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Il doppio vincolo di Cristo.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA:

Il doppio vincolo di Cristo

La figura di Gesù nel pensiero di Girard e Nietzsche

RELATORE:

Prof. Giovanni PAOLETTI

CORRELATORI:

Prof. Alfonso Maurizio IACONO

Prof. Alessandro GRILLI

CANDIDATO:

Fabrizio ARCURI

A.A. 2018/2019

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1

INDICE

INTRODUZIONE

3

CAPITOLO 1: SATANA E IL PARACLETO

6

1.1 LA NASCITA DEGLI IDOLI

7

1.1.1 LA TRASVALUTAZIONE GEOMETRICA DEL DESIDERIO 7

1.1.2 MIMESI E GENEALOGIA LETTERARIA 9

1.1.3 DOUBLE BIND E DUPLICAZIONE 13

1.2 LA NATURA DEL SACRO 19

1.2.1 IL MECCANISMO DEL CAPRO ESPIATORIO 19

1.2.2 MITI, RITUALI E DIVIETI 24

1.2.3 IL REGNO DI SATANA 27

1.3 LA RIVELAZIONE DEL PARACLETO 32

1.3.1 L’ANTICO TESTAMENTO E LA MITOLOGIA 32

1.3.2 LA PIETRA ANGOLARE: CIRSTO IL PARACLETO 38

1.3.3 RIVELAZIONE SACRIFICALE E APOCALISSE 53

CAPITOLO 2: LA FOLLIA DI DIONISO

61

2.1 NIETZSCHE E IL DESIDERIO MIMETICO 62

2.1.1 I FALLIMENTI DELL’UOMO DEL SOTTOSUOLO 62

2.1.2 NIETZSCHE E WAGNER 66

2.1.3 MIMESI E VOLONTÀ DI POTENZA 70

2.2 IL TEOLOGO NIETZSCHE 75

(3)

2

2.2.2 TRA DIONISO E CRISTO 79

2.2.3 L’IMITAZIONE LUCIFERINA DI CRISTO 85

2.3 L’EREDITÀ DI DIONISO 91

2.3.1 LA DISSOCIAZIONE MIMETICA DELL’OLTREUOMO 91

2.3.2 MIMESI ED ETERNO RITORNO 95

2.3.3 DIONISO E IL NAZISMO 98

CAPITOLO 3: L’IDIOTA E L’ÜBERMENSCH

102

3.1 LA DECADENZA DEL CRISTIANESIMO 103

3.1.1 IL COMPITO INFINITO DEL CRISTIANESIMO 103

3.1.2 LE PASSIONI CRISTIANE 111

3.1.3 LA VOLONTÀ DI POTENZA DEL PRETE 117

3.2 IL GESÙ DI NIETZSCHE 128

3.2.1 IL SANTO ANARCHICO 128

3.2.2 L’IDIOTA 131

3.2.3 IL SIMBOLISTA 136

3.3 NUOVE DIVINITÀ 149

3.3.1 UNA FALSA IMITAZIONE 149

3.3.2 L’EQUILIBRIO DELLA POTENZA E IL SACRIFICIO DI SÉ 154

3.3.3 I LIMITI DI DIONISO 166

CONCLUSIONE

182

BIBLIOGRAFIA

190

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3

INTRODUZIONE

Uno dei più rilevanti apologeti moderni di Cristo, da una parte, e il filosofo dell’Anticristo, dall’altra.

Due autori agli antipodi, accomunati dallo stesso dilemma: chi è Cristo?

Un enigma dal quale derivano due differenti risposte, che la presente ricerca si propone di scandagliare.

Qual è, dunque, il ruolo della figura di Cristo nel pensiero di Girard e Nietzsche?

Il mio lavoro, nel tentativo di rispondere a tale quesito, si concentrerà sulla relazione fra le loro due differenti prospettive.

I motivi della ricerca sono molteplici.

I due differenti modi di concepire Cristo permettono di configurare due nuove visioni della sua figura, entrambe lontane dalla tradizione culturale e filosofica.

Essi offrono due rappresentazioni diverse dell’importanza storica e morale del cristianesimo. Consentono, inoltre, di delineare le divergenze tematiche e teoretiche dei due pensatori, aiutando a intravedere i punti di contatto e le loro implicazioni.

Implicano, oltre a ciò, l’elaborazione di un’inedita chiave di lettura del mondo antico, in particolare della figura del dio Dioniso.

Infine, essi formulano due distinte prospettive sulla natura dell’uomo.

La metodologia d’indagine è quella storico-filosofica. In tal senso, analizzeremo i testi dei due pensatori, delineando l’evoluzione delle loro idee e comparando gli elementi speculativi più salienti.

Il nostro esame mira a rispondere alle seguenti domande, per poi riprendere la questione principale:

1) Per quale motivo René Girard si confronta con l’opera di Friedrich Nietzsche? 2) Quali sono gli elementi che più gli interessano?

(5)

4

4) In cosa consiste la sua interpretazione del filosofo tedesco? 5) Quali sono le sue criticità e quali i suoi contributi?

6) La filosofia di Nietzsche può essere confrontata con le tematiche girardiane?

7) Essa può aiutare a esplicitare o a criticare i concetti principali dello studioso francese? 8) Che cosa ricaviamo dal confronto dei testi dei due autori?

9) In che maniera la figura di Cristo costituisce la chiave di volta dell’intera indagine?

Adotteremo, prevalentemente, una terminologia storico-filosofica. Tuttavia, la nostra ricerca, in base agli interessi e alle argomentazioni di Girard e Nietzsche, ci impone di riferirci anche a opere, nozioni ed esponenti del campo della letteratura antica e moderna, dell’antropologia sociale e religiosa e della teologia cristiana.

Il lavoro sarà strutturato in tre capitoli.

Nel primo verranno delineati i concetti più importanti dell’opera girardiana. Esso sarà diviso in tre paragrafi. Nello specifico, si cercherà di illustrare i concetti più rilevanti della riflessione dello studioso francese: il desiderio mimetico e il meccanismo sacrificale del capro espiatorio. In seguito, si tratteggerà il loro rapporto antropologico con la vita, gli insegnamenti e la rivelazione di Gesù Cristo.

Nel secondo verrà analizzata la critica di Girard a Nietzsche. Essa sarà diramata in tre parti: 1) l’esegesi della vicenda biografica e filosofica di Nietzsche attraverso gli strumenti della teoria mimetico-sacrificale; 2) la decifrazione della contrapposizione nietzschiana tra Dioniso e Cristo il Crocifisso sulla base degli elementi teologici girardiani; 3) le conseguenze nefaste del pensiero nietzschiano per la storia e cultura contemporanee.

Il terzo capitolo sarà suddiviso in altrettante tre sezioni. Esse concerneranno la riflessione nietzschiana sul cristianesimo. Nella prima si cercherà di definire i nodi essenziali della diagnosi del filosofo del fenomeno cristiano, estrapolando i contenuti più rilevanti per vagliare i pro e i contro della soluzione teologica e soteriologica di Girard. Nella seconda, invece, si descriverà la concezione di Nietzsche riguardante la figura di Gesù, instaurando un

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5

confronto con il Cristo girardiano. Nell’ultima, ci si soffermerà sullo studio delle intuizioni più significative del filosofo tedesco, intese come alternative esistenziali al tradizionale sistema di valori cristiano. Per quest’ultima parte, si cercherà di tratteggiare una considerazione diversa di Dioniso rispetto a quella del secondo capitolo.

Scopo complessivo del lavoro sarà, in definitiva, quello di avvalersi degli strumenti teorici girardiani per formulare una nuova prospettiva su Nietzsche e delle riflessioni nietzschiane per valutare gli aspetti più critici della componente religiosa dell’opera di Girard.

Inoltre, si tenterà di capire fino a che punto le conclusioni dei due autori risultino efficaci nel risolvere i problemi che si pongono, incentrati sulla drammaticità e conflittualità della natura dell’uomo.

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6

CAPITOLO 1

(8)

7

1.1 LA NASCITA DEGLI IDOLI

1.1.1 LA TRASVALUTAZIONE GEOMETRICA DEL DESIDERIO

Per comprendere i nodi essenziali della critica di Girard alla filosofia di Nietzsche, nonché il ruolo che la figura di Cristo svolge nel suo pensiero, dobbiamo prima analizzare i concetti principali dell’opera dell’antropologo francese.

Il religioso rappresenta l’asse portante della riflessione girardiana.

Per Girard, nulla è più importante dell’intrinseca ambiguità della religione. Ogni civiltà, ogni istituzione, ogni cultura è da essa originata. Essa esprime l’eterna aspirazione della natura umana.

Per avere conoscenza della sfera del religioso dobbiamo, pertanto, analizzare prima ciò che per Girard è l’essenza dell’uomo.

Secondo Girard, quest’ultima è desiderio. Tra le prime opere girardiane, quella più incisiva nel trattare il tema del desiderio è Menzogna romantica e verità romanzesca 1. In essa, l’autore esamina i principali romanzi di alcuni degli scrittori più influenti della letteratura moderna per delineare una trasvalutazione geometrica del desiderio, vale a dire una decisa operazione di critica dell’impalcatura concettuale tradizionale con cui sono state concepite le volizioni umane. Il primo personaggio a essere preso in esame è il protagonista del capolavoro di Cervantes: Don Chisciotte. Ciò che è suggerito è una diversa prospettiva del movimento desiderante: non più come propensione verso l’oggetto agognato ma come fedele imitazione di un’alterità che rende quel determinato oggetto degno di essere desiderato. In tal senso, il motivo che incalza Don Chisciotte non è la vita cavalleresca in sé, nella sua rappresentazione oggettiva, ma il prestigio dell’eroe Amadigi di Gaula: «Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla fondamentale prerogativa dell’individuo: egli non sceglie più gli

1 R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque (1961), tr. di L. Verdi-Vighetti: Menzogna romantica e

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8

oggetti del suo desiderio, è Amadigi che deve scegliere per lui. Il discepolo si precipita sugli oggetti che il modello della cavalleria di sempre gli indica, o sembra indicargli» 2 .

Il desiderio, dal punto di vista girardiano, non è più raffigurabile come una linea retta che trascina il soggetto verso l’oggetto ma, più precisamente, come un triangolo formato da tre vertici indissolubilmente legati: il soggetto desiderante, l’alterità imitata e, infine, l’oggetto che la seconda, tramite il suo desiderio, rende appetibile al primo:

La linea retta è presente, nel desiderio di Don Chisciotte, ma non è l’essenziale; al di sopra vi è infatti il mediatore che contemporaneamente involge soggetto e oggetto. La metafora spaziale che esprime questa triplice relazione è evidentemente il triangolo. L’oggetto muta con l’avventura, ma il triangolo sussiste. La catinella da barbiere o le marionette di Mastro Pietro sostituiscono i mulini a vento; Amadigi però è sempre presente 3.

Per lo studioso francese, dunque, il desiderio coincide con l’imitazione. Esso è desiderio

mimetico.

Ma se qualsiasi movente è da ridursi alla mimesis, in che maniera bisogna concepire, adesso, l’uomo? Girard suggerisce l’impossibilità per il soggetto umano di essere senza la relazione con le alterità che compongono il suo orizzonte sociale e interindividuale, vale a dire senza gli altri soggetti. La costituzione dell’identità suppone la necessità di essere invasi dagli altri, di esserne succubi. Il soggetto girardiano è contrassegnato dal suo essere nulla in se stesso, in altre parole da un vuoto esistenziale da colmare con i desideri degli altri soggetti. Claudio Tugnoli accosta la natura di tale rimasuglio ontologico a quella dello specchio: «Il soggetto girardiano è uno specchio, come uno specchio è la materia per Plotino, quella realtà depotenziata e al confine con il non essere nella quale si riflettono tutte le forme degli oggetti sensibili. Come la materia in sé, il soggetto è in sé debole e prossimo al non essere» 4.

Nel testo di Girard, la condizione del soggetto giustifica la sua fascinazione per le alterità che lo circondano. Ognuna di esse riveste il ruolo del mediatore, in altre parole del modello. Il modello costituisce il tramite, la mediazione appunto, che smuove e orienta il desiderio

2 ivi, p. 7. 3 ibidem, p. 8.

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9

mimetico spingendo il soggetto desiderante, o meglio l’imitatore, il discepolo, a “riflettere” passivamente le sue medesime inclinazioni, prediligendo cose ben precise a discapito di altre. Perché, per l’autore, il mediatore gode di un potere così grande? Egli, agli occhi di un tribolato imitatore condannato al proprio nulla costitutivo, s’impone come un’entità dotata del massimo prestigio. Egli è tutto ciò che il discepolo vorrebbe essere ma che, a causa della sua condizione, non potrà mai essere. Una divinità assoluta da cui dipende il valore di ogni cosa. Possiamo già constatare la natura illusoria del desiderio nella riflessione di Girard: il suo fermento spinge il singolo, segnato dalla propria mancanza d’essere, a credere ostinatamente nella superiorità degli altri individui, nonostante condividano le sue stesse carenze ontologiche. Esso, in sintesi, spaccia il nulla per Dio. Nella sua essenza è, pertanto, ineluttabilmente religioso. L’aspirazione che lo fomenta è il disperato tentativo di colmare le lacune ontologiche ricorrendo a quella che si offre come la soluzione più istintiva e immediata: l’emulazione.

Ma, più precisamente, in che maniera si instaura, nell’opera girardiana, la relazione tra i vertici del triangolo che dilania il soggetto, vuota e amorfa superficie vitrea, con i suoi continui capovolgimenti ontologici tra l’essere e il nulla?

1.1.2 MIMESI E GENEALOGIA LETTERARIA

La trasvalutazione girardiana del desiderio comporta la dissoluzione di uno dei più rivelanti presupposti del pensiero moderno: la relazione duale tra soggetto e oggetto, considerata da Girard una menzogna romantica: «Il desiderio secondo sé, rappresentato da una linea retta che unisce il soggetto all’oggetto e perciò privo di mediatore, non è altro che una menzogna, una menzogna romantica e del senso comune» 5.

Il valore dell’oggetto, nella prospettiva girardiana, dipende interamente dal prestigio del modello che si vuole emulare: «Il motivo per il quale il soggetto non può fare a meno

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10

dell’oggetto consiste unicamente nel prestigio che un mediatore comunica a quell’oggetto per il solo fatto di possederlo o di desiderarne il possesso: è unicamente il modello che conferisce valore all’oggetto, è solo il modello che decide della desiderabilità dell’oggetto» 6. Pertanto, il

possesso dell’oggetto funge soltanto da pretesto dell’autentico desiderio, in altre parole raggiungere la pienezza d’essere del modello: «L’oggetto non è che un mezzo per raggiungere il mediatore. È all’essere del mediatore che mira il desiderio» 7.

Una verità, quella del triangolo mimetico, che per lo studioso francese emerge prepotentemente nelle opere dei grandi romanzieri e che, proprio per questo, definisce

romanzesca: «Soltanto i romanzieri denunciano la natura imitativa del desiderio» 8. Nella letteratura moderna possiamo, infatti, scorgere una sorta di genealogia della mimesis, un filo sotterraneo del mimetismo che, di là dalle singole apparizioni, articola il desiderio in due tipi essenziali di mediazione: la mediazione esterna e la mediazione interna. La distanza tra soggetto e modello costituisce l’elemento differenziale delle due configurazioni. Così Girard: «Parleremo di mediazione esterna laddove la distanza fra le due sfere di possibili, che s’accentrano rispettivamente sul mediatore e sul soggetto, sia tale da non permettere il contatto. Parleremo di mediazione interna laddove questa stessa distanza sia abbastanza ridotta perché le due sfere si compenetrino più o meno profondamente» 9. Così Tugnoli: «Il rapporto tra modello e discepolo nella mediazione interna è di indifferenziazione […]. Invece nella mediazione esterna il rapporto tra modello e discepolo è di differenziazione» 10. Come bisogna intendere questi due concetti d’indifferenziazione e differenziazione? Quali sono le conseguenze sul piano letterario ed esistenziale?

Per Girard, Cervantes e Flaubert sono gli autori della mediazione esterna:

L’eroe della mediazione esterna proclama a piena voce la natura del desiderio, venera apertamente il modello e se ne dichiara discepolo. Abbiamo visto Don Chisciotte spiegare a Sancio la parte privilegiata che ha Amadigi

6 ivi, p. 20.

7 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p. 49. 8 ibidem, p. 17.

9 ibidem, p. 13.

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nella sua esistenza; allo stesso modo la signora Bovary e Léon svelano la realtà dei propri desideri nelle loro liriche confidenze. Il parallelo tra Don Chisciotte e Madame Bovary è ormai classico, perché è sempre facile cogliere le analogie tra due romanzi di mediazione esterna 11.

Nell’ottica girardiana, la differenziazione della mediazione esterna poggia, pertanto, sull’incolmabile distanza tra modello e imitatore, sulla gerarchia che rende inalterabili e inamovibili le due posizioni. Tale abisso permette tranquillamente al discepolo di riconoscere l’evidente superiorità del proprio mediatore, dichiarando, allo stesso tempo, senza alcun senso di vergogna o di frustrazione, ma anzi con orgoglio ed entusiasmo, i propri debiti esistenziali e desiderativi nei suoi confronti. Ciò spiega la consapevole venerazione di Don Chisciotte e Madame Bovary.

Per quanto riguarda la mediazione interna, invece, agli occhi di Girard gli autori di riferimento sono Stendhal, Proust e Dostoevskij. In Stendhal la vicinanza tra mediatore e soggetto alimenta la vanità:

Stendhal denomina vanità tutte queste forme di “copia”, di “imitazione”: il vanitoso non può attingere i desideri ai propri fondi personali, ma li prende a prestito da altri. […] Perché un vanitoso desideri un oggetto, basta convincerlo che tale oggetto è già desiderato da un terzo al quale s’annetta un certo prestigio. Il mediatore è in tal caso un rivale che la vanità ha innanzitutto suscitato, che ha chiamato per così dire all’esistenza di rivale, prima di esigerne la sconfitta 12.

In Proust la distanza tra i due poli dell’emulazione si accorcia ancor di più, tramutando la vanità in snobismo:

Anche lo snob è un imitatore. Copia servilmente l’essere del quale invidia nascita, fortuna o eleganza. Si potrebbe definire lo snobismo proustiano come caricatura della vanità stendhaliana […]. Lo snob non ha il coraggio di fidarsi del proprio giudizio personale, desidera solo gli oggetti desiderati da altri. Per questo, è schiavo della moda. […] le leggi proustiane si confondono con le leggi del desiderio triangolare; definiscono un nuovo tipo di mediazione interna che fa la sua comparsa quando la distanza tra mediatore e soggetto che desidera è ancora più piccola di quanto non lo fosse in Stendhal 13.

11 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p. 13. 12 ibidem, pp. 10-11.

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12

Infine, con l’opera di Dostoevskij il parossismo della mediazione interna divampa in odio:

In Dostoevskij l’odio, troppo intenso, finisce col “divampare”, rivelando la doppia natura o, meglio, la duplice parte di modello e di ostacolo sostenuta dal mediatore. Questo odio che adora, questa venerazione che trascina nel fango e perfino nel sangue, è la forma parossistica del conflitto generato dalla mediazione interna. L’eroe di Dostoevskij rivela a ogni momento, con gesti e parole, una verità che rimane il segreto della coscienza nei romanzieri precedenti. I sentimenti “contraddittori” sono così violenti che l’eroe non è più in grado di dominarli

14.

A detta dell’autore, l’indifferenziazione della mediazione interna si spiega, dunque, come assottigliamento progressivo della distanza tra modello e imitatore. L’abolizione della gerarchia comporta la sospensione dei ruoli e il capovolgimento delle posizioni di partenza. Mentre nella mediazione esterna il soggetto è perfettamente consapevole dell’impossibilità di colmare il divario con il modello e di raggiungere il suo stesso grado di prestigio, limitandosi a una quieta rassegnazione della situazione, nella dinamica interna, al contrario, la divinità del mediatore è a portata di mano e, di conseguenza, appare possibile, se non vitale, appropriarsene. L’imitatore matura il proposito di scalzarlo, vincerlo o, in casi estremi, perfino eliminarlo. Ne risulta uno stato di conflitto e ostilità.

Per lo studioso, nella mediazione esterna, inoltre, l’inaccessibilità del mediatore rende tutti gli oggetti indifferenti: essendo lontano e irraggiungibile, il soggetto è impossibilitato a conoscere le coordinate del suo desiderio, quindi nessun oggetto viene designato come preferibile agli altri. Il possesso non consente in nessun caso il raggiungimento dello stesso livello del modello il quale, proprio per questo, non è considerato un rivale. Nella mediazione interna, viceversa, cresce esponenzialmente il feticismo dell’oggetto: il mediatore, sempre più vicino al discepolo, desidera in maniera assolutamente precisa soltanto un determinato oggetto o una certa categoria di oggetti. Per raggiungere e superare il proprio modello, possederli è tutto. Il valore dell’oggetto cresce a dismisura, esso diventa fondamentale, vitale, necessario, poiché ciò che adesso è bramato non è più un oggetto fisico ma metafisico:

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13

Ma la distanza tra discepolo e mediatore può ridursi fino all’identificazione del discepolo con lo stesso mediatore. In questo caso l’intensità della passione raggiungerà il grado estremo, perché nel frattempo anche la distanza tra soggetto e oggetto è divenuta minima e l’oggetto trascendente e sfumato si è fatto concreto, l’assoluto ha assunto le sembianze del relativo. L’oggetto è divenuto così unico, insostituibile, irrinunciabile, da farsi valere come il polo necessario di una passione intransigente. L’oggetto ha perduto le caratteristiche di oggetto fisico per assumere un valore metafisico 15.

Come abbiamo visto in precedenza, a parere di Girard, l’oggetto dipende dal prestigio del mediatore. Il motivo per cui l’oggetto diviene metafisico si deve, di conseguenza, alla natura dello stesso desiderio mimetico che, nella sua aspirazione alla pienezza ontologica, si profila come desiderio metafisico:

Il desiderio secondo l’altro è sempre desiderio di essere un altro. Esiste un solo desiderio metafisico, ma i desideri particolari in cui si concreta tale desiderio primordiale variano all’infinito. […] L’intensità di questo desiderio è, essa pure, variabile; dipende dal grado di virtù metafisica posseduto dall’oggetto. E questa virtù dipende a sua volta dalla distanza che separa l’oggetto dal mediatore 16.

La genealogia letteraria di Girard descrive, dunque, il diramarsi del desiderio metafisico che dall’armonia della mediazione esterna, con Cervantes e Flaubert, passa alla violenza della mediazione interna, con Stendhal, Proust e Dostoevskij, prefigurando un mondo di decadenza e tribolazione in cui «Gli uomini saranno dèi gli uni per gli altri» 17.

1.1.3 DOUBLE BIND E DUPLICAZIONE

Per Girard, il principio del desiderio metafisico è la trascendenza.

Essa permette il processo di differenziazione tra i modelli, i quali si pongono sempre su un piano superiore, e gli imitatori, collocati nei livelli più bassi della scala ontologica. Abbiamo visto come nella sua genealogia letteraria Girard tracci l’intero movimento, culturale e storico, della fluttuazione del mimetismo: da una situazione di mediazione esterna, in cui la trascendenza del modello è irraggiungibile, determinando una gerarchia stabile e pacifica, si

15 C. Tugnoli, Girard. Dal mito ai Vangeli, op. cit., p. 30.

16 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p. 73. 17 ibidem, p. 49.

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passa alla confusione della mediazione interna, nella quale la vicinanza dei mediatori predispone alla volontà di usurpazione del loro privilegio ontologico. Il percorso delineato si presenta come processo di degenerazione: dalla trascendenza verticale si passa alla

trascendenza deviata. Mentre la prima implica l’impossibilità di mutare l’ordinamento

ontologico che sancisce la superiorità del modello e l’inferiorità del discepolo, la seconda si presenta come reiterata alterazione delle posizioni di partenza, provocando il livellamento delle diversità ontologiche e articolandole in uno spazio immanente.

Possiamo nuovamente costatare l’essenza religiosa del desiderio mimetico. Secondo Girard, infatti, le coordinate della trascendenza legate al mimetismo portano a precise conseguenze teologiche e soteriologiche. La differenza fra trascendenza verticale e trascendenza deviata consente di distinguere la divinità autentica da quella mendace. La vera divinità si basa esclusivamente sulla trascendenza verticale, quella lontana da tutto ciò che è umano e mortale. Dio instaura con l’uomo una relazione di mediazione esterna. Egli è l’unico mediatore la cui trascendenza, totalmente distaccata e inaccessibile, non degenera mai nel conflitto mimetico. Dio esprime la massima pienezza d’essere: proprio per questo, non necessita di imitare o rivaleggiare con nessuno. Vedremo più avanti come per Girard solo nel dialogo con Dio, vale a dire nel riconoscimento della sua lontananza e della sua compiuta superiorità, l’uomo può salvarsi. Viceversa, ogni altro individuo che tenta di elevare se stesso a divinità, cioè a modello compiuto e autosufficiente, ignorando le sue lacune ontologiche, come avviene nella mediazione interna, è destinato a patire gli effetti disastrosi della trascendenza deviata: menzogna, violenza e morte.

Ciò nonostante, già adesso possiamo chiederci se non sia insita costitutivamente nell’animo umano la pretesa di essere pari a Dio, vale a dire il bruciante desiderio di sostituirsi alla divinità sotto ogni riguardo. Per quanto la mediazione esterna possa essere tesa al massimo, chi ci assicura che l’armonia consolidata dall’irraggiungibilità della trascendenza verticale possa placare l’ambizione del mimetismo umano? E se, paradossalmente, conseguenza

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necessaria della mediazione esterna fosse, ancor più di quella interna, di provocare gli effetti nocivi della mimesi, spingendo gli uomini più orgogliosi a eguagliare, soppiantandolo, il modello supremo, rovesciando completamente le conclusioni girardiane? E, se, in ultima analisi, fosse proprio la trascendenza in sé a condannare l’uomo alla schiavitù nei confronti del suo stesso desiderio metafisico?

Ad ogni modo, ciò che conta, per Girard, è il nesso indissolubile di desiderio e trascendenza. Non c’è l’uno senza l’altra. La loro corrispondenza orienta la fluttuazione della mimesi. Il soggetto stesso è continua aspirazione alla trascendenza. Ma come si articola, nel concreto, tale aspirazione? Nella prospettiva girardiana, il soggetto, agognando la trascendenza del modello, dipende da esso, egli è incapace, in altre parole, di liberarsi dal giogo del suo carisma. Ciò avviene attraverso la dinamica del double bind. Girard riprende l’espressione sviluppata da Gregory Bateson nella sua teoria della comunicazione riguardante, nel caso specifico, i soggetti affetti da schizofrenia. Tuttavia, come afferma Tomelleri, per il pensatore francese esso non riguarda solo un numero ristretto d’individui patologici, ma l’intero genere umano: «Il doppio vincolo è il fondamento stesso di tutti i rapporti umani, la situazione umana fondamentale; è la riduzione ultima della mimesi nella sua dimensione costitutiva di condizione paradossale» 18. Esso rappresenta l’alternarsi di due ingiunzioni tra loro opposte e contraddittorie, entrambe impartite dal mediatore. Da una parte, infatti, quest’ultimo, appagato dal riconoscimento che gli è tributato in quanto modello da seguire, in quanto idolo carismatico e invidiato, proclama l’imperativo “Imitami!”, spingendo l’imitatore a seguire le sue orme, poiché degne più di tutto il resto di essere emulate, divinizzate. Dall’altra, non appena il discepolo, nel tentativo di seguire l’ingiunzione precedente, si rende sempre più simile al mediatore, avvicinandosi così al suo livello al punto tale da eguagliarlo o, addirittura, scalzarlo, il modello, geloso del suo potere e terrorizzato dalla minaccia incombente, impartisce il comandamento “Non imitarmi!”, ribadendo con forza l’irraggiungibilità della

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sua posizione dominante. La relazione che si viene a formare risulta una miscela caotica di amore e violenza: «Nous pourrions remarquer ici que pour René Girard, ce lieu intermédiaire, entre la communion et le détachement, c’est en fait celui où opère le double bind ; c’est le lieu de la fascination pour autrui, caractérisée par une injonction contradictoire: imite-moi (fusion), ne m’imite pas (détachement)» 19. Il double bind di matrice girardiana consente di

comprendere lo stato traumatico e le sofferenze psicologiche dell’individuo, derivanti dalla sua subordinazione al desiderio e al modello: «L’uomo non può obbedire all’imperativo “imitami” che dappertutto risuona, senza vedersi rinviato quasi immediatamente a un “non imitarmi” inspiegabile che lo getterà nella disperazione e farà di lui lo schiavo di un carnefice il più delle volte involontario» 20.

La condizione fondamentale per la formazione e lo sviluppo del double bind, per Girard, è l’inconscio. Nella riflessione girardiana esso non corrisponde alla funzione che detiene nell’elaborazione della psicoanalisi tradizionale. A suo parere, concepire un substrato mentale nascosto dove si depositano le pulsioni rimosse dell’individuo equivale a postulare la stessa centralità del soggetto che si ritrova nella menzognera concezione romantica basata sulla dualità io-oggetto che, come abbiamo visto, ha il demerito di oscurare il ruolo del mediatore. In Girard, piuttosto, l’inconscio corrisponde al misconoscimento, in altre parole all’impossibilità di pervenire alla consapevolezza di essere soggiogati dal desiderio:

L’inconscio di Girard è questo: il soggetto non è cosciente della mediazione del proprio desiderio, che continua a immaginare come originario e personale, sottratto a qualsiasi limitazione non solo riguardo all’esito (l’aspirazione naturale di chi ha un desiderio è che sia soddisfatto, accompagnata dalla persuasione che la sua mancata soddisfazione sarebbe profondamente ingiusta), ma anche riguardo alla sua genesi. Se ho un desiderio, allora 1) sono intimamente convinto che tale desiderio sia solo mio (io sono l’origine di questo desiderio) e 2) sento come intollerabile (massimamente ingiusto) la mancata soddisfazione di tale desiderio 21.

19 S. Marcireau, Le christianisme et l’émergence de l’individu chez René Girard, L’Harmttan, Paris, 2012, p. 57. 20 R. Girard, La Violence et le sacré (1972), tr. di O. Fatica e E. Czerkl: La violenza e il sacro, Adelphi, Milano,

2000, p. 206.

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Girard suggerisce l’ineluttabilità della malattia psichica del soggetto, di ogni soggetto, nel momento in cui il rapporto di fascinazione e violenza con i propri mediatori viene esasperato, portando all’estremo le dinamiche della mediazione interna.

Avvinghiati dal double bind, i due pretendenti sacrificano la propria vita nel tentativo disperato di vincere il proprio nemico, fino al punto di annientarsi a vicenda. In particolare, sostiene l’autore, la dinamica esplode nel momento in cui il discepolo, ossessionato dall’obiettivo di raggiungere l’essere superiore del mediatore, si appropinqua sempre di più alla posizione di dominio dell’altro. Ciò impensierisce così tanto il modello al punto da ritenere, adesso, quello che prima era solo un discepolo malleabile e manipolabile, un altro mediatore da temere e imitare per cercare di averla vinta. Il modello iniziale, dunque, diviene discepolo dell’imitatore iniziale che, a sua volta, si tramuta nel suo mediatore. Si avrà così da una parte un modello-imitatore e dall’altra un imitatore-modello. Tale rovesciamento è dovuto all’affievolirsi della distanza tra i due soggetti mimetici con il conseguente insinuarsi del conflitto:

La relazione da unidirezionale si completa in bidirezionale; da modello e discepolo (mediazione esterna) a

modello-discepolo e discepolo-modello (mediazione interna). Con l’estendersi delle relazioni mimetiche al

contesto sociale della vita privata e familiare accresce inevitabilmente la quantità degli oggetti che sono suscettibili di scatenare la rivalità e l’odio proprio in relazione alla loro intensità di desiderio 22.

In base all’idea girardiana, l’intensificazione della mediazione interna tramuta i due rivali, vale a dire il modello-imitatore e l’imitatore-modello, in doppi. Procrastinando la reciproca imitazione per un lasso di tempo considerevole, i contendenti copiano in maniera così precisa i rispettivi comportamenti da risultare perfettamente identici in ogni gesto e azione. Più cercano di superare l’avversario, tentando di differenziarsi in ogni modo da esso, più si assomigliano. Tale è il paradosso della duplicazione mimetica: «Tutto avviene come se gli antagonisti si industriassero a rendersi sempre più simili l’uno all’altro, come ai tempi della

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loro amicizia ma, questa volta, nell’odio reciproco e nell’illusione di differire infinitamente, quando in realtà essi non differiscono più affatto» 23.

La mostruosità della duplicazione, per il pensatore, ha come esito la morte e la sopraffazione: «I rivali chiusi in un vortice desiderano gli stessi oggetti, contagiati ciascuno dal desiderio dell’altro in modo sempre più violento, si ostacolano addirittura fino alla morte. Sono l’uno il doppio dell’altro, gemelli di una comune sete di sopraffazione» 24.

Una situazione, quella della lotta del desiderio, che, agli occhi dell’antropologo francese, rappresenta l’emblema della vita umana. In tal senso, il frammento 60 di Eraclito mostra la triste verità del destino dell’uomo, nonché, piuttosto esplicitamente, le mostruose dinamiche del mimetismo:

Polemos di tutte le cose è padre, di tutto poi è re; e gli uni manifesta come dèi, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere come schiavi, gli altri invece come liberi 25.

In ogni caso, se tutto si riduce a conflitto sanguinario con il proprio doppio nemico, che ne è della società e della civiltà? Esiste un rimedio per evitare lo spargimento di sangue? È possibile contenere la mimesi?

23 R. Girard, Le radici della violenza, tr. di R. La Valle, in «Lo straniero. Arte, cultura, società», anno 1, n. 2,

inverno 1997-98, p. 10.

24 S. Tomelleri, René Girard. La matrice sociale della violenza, op. cit., p. 33. 25 Eraclito, in La sapienza greca III. Eraclito di G. Colli, Adelphi, Milano, 1980, p. 35.

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1.2 LA NATURA DEL SACRO

1.2.1 IL MECCANISMO DEL CAPRO ESPIATORIO

Una volta formatasi la dinamica del modello-discepolo e del discepolo-modello, con la conseguente lotta dei doppi, si dissolve, secondo Girard, ogni differenza tra i due iniziali pretendenti. La superiorità ontologica dei mediatori è sostituita dall’indistinzione metafisica degli idoli, portando all’estremo la degenerazione anarchica della mediazione interna. I conflitti tra i gemelli mimetici alimentano l’epidemia della violenza e lo spargimento di sangue. Si delinea una vera e propria situazione apocalittica di cui, agli occhi di Girard, Dostoevskij, nel suo Delitto e castigo 26, attraverso il passo dell’incubo di Raskolnikov, si è

rivelato profeta:

Gli pareva di vedere il mondo intero devastato da un flagello terribile e senza precedenti, che, venuto dal cuore dell’Asia, si era abbattuto sull’Europa. Tutti dovevano morire, eccetto qualche raro eletto. Trichine microscopiche, di una specie fino allora sconosciuta, s’introducevano nell’organismo umano. Ma quei corpuscoli erano spiriti dotati di intelligenza e di volontà. Gli individui che ne erano infestati diventavano immediatamente squilibrati e pazzi. Eppure, cosa strana, mai gli uomini si erano creduti così saggi, così sicuri di possedere la verità. Mai avevano avuto simile confidenza nell’infallibilità dei loro giudizi, delle loro teorie scientifiche, dei loro principi morali…Tutti erano in preda all’angoscia e incapaci di comprendersi vicendevolmente. Ciascuno tuttavia credeva di essere il solo a possedere la verità e si sconsolava vedendo i propri simili. Ciascuno, a questa vista, si batteva il petto, si torceva le mani e piangeva…Non potevano intendersi sui provvedimenti da prendere, sul bene e sul male e non sapevano chi condannare o assolvere. Si uccidevano l’un l’altro in una sorta di assurdo furore 27.

Seguendo l’interpretazione girardiana, le trichine microscopiche rappresentano l’incarnazione del desiderio mimetico che rende gli uomini demoniaci: ognuno di loro crede di valere più degli altri, organizza la propria esistenza solo sull’acquisizione del prestigio mimetico-metafisico e ritiene un’enorme ingiustizia la mancanza di riconoscimento da parte dei propri modelli-rivali. Il conflitto che ne scaturisce rende impossibile ogni stabilità collettiva. In tale fase assistiamo, nel sistema di pensiero di Girard, al mutamento della mimesi che, da lotta tra

26 F. Dostoevskij, Delitto e castigo (1866), tr. di S. Prina, Mondadori, Milano, 2017. 27 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p. 241.

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doppi, diviene mimesi dell’antagonista. Essa consente di incanalare le tensioni della guerra di tutti contro tutti in un’altra forma di ostilità, quella di tutti contro uno. Ciò avviene attraverso un diverso tipo di contagio che mira a focalizzare la violenza reciproca su un solo obiettivo:

Se gettiamo indietro uno sguardo, ci accorgeremmo che la violenza si è rivelata a noi, sin dall’inizio, come una cosa eminentemente comunicabile. La sua tendenza a gettarsi su un oggetto sostitutivo, in mancanza dell’oggetto preso di mira in origine, può essere descritta come una specie di contaminazione. La violenza a lungo repressa finisce sempre per diffondersi tutt’attorno; da quel momento guai a chi le capita sotto tiro 28.

Come sostiene Girard,ogni soggetto mimetico si accorge ben presto della difficoltà di eliminare la cerchia dei suoi rivali. Persistere nella lotta lo porterebbe soltanto alla morte. La società, corrotta dalla contaminazione fratricida dell’escalation mimetica, verrebbe spazzata via se, in maniera altrettanto immediata e irrazionale, non indirizzasse il carico di tensione verso un solo individuo. Il nuovo nemico consente di sfogare la violenza accumulata e repressa ricorrendo alla falsificazione del reale, tipica del misconoscimento. La distorsione ristabilisce l’ordine inducendo tutti i membri della comunità a ricompattarsi in vista di un’unica finalità sanguinaria: immolare chi è imputato delle sofferenze del gruppo, il colpevole del dilagare del male mimetico. La salvezza degli uomini, nella prospettiva dell’antropologo, ora, dipende totalmente dall’istituzione del sacrificio:

Qui il sacrificio ha una sua funzione reale e il problema della sostituzione si pone al livello dell’intera collettività. La vittima non è sostituita a questo o quell’individuo particolarmente minacciato, non è offerta a questo o quell’altro individuo particolarmente sanguinario, ma è al tempo stesso sostituita e offerta a tutti i membri della società da tutti i membri della società. È l’intera comunità che il sacrificio protegge dalla sua stessa violenza, è l’intera comunità che esso volge verso vittime a lei esterne. Il sacrificio polarizza sulla vittima i germi di dissenso sparsi ovunque e li dissipa proponendo loro un parziale appagamento 29.

Di cosa è ritenuta colpevole la vittima sacrificale? Per Girard, dei crimini indifferenziatori, vale a dire di tutti quegli atti che dissolvono le differenze (familiari, sessuali, fisiche e morali) che consentono la sopravvivenza della sfera sociale: «I crimini sessuali, lo stupro, l’incesto, la

28 R. Girard, La violenza e il sacro, op. cit., p. 51. 29 ibidem, p. 22.

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bestialità, ma anche i crimini religiosi, come la profanazione delle ostie, esprimono la tendenza irresistibile della crisi a sfociare nell’individuazione di un colpevole» 30.

Stando alle sue parole, la ferocia della folla desiderosa di sangue deve, inoltre, essere giustificata. La persecuzione della vittima può avvenire soltanto convincendosi della sua colpevolezza. Il misconoscimento collettivo, pertanto, necessita di particolari segni evidenti che lo possano assicurare della correttezza della propria accusa. In tal senso, ogni vittima deve possedere delle specifiche tracce che contraddistinguono il suo carattere d’individuo allo stesso tempo colpevole e sacrificabile. Esse possono essere di natura etnica o religiosa: «Le minoranze etniche e religiose tendono a polarizzare contro di sé le maggioranze. […] Non c’è, quasi, società che non sottometta le proprie minoranze, i propri gruppi mal integrati o anche semplicemente distinti, a certe forme di discriminazione se non di persecuzione»31. I segni

vittimari possono essere anche fisici:

Accanto ai criteri culturali e religiosi ve ne sono di puramente fisici. La malattia, la follia, le deformità genetiche, le mutilazioni accidentali e perfino le infermità in generale tendono a polarizzare i persecutori. […] Gli «handicappati» sono ancora oggetto di misure propriamente discriminatorie e vittimarie sproporzionate al turbamento che la loro presenza può arrecare alla fluidità degli scambi sociali 32.

Infine, la persecuzione può rivolgersi a determinate posizioni sociali: «Vi è, per esempio, una anormalità sociale; è la media che definisce la norma. Più ci si allontana dallo statuto sociale più comune, in un senso o nell’altro, più aumentano i rischi di persecuzione. Lo si vede facilmente per coloro che sono in fondo alla scala sociale»33. In particolare, la figura socialmente più discriminata è quella dello straniero:

Lo straniero è avvertito come una minaccia perché non si differenzia nel modo giusto, non esprime la sintassi delle vere differenze codificate all’interno del sistema. Chi esprime una differenza che viene percepita come

30 C. Tugnoli, René Girard. Dal mito ai Vangeli, op. cit., p. 100.

31 R. Girard, Le bouc émissaire (1982), tr. di C. Leverd e F. Bovoli: Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 1987,

p.37.

32 ibidem, p. 37. 33 ibidem, p. 38.

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esterna al sistema rappresenta una minaccia per la comunità come se fosse un virus indifferenziatore: non gli si rimprovera di differenziarsi, bensì di non differenziarsi affatto 34.

Secondo lo studioso francese, l’immolazione dello straniero è dovuta alla necessità di evitare la catena della vendetta. Infatti, se fosse sacrificata una vittima interna alla comunità si correrebbe il rischio di colpire e danneggiare personalmente uno dei rivali mimetici sostituiti dal ricorso al sacrificio, quindi di instillare nuovamente la violenza del mimetismo che devasterebbe definitivamente il gruppo sociale: «Se la vendetta è un processo infinito, non ad essa si può chiedere di frenare la violenza; anzi è essa stessa che si tratta in realtà di frenare. […] Il sacrificio impedisce lo svilupparsi dei germi della violenza. Aiuta gli uomini a tenere a bada la vendetta» 35. La vittima, dunque, deve, da una parte, non appartenere alla comunità per evitare lo scatenamento della vendetta e, dall’altra, essere comunque vicina a quella per permettere un perfetto transfert delle tensioni che, inizialmente, riguardano membri della stessa società d’appartenenza e richiedono di sfogare la violenza su un individuo che sia in qualche modo familiare: tale ambiguità dell’essere contemporaneamente dentro e fuori, integrato ed escluso, appartiene in modo peculiare allo straniero.

Una volta individuata la vittima, continua Girard, si procede alla sua uccisione. La violenza, considerata in principio come il male disgregatore, viene adesso sfruttata proprio contro se stessa, per impedire la rovina dei corpi comunitari. La sua gestione consente il restaurarsi dell’armonia. Gli effetti apocalittici della mimesi sono, almeno temporaneamente, evitati. La pace instaurata porta, inoltre, allo stravolgimento del modo di concepire la vittima. Se prima essa viene immolata o espulsa proprio in quanto incarnazione del veleno che intossica la coesione degli altri membri, ora, al contrario, viene considerata come la garante dell’ordine ristabilito. Proprio per questo, essa viene divinizzata:

Non basta dire che la vittima espiatoria ‘simboleggia’ il passaggio dalla violenza reciproca e distruttrice all’unanimità fondatrice; è lei che assicura questo passaggio e fa una cosa sola con esso. Il pensiero religioso è

34 C. Tugnoli, René Girard. Dal mito ai Vangeli, op. cit., p. 104. 35 R. Girard, La violenza e il sacro, op. cit., pp. 34-35.

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inevitabilmente portato a vedere nella vittima espiatoria, cioè, semplicemente, nell’ultima vittima, quella che subisce la violenza senza provocare nuove rappresaglie, una creatura soprannaturale che semina la violenza per poi raccogliere la pace, un salvatore temibile e misterioso che rende gli uomini malati per poi guarirli 36.

Girard designa la vittima del sacrificio capro espiatorio, un’espressione ripresa da un antico rito giudaico che prevede l’espulsione di un capretto, mandato in esilio nel deserto, dopo aver assorbito, tramite il tocco della sua testa da parte di un sacerdote, tutti i peccati della comunità. L’intero processo prevede tutte le tappe fin qui descritte che, definite da Girard

stereotipi della persecuzione sacrificale, ritroviamo in tutti i documenti pervenutici riguardanti

l’immolazione:

È dalla giustapposizione di più stereotipi nello stesso documento che possiamo dedurre la persecuzione. Non è necessaria la presenza di tutti gli stereotipi. Ne bastano tre, spesso anche due. La loro presenza ci porta ad affermare che: 1) le violenze sono reali; 2) la crisi è reale; 3) le vittime sono scelte non in base ai crimini che vengono loro attribuiti, ma in base ai loro segni vittimari e a tutto ciò che suggerisce la loro colpevole affinità con la crisi; 4) il senso dell’operazione consiste nel far ricadere sulle vittime la responsabilità della crisi e nell’agire su questa distruggendo tali vittime o perlomeno espellendole dalle comunità che esse ‘inquinano’ 37.

Si è detto, in precedenza, che l’umanità è figlia del religioso. Ciò perché soltanto la dimensione religiosa, scaturente dal meccanismo del capro espiatorio, permette alle comunità umane di sopravvivere alla loro stessa violenza. La gestione preventiva della violenza costituisce, agli occhi di Girard, il sacro:

Il sacro è tutto quel che domina l’uomo con tanta maggior sicurezza quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo. Quindi, tra l’altro, ma secondariamente, il sacro sono le tempeste, gli incendi di foreste, le epidemie che decimano una popolazione. Ma è anche e soprattutto, pur se in maniera più velata, la violenza degli uomini stessi, la violenza posta come esterna all’uomo e confusa ormai con tutte le altre forze che gravano sull’uomo dal di fuori. È la violenza che costituisce il vero cuore e l’anima segreta del sacro 38.

Il sacro è ciò che definisce la natura umana. Una natura, conformemente all’argomentazione girardiana, che fa dell’aggressività mimetica e dell’omicidio le sue condizioni di esistenza.

36 ivi, p. 126.

37 R. Girard, Il capro espiatorio, op. cit., pp. 45-46. 38 R. Girard, La violenza e il sacro, op. cit., pp. 52-53.

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1.2.2 MITI, RITUALI E DIVIETI

L’etimologia del termine sacro connota l’ambiguità della funzione sacrificale della vittima:

In latino una comune radice sac- dà origine alle due forme lessicali connesse con sacer e sanctus. Nell’uso corrente le due famiglie di termini presentano una tipica ambiguità, propria del sacro, poiché indicano, insieme, ciò che appartiene agli dèi in virtù di un atto dedicatorio, e ciò che è maledetto, condannato, impuro. Per esempio il termine sacer significa: “consacrato a una divinità”, sacro, detto dei tempi, delle persone, degli edifici, delle leggi e del diritto; sacro, “venerato”, “augusto”, come attributo qualitativo delle potenze, “consacrato a una divinità infernale per essere distrutto”, “offerto come vittima” e quindi “maledetto”, “estraniato dal gruppo” 39.

L’ambiguità della dinamica sacrificale spinge Girard a interrogarsi sulla natura del mito in generale, anch’essa profondamente contraddittoria. Cos’è il mito secondo la prospettiva mimetica? Essenzialmente, esso può essere considerato una narrazione che, attraverso il ricorso agli stereotipi di persecuzione, mira alla colpevolizzazione totale della vittima occultando, allo stesso tempo, il ruolo dell’immolazione collettiva. Dell’atto sacrificale e delle responsabilità di ogni altro individuo del dilagare della crisi mimetica non c’è mai traccia: solo una è la fonte di tutti i mali, la vittima. Grazie al mito, il gruppo scarica le proprie colpe instituendo una forma di trascendenza della violenza: quest’ultima non può avere origine umana poiché è competenza esclusiva di un mostro o di un dio, per cui rappresenta qualcosa di totalmente estraneo; il gruppo dei persecutori, in tal modo, legittima la propria operazione sacrificale, convincendosi di ricorrere all’omicidio solo per estinguere i pericoli più gravi. Il mito, in definitiva, per Girard, costituisce una memoria narrativa dell’evento originario che ha come scopo quello di rinsaldare ancor di più la comunità tramite il ricordo atavico, ma paradossalmente demistificato, del linciaggio fondatore. Esattamente come l’immolazione, anch’esso trova nel misconoscimento il proprio caposaldo: «Il mito, osserva Girard, è il ricordo dei superstiti, degli assassini del linciaggio fondatore. […] Il mito è un continuo misconoscimento dell’evento originario dove la vittima incarna il duplice aspetto dell’eroe,

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che salva la città, e del dannato, che viene accusato di crimini abominevoli» 40. Girard traccia

una storia del misconoscimento dei miti: i miti più antichi non riescono ad occultare in maniera completa l’evento originario, abilità che, ad ogni modo, si affina col passare del tempo. Tomelleri suddivide questo processo in tre tappe:

Nella prima tappa il mito trascende l’origine reale e umana della violenza, relegandola ad un ambito divino, ma rimangono ancora chiari segni della violenza e della sua unanimità collettiva. La seconda tappa implica la scomparsa della violenza collettiva e la sua sostituzione con la violenza individuale. C’è poi una terza tappa, in particolare nell’universo greco e romano, che consiste nel sopprimere persino la violenza individuale 41.

Da una situazione di tutti contro uno si passa, quindi, a un’opposizione tra soli due antagonisti, uno malvagio, poiché rappresentante gli effetti maligni della vitt ima espiatoria, l’altro buono, giacché incaricato di riportare il bene nella comunità. In seguito scompare anche questa contrapposizione duale, portando a compimento l’opera di censura.

Ma perché la collettività ha bisogno di ricordare l’evento fondatore? In un’intervista con Markus Müller, Girard dichiara che l’insinuarsi della violenza distruttiva è sempre possibile, anche dopo la sublimazione catartica del linciaggio fondatore. Pertanto, le civiltà arcaiche che trovano nel sacrificio la loro principale istituzione devono costantemente ricorrere a tutti quei mezzi preventivi che permettono di evitare la catastrofe della crisi mimetica. I dettami della loro vita comunitaria sono segnati dalla scansione temporale dell’eterno ritorno sacrificale:

si va verso una violenza sempre crescente e poi alla fine, nelle società arcaiche, si ha un’ulteriore azione di capro espiatorio e il nuovo inizio della cultura. Secondo me, quello che antiche culture come gli Indù e i Presocratici chiamano l’eterno ritorno, è una serie di cicli del meccanismo del capro espiatorio 42.

Oltre alla funzione mnemonica del mito, per Girard esiste una diversa forma di prevenzione: il

rituale. Esso si basa su una forma d’imitazione collettiva della prima immolazione della quale

vengono emulate tanto la crisi mimetica iniziale quanto il ricorso all’omicidio. In tal modo, la

40 ivi, p. 28. 41 ibidem, p. 76.

42 M. Müller, Intervista con René Girard, in Antrophoetics II, no. 1 (giugno 1996), Department of French, UCLA,

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comunità, rivivendo i momenti salienti dell’evento che anticamente le aveva consentito la salvezza, riesce, al contempo, a provocare le tensioni distruttive e, tramite il processo di sublimazione derivante dal transfert collettivo sulla vittima, a placarle:

La comunità è contemporaneamente attratta e respinta dalla sua stessa origine; prova il bisogno costante di riviverla in forma velata e trasfigurata; il rito placa ed inganna le forze malefiche perché non cessa di sfiorarle; la loro vera natura e la loro realtà gli sfuggono e debbono sfuggirgli dal momento che tali forze malefiche provengono dalla comunità stessa. Il pensiero rituale non può riuscire nel compito preciso e vago ad un tempo che si è assegnato se non lasciando che la violenza si scateni un poco, come la prima volta, ma non troppo, ripetendo cioè quello che riesce a rammentarsi dell’espulsione collettiva in un quadro e su oggetti rigorosamente fissati e determinati 43.

Anche nel caso del rituale, afferma lo studioso, la vittima è scelta rispettando i criteri dell’integrazione e dell’esclusione: la priorità, infatti, è consentire un appagante sfogo delle tensioni evitando l’escalation mimetica interna. Questa ricerca di equilibrio è, agli occhi di Alfred Simon, ciò che, ad esempio, consente lo sviluppo della ricerca della perfetta misura nella cultura greca: «toute l’attitude grecque est faite de méfiance à l’égard d’un divin ou d’un absolu trop proche (il brûle) ou trop lointain (il meurt). La mesure grecque n’est rien d’autre que la recherche de cette distance optimale» 44.

Il rituale, nell’ottica girardiana, costituisce l’essenza e il fondamento della dimensione del sacro. Il suo scopo è dominare la violenza, rendendola trascendente e benefica. Se il mito si rivolge al passato narrando la storia di una vittima già divinizzata, esso si concentra sul presente e sulla necessità di purificare la comunità tramite la metamorfosi della tensione omicida:

I riti più selvaggi ci mostrano una folla disordinata che a poco a poco si polarizza contro una vittima e finisce per scagliarsi contro di lei. Il mito ci narra la storia di un dio temibile che ha salvato i fedeli grazie a qualche sacrificio, oppure morendo egli stesso, dopo aver seminato il disordine all’interno della comunità 45.

43 R. Girard, La violenza e il sacro, op. cit., p. 143.

44 A. Simon, «Les masques de la violence», Esprit, Paris, novembre 1973, n. 429, p. 518. 45 R. Girard, Il capro espiatorio, op. cit., p. 94.

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A detta di Girard, il rituale può essere di due tipi. Il primo corrisponde alla festa, vale a dire a una situazione in cui la collettività celebra l’armonia ritrovata attraverso l’immolazione, godendo della cessazione di ogni violenza disgregatrice. Il secondo al divieto, in altre parole alla necessità di proibire determinati comportamenti e gesti che, esattamente come nella prima crisi mimetica interna, potrebbero sconvolgere l’assetto sociale. Il divieto, pertanto, obbliga al contenimento del desiderio mimetico e stronca sul nascere le rivalità legate al double bind. La pena, in caso di trasgressione, corrisponde al linciaggio, al divenire il capro espiatorio: «Il divieto ci dice di non fare a nostra volta ciò che la vittima ha fatto per non metterci nei guai: il che significa in realtà lo stesso che separarci l’uno dall’altro, far sì che gli umani che sono stati divisi si allontanino l’uno dall’altro in maniera che non ricomincino a combattersi» 46.

Per l’antropologo, il rituale plasma la cultura delle comunità sacrificali. Esso forma le rappresentazioni e i comportamenti tramite la simbolizzazione della vittima, vale a dire nel misconoscimento dell’evento originario e degli effetti turbolenti del mimetismo. Il sacro, in ultima analisi, si riduce all’eterno ritorno della compenetrazione della funzione mnemonica del mito, della prevenzione del rituale e del contenimento del divieto: una forma di empirismo

religioso che, agli occhi di Girard, fonda l’intero meccanismo del capro espiatorio.

1.2.3 IL REGNO DI SATANA

Per l’antropologia di Girard il sacro, in quanto empirismo religioso rivolto alla gestione pratica della violenza sociale, plasma la civiltà umana e orienta tutte le sue istituzioni. La scena del primo sacrificio è concepita come motore dello sviluppo dell’attività di rappresentazione tanto individuale quanto collettiva:

Secondo me deve esserci stata più di una scena originaria. È il capro espiatorio originario che si prolunga in un processo che può essere infinitamente lungo nel suo muovere da, come dire, dalla ritualizzazione istintiva, dalla proibizione istintiva, dall’istintiva separazione dell’antagonista, che si può trovare entro certi limiti già negli animali, verso la rappresentazione. […] quel che vorrei vedere è un motore della rappresentazione più genetico

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piuttosto che una scena che per me è troppo filosofica, troppo concettuale per cominciare. Quel che mi piace della genesi del capro espiatorio è precisamente il fatto che esso evita il dilemma filosofico di un passaggio improvviso dalla non-rappresentazione alla rappresentazione. […] la cosa più importante qui è che rituale e proibizione nella loro forma più elementare precedono la rappresentazione. Lentamente essi diventano rappresentabili e infine vengono rappresentati 47.

In base alle sue parole, la formazione della mente umana richiede il sangue versato della vittima sacrificale, in quanto potente catalizzatore delle tensioni mimetiche e della meccanica comunitaria, in un processo temporale lungo e articolato.

Da ciò possiamo dedurre che le analisi girardiane conducono a ritenere quale fondamento autentico della civiltà umana la morte. Solo la morte, direttamente o indirettamente legata al meccanismo del capro espiatorio, consolida la pace fra gli uomini e agevola la maturazione dell’intelligenza sociale. Indicativo è il ruolo assunto dai riti funebri in cui troviamo la stessa ambiguità di beneficio e maleficio, conferita al cadavere del morto:

Quali che siano le cause della sua morte, colui che muore si trova sempre, di fronte all’intera comunità, in un rapporto analogo a quello della vittima espiatoria. Alla tristezza dei sopravvissuti si unisce una curiosa mescolanza di spavento e di conforto favorevole ai propositi di buona condotta. La morte dell’isolato appare vagamente come un tributo che si deve pagare perché possa continuare la vita collettiva. Un solo essere muore e si trova rafforzata la solidarietà di tutti gli esseri viventi 48.

A detta dell’antropologo francese, la frenesia mimetica e la centralità della morte risultano essenziali nelle dinamiche di potere intersoggettive. La prima è la fonte principale di ogni disputa politica fra fazioni ideologiche contrapposte in cui la parte oppressa, da identificarsi con la posizione mimetica dell’imitatore, ricorre alla rivoluzione violenta per scalzare il modello-rivale, in altre parole la componente dominante. Il risultato non può che essere, nonostante i continui rovesci della fortuna, la perpetuazione della violenza:

Non sono i programmi a ingenerare opposizione, è l’opposizione a ingenerare i programmi. […] La lotta delle fazioni è l’unico elemento stabile nella instabilità contemporanea. Non sono più i principi a ingenerare rivalità, è

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la rivalità metafisica che si insinua nei principi opposti alla maniera di quei molluschi che la natura non ha provvisto di conchiglia e che si insediano nella prima che trovano, senza distinzione di specie 49.

Alla luce dell’analisi girardiana, il potere è generato dal mimetismo e dalla morte sacrificale. La figura del monarca, ad esempio, gode dei propri privilegi solo in quanto vittima sacrificale la cui immolazione è stata definitivamente rinviata, conservando solo gli effetti benefici, quindi divini e autoritari, della sua condizione:

Bisogna che il re ‘meriti’ il castigo che gli è riservato, quanto l’aveva già meritato, a quel che sembra, l’espulso originario. Bisogna realizzare a fondo le potenzialità malefiche del personaggio, fare di lui un mostro che emana tenebrosa potenza, non per ragioni estetiche ma per permettergli di polarizzare sulla sua persona, di magnetizzare letteralmente tutti i miasmi contagiosi e di convertirli poi in stabilità e in fecondità. Posto nell’immolazione finale, il principio di questa metamorfosi si estende in seguito a tutta l’esistenza terrestre del monarca 50.

In tal modo, Girard mostra l’essenza di ogni forma di istituzione e autorità della storia umana, quelle che definisce i Principati e le Potestà di tutti i tempi: la violenza della morte.

Non esiste via di scampo. Il mimetismo isterico e la violenza sacrificale generano e influenzano tutti gli ambiti della vita umana: per il riduzionismo girardiano la cultura è intrinsecamente e inevitabilmente immolatrice.

Nella visione teologica di Girard, l’aspirazione religiosa del desiderio trova il proprio principale movente nel principio demoniaco par excellence: Satana. Il mondo umano è il regno di Satana. Esso viene definito come l’incarnazione del principio mimetico, ovvero delle due fasi che caratterizzano il desiderio: la prima, quella della tentazione, consistente nel trasgredire tutte le norme convenzionali per ottenere l’oggetto desiderato dal proprio modello e impossessarsi del suo essere; la seconda, quella dell’ostacolo, nella quale si insinua nel soggetto desiderante il forte complesso di inferiorità nei confronti del proprio mediatore, fino al punto di desiderarne la morte:

49 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., pp. 111-116. 50 R. Girard, La violenza e il sacro, op. cit., p. 154.

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È la prima delle innumerevoli metamorfosi proprie di Satana: il seduttore degli esordi si trasforma rapidamente in un duro avversario, in un ostacolo più grave di tutti i divieti non ancora violati. Il segreto di questa incresciosa metamorfosi è facile da scoprire. Il secondo Satana è la trasformazione del modello mimetico in ostacolo e in rivale, è la genesi degli scandali. Il nostro modello si oppone al nostro desiderio perché lui per primo desidera ciò che spinge a desiderare. Una volta varcata la soglia della trasgressione, ci si imbatte in un ostacolo più coriaceo di qualunque divieto, un ostacolo inizialmente reso invisibile dalla stessa protezione che i divieti fornivano finché erano rispettati 51.

A parere dello studioso, Satana incarna anche la successiva fase del mimetismo, la violenza religiosa del meccanismo del capro espiatorio che fomenta l’uccisione della vittima:

Satana è il mimetismo che persuade la comunità intera, unanime, che tale colpevolezza è reale, e deve a quest’arte di persuasione uno dei suoi nomi più antichi e tradizionali. Egli è nel libro di Giobbe l’accusatore del protagonista, davanti a Dio e più ancora davanti al popolo. Trasformando una comunità differenziata in una folla isterica, Satana fa nascere i miti; egli è il sistema accusatorio implacabile che deriva dal mimetismo esasperato dagli scandali. Una volta che la povera vittima è completamente isolata e priva di difensori, niente la può salvare dalla folla scatenata. Tutti possono accanirsi contro di lei senza timore della minima rappresaglia 52.

Per Girard, Satana, dunque, è sia fonte di disordine, giacché alimenta il fanatismo mimetico, sia restaurazione di equilibrio, poiché adopera l’uccisione del capro espiatorio per ristabilire l’armonia sociale. Satana, pertanto, è la violenza mimetica che scaccia se stessa in un ciclo eterno di distruzione e creazione, la meccanica persecutrice di cui si avvalgono i Principati e le Potestà di ogni tempo, il principe del mondo umano:

Gesù ripete con enfasi il nome:«Come può Satana scacciare Satana?». […] Il Satana espulso è la forza che istiga ed esaspera le rivalità mimetiche fino al punto di trasformare la comunità in un crogiolo di scandali. Il Satana che espelle è questo stesso crogiolo allorché raggiunge un punto di incandescenza sufficiente per scatenare il meccanismo vittimario. Allo scopo di impedire la distruzione del proprio regno, Satana fa del suo stesso disordine, giunto alla fase di parossismo, il mezzo per espellere se medesimo. È tale straordinario potere a fare di Satana il Principe di questo mondo. […] Grazie a questa prodezza tutt’altro che banale il Principe di questo mondo ha saputo rendersi indispensabile, mantenendo un enorme potere 53.

51 R. Girard, Je vois Satan tomber comme l’éclair (1999), tr. di G. Fornari: Vedo Satana cadere come la folgore,

Adelphi, Milano, 2001, p. 56.

52 ibidem., p. 59. 53 ibidem., pp. 58-59.

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Conformemente alle conclusioni di Girard, l’umanità è figlia di Satana, poiché essa è ineluttabilmente mimetica. Tutto si riduce alla sua natura: la tentazione, la trasgressione, la rivalità, la violenza, il sangue, la morte.

Esiste una possibilità di salvezza? Un modo per contrastare mimetismo e sacrificio? Un’alternativa redentrice al regno di Satana?

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