale delle intercettazioni, Giuffrè, Milano, 1983, p. 7. 149 P. Balducci, Le garanzie nelle intercettazioni tra Costituzione e legge ordinaria, Giuffrè, Milano, 2002, p. 13.
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uno dei colloquianti, con il proprio consenso, esercitando una sorta di diritto potestativo, renda inoperante la disciplina delle intercettazioni. Questa conclusione trova sostegno nell’art. 266, comma 1, lett. f , c.p.p. che legittima il mezzo delle intercettazioni con riferimento ai reati di ingiuria (oggi depenalizzati) minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono: è condivisa la tesi che nella maggioranza dei casi di tali reati si venga a conoscenza tramite denuncia della persona offesa, ed è proprio quest’ultima a sollecitare la richiesta di intercettazione. Questa disposizione dimostra che il legislatore considera i controlli delle telefonate come intercettazioni, nonostante uno dei colloquianti (nello specifico la persona offesa) sia a conoscenza di essere ascoltato. In tal modo il legislatore ha voluto così evitare che gli organi di polizia giudiziaria possano disporre intercettazioni senza alcuna autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, solo sulla base di una richiesta della persona offesa.
3.1 (segue) Agente segreto attrezzato per il suono.
Più complessa è la questione riguardante il c.d. agente segreto attrezzato per il suono. Con questa locuzione si intende il soggetto che, su incarico degli organi inquirenti e attraverso opportuna ed adeguata strumentazione tecnologica, avvicina una certa persona per indurla alla conversazione ed ottenere dichiarazioni compromettenti per sé o per altri. L’agente può essere un privato cittadino o un soggetto appartenente alla polizia giudiziaria e può operare attraverso due modalità: la mera registrazione del dato comunicativo o la sua captazione e trasmissione alla polizia giudiziaria che è messa in grado di effettuare un ascolto diretto151.
La qualificazione giuridica di tale figura è stata, però, oggetto di un acceso dibattito sia in dottrina, che in giurisprudenza.
151 C. Marinelli, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Giappichelli, Torino, 2007, p. 37.
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Secondo una pronuncia152 della Cassazione, tale attività dà luogo ad una
“fattispecie (…) intermedia tra quella prevista dall’art. 266 c.p.p. e quella di cui all’art. 234 c.p.p.”. Secondo alcuni autori153, la figura dell’agente segreto
attrezzato per il suono è un escamotage per aggirare le regole e le garanzie che disciplinano l’interrogatorio: in primo luogo il diritto di difesa e la facoltà di non rispondere. In giurisprudenza, tale teoria non viene condivisa, facendo osservare come l’interrogatorio sia un atto tipico ed in nessun modo può essere delegato dalla polizia giudiziaria ad un soggetto privato, quale il “confidente”154. Infatti, le
norme sull’interrogatorio sono ben pensate e giustificate proprio in considerazione dell’autore che lo compie: essere di fronte a pubblici ufficiali che contestano un’imputazione e pongono le relative domande può apparire per certi versi traumatico, in quanto si possono subire intimidazioni e ci si può trovare in una situazione di soggezione psicologica. Al contrario, tutto ciò non vale quando si parla ad un soggetto privato: non vi è nessun timore, nessuna pressione, ma solamente il rischio di non scegliere bene a chi confidare i propri segreti155. Ed inoltre, il diritto al silenzio, di cui all’art. 24 Cost., è stato introdotto nel nostro ordinamento unicamente con riferimento alla situazione in cui “l’indagato viene
posto a contatto diretto con l’autorità procedente”. Situazione diversa rispetto a
quella dell’ammissione di responsabilità al telefono: “in questo caso il soggetto
non è posto a confronto diretto con l’autorità, non è da questa sollecitato a rispondere” e il diritto al silenzio non ha alcuna ragione di operare156. E ai sensi
dell’art. 61 c.p.p. i diritti e le facoltà a garanzie dell’imputato vengono estesi alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Crea inoltre perplessità l’evidente intrusione nella vita privata del soggetto e ciò ha spesso indotto a non utilizzare i risultati ottenuti con l’operazione dell’agente segreto attrezzato per il suono, non
152 Cass. pen., sez. III, 11 novembre 2008, n. 46191, in Giur. it., 2009, p. 2772.
153 G. Dean, In tema di indebita registrazione delle conversazioni fra persone detenute: dall’art. 225 quinquies c.p.p. 1930 all’art. 266 c.p.p. 1998, in Giur. it., 1990, II, c. 9 s.; G. L. Fabbri, Utilizzabilità processuale della registrazione di colloqui tra detenuto e confidente di polizia, in Cass. pen. 1987, pag. 2241.
154 App. Torino, 15 maggio 1987, Cianci, in Giur. cost., 1998, II, p. 222; App. Torino, 23 novembre 1987, Belfiore, in Giur. cost., 1998, II, p. 222.
155 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 44.
156 Le citazioni sono da Corte costituzionale 6 Aprile 1973 n. 34. V. Grevi, “Nemo tenetur se detegere”. Interrogatorio dell’imputato e diritto al silenzio nel processo penale italiano, Milano, Giuffrè 1972, p. 244 .
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mancando di ricordare che c’è chi sostiene che tale figura sia assolutamente illegittima in quanto non prevista dalla legge157.
In giurisprudenza, si registrano tre distinti indirizzi. Un primo orientamento porta a ritenere che si tratta di una mera attività di memorizzazione fonica, che non richiede la necessità di autorizzazione giurisdizionale ed è acquisibile al processo come prova documentale “costituita” al di fuori del procedimento penale, di cui all’art. 234 c.p.p.158.
Altra parte della giurisprudenza sostiene che le registrazioni effettuate senza alcuna autorizzazione, ad opera dell’agente segreto attrezzato per il suono, siano inutilizzabili ai fini processuali, perché eseguite in violazione dei divieti imposti dalla legge a tutela costituzionale della segretezza, dal momento che “l’intervento
della polizia procedimentalizza in modo atipico l’intercettazione deprivandola dell’intervento del giudice”159. E tale orientamento identifica nell’agente la longa manus della polizia giudiziaria, ovvero un “mero strumento materiale”160 per eseguire un’intercettazione.
Un terzo orientamento ha distinto a seconda delle modalità operative adottate da tale figura, ritenendo necessaria l’autorizzazione del giudice solo nell’ipotesi in cui “le conversazioni, registrate all’insaputa dell’interlocutore,
vengano al contempo captate anche da una stazione di ascolto posta a distanza dal luogo in cui le registrazioni si svolgono”161. In questo caso dovrebbe trovare applicazione la disciplina delle intercettazioni, essendovi sia la terzietà del captante sia la contestualità dell’ascolto, terzietà che è ricondotta alla polizia giudiziaria ed è quest’ultima ad emergere come terzo in relazione al colloquio registrato. Invece, la semplice registrazione, senza ascolto contestuale, viene
157 L. Filippi, L'intercettazione di comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1997, p. 33.
158 Cass., sez. II, 5 novembre 2002, Modelfino, in Dir. pen. proc., 2003, p. 291; Cass., Sez. I, 2 marzo 1999, Cavinato, in C.e.d. Cass., n. 213697.
159 Cass. pen., sez VI, 31 gennaio 2001, n. 3846, Finini, in Cass. pen., 2001, p. 3483.
160 La percezione diretta dell’agente è del tutto ininfluente ai fini della formazione della prova documentale. Utilizzando un paradosso, si potrebbe ipotizzare il caso in cui la conversazione registrata si svolga in una lingua ignota a colui che ascolta direttamente ma non anche al “mandante” della registrazione. F. Caprioli, Intercettazione e registrazione di colloqui tra persone presenti nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, p. 172.
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considerata quale prova documentale o come mezzo di ricerca della prova atipico eseguibile senza alcuna autorizzazione.
Di fronte a simili disorientamenti interpretativi, le Sezioni Unite della Cassazione vennero chiamate a stabilire se la registrazione fonografica di colloqui tra operatori di polizia giudiziaria e i loro informatori, effettuata dai primi ed all’insaputa dei secondi, richieda, ai fini di utilizzabilità probatoria dei contenuti, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria nelle forme e nei termini previsti per le intercettazioni di comunicazioni tra presenti162. La Cassazione ha escluso che sia
configurabile con la disciplina delle intercettazioni, “la registrazione di un
colloquio ad opera di una delle persone che partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi difettando, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione e la terzietà del captante”. La
sentenza in questione, da un lato ha ritenuto non configurabile la lesione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, dal momento che il contenuto della conversazione legittimamente esaurita è entrato a far parte del patrimonio di conoscenze di ciascun dialogante, il quale può liberamente disporne, salvo specifici divieti connessi “alla particolare qualità rivestita” o allo “specifico
oggetto della conversazione”; dall’altro lato ha qualificato il contenuto della
registrazione come prova documentale, ai sensi dell’art. 234 c.p.p. . A tale riguardo, le Sezioni Unite hanno riconosciuto un insanabile contrasto tra le norme contenute negli artt. 188 e 189 c.p.p. che disciplinano la libertà morale e di autodeterminazione – ritenute suscettibili di essere pregiudicate anche da insidie di natura fraudolenta163 – e la prova atipica, la quale non può risolversi in una prova contra legem, dovendosi rapportare con le ulteriori regole che presidiano determinati mezzi di prova. Di conseguenza, i giudici hanno riconosciuto come l’acquisizione del contenuto di registrazioni da parte della polizia giudiziaria finisca per eludere i divieti di testimonianza sanciti dall’art. 62 e 195, comma 4 c.p.p., le garanzie per le dichiarazioni auto indizianti di cui all’art. 63 c.p.p. e la disciplina delle dichiarazioni confidenziali rese ai sensi dell’art. 203 c.p.p. .
162 Cass., sez. un., 24 settembre 2003, n. 36747, Torcasio, in Guida dir., 2003, p. 42.
163 In senso contrario, Cass. sez. II, 8 aprile 1994, n. 6633, Giannola, in Giust. pen., 1995, III, p. 67. Secondo cui la libertà di autodeterminazione potrebbe essere violata solo da strumenti della violenza o della minaccia.
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Tuttavia, pure sotto il profilo dell’inquadramento delle registrazioni in esame, anche dopo l’intervento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità è lontana da soluzioni univoche ed incontrastate, anche se si è impegnata nel tentativo di trovare un compromesso, stabilendo che le registrazioni ad opera di uno dei dialoganti, con strumenti di captazione forniti dalla polizia giudiziaria, non rientrano nella disciplina delle intercettazioni, in quanto implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata, poiché effettuate con il consenso di almeno uno dei partecipanti alla conversazione. Di conseguenza, tale attività, comprimendo il diritto alla segretezza delle conversazioni, richiede un’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, il che però non comporta la necessità di rispettare le prescrizioni relative alle intercettazioni, essendo sufficiente un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, come ad esempio un decreto del pubblico ministero164.
Più aderente al sistema è invece la considerazione della natura atipica dell’operazione, alla stregua di un mezzo di ricerca della prova non disciplinato dal legislatore, laddove difettino i requisiti delle intercettazioni.
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo si è occupata dell’ipotesi in oggetto, stabilendo che la registrazione di conversazioni tra presenti ad opera dell’interlocutore all’insaputa dell’altro, su incarico della polizia giudiziaria, costituisce un’ingerenza nella vita privata e nella corrispondenza, dunque viola l’art. 8 CEDU. La Corte ha precisato che affinché la captazione sia legittima, l’intrusione deve avvenire in forza di una previsione legislativa e solo questa può autorizzare un’ingerenza nella vita privata dell’individuo, la quale dovrà dettagliatamente fissare i presupposti e i limiti entro cui è ammissibile un’occulta captazione di flussi comunicativi; ed i giudici europei esigono un controllo della c.d. “quality of the law”, intesa come possibilità di conoscere il precetto normativo e di comprenderne la portata e della prevedibilità, intesa come possibilità per l’individuo di prevedere le conseguenze di una propria azione.
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A tal fine, occorre quindi l’esistenza almeno di un diritto giurisprudenziale
“accessibile” e dalla formulazione “sufficientemente chiara e dettagliata”165.
Invece, vi è una violazione del principio di legalità se l’ingerenza nella vita privata non è prevista dettagliatamente dalla legge o se non persegue uno scopo legittimo tra quelli previsti dall’art. 8 CEDU, oppure se non è necessaria in una società democratica per il raggiungimento di tali scopi. Se, dunque, il tasso di tollerabilità dell’ingerenza nella vita privata si misura sulla base dell’atto intrusivo, occorre ritenere che le registrazioni effettuate da uno degli interlocutori su iniziativa della polizia giudiziaria, appaiono in contrasto con l’art. 8 CEDU. L’art. 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea afferma che le limitazioni dei diritti sanciti dalla Carta medesima – tra cui figurano, in virtù degli artt. 7 e 8, quelli concernenti la protezione della vita privata e dei dati personali – potranno essere considerate legittime solo se operate nel rispetto del principio di proporzionalità.
Va osservato che, a proposito dell’agente segreto attrezzato per il suono, il requisito della prevedibilità non è ancora consolidato nell’esperienza italiana, anche se sono apprezzabili gli interventi della magistratura, che, quasi a voler rimediare alle mancanze del legislatore, si sforza, anche a rischio di praticare forzature, di accogliere le indicazioni provenienti dai giudici di Strasburgo.
Pertanto, l’art. 8 CEDU funge da inevitabile bussola per l’interprete e il legislatore nazionale per orientarsi nella complessa materia delle intercettazioni di comunicazioni.