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IL COMPITO INFINITO DEL CRISTIANESIMO

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 104-112)

CAPITOLO 3: L’IDIOTA E L’ÜBERMENSCH

3.1 LA DECADENZA DEL CRISTIANESIMO

3.1.1 IL COMPITO INFINITO DEL CRISTIANESIMO

Avendo analizzato il pensiero di Girard e la sua critica a Nietzsche, non ci rimane che indagare la filosofia del pensatore tedesco per valutare l’interpretazione girardiana. Il compito che ci poniamo è di rintracciare nell’opera nietzschiana degli elementi che possano evidenziare le criticità dello studioso francese. In tal senso, prenderemo in considerazione soltanto un numero ristretto di passi e riferimenti che possano essere pertinenti alla nostra ricerca.

Una delle premesse fondamentali di questo capitolo, nel momento in cui confronteremo le posizioni dei due autori, è l’identificazione girardiana tra desiderio mimetico e volontà di potenza. La concezione originale di quest’ultima sarà poi trattata nel terzo paragrafo del presente capitolo.

Secondo quanto intravisto in precedenza, dobbiamo chiederci: cosa spinge Nietzsche a preferire Dioniso alla cura per le vittime? Per di più, siamo davvero sicuri che Nietzsche intenda il cristianesimo alla maniera di Girard?

Per il filosofo, il cristianesimo si contrappone alla morale del mondo pagano:

eticità non è nient’altro (dunque in particolar modo niente più) che l’obbedienza ai costumi, di qualunque specie essi possano essere. I costumi peraltro sono il modo tradizionale di agire e di valutare. In cose dove nessuna tradizione comanda, non esiste eticità; e quanto meno la vita è determinata dalla tradizione, tanto più piccolo diventa il circolo dell’eticità. L’uomo libero è privo di eticità, poiché egli vuole dipendere in tutto da sé e non da una tradizione: in tutti gli stadi primordiali dell’umanità, «malvagio» ha lo stesso significato di «individuale», «libero», «arbitrario», «inconsueto», «non previsto», «incalcolabile». […] il singolo deve sacrificarsi, questo esige l’eticità del costume. Invece quei moralisti che al pari di chi procedette sulle orme socratiche mettono nel cuore dell’individuo la morale dell’autosuperamento e della temperanza come il suo più reale vantaggio, come la chiave più personale della felicità, costituiscono l’eccezione, e, se ci appaiono diversamente, è perché noi siamo stati educati sotto il loro influsso; tutti costoro percorrono una nuova strada, con la massima disapprovazione di ogni rappresentante dell’eticità del costume, essi si sciolgono dalla comunità in quanto non ligi all’eticità e sono,

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nel senso più profondo, malvagi. Similmente, a un virtuoso romano di vecchio stampo appariva malvagio ogni

cristiano, che «per prima cosa mirava alla sua propria beatitudine» 188.

Il passo contiene prevalentemente due livelli di lettura:

1) Nello scenario della tradizione pagana, l’individuo rappresenta il pericolo maggiore perché, a causa dell’imprevedibilità della sua singolarità, rischia di compromettere l’ordine e i costumi uniformanti della comunità. Secondo Nietzsche, difatti, l’individualità è irriducibile a qualsiasi norma universalizzante. Essa è il particolare che non può essere assimilato dall’anonimato del generale.

2) Il socratismo e il cristianesimo puntano sulla valorizzazione dell’individuo attraverso una morale della temperanza e dell’autosuperamento.

Sebbene il filosofo non faccia alcun riferimento all’istituzione del sacrificio e all’importanza del sacro, possiamo constatare delle analogie con il pensiero di Girard. La concezione dell’eticità come tradizione riveste la stessa funzione del divieto e del rituale nell’antropologia mimetica: essi stabiliscono i comportamenti da reiterare e seguire per preservare la coesione del gruppo sociale. In aggiunta, l’accostamento nietzschiano della valorizzazione dell’individuo alla comparsa del cristianesimo richiama l’unificazione girardiana di rivelazione evangelica e protezione della singolarità delle vittime dal conformismo della follia indifferenziata.

Ad ogni modo, Nietzsche arriva a ritenere deleteria la morale della temperanza di stampo cristiano. Il cristianesimo, infatti, conferisce un’eccessiva importanza agli individui. Esso li colloca al centro dell’universo. Salvandoli dalla loro condizione di soggetti isolati e reietti, equivalenti alle vittime girardiane, dona loro un doppio sentimento di felicità:

Ed ecco l’umana sembianza attingere quella spiritualizzazione che è generata dal costante flusso e riflusso delle due specie di felicità (il sentimento della potenza e il sentimento della rassegnazione), dopo che una maniera di vivere ideata dal pensiero ha nell’uomo incatenata la bestia; ecco che un’attività consistente nel benedire, nel rimettere peccati e nel rappresentare la divinità, ha costantemente tenuto desto nell’anima, anzi perfino nella

188 F. Nietzsche, Morgenröte. Gedanken über die moralischen Vorurteile (1881), tr. di F. Masini: Aurora. Pensieri

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carne, il sentimento di una missione sovrumana; ecco che quel nobile disprezzo per la fragilità del corpo e per il

benessere dovuto alla sorte esercita il suo dominio, come accade nei soldati di nascita; si ripone la propria

fierezza nell’obbedire, ed è questo che costituisce il segno distintivo di ogni aristocratico; si ha nell’enorme

impossibilità del proprio compito una giustificazione e un’idealità 189.

L’iniziale morale della temperanza che consente l’autonomia dell’individuo si tramuta nella gioia dell’obbedienza a un ideale eterno, sovrumano. Il cristiano esercita la propria potenza nella sottomissione a una missione ineffabile, a un compito infinito. Il prezzo da pagare, il sacrificio di sé e del proprio corpo, rappresenta motivo di vanto e un passo decisivo nell’avvicinamento all’obiettivo. Il raggiungimento di quest’ultimo combacia con la perfezione del cristiano.

Tuttavia, il conseguimento della perfezione non richiede il lungo lavorio e la lenta acquisizione della capacità di dominare se stessi, principi che Nietzsche rintraccia, piuttosto, nella temperanza di tipo pagano. Esso, al contrario, prospetta una via breve: «Le supposte “vie più brevi” hanno sempre esposto l’umanità a un grande pericolo; sempre alla lieta novella che è stata trovata una via più breve, essa abbandona la sua via – e perde la via» 190.

Presentando questa “via breve”, il cristianesimo intende sgravare gli uomini dalle esigenze morali:

Si dica quel che si vuole, il cristianesimo ha voluto liberare gli uomini dal peso delle esigenze morali, credendo di additare un più breve cammino verso la perfezione; proprio allo stesso modo con cui alcuni filosofi s’illusero di potersi sbarazzare della faticosa e penosa dialettica e della collezione di dati rigorosamente accertati, e fecero rinvio ad «una via regia alla verità». In entrambi i casi fu un errore, ma anche un grande ristoro per i sopraffatti, nel deserto, dalla stanchezza e dalla disperazione 191.

Così come i filosofi scelgono la via breve per aggirare gli ostacoli più ardui nell’elaborazione teoretica, allo stesso modo i cristiani evitano di fronteggiare i lati più dolorosi e pressanti dell’esistenza ricorrendo al sentiero più agevole. In entrambi i casi, si tratta del ricorso a Dio, la soluzione definitiva, cioè più comoda, sia in campo speculativo che etico. In particolare,

189 ivi, (60), p. 46. 190 ibidem, (55), p. 43. 191 ibidem, (59), p. 45.

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per il cristiano, la via breve consiste nell’abbandonarsi a Gesù Cristo, nel credere in lui. Solo prostrandosi dinanzi al Figlio di Dio, il Crocifisso, egli raggiunge la perfezione agognata. Ogni durezza e fatica nel percorso di elevazione spirituale viene, in tal modo, resa superflua. Seguendo Cristo, ogni uomo miserabile si riscatta dalle difficoltà esistenziali che da solo non riesce a fronteggiare. Alla conoscenza e alla creazione di sé, principi che, per Nietzsche, nel mondo antico sono considerati imprescindibili per ogni individuo nobile e aristocratico, viene sostituita la sequela Christi, l’emulazione di Cristo. Egli indica l’unica maniera per vivere. Ogni individuo che decida di rifiutare il suo esempio è destinato al tormento e al fallimento. Come abbiamo visto, la soluzione di Girard al male mimetico e la vittimizzazione è proprio l’amore per Cristo, la necessità di imitare Dio.

Ma fino a che punto è possibile per l’uomo cristiano?

Per Nietzsche la via breve si rivela solo apparentemente la più immediata. Il Dio che il cristianesimo esorta a imitare si rivela inimitabile. Il cristianesimo prescrive all’uomo un compito infinito, l’essere Dio, destinato fin dall’inizio al fallimento. Come può, in effetti, un animale avvicinarsi alla divinità? Cosa gli consente di accedere a un ordine superiore?

Il nuovo sentimento fondamentale: la nostra definitiva caducità. Una volta si cercava di pervenire al sentimento

della sovranità dell’uomo, indicando la sua origine divina: questa è ora divenuta una via proibitiva, poiché alla sua porta c’è la scimmia accanto ad altri orribili animali, e digrigna intelligentissima i suoi denti come per dire: non oltre questa direzione! Così ora si tenta la direzione opposta: la strada verso cui va l’umanità deve servire a dimostrare la sua sovranità e la sua affinità con Dio. Ahimè, anche così non si arriva a niente! Alla fine di questa strada c’è l’urna funeraria dell’ultimo uomo e dell’ultimo becchino (con la scritta «nihil humani a me alienum

puto»). Per quanto alto possa risultare lo sviluppo dell’umanità – che forse finirà per essere assai più in basso di

quanto non fosse al principio – non c’è per essa alcun trapasso in un ordine più elevato, come non potrebbero la formica e il verme auricolare innalzarsi, al termine della loro «carriera terrestre», all’affinità con Dio e l’eternità. Il divenire si strascica dietro l’essere stato: perché mai in questa eterna commedia ci dovrebbe essere un’eccezione per un qualsiasi piccolo astro, ed ancora per una piccola specie vivente su di esso? Basta con questi sentimentalismi! 192

Non potendo colmare l’abisso ontologico tra sé e Dio, sostiene Nietzsche, l’uomo viene delimitato alla sola condizione del peccatore. Il cristianesimo, in definitiva, spacciando la via

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breve della divinità e dell’imitazione di Cristo come garanzia di perfezione, condanna l’umanità alla sua manchevolezza e animalità.

L’unica speranza di salvezza risiede nel miracolo della Grazia, donata generosamente da Dio ai suoi prediletti. Un miraggio che mortifica ancor di più le potenzialità dell’uomo:

Nel Nuovo Testamento è stabilito il canone della virtù, dell’adempimento della legge, ma in guisa tale che esso è il canone della virtù impossibile: gli uomini che hanno ancora aspirazioni etiche devono imparare a sentirsi, al cospetto di un tale canone, sempre più lontani dalla loro meta, devono disperare della virtù ed infine gettarsi sul

cuore del Misericordioso, - soltanto con questa conclusione il travaglio etico in un cristiano poteva ancora essere

considerato come avente un suo valore, nel presupposto, dunque, che esso restasse sempre un travaglio senza successo, senza soddisfazione, malinconico; così poteva ancora servire a determinare quell’attimo estatico in cui l’uomo vive interiormente «l’irruzione della Grazia» e il miracolo etico. Ma necessaria, questa lotta per l’eticità non lo è; quel miracolo, infatti, aggredisce non di rado proprio il peccatore, quand’egli, per così dire, fiorisce dalla lebbra del peccato; anzi pare proprio che il salto dalla più profonda e radicale peccaminosità al suo contrario sia qualcosa di assai facile e, come palpabile dimostrazione del miracolo, anche qualcosa di più

desiderabile 193.

L’ideale cristiano, pertanto, afferma Nietzsche, alimentando l’illusione di una redenzione immediata, nonostante i limiti invalicabili dell’uomo, priva gli individui della capacità di dominare se stessi:

Esistono ricette in ordine al senso della potenza, in primo luogo per quei tali che possono dominare se stessi e per cui già attraverso di ciò il senso della potenza è divenuto così familiare; in secondo luogo per quegli altri a cui è precisamente questo che manca. Il brahmanesimo si è preso cura degli uomini della prima specie, il cristianesimo degli uomini della seconda 194.

Attraverso la riflessione di Nietzsche possiamo constatare come la soluzione di Girard si riveli inefficace. Possiamo formulare una risposta alla domanda che ci siamo posti più volte: “Come può, l’uomo, animale mimetico, imitare Dio, immune dal mimetismo?”. In che maniera l’imitatore può eguagliare il modello all’interno di una relazione di mediazione esterna se quest’ultima prevede una distanza incolmabile?

193 ivi, (87), p. 64. 194 ibidem, (65), p. 48.

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Secondo Nietzsche, semplicemente non può. L’ideale del cristianesimo e quello di Girard si rivelano una menzogna, una speranza perniciosa.

D’altronde, in base a quanto abbiamo visto nei capitoli precedenti, possiamo dedurre che Girard non formula né indica mai delle modalità concrete secondo le quali sia davvero possibile imitare Cristo. I suoi unici sforzi, essenzialmente, consistono nel biasimo dell’incapacità millenaria dell’uomo di accogliere il messaggio antiviolento e antimimetico dei Vangeli e l’ammonimento alla conversione, pena l’annientamento totale dell’Apocalisse. Le sue soluzioni soteriologiche, possiamo supporre, sono intrise di contraddizioni.

L’uomo viene da lui descritto, per l’appunto, come animale mimetico. Lo studioso ripete più volte che il vero mediatore del mondo umano è Satana, definito il “principe di questo mondo”. Ma in che modo il figlio di Satana può imitare il Figlio di Dio? Girard stesso marca una delimitazione insuperabile. L’imitazione di Cristo si converte inevitabilmente in sentimento di onnipotenza, in altre parole nella volontà mimetica di recitare la parte del modello superiore e privilegiato: «imiter la bienveillance de Dieu, s’attacher à lui, accomplir son devoir constituent des moyens qui peuvent être très puissants d’obtenir un sentiment de toute- puissance et d’invulnérabilité» 195.

Ponendo questa distanza incolmabile, la sua principale preoccupazione è di salvaguardare la purezza e la non violenza di Dio piuttosto che congetturare una via di salvezza per l’uomo. Se, infatti, l’uomo persiste nel suo essere violento e mimetico, la colpa è soltanto sua, giacché si ostina a non seguire Cristo, non di Dio che, al contrario, ricambia l’odio umano con l’amore:

Gesù è il capro espiatorio perché assume su di sé liberamente e per amore tutto l’odio, tutto il disprezzo, tutta la violenza che gli uomini gettano contro Dio. Il Dio cristiano, il Dio dell’amore accoglie su di sé tutto questo odio e tutto questo risentimento, al contrario degli uomini egli non prova invidia e rancore. In questo modo Dio rivela d’essere l’esatto opposto della violenza 196.

195 Philippe d’Iribarne, «René Girard et l’amour évangélique», Violence et vérité, colloque de Cerisy autour de

René Girard, sous la direction de Paul Dumouchel, Paris, Grasset, 1985, p. 231.

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Come afferma Schwager: «He does not seek a quid pro quo. He does not demand en eye for an eye. His limitless forgiveness and boundless love are distinct in every respect from the mechanism of violence and the vicious circle of mutual destructiveness» 197.

Ma, ci si può chiedere, dal punto di vista dell’uomo, quella di Dio non sembra una provocazione? Per quanto la sua risposta si identifichi con il suo amore infinito per l’uomo, la situazione non cambia. L’uomo rimane condannato al suo rancore e al suo mimetismo. Sia che si rivolga a un idolo originato dalla trascendenza della violenza, sia che si prostri dinanzi a un Dio d’amore trascendente, il suo stato non viene stravolto: esso è relegato nell’al di qua del regno della mimesi.

Per Lazzari nelle parole di von Balthasar troviamo una conferma delle contraddizioni di Girard:

il desiderio umano è radicalmente corrotto per scatenare alle origini dell’umanità una guerra di tutti contro tutti, il desiderio di Girard non è quello di Agostino che è il desiderio naturale di Dio, ma il desiderio mimetico che sfocia nell’antagonismo e nella rivalità. Così la relazione drammatica tra il mondo e Dio viene tesa a tal punto che il filo si rompe […] 198.

L’uomo non è naturalmente predisposto all’amore di Dio, la sua natura mimetica glielo impedisce. Il meccanismo del desiderio mimetico e del capro espiatorio vieta ogni soluzione soteriologica:

e nessun dramma è ormai possibile tra i due termini, lo si riconosce dal fatto che il “meccanismo” ivi nascosto elimina ogni libertà quanto all’uomo. […] il divorzio tra bene e male sembra a lui come qualcosa che è senza oggetto, in forza dell’onnipresenza della violenza. Perciò non vi parla affatto di peccato, ma solo d’inimicizia e simili, il concetto di peccato è secondario. E perciò ancora una volta non si vede come Cristo, il capro espiatorio in assoluto, possa portare i peccati del mondo, neppure un peccato presunto, a lui imputato dagli uomini 199.

197 R. Schwager, Must there be scapegoats? Violence and Redemption in the Bible, Harpercollins, New York,

2000, p. 207.

198 F. Lazzari, Sacrificio, religione e Cristianesimo in René Girard, op. cit., p. 150.

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Se si considera la crocifissione come momento di espiazione, si avrà allora una concezione violenta di Dio, quindi sacrificale. Se la si ritiene, invece, come puro atto d’amore di Dio, si spezza il filo tra il divino, amore antimimetico e immune alla violenza, e l’umano, natura mimetica condannata a perseverare nei propri meccanismi violenti, impossibilitata a salvarsi con le proprie forze.

Dio è il concetto massimo di mediatore esterno che reclama l’imitazione ma che, allo stesso tempo, è inimitabile. La sua trascendenza irraggiungibile costituisce davvero un antidoto? Oppure, seguendo Nietzsche, dovremmo concluderne che fomenta ancor di più il desiderio e la miseria?

Inoltre, qualora l’individuo dovesse perfettamente eguagliare Cristo, cosa garantirebbe la continuità della buona mimesi?

Come sostiene Marcireau, Girard non si pone questo problema. Al contrario, egli si appoggia sul postulato del soggetto che, una volta convertito, diviene del tutto immune al mimetismo:

Pour sortir de cette impasse, il faut postuler que l’Individu, une fois sa conversion effectuée, ne revient pas sur son choix et se tourne résolument et définitivement vers l’Absolu, à savoir Dieu. En ce sens, il ne peut plus être soumis à la rivalité mimétique et l’éclat de la sainteté des autres Individus ne provoque pas d’escalade mimétique

200.

Ma cosa assicurerebbe la coesione di una società di uomini totalmente convertiti? Qualora tutti gli individui raggiungessero Cristo, quindi si eguagliassero nella loro perfezione, non si correrebbe il rischio di una crisi d’indifferenziazione? Secondo Hannah Arendt, da una società totalmente santa possono generarsi competizione e ipocrisia:

Una comunità di uomini convinta che si debbano sul serio regolare tutte le faccende umane in termini di bontà, e che dunque non teme di provare ad amare i suoi nemici e di ripagare il male con il bene, in altre parole una comunità che considera vincolante l’ideale della santità – non soltanto per la salvezza della propria anima nel distacco dagli uomini ma per la sistemazione delle stesse faccende umane -, non può fare a meno di tenersi lontana dalla sfera pubblica e dalla sua luce. Deve operare nell’ombra, giacché l’essere visti e uditi produce

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ineluttabilmente quel fulgore e quella apparenza in cui ogni santità, comunque si ponga, si tramuta subito in ipocrisia (Scheinheiligkeit) 201.

Anche Rousseau ritiene l’idea di una società santa un’utopia incapace di tener conto della vera natura dell’uomo. Basta, infatti, un solo uomo ambizioso per far crollare l’impeccabile comunità cristiana:

pour que la société fût paisible et que l’harmonie se maintînt, il faudrait que tous les Citoyens sans exception fussent également bons chrétiens : mais si malheureusement il s’y trouve un seul ambitieux, un seul hypocrite, un Catilina, par exemple, un Cromwell, celui-là très certainement aura bon marché de ses pieux compatriotes 202.

Inoltre, qualora l’individuo convertitosi risultasse immune dal mimetismo, bisognerebbe dedurne che egli sia diventato Dio? Ma come potrebbe la distanza della mediazione esterna assottigliarsi? Vorrebbe dire che essa si tramuta in mediazione interna? Ma, allora, non dovrebbe conseguirne una rivalità con Dio, quindi l’esasperazione del mimetismo?

Il pensiero di Nietzsche può aiutarci a rilevare altri punti critici del sistema di Girard.

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 104-112)