LE INTERCETTAZIONI TRA COSTITUZIONE E FONTI SOVRANAZIONAL
4. Fonti sovranazionali.
Sebbene la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni trovi i suoi limiti essenziali nella Costituzione, non si può prescindere dall’analisi dei principi, individuati a livello europeo, sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in tema di salvaguardia e rispetto della vita privata: quello che comunemente viene definito diritto alla privacy. Come fonti principali si possono individuare l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U), l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza).
L’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici94, riprende integralmente l’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riservato al delicato diritto alla riservatezza. Esso stabilisce che: “Nessuno può
essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze ed offese.”. L’art. 7 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea95 prescrive il rispetto della vita privata e
della vita familiare e tutela la segretezza delle comunicazioni anche dei dati esterni ad esse. Stabilisce che: “Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria
vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”.
94 Patto concluso a New York il 16 dicembre 1966.
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I principi sanciti dalla CEDU sono posti a salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in particolare, nell’art. 8 tutelano la vita privata dell’individuo, tale articolo, infatti, stabilisce che: “Ogni persona ha diritto al
rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Esaminando
singolarmente i due commi, appare evidente come il primo tende a garantire la tutela di una ampia gamma di diritti che possono ricondursi al diritto alla privacy. Tuttavia, anche tale ampio dettato letterale al primo comma non ha mancato di creare problemi di interpretazione: l’espressione “corrispondenza”, nel linguaggio comune sembra, infatti, riferirsi soltanto a rapporti epistolari. La Corte europea ha precisato che il termine “corrispondenza” non deve essere interpretato in senso letterale, ma piuttosto si estende ad ogni altra forma di comunicazione privata96. Il secondo comma fissa le condizioni che consentono ingerenze da parte dell’autorità pubblica, c.d. riserva di legge convenzionale e nonostante la Corte non si esprima su una riserva di giurisdizione, ha sostenuto che l’organo di controllo sulla legittimità delle intercettazioni non può che ritenersi un giudice terzo e imparziale, rispetto alle attività investigative. In effetti, la complessità delle normative interne di ogni singolo paese che disciplinano la captazione dei flussi di comunicazioni, risulterebbe “vuota tautologia se ad esso non
corrispondesse la garanzia che l’organo deputato al controllo sia veramente terzo ed imparziale rispetto alla vicenda”97. Il comma II dell’articolo in esame
individua e definisce i contenuti della legge, prevede appunto che tutte le intromissioni nella vita privata devono essere previste e giustificate da una base legale. Si pone come limite agli Stati membri, non riconoscendo piena autonomia nelle individuazioni delle ragioni che legittimano l’intrusione, che è giustificata
96 CEDU, 6 settembre 1978, caso Klass e altri c. Germania.
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soltanto quando esigenze di sicurezza nazionale, di ordine pubblico, di prevenzione dei reati e benessere economico della nazione, lo impongano.
I giudici di Strasburgo si sono interessati più volte della tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. Infatti, la Corte Europea ha precisato che la disciplina delle intercettazioni rientra nel campo di applicazione dell’art. 8 CEDU sotto il profilo della vita privata e alla corrispondenza e afferma, costantemente, che l’intercettazione delle comunicazioni comporta un bilanciamento da una parte tra il diritto alla vita familiare ed alla privacy, dall’altra l’interesse generale all’amministrazione della giustizia. Ne deriva che le intercettazioni, quale espressione di una forte ingerenza dello Stato nella vita privata di un soggetto, devono essere regolate da norme di legge che definiscono in maniera chiara e precisa i limiti per l’impiego dello strumento di indagini e l’interferenza dei pubblici poteri nella vita privata, in cui trovano la propria base giuridica in un testo legislativo che stabilisce i casi e i modi dell’azione pubblica (in accordance
of the law)98. In sintesi la Corte afferma che la chiarezza delle norme interne è
imposta dall’esigenza di “rendere ogni interferenza ragionevolmente
preventivabile”99, non intende richiamare un preciso procedimento di produzione normativa, quanto piuttosto il concetto di diritto, in modo che ogni decisione dei giudici e le loro motivazioni possano essere prevedibili almeno nelle linee essenziali.
Occorre, perciò, che la normativa interna disciplini dettagliatamente i modi con i quali è possibile introdurre dispositivi di ascolto in luoghi di privata dimora ed effettuare la captazione con strumenti disponibili dell’autorità100, e deve riconoscere al soggetto interessato la possibilità di contestare l’esecuzione irregolare o interrompere le operazioni di intercettazioni. Pertanto, sul piano delle garanzie contro gli abusi, deve essere sempre prevista la possibilità del soggetto di contestare le irregolarità commesse dall’autorità, tenendo presente che si ha violazione della normativa convenzionale sia quando la disciplina legislativa interna non preveda che “le intercettazioni possono essere effettuate soltanto
98 A. Pace, Nuove frontiere della libertà di comunicare riservatamente, (o piuttosto, del diritto alla riservatezza?), in Giur. Cost., 1993, p. 80.
99 CEDU, 11 febbraio 2011, Heino c. Finlandia, n. 56720/09.
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utilizzando gli strumenti delle autorità pubbliche”, sia quando essa non preveda “l’effettività del controllo delle operazioni di captazione”101.
In secondo luogo, il principio della necessità dell’ingerenza prevede che l’intervento statale deve essere limitato a quanto strettamente necessario per il raggiungimento degli scopi indicati (the necessity of the interference). Infatti la Corte europea ha condannato la Moldavia per la violazione dell’art. 8 CEDU in quanto le autorità locali avevano abusato del sistema di intercettazione di comunicazioni, che si presentava privo di qualsiasi garanzia legale102.
La Corte europea è intervenuta frequentemente in materia di intercettazioni, dettando i requisiti essenziali per ritenere che la disciplina delle intercettazioni sia compatibile con la preminenza del diritto necessaria in una società democratica, requisiti che la Corte ha ritenuto indispensabili per evitare abusi al diritto della riservatezza. Tra questi: la definizione delle categorie di persone in relazione alle quali potrebbe essere autorizzato l’ordine di intercettazione, la natura dei reati che vi possono dar luogo, sussistenza di concrete e gravi esigenze di giustizia e fondato motivo per prevedere l’acquisizione di dati utili per l’accertamento in corso, la fissazione di un termine massimo ed eventuali proroghe per la durata delle intercettazioni, previsione delle modalità di effettuazione delle intercettazioni e di redazione dei relativi verbali, controllo da parte dell’autorità giudiziaria sul compimento delle intercettazioni nei limiti dell’autorizzazione, le precauzioni per mantenere la registrazione intatta ed integrale ai fini di una possibile ispezione da parte dell’autorità giudiziaria o della difesa, limitazione della loro utilizzabilità al solo materiale rilevante rispetto all’addebito per cui si procede e le circostanze in presenza delle quali la registrazione deve essere cancellata o distrutta.
La Corte ha ribadito che le operazioni di intercettazioni devono avvenire con le garanzie previste per lo Stato di diritto ed ha individuato anche i singoli passaggi che devono essere svolti al fine di valutarne la legittimità, individuando tre direttrici lungo le quali muoversi nell’analisi delle intercettazioni. La prima
101 CEDU, 24 agosto 1998, Lambert c. Francia, in R. M. Avola Faraci, Le intercettazioni telefoniche e la Corte europea: il “caso Lambert”, in Legislazione pen., 1999, p. 205. 102 CEDU, Sez. IV, 10 febbraio 2009, Iordachi c. Moldavia in Cass. pen. 2009, p. 4021.
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riguarda il rispetto di alcune caratteristiche che la legge interna deve avere, individuandole nella “chiarezza della disposizione”, nella “previsione specifica delle situazioni legittimanti l’intromissione” e nella “predisposizione di controlli rigorosi”. Per quanto attiene alla seconda direttrice, questa, consiste nelle “finalità che giustificano l’intromissione”. Infine la terza, riguarda i “casi e modi di intromissione”, infatti la Corte ha riscontrato la violazione dell’art. 8 CEDU riguardo “dei casi nei quali può farsi ricorso all’attività di intrusione e di captazione di comunicazioni”, nonché “delle modalità dell’intrusione”103. Sulla
base di tale ragionamento, la Corte ha più volte ribadito la necessità che qualunque forma di ingerenza deve trovare la sua giustificazione nella normativa, che regola in maniera chiara ed esaustiva i presupposti e le modalità applicative. Le normative dei singoli Stati devono contenere dettagliatamente i casi in cui può essere autorizzato il mezzo di intercettazione stabilendo garanzie minime al fine di evitare abusi di potere.
Molti sono stati i casi in cui la Corte europea è intervenuta in materia di intercettazioni, tra questi, uno dei primi fu il caso Malone c. Regno Unito, il 2 agosto del 1984. La Corte stabilì che l’art. 80 del Post Office Act del 1969 disciplinava imponendo all’ufficio postale di fare “quanto necessario per fornire ai funzionari preposti le informazioni su argomenti e oggetti trasmessi o in corso di trasmissione per via postale o di telecomunicazione per mezzo del servizio”, non indicando con chiarezza lo scopo e le modalità di esercizio del potere discrezionale conferito ai poteri pubblici, mancante di quel minimo di grado di protezione legale, al quale i cittadini hanno diritto in una società democratica. La Corte ha aggiunto, riguardo all’acquisizione dei dati esterni delle comunicazioni (metering), che nell’ordinamento inglese non esistevano discipline e modalità d’esercizio del potere discrezionale delle autorità. Sia il potere di acquisizione dei dati esteriori delle comunicazioni, sia il potere di intercettazione sono stati ritenuti in contrasto con il dettato dell’art. 8 CEDU. Successivamente a questa pronuncia, il Regno Unito ha disciplinato nell’Interception of Communications Act del 1985, il potere esclusivo e insindacabile dell’Home Segretary di emettere un mandato di
103 CEDU, 25 giugno 1997, caso Halford c. Regno Unito; CEDU, 4 dicembre 2015, Roman Zakharov c. Russia; CEDU, 18 giugno 2017, Mustafa Sezgin Tonrikulusi c. Turchia.
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intercettazione per la durata di due mesi, prorogabile solo per gli interessi della sicurezza nazionale o al fine di prevenire o scoprire un grave reato. Anche in questo caso devono essere osservate le garanzie previste per le intercettazioni, le informazioni sui dati, sui numeri composti, sulle chiamate ricevute e sulla durata delle conversazioni riguardano dati personali. Dunque, l’estratto della lista delle chiamate telefoniche utilizzate come mezzo di prova in un processo penale comporta un’ingerenza nel diritto dell’imputato al rispetto della sua vita privata. Può essere giustificata tale ingerenza, solo se risponde ai requisiti previsti ai sensi del comma 2 art. 8 CEDU, in specie a quello della legalità.
Un’altra pronuncia della Corte europea in cui si stabilì che la disciplina francese in materia di intercettazioni non si conformava al principio di legalità di cui all’art. 8 CEDU è quella riguardante il c.d. caso Kruslin, del 24 aprile 1990 e le stesse motivazioni sono state adottate nel caso Huvig. Nel caso Kruslin, la Corte ha ritenuto che l’art. 81 c.p.p. francese permettesse al giudice istruttore o ad suo delegato di procedere “in conformità alla legge, ad ogni atto d’investigazione che egli riteneva utile per il raggiungimento della verità”, ma non stabilisse con sufficiente chiarezza lo scopo e il modo di esercizio del potere di ingerenza dell’autorità pubblica, in quanto non era sufficiente una norma che attribuisse il potere di intercettazione all’autorità, essendo necessario che l’utilizzo a tale mezzo sia disciplinato in modo chiaro.
La Corte europea ha ritenuto che costituisce violazione dell’art. 8 CEDU registrare il colloquio tra l’accusato e il suo difensore, anche se nel caso Georgi Yordanov c. Bulgaria, il giudice, pur ritenendo tale registrazione inutilizzabile, la lasciò nel fascicolo processuale. Nonostante la sua inutilizzabilità, questo ha reso inefficaci le garanzie procedurali necessarie per il godimento del diritto garantito all’art. 8 CEDU, per cui l’ingerenza non era prevista dalla legge104.
Per quanto riguarda la disciplina italiana delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni, la Corte europea ha escluso che contrasti con l’art. 8 CEDU. Nel noto caso Panarisi c. Italia105, in cui il cittadino Panarisi aveva
104 CEDU, 24 settembre 2009, Georgi Yordanov c. Bulgaria.
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fatto ricorso alla Commissione europea dei diritti dell’uomo, affermando che alcune intercettazioni a cui era stato sottoposto fossero illegali, in quanto vi era stata una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e che il procedimento penale avviato sei suoi confronti non fosse stato equo (art. 6 CEDU). Precisamente sosteneva che le intercettazioni erano state eseguite senza soddisfare i requisiti di legge e che non vi erano documenti che provavano la sussistenza di requisiti legali all’origine e che il giudice per le indagini preliminare si era limitato a rinviare per relationem senza alcuna motivazione, né sui motivi che portavano a ritenere il sig. Panarisi “responsabile del reato ascrittogli”, né il motivo per cui non era stato possibile cercare prove con altri mezzi. La Corte ha osservato che, nel caso specifico, le intercettazioni erano state soltanto uno dei mezzi d’investigazione utili a permettere l’accertamento della verità e a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente in un traffico di stupefacenti e che lo stesso aveva comunque usufruito di un “controllo efficace”. Alla luce dei principi che derivano dalla giurisprudenza degli organi della Convenzione, la Corte ha ritenuto che nulla nel fascicolo permetteva di individuare una violazione da parte delle giurisdizioni italiane rispetto all’art. 8 CEDU.
L’art. 8 CEDU è finalizzato fondamentalmente a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. In particolare, agli Stati contraenti è posto il divieto di ingerenza, salvo specifiche espresse deroghe. Al riguardo l’ingerenza può essere prevista dalla legge ovvero motivata da una delle esigenze imperative di carattere generale di cui al II comma dell’art. 8 CEDU. Lo Stato deve trovare un giusto equilibrio tra i concorrenti interessi generali e dei singoli, nell’ambito del margine di apprezzamento che gli è conferito. Inoltre, la procedura decisionale prevista deve essere “equa” e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall’art. 8 CEDU106. In particolare deve esistere un principio di
proporzionalità tra la misura (contestata) e lo scopo perseguito.
Infine, alla Corte non spetta conoscere degli errori di fatto o di diritto eventualmente commessi dalla giurisdizione nazionale, salvo che questi abbiano costituito una minaccia ai diritti e alle libertà garantite dalla Convenzione.
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Pertanto, non deve pronunciarsi sull’acquisizione o sull’utilizzazione degli elementi di prova, per esempio quelli ottenuti illegalmente rispetto al diritto interno, né sulla colpevolezza dell’imputato, ma deve esaminare se la procedura e le modalità con cui gli elementi di prova sono stati raccolti, siano equi nel suo insieme, equità che consiste anche nel valutare se i diritti della difesa sono stati rispettati e se al ricorrente è stata offerta la possibilità di contestare l’autenticità degli elementi di prova e di opporsi alla loro utilizzazione.
4.1 (segue) Il diritto alla riservatezza.
Sono sempre più numerosi ed eterogenei i “diritti senza legge”107 che oggi non si possono ignorare. Sempre più di frequente, la giurisprudenza individua un diritto fondamentale, rifacendosi direttamente alla Costituzione e successivamente interviene il legislatore per disciplinare con una normativa di dettaglio il diritto approfondito dai giudici. La novità di gran parte dei nuovi diritti fondamentali è, però, solo apparente, tali diritti possono essere componenti implicite di un diritto tutelato in modo esplicito dalla Costituzione, o composizione in sistema di due o più diritti tutelati dalla Costituzione con esito di un diritto nuovo, o ampliamento della tutela per effetto di interpretazione ed applicazione della Costituzione, o della CEDU, o della Carta di Nizza e di tutte le norme internazionali rilevanti.
Un esempio di nuovi diritti fondamentali è dato dalla tutela della persona nella sua sfera intima e privata, precisamente il diritto alla riservatezza. Ponendo particolare attenzione sui diritti e libertà fondamentali della persona, indefettibili sono alcune precise libertà: quella personale, di cui all’ art. 13 Cost., quella domiciliare, ex art. 14 Cost, la segretezza delle comunicazioni, all’art. 15 Cost., nonché la riservatezza della vita privata. Non vi sono particolari osservazioni riguardo le prime tre libertà, essendo tutelate dalla c.d. doppia riserva: di legge e di giurisdizione. Un’attenzione particolare merita il diritto alla riservatezza.
107 G. Silvestri, L’individuazione dei diritti della persona, in Diritto penale contemporaneo, 2018, p. 5.
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Il diritto alla riservatezza si è evoluto all’interno dell’ampia categoria dei diritti della personalità, nella quale fino ai primi anni del Novecento furono comprese diverse posizioni soggettive della vita umana; nacquero così quei diritti qualificati come “first generation”, corrispondenti alle libertà civili, al diritto alla vita, all’integrità fisica, alla libertà, alla proprietà privata ecc. alle quali nel processo corrisposero “la presunzione di innocenza, il diritto alle prove, il diritto al silenzio, alla difesa, alla tutela della libertà personale”108. La nozione di privacy
risale ai primi anni del 1900, quando in America l’avvocato Samuel Warren porta avanti una battaglia contro la stampa alla ricerca di scandali politici e mondani. Insieme al giudice Louis Brandeis, scrisse un articolo “the right to privacy”, che fu il punto di partenza del diritto alla privacy. Da questo atto si evince la concezione borghese di riservatezza affiancata al concetto di proprietà e intesa “right to be let alone” (il diritto di essere lasciati soli), ed era quindi un diritto per pochi eletti. Contemporaneamente vi era il rifiuto di una privacy come isolamento o abbandono della persona, ecco che il concetto si è esteso: dal diritto di isolarsi e non avere interferenze esterne, è diventato il diritto di poter controllare e raccogliere tutte le informazioni personali, dati che meritano un controllo, grazie alle norme sulla privacy via via sviluppate. Con lo sviluppo delle tecnologie il concetto di privacy diventa sempre più legato alla tutela della libertà personale ed esistenziale.
Una definizione abbastanza chiara della riservatezza si deve alla Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca109 per la quale, “la riservatezza è
la libertà dell’individuo di determinare in perfetta autonomia le modalità di costruzione della propria sfera privata, comprese le singole informazioni che andranno a comporla”. Da qui si evince come la riservatezza e la volontà
dell’individuo sono un tutt’uno: la riservatezza è la volontà del soggetto volta ad escludere gli altri dalle situazioni che pone in essere e che vive.
In Italia, il diritto alla riservatezza ha avuto una gestazione più lunga; la dottrina e la giurisprudenza italiana studiando la nascita di tale diritto negli Stati
108 M. Bonetti, Riservatezza e processo penale, Giuffrè, Milano, 2003, p. 10.
109 Sent. C. Costituzionale tedesca, 15 dicembre 1983, in M. Massimi, Diritto alla segretezza e diritto alla riservatezza, in www.privacy.it, 2000.
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Uniti, hanno tentato di introdurre questo concetto collegandolo alle poche disposizioni di legge internazionali, costituzionali e ordinarie. L’introduzione di tale diritto, inizialmente scarno, è stata poi completato dalla disciplina sul trattamento dei dati personali, fino ad arrivare al d.lgs. 196/2003 “Codice della
privacy”. Ricercando riferimenti normativi con i quali dare fondamento alla
riservatezza nell’ordinamento italiano, si pone l’attenzione sia sulle fonti internazionali che interne. Tra le prime, si segnalano particolarmente l’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’art. 7 della Carta di Nizza e l’art. 8 CEDU. La tutela dei diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU assume