LE INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZION
9. Cenni procedimental
Nell’analizzare brevemente le fasi procedimentali che consentono di disporre ed eseguire intercettazioni per i reati comuni è opportuno rammentare che il codice considera equivalenti le comunicazioni, le conversazioni ed i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche.
Si distinguono due tipologie di procedimento: ordinario e d’urgenza. Il procedimento ordinario: in base all’art. 267, comma 1 c.p.p., il soggetto legittimato a richiedere al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione alle intercettazioni è il pubblico ministero. Lo stesso deve trasmettere al giudice i verbali degli atti dai quali emergono i presupposti per le captazioni. Sulla scorta di tali attività, il giudice autorizza l’intercettazione con proprio provvedimento motivato.
Il procedimento d’urgenza: nei casi di urgenza, ma in presenza dei requisiti richiesti, è il pubblico ministero a disporre l’intercettazione e lo stesso avrà l’onere di comunicare al giudice, entro ventiquattro ore dal proprio provvedimento, il relativo decreto motivato. Il giudice, entro le quarantottore successive, deciderà con proprio decreto motivato circa la convalida. Nel caso, però, di mancata convalida, l’intercettazione non può proseguire ed i risultati non possono essere utilizzati, ex art. 267 comma 2 c.p.p. . È da ricordare che l’intercettazione è disposta con procedura d’urgenza dall’ufficio del pubblico ministero nei procedimenti di cui all’art. 51, commi 3–bis e 3–quater c.p.p. .
Un vero punto dolente della materia è riconosciuto in primo luogo dall’an e dal quantum della motivazione necessaria a sostegno dell’autorizzazione a disporre il mezzo di intercettazione e, in secondo luogo, dalla valutazione
237 G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, Cedam, 9^ ed., 2018, p.367. 238 Art. 266 comma 2 bis c.p.p., inserito dall’art. 4 comma 1 lett. n. 1 d.lgs. n. 216/2017.
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successiva sulla legittimità dei provvedimenti autorizzativi e quindi sull’utilizzabilità delle operazioni di captazione. Ai sensi dell’art. 267 c.p.p. il decreto autorizzativo è adottato dal giudice delle indagini preliminari o, nei casi d’urgenza, dal pubblico ministero. Il medesimo articolo parla di “decreto
motivato”239: su tale punto si sono registrati vari dibattiti giurisprudenziali.
Inizialmente, alcune pronunce avevano ammesso la possibilità di motivazioni apparenti o addirittura avevano fatto ricorso alla motivazione per relationem.240
Successivamente tale questione è stata superata, nel senso di escludere la possibilità di sanare la mancata motivazione che la legge costituzionale e ordinaria pone a garanzie dei diritti fondamentali dell’individuo. La motivazione è di assoluta necessità, questa deve contenere la sussistenza dei “gravi indizi di reato” di cui agli artt. 266 e 266 bis c.p.p. e i motivi che giustificano l’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, dello strumento delle intercettazioni241. Inoltre, la mancanza di motivazione integra di per sé l’ipotesi di inutilizzabilità del decreto d’urgenza, ai sensi dell’art. 271 c.p.p. e il nostro ordinamento non ammette la sanatoria degli atti inutilizzabili, ma solo la sanatoria di atti nulli.
Dopo che il giudice ha autorizzato l’intercettazione, il pubblico ministero emette un provvedimento (c.d. decreto esecutivo), con il quale stabilirà i termini circa le modalità e la durata delle operazioni, ai sensi dell’art. 267, comma 3 c.p.p.. Lo stesso procede alle operazioni direttamente o avvalendosi della polizia giudiziaria ex art. 267 comma 4 c.p.p. .
Al riguardo, il pubblico ministero stabilirà le modalità delle intercettazioni, le utenze telefoniche o i dispositivi da controllare. Le attività possono essere
239 Per approfondimenti, A. Gaito, L’integrazione successiva dei decreti di intercettazioni telefonica non motivati, in Dir. Pen. Proc., 2004, p. 929.
240 A. Bargi, S. Furfaro, La prova per intercettazioni fra diritto interno e diritto sovranazionale, in A. Gaito (a cura di), Riservatezza e intercettazione fra norma e prassi, Roma, 2001, p. 91. La Corte di Cassazione ha ammesso, nella sent. 21 giugno 2000, n. 17, la validità della motivazione per relationem del decreto autorizzativo, stabilendo però le condizioni imprescindibili per la sua legittimità.
241 Le Sezioni Unite, hanno sostenuto, con riguardo alla motivazione che deve essere accurata in modo da poter dedurre l’iter cognitivo e valutativo del giudice. E la motivazione per relationem è legittima quando faccia riferimento a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento e fornisca la dimostrazione che il giudice è a conoscenza del contenuto del provvedimento.
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svolte esclusivamente attraverso gli impianti installati presso la procura della Repubblica, ma se tali impianti risultano insufficienti o non idonei o si verificano particolari motivi di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, che le operazioni si svolgano attraverso impianti di pubblico servizio o presso la polizia giudiziaria. Quando si tratta di intercettazioni informatiche o telematiche per le operazioni di avvio e cessazione delle registrazioni, la polizia giudiziaria potrà avvalersi di soggetti idonei come previsto dall’art. 348, comma 4 (art. 268, comma 3-bis) c.p.p. .
Nella prassi corrente, le operazioni di intercettazioni sono assegnate con le seguenti modalità: la captazione è compiuta presso l’operatore telefonico; la registrazione è effettuata presso la procura della repubblica, o altro ufficio individuato dal pubblico ministero con proprio decreto motivato e l’ascolto è effettuato presso gli uffici della polizia giudiziaria con la redazione dei verbali (c.d. brogliacci), per come previsto dall’art. 268, comma 2 c.p.p. .
Nel decreto il pubblico ministero deve indicare la durata delle intercettazioni, che varia in relazione alla tipologia dei reati. Per i delitti comuni il termine è di quindici giorni, mentre per i delitti di criminalità organizzata è di quaranta giorni. Tale durata può essere prorogata dal giudice, con provvedimento motivato, per periodi successivi, rispettivamente 15 e 20 giorni242.
In base alle disposizioni del codice, sono intercettabili sia le utenze delle persone indagate, sia quelle dei testimoni, sia utenze riferibili a persone estranee ai fatti, ma che possono essere destinatarie di comunicazioni provenienti dagli indagati o dai testimoni. In ragione di tanto, presso l’ufficio del pubblico ministero, è tenuto un registro riservato nel quale sono annotati, cronologicamente, i provvedimenti che riguardano le intercettazioni ed i decreti del giudice che le autorizzano, convalidano e prorogano, di cui all’art. 267, comma 5 c.p.p..
Secondo le disposizioni previste dall'art. 268, comma 1 c.p.p., deve essere redatto un verbale delle comunicazioni intercettate registrate, verbale che, a seguito della riforma, ha una ampiezza variabile, nel senso che ha il fine di
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eliminare sin dall’origine traccia delle conversazioni che non hanno rilevanza ai fini delle prove. La prima selezione è effettuata dalla polizia giudiziaria che opera in stretto contatto con l’ufficio del pubblico ministero. In ragione di ciò, si possono avere:
1) Verbali sommari: la polizia giudiziaria trascrive anche
sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate, art. 268, comma 2 c.p.p.; nello specifico i verbali sono denominati “brogliacci” e sono relativi alle conversazioni rilevanti;
2) Divieto di verbalizzazione e relativa annotazione: per la polizia giudiziaria vige il divieto di trascrivere le comunicazioni che sono “non rilevanti
ai fini delle indagini per l’oggetto o i soggetti coinvolti” e che riguardano sia i
dati sensibili, sia i dati non sensibili, per come individuati dalla legge sulla
privacy, ovvero: “idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.243 Nel relativo verbale delle operazioni, la polizia giudiziaria annoterà soltanto la data, l’ora ed il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta e non anche l’identità dei soggetti, né l’oggetto della conversazione ex art. 268, comma 2-bis c.p.p.. La medesima autorità, però, dovrà inviare al pubblico ministero una
annotazione riguardante i contenuti delle comunicazioni ritenute non rilevanti, al
fine di consentire allo stesso di effettuare un efficace controllo delle attività. In questo caso il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni siano trascritte nel verbale in due casi:
a) quando si tratta di dati ‘non sensibili’ ed è sufficiente che il pubblico
ministero li consideri ‘rilevanti’ per l’oggetto di prova;
b) in riferimento ai dati sensibili, il pubblico ministero può imporne la
trascrizione quando li ritiene ‘necessari’ ai fini della prova, all’art. 268, comma 3-
ter c.p.p.;
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3) Divieto di verbalizzazione senza annotazione: le comunicazioni intervenute tra la persona assistita ed il suo difensore, o consulente, o investigatore privato e loro ausiliari hanno una specifica regolamentazione a fronte delle garanzie indicate nell’art. 103, commi 3–7 c.p.p. . Il divieto di intercettazione è rafforzato dal divieto di trascrizione: infatti, il contenuto delle registrazioni non può essere trascritto e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui è avvenuta la registrazione. È singolare, in questo caso, che la polizia giudiziaria non deve redigere alcuna
‘annotazione’, diversamente da quanto previsto per le comunicazioni non
rilevanti, né è previsto alcun obbligo di comunicazione all’ufficio del pubblico ministero.
Scaduto il termine fissato per lo svolgimento delle operazioni per come individuato nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga, è necessario trasmettere al pubblico ministero i verbali, le registrazioni e le annotazioni. La documentazione deve essere conservata nell’archivio riservato istituito dal d. lgs. n. 216/2017 (artt. 268, comma 4 c.p.p.; 269, comma 1 c.p.p.). E’, questo, un archivio gestito con modalità informatiche e con vincoli di segretezza stabiliti dall’ufficio del pubblico ministero secondo le prescrizioni dell’art. 89–bis disp. att.; i relativi accessi sono annotati nell’apposito registro244. All’archivio riservato, oltre al giudice, al pubblico ministero e agli ufficiali di polizia giudiziaria delegati, potranno accedere successivamente anche i difensori delle parti, per consultare gli atti ed ascoltare le registrazioni, ma senza diritto di estrarne copia. Vi è, però, una deroga contenuta nel codice: il pubblico ministero può disporre con decreto il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando risulta necessario, in ragione di indagini complesse, che la polizia giudiziaria delegata all’ascolto consulti le risultanze acquisite. Con il medesimo provvedimento, vengono fissate le prescrizioni per garantire la tutela del segreto sul materiale non trasmesso (art. 268, comma 4 c.p.p.). È consequenziale, quindi, che in questa fase tutta la documentazione resta presso la polizia giudiziaria e con il vincolo del segreto previsto nel decreto del pubblico ministero.
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Dopo le eventuali proroghe, concesse dal giudice per le indagini preliminari, terminate le operazioni relative, inizia una complessa fase che parte dal deposito delle intercettazioni e arriva alla decisione del giudice con la quale si dispone l’acquisizione al fascicolo. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, il pubblico ministero deposita le annotazioni, i verbali e le registrazioni, insieme ai decreti autorizzativi, e l’elenco delle comunicazioni che reputa rilevanti, avvisando i difensori delle parti al fine di prendere conoscenza. Il giudice può autorizzare il pubblico ministero a ritardare il deposito, quando dal “deposito può
derivare un grave pregiudizio per le indagini”. Il pubblico ministero, entro i
successivi cinque giorni deve presentare al giudice la richiesta di acquisizione delle intercettazioni depositate e i difensori nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell’avviso (art. 268 bis comma 2 c.p.p.), hanno la facoltà di chiedere l’acquisizione delle intercettazioni secondo loro rilevanti e l’eliminazione di quelle inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione. Le richieste dei difensori, insieme agli atti allegati a loro fondamento, sono depositate presso la segreteria del pubblico ministero, che ne cura l’immediata trasmissione al giudice, ai sensi dell’art. 268 bis comma 4 c.p.p..
Il giudice con ordinanza dispone l’acquisizione delle intercettazioni richieste, escludendo quelle irrilevanti o inutilizzabili. Infatti con tale ordinanza viene meno il segreto: gli atti sono inseriti nel fascicolo delle indagini di cui all’art. 373, comma 5 c.p.p. e i difensori possono estrarne copia, mentre le intercettazioni non acquisite tornano nell’archivio riservato e restano coperte dal segreto. Questa procedura ha lo scopo di evitare che siano depositate sommariamente tutte le comunicazioni o conversazioni intercettate che, con la conseguente caduta del segreto, se ne possa chiedere l’acquisizione senza alcun vaglio effettivo sulla rilevanza. Il sistema prevede un doppio filtro, in via definitiva con l’ordinanza di acquisizione del giudice e in via provvisoria con l’atto del pubblico ministero, senza contare che una selezione a monte sulle comunicazioni da trascrivere viene fatta dalla polizia giudiziaria, sotto il controllo del pubblico ministero. Infatti può accadere che le intercettazioni devono essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni o comunque senza che sia avviata la procedura di acquisizione davanti al giudice; è il caso di richiesta di una
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misura cautelare, richiesta alla quale il pubblico ministero deve allegare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, il pubblico ministero inserisce i verbali delle intercettazioni rilevanti nel fascicolo delle indagini (art. 268 ter comma 1 c.p.p.). Il giudice, una volta adottata la misura cautelare, restituisce gli atti relativi, le intercettazioni irrilevanti al pubblico ministero perché li collochi nell’archivio riservato. La documentazione delle intercettazioni non acquisite deve essere conservata in archivio riservato fino al passaggio in giudicato della sentenza, in modo da consentire l’eventuale recupero anche nei successivi gradi di giudizio. Infine, di regola i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, ex art. 270 comma 1 c.p.p.245.
Un particolare rilievo assume la circostanza, in ordine alle fasi procedimentali, relativa ad eventuali intercettazioni di relazioni di servizio avvenute a carico di soggetti appartenenti ai servizi di sicurezza. Tale particolarità è disciplinata dall’art. 270–bis c.p.p.. Nel caso specifico, è necessario disporre l’immediata secretazione e custodia in luogo protetto, con la conseguente trasmissione della medesima documentazione e la richiesta, da parte dell’autorità giudiziaria al Presidente del Consiglio dei Ministri di utilizzo di tali atti in procedimenti, al fine di accertare i medesimi atti siano coperti da segreto di stato. Entro sessanta giorni il Presidente del Consiglio dei Ministri può opporre il segreto di Stato, in tal caso vi è impedimento all’utilizzo degli atti. In attesa della risposta da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’utilizzo di tali atti potrà avvenire solamente per esigenze cautelari (inquinamento delle prove, pericolo di fuga, interruzione della consumazione di un delitto).
245 G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, Cedam, 9^ ed., Padova, 2018, p. 383
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