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Le intercettazioni ambientali anche nei luoghi di privata dimora.

LE INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZION

8. Le intercettazioni ambientali anche nei luoghi di privata dimora.

Vengono definite “ambientali” le intercettazioni di dialoghi che si svolgono tra persone presenti nello stesso luogo e non richiedono l’ausilio di strumenti tecnici per la trasmissione del suono. La differenza con le captazioni

“ordinarie” è segnata dalla modalità del colloquio: a viva voce, anziché tramite

telefono o computer. Ma nonostante ciò, le intercettazioni ambientali sono disciplinate dalla medesima normativa di quelle “ordinarie” e prevista dagli artt. 266 – 271 c.p.p. e sarà applicabile quando ricorrono tutti i presupposti del concetto normativo di intercettazione. Il dialogo deve essere riservato e di conseguenza è necessario che l’ascolto sia reso possibile da particolari congegni meccanici o elettronici; l’operazione si deve svolgere all’insaputa degli interlocutori (o di uno fra essi) ed infine, terzietà e clandestinità del captante e non dai partecipanti al colloquio.

L’istituto costituisce una novità nel codice attuale, ignorato dalla vecchia normativa nel codice del 1930 e si caratterizza per una capacità intrusiva ignota alle tradizionali intercettazioni telefoniche. Mentre queste ultime consentono una sorveglianza limitata al mezzo di comunicazioni a distanza, l’ascolto ambientale ha un raggio d’azione molto più ampio: vi rientra tutto quanto sia detto in un determinato luogo. Ed inoltre, l’individuo viene sorpreso proprio nel momento in cui è massima la sua fiducia nella libertà di comunicare, all’interno dei luoghi dove questo si sente più al sicuro.

L’art. 266, comma 2 c.p.p. consente l’intercettazione di conversazioni tra presenti negli stessi casi in cui è consentita l’intercettazione di comunicazioni a distanza. Tuttavia, qualora le conversazioni avvengono nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., (intercettazioni domiciliari) la disciplina codicistica esige un presupposto ulteriore, cioè il “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività

criminosa” 202. E ciò al fine di tutelare oltre l’art. 15 Cost., anche quello di cui all’art. 14 Cost., l’inviolabilità del domicilio.

Quando le conversazioni tra presenti si svolgono in luoghi pubblici, la disciplina da applicare è quella predisposta per le intercettazioni telefoniche ed in

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tali casi non si presentano particolari problemi di costituzionalità, in quanto con la captazione viene lesa esclusivamente la libertà di comunicare garantita dall’art. 15 Cost. ed i limiti di tale libertà vengono rispettati dalle condizioni richieste: ovvero, l’atto motivato dell’autorità giudiziaria e la previsione legislativa dei casi e modi nei quali è possibile tale limitazione. Quindi, si applicheranno i due requisiti previsti dall’art. 267 c.p.p.: i gravi indizi di reato e l’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini.

La disciplina codicistica, pur ammettendo la possibilità di captazioni domiciliari, nella consapevolezza della notevole invasività di tale mezzo di ricerca della prova, ha inteso limitarne l’autorizzazione in funzione delle esigenze di giustizia particolarmente significative ed il necessario bilanciamento dei valori costituzionali. La limitazione posta dall’art. 266, comma 2 c.p.p. è particolarmente severa, perché comporta il rispetto che l’art. 14, comma 2 Cost. prevede per il domicilio. La nozione dello svolgimento dell’“attività criminosa” non trova puntuale specificazione nelle teorie create dalla giurisprudenza di cui non esiste una definizione legislativa univoca. Sicuramente deve trattarsi di atti punibili, è inammissibile consentire una così penetrante violazione dei diritti della persona in base ad atti leciti. Non si può non rinviare alla riflessione penalistica in tema di tentativo, di cui all’art. 56 c.p., di atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un reato. E anche il tentativo deve riferirsi ad uno dei reati elencati dall’art. 266 c.p.p., non essendo ammissibile un’intercettazione fuori dai casi permessi. In particolare, il codice di procedura penale fissa due limiti: uno temporale (la flagranza di reato), l’altro spaziale (l’intercettazione deve essere eseguita nel luogo dove il reato si sta svolgendo)203. Dunque, la clausola sembra

voler limitare le intercettazioni nei luoghi di privata dimora, ai casi in cui sussista una situazione di flagranza di reato. Alcuni autori204 sostengono che la

conversazione è riservata a prescindere da dove avvenga e merita comunque di essere tutelata. Anche il requisito temporale è apparso inadeguato a vari autori: dal momento in cui si acquisiscono gli indizi, che fanno supporre si stia svolgendo un’attività criminosa in un determinato luogo, fino a quando il controllo viene

203 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 183.

204 F. Caprioli, Intercettazione e registrazione di colloqui tra persone presenti nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, p. 172.

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disposto trascorre un periodo di tempo indispensabile per l’emissione del decreto autorizzativo e per l’organizzazione materiale delle operazioni205. Una volta effettuati tutti gli adempimenti necessari, il reato è stato già compiuto. Di conseguenza, una rigorosa applicazione della disposizione potrebbe limitare le intercettazioni domiciliari alle sole ipotesi di indagini su reati permanenti o su reati c.d. di durata206, escludendo l’applicazione di tale strumento per i reati istantanei207 (omicidi o stragi). Questa interpretazione appare eccessivamente

restrittiva, tant’è che un autore208 per reagire al limite imposto dall’art. 266 c.p.p.,

ha sostenuto la legittimità di intercettazioni domiciliari diretta a captare colloqui relativi a condotte di preparazione materiale del reato. Ma l’“attualità” del reato è concetto equivalente a quello di flagranza e non si può parlare di “attività

criminosa” nella fase preparatoria di un delitto, finché questa non raggiunga

un’intensità tale da poter essere qualificata come tentativo, nella fase preliminare non c’è ancora pericolo reale per il bene protetto209.

Altra parte della dottrina210 sostiene che “fondato motivo” riguardi solo la legittimità dell’atto autorizzativo e non l’effettivo esito dell’operazione: è sufficiente la plausibilità degli elementi alla base del decreto affinché i risultati della captazione siano validi. Spetterebbe al giudice, quindi, valutare la sussistenza del “fondato motivo”, sulla base degli elementi di cui egli sia già in possesso: nella motivazione del provvedimento autorizzativo dovrà indicare gli indizi sui quali ha fondato l’ipotesi di flagranza di reato. D’altronde, poiché le intercettazioni ambientali costituiscono un atto a “sorpresa”, non è ipotizzabile che il pubblico ministero possa, nel decreto autorizzativo, prevedere e specificare

205 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 184.

206 P. L. Vigna, Il processo accusatorio nell’impatto con le esigenze di lotta alla criminalità organizzata, in Giust. Pen., III, 1991, p. 471; A. Camon, “Le intercettazioni nel processo penale”, Giuffrè, Milano, 1996, p. 185.

207 P. Balducci, Le garanzie nelle intercettazioni tra Costituzione e legge ordinaria, Giuffrè, Milano, 2002, p. 98.

208 G. Fumu, Commento all'art. 266, in Commento al nuovo codice di procedura penale, (a cura di) M. Chiavario, vol. II, Utet, Torino, 1990, p. 778.

209 Nel senso che le intercettazioni domiciliari presuppongono almeno un tentativo di reato, G. Conti, A. Macchia, Il nuovo processo. Lineamenti della riforma, Buffetti, Roma, 1990, p. 155. 210 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 185.

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le modalità di azione, non potendo conoscere le situazioni di fatto che si presenteranno al momento dell’operazione211.

L’art. 266, comma 2 c.p.p. non richiede che l’attività in questione debba successivamente risultare effettivamente sussistente, dovendosi procedere con un giudizio di probabilità ex ante: sarebbe sufficiente una consistente probabilità dello svolgimento dell’attività in esame. Tuttavia, l’attività volta ad ottenere il profitto del reato, compiuta dopo il suo perfezionamento, è riconducibile alla condotta criminosa.

Uno dei problemi riguardante l’applicazione della disciplina delle intercettazioni ambientali, è la questione relativa all’esatta definizione di

“domicilio”. L’art. 614 c.p.212, non contiene tale definizione e di conseguenza si è

aperto un ricco dibattito giurisprudenziale e dottrinale. Prevale la nozione di domicilio ex art. 14 Cost., il quale, distaccandosi sia dall’art. 43 c.c. – che definisce il domicilio come il “luogo dove una persona ha stabilito la sede

principale dei suoi affari” – sia dall’art. 614 c.p. che intende il domicilio come

privata dimora e stabilimenti industriali e pubblici esercizi, tutela “ogni luogo in

cui si disponga a titolo privato, ma nel quale non necessariamente si svolgono attività domestiche”213.

I luoghi di privata dimora sono pertanto “tutti quei luoghi, che siano o meno

di dimora, (…) nei quali è temporaneamente garantita un’area di intimità e di riservatezza (ius exludendi alios) e che assolvono la funzione di salvaguardare la vita privata”214. È opportuno indicare quali luoghi, in giurisprudenza, siano ritenuti tutelati ai fini di cui all’art. 266, comma 2 c.p.p. e attraverso quali parametri essi possono essere individuati. La giurisprudenza ha affermato il principio per cui il concetto di domicilio, nonostante l’espresso richiamo all’art. 614 c.p., andrebbe inteso in senso restrittivo come luogo di “privata dimora” 215,

211 Cass. pen., sez. V, 5 novembre 2003, n. 46963, Anghelone, in C.e.d. Cass. 227773.

212 L’art. 614 c.p. recita: “Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno (…)” compie una violazione di domicilio.

213 A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Cedam, Padova, 1985, p. 232. 214 Cass. pen., sez. IV, 15 giugno 2000, n. 7063, Viskovic, in C.e.d. Cass., 217688. 215 Cass., sez. VI, 11 dicembre 2007, n. 15396, in Cass. pen., 2009, p. 2534.

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anche se il codice penale identifica il “domicilio” con l’“abitazione altrui”, o

“altro luogo di privata dimora”, o la rispettiva “appartenenza”.

Per abitazione si intende il luogo dove normalmente il soggetto conduce la vita domestica in modo definitivo o temporaneo: può essere un luogo mobile o immobile216. L’uso deve essere attuale, ma non è richiesta la continuità dell’uso né la presenza degli occupanti. Il concetto di privata dimora è più ampio di quello di abitazione e tra i luoghi di privata dimora non rientrano solamente quelli dove si svolge la vita domestica, ma anche ogni altro luogo in cui il soggetto abbia la titolarità dello ius excludendi alios, a tutela della riservatezza inerente alla vita privata della persona che l’art. 14 Cost. garantisce, proclamando l’inviolabilità del domicilio; pertanto vi rientra anche l’ufficio privato, poiché chi ne dispone svolge in esso la sua attività lavorativa, che implica un aspetto dello svolgimento della vita individuale in cui è compreso l’intrattenimento diretto o mediante mezzi di comunicazione con le persone che il titolare ammette ad entrare nella sua sfera privata217. I luoghi di privata dimora tutelati dall’art. 266 comma 2 c.p.p., sono tutti quelli che assolvono attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che li detengono e li utilizzano; la Corte di Cassazione in una sentenza del 2005 ha affermato che “ (…) la privata dimora è in primo luogo

l’abitazione, dove la persona svolge le sue funzioni essenziali di vita e di relazione, e, quindi, tutti quei luoghi che assolvono a funzioni analoghe, lavorative, professionali o di altra natura, come lo studio o lo svago, con carattere di stabilità, in modo da giustificare la tutela costituzionalmente garantita”218.

Non viene considerato quale luogo di privata dimora, il luogo adibito ad attività commerciale nelle ore in cui rimane aperto al pubblico, poiché ad esso è permesso l’accesso ad un numero indiscriminato di persone, con la sola eccezione di quei casi in cui il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, in quanto “rientrano nella nozione di privata dimora

di cui all’art. 624 bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività

216 F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. I, 15^ ed., Giuffrè, Milano, 2003, p. 232.

217 Cass. pen., sez. VI, 29 settembre 2003, n. 49533, Giliberti, in C.e.d. Cass., n. 227835. 218 Cass. pen., sez. VI, 16 novembre 2005, in C.e.d. Cass., n. 11654.

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lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico, senza il consenso del titolare”219. Le Sezioni Unite con tale pronuncia precisano la nozione di privata dimora sulla base di tre indefettibili elementi: l’utilizzo del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, studio, attività professionale etc.) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne, la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, che deve essere caratterizzato da stabilità e non da occasionalità e la non accessibilità del luogo da parte di estranei senza il consenso del titolare220.

Nel corso degli anni il significato di privata dimora si è evoluto e non sono mancate varie pronunce volte ad arricchire il novero dei luoghi identificabili come di privata dimora. È attraverso il parametro dello “ius excludendi alios” che le pronunce hanno di volta in volta escluso la ricomprensione di molti luoghi di quelli tutelati ex art. 614 c.p., per i fini di cui all’art. 266 c.p.p., ma anche dove sia presente lo ius excludendi, la Corte si riserva di valutare, caso per caso, se l’attività svolta in un determinato luogo possa o meno consentire di invocare la tutela dell’interesse alla riservatezza. In particolare è stato escluso dal concetto di privata dimora, ai fini dell’ammissibilità di intercettazioni tra presenti, l’abitacolo di un’autovettura, in quanto spazio destinato al trasposto o al trasferimento di oggetti da un luogo a un altro e in quanto privo dei conforti minimi necessari per potervi risiedere stabilmente, salvo che esso – rientrando tra le libertà individuali la facoltà di scegliere lo spazio più compatibile con la propria personalità in cui dimorare – sin dall’origine sia strutturato ad uso di privata abitazione221.

Problema analogo era se l’ambiente carcerario potesse considerarsi luogo di privata dimora, con la conseguenza che, in tale caso, l’intercettazione vi sarebbe ammessa solo in presenza del “fondato motivo”. Ma la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che il carcere non può essere considerato luogo di privata

219 Cass., s.u., 23 marzo 2017, n. 31345.

220 In senso conforme con la sent. Cass., s.u., 23 marzo 2017, n. 31345, Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2019, n. 6387.

221 Cass. pen., sez. V, 22 aprile 2014, n. 45512. In senso conforme Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2001, De Palma, in Cass. pen., 2001, p. 2751.

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dimora, poiché il detenuto non dispone dello ius excludendi alios222. Ed ancora, questione controversa è la qualificazione giuridica dei bagni pubblici. Vi è un primo orientamento, derivante da una pronuncia della Cassazione secondo la quale “i bagni di un locale pubblico” non rientrano nel concetto di privata dimora, in quanto il luogo in esame, caratterizzato da una frequenza assolutamente temporanea degli avventori e condizionata unicamente alla soddisfazione di un bisogno personale, non può essere assimilato ai luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 c.p., che presuppongono una relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che li frequentano223. Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto utilizzabili le videoriprese compiute dalla polizia, senza preventiva autorizzazione del giudice, all’interno di un bagno di un locale pubblico, non essendo questo riconducibile ai luoghi di privata dimora. Secondo altro orientamento, basato sul carattere esclusivo e sulla difesa della privacy224, la tutela costituzionale si estenderebbe non solo alle private dimore, ma anche ai luoghi come i bagni di un locale pubblico, poiché “chi vi si reca non solo non rinuncia

alla propria intimità e alla propria riservatezza, ma presuppone che gli vengano garantite, e sia pur temporaneamente, gli sia consentito opporsi all’ingresso di altre persone” 225.

Alle stesse conclusioni si è giunti riguardo all’ufficio del sindaco, osservando che questo costituisce un elemento della “struttura municipale e

quindi di carattere pubblico, nel quale è consentito l’accesso ad estranei” e non

sono compiuti atti della vita privata, quindi non può rientrare nel concetto di privata dimora226.

Dall’analisi effettuata sul concetto di “privata dimora”, seppur brevemente elaborata dalla giurisprudenza, emerge l’importanza dell’interprete a valutare caso per caso quali luoghi potranno essere considerati di “privata dimora” e quindi godere della tutela prevista all’art. 266, comma 2 c.p.p., con l’esclusione di questa valutazione in tutti quei casi in cui vi è una giurisprudenza consolidata.

222 Cass. pen., sez. VI, 22 novembre 2018, n. 6798; Cass. pen., sez. I, 6 maggio 2008, n. 32851, Sapone, in Cass. pen., 2009, p. 792.

223 Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2003, n. 3443, Mostra, in C.e.d., RV 223733.

224 Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2006, n. 26795, Prisco, in Dir. pen. e proc., 2006, p. 1347. 225 Cass. pen., sez. IV, 15 giugno 2000, n. 7063, Viskovic, in C.e.d. Cass., 217688. 226 Cass. pen., sez. I, 13 maggio 2010, n. 24161.

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L’art. 266, comma 2 c.p.p., unica norma dedicata alle captazioni ambientali, si limita a rinviare alla disciplina ordinaria, salva la clausola sulle conversazioni svolte nel domicilio. Quindi sembra che il legislatore abbia dettato gli artt. 266 – 271 c.p.p. pensando alle comunicazioni telefoniche, per poi estenderli a quelle ambientali. Per esperire le intercettazioni telefoniche esiste un unico modo: comunicare all’ente gestore del servizio telefonico il numero del telefono da sorvegliare, affinché i dialoghi siano dirottati, con apposite derivazioni, nei locali delle procure227. Nel caso delle intercettazioni ambientali la situazione è diversa,

perché tali operazioni possono essere effettuate con modalità diverse, grazie alla continua evoluzione tecnologica, ad esempio microspie, microfoni, apparecchi di registrazione ed anche attraverso l’utilizzo di virus informatici. Dall’assetto normativo emerge che nessuna norma spiega come si debbano eseguire i controlli ambientali, la relativa decisione non spetta al giudice delle indagini preliminari, ma al pubblico ministero, anche se alcuni aspetti non possono essere regolati ex

ante: perciò tutto viene lasciato alla polizia giudiziaria; il pubblico ministero ha

l’onere di indicare le modalità delle operazioni. Tutti questi aspetti violano le garanzie volute dalla Costituzione in tema di libertà inviolabili: la polizia giudiziaria acquisisce un margine di discrezionalità molto ampio nella materia della segretezza delle comunicazioni.

In particolare, le intercettazioni domiciliari possono essere eseguite da parte della polizia giudiziaria introducendosi nel domicilio altrui, all’insaputa o traendo in inganno l’interessato, al fine di nascondervi microspie228. L’illegittimità di tali

comportamenti è stata sostenuta sulla base di varie argomentazioni; per esempio, secondo alcuni, le microspie non potrebbero essere inclusi tra gli “impianti di

pubblico servizio o in dotazione della polizia giudiziaria” di cui all’art. 268,

227 G. Buonocore, E. Turel, Il nuovo rito penale. Manuale pratico-operativo di procedura penale, Missio, Udine, 1989, p. 200; A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 189.

228 Consistono in strumenti di piccolissima dimensione, capaci di captare i segnali acustici e di trasmetterli, attraverso una determinata frequenza radio, ad apparati radio riceventi, i quali sono a loro volta collegati ad un registratore che consente di documentare le comunicazioni captate. M. Ramajoli, Osservazioni sulla disciplina penale, sostanziale e di rito di conversazioni con l’impiego di apparecchi ricetrasmittenti, in Cass. pen., 1991, p. 636.

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comma 3 c.p.p.229. La mancanza di alcuna indicazione su come deve avvenire l’accesso nel domicilio diretto a posizionare gli strumenti di captazione, ha suscitato perplessità, perché la clandestinità nell’apposita entrata in luoghi di privata dimora lede sia il diritto alla segretezza delle comunicazioni, sia quello dell’inviolabilità del domicilio. Secondo alcuni autori, proprio tale mancata indicazione negherebbe al giudice il potere di autorizzare la polizia giudiziaria ad accedere in modo clandestino nei luoghi di privata dimora, al fine di collocare gli strumenti di captazione230. Secondo altri autori231, l’autorizzazione ad introdursi

nel luogo di privata dimora sarebbe concessa con l’ordine di procedere alle intercettazioni, così la polizia sarebbe legittimata all’accesso nella privata dimora e in questo senso non vi è contrasto con l’inviolabilità del domicilio, in quanto, non essendo stabilite dalla legge le modalità di captazione delle conversazioni ambientali, l’autorizzazione per l’istallazione di microspie, risulterebbe implicita nello stesso decreto autorizzativo. L’istallazione di tale strumento tecnico dovrebbe considerarsi ammessa dalla legge in quanto naturale modalità attuativa del mezzo investigativo in esame e funzionale al soddisfacimento dell’interesse pubblico all’accertamento di gravi delitti, senza necessità di una specifica autorizzazione232.

Confermato dall’espressa previsione costituzionale dell’art. 14 Cost., in vista di soddisfare gli interessi pubblici, il domicilio può subire limitazioni, sotto forma di ispezioni, perquisizioni o sequestri. Ed infine, esisterebbero vari meccanismi per compiere un controllo ambientale senza introdursi in luoghi di privata dimora, ad esempio l’uso di microfoni direzionali, congegni che permettono di registrare un colloquio attraverso le pareti di un alloggio vicino233,

microspie nascoste all’interno di plichi spediti presso il domicilio interessato234.

229 A. Gaito, “In tema di intercettazione delle conversazioni in abitazioni private”, in Giur. It., 1991, p. 466.

230 F. M. Iacoviello, Intercettazioni ambientali: l’audace intrusione di una norma tra garanzie costituzionali ed esigenza dell’etica sociale, in Cass. pen., 1992, p. 1565.

231 A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 192.

232 Cass pen.., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 21644, in Mass. uff. n. 255542; Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 2017, n. 36874.

233 A. Scella, Dubbi di legittimità costituzionale e questioni applicative in tema di intercettazioni ambientali compiute in luogo di privata dimora, in Cass. pen. 1995, p. 997.