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UNA FALSA IMITAZIONE

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 150-155)

CAPITOLO 3: L’IDIOTA E L’ÜBERMENSCH

3.3 NUOVE DIVINITÀ

3.3.1 UNA FALSA IMITAZIONE

Concependo Cristo come un decadente affetto da idiotismo, Nietzsche, allo stesso modo di Girard, lo rende ineguagliabile.

La sua visione di Gesù è contraddittoria.

Da una parte, infatti, sostiene che l’autentico Vangelo di Cristo, consistente nell’introspezione e nella simbolizzazione della realtà, sia possibile in ogni tempo per chiunque, poiché dissolve la differenza ontologica tra uomo e Dio. Dall’altra, egli lo descrive come un unicum di mansuetudine. La sua beatitudine derivante dalla contemplazione dell’eternità si deve esclusivamente alla sua degenerazione fisiologica, vale a dire alla sua particolare tipologia di

décadence. L’uomo che voglia emulare Cristo dovrà, a sua volta, essere un decadente.

Tuttavia, rifacendosi al personaggio di Dostoevskij, il principe Myŝkin, Nietzsche constata l’impraticabilità dell’emulazione del degenerato Gesù. Il suo eccesso di bontà, invero, contribuisce alla proliferazione del male. Gli uomini, in particolare i decadenti del

ressentiment, non possono accettare una purezza tanto radicale. La loro malizia ne capovolge

il significato, tramutandolo in motivo di persecuzione e odio. Così si spiega, per il filosofo, la fondazione del cristianesimo dogmatico e istituzionale.

Fino a che punto, allora, si può affermare, come fanno Girard e Fornari, che Nietzsche renda Cristo il suo principale mediatore, l’imitazione luciferina del quale degenera nella follia? Prima di tutto, come abbiamo osservato, risulta impossibile stabilire un’altra modalità di imitazione di Cristo che non sia quella diabolica. L’ideale di perfezione morale cui sia la Chiesa sia Girard innalzano l’essere umano è irrealizzabile. La differenza ontologica tra Dio e uomo è, infatti, incolmabile. Esso condanna alla folie circulaire del movimento di penitenza, per il peccato commesso, e di redenzione, nell’avvicinamento entusiastico a Dio che, però, si rivela fallimentare: «La monomania religiosa si manifesta di solito sotto forma di folie

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circulaire, con due stati contraddittori, quello della depressione e quello della tonicità» 262 . In

altre parole, alla relazione di doppio vincolo con il modello Cristo, inimitabile. Esattamente come il tentativo del principe Myŝkin, l’imitatio Christi, più che l’antidoto, si rivela il vizio dell’animo umano, la fomentazione delle sue ambizioni di divinizzazione e delle sue passioni. In termini girardiani, il miglior strumento di Satana, la peggior forma di competizione mimetica.

In secondo luogo, perché Nietzsche non riconosce la divinità di Gesù. Egli stabilisce una netta distinzione fra il Gesù reale, il decadente, e il Crocifisso, ideale mortifero e nichilistico, rigettando entrambi. Mentre il primo incarna un personaggio singolare la cui incomprensione porta a conseguenze nefaste, il secondo si rivela un’illusione contronatura che assoggetta gli individui e ne blocca le qualità migliori. Nei riguardi di queste figure, egli non prova nessuna invidia. Egli non scorge nessuna superiore qualità, nessuna divinità da “strappare” per colmare il suo vuoto e vincere le sue personali competizioni. Semplicemente, per Nietzsche, bisogna andare oltre, abbandonare i sistemi da esse promosse e concepire nuovi orizzonti di valori.

L’interpretazione di Girard e Fornari si rivela, pertanto, inconsistente.

In tal senso, per Laura Balestra, anche le teorie che fanno di Gesù l’autentico oltreuomo sono del tutto infondate. Nello specifico, quella di Massimo Cacciari, contenuta nella sua opera

L’Arcipelago 263:

L’esegesi filosofica più recente sull’Übermensch è stata avanzata da Massimo Cacciari nell’opera L’Arcipelago. In essa si tende a giustapporre l’icona Oltreuomo e l’icona Cristo sulla base di accostamenti determinativi formalmente e vagamente plausibili, ma non sufficientemente icastici e validi tali da poter generare una qualsivoglia affermazione fondante e decisiva sul pensiero di Nietzsche 264.

262 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit., 14 [172], p. 123. Si tratta di un passo che Nietzsche

riprende dal testo di Ch. Féré, Dégénérescence et criminalité, Paris, 1888, BN, letto durante la primavera 1888.

263 M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano, 2005.

264 L. Balestra, Cristo e l’Übermensch nell’opera di Friedrich W. Nietzsche, in Frammenti di cultura del

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Ciò che, per Cacciari, accomuna l’Oltreuomo di Nietzsche a Cristo è la facoltà di tramontare, vale a dire di rinunciare al proprio ego per aprirsi al mondo esterno e all’alterità. L’apertura determina l’incessante processo di sostituzione degli stati consolidati della coscienza e l’accumulo di nuove prospettive d’esistenza. L’accoglienza dello straniero è il dono più prezioso per lo spirito nobile:

Il sinonimo più stretto di “Oltreuomo” è l’“Aperto”: “Luogo” che accoglie e che dona, “luogo” che non si appropria di ciò che riceve, ma lo alimenta, “luogo” che non trattiene, che non cattura, ma ri-lascia ogni cosa al suo tramonto. […] Nessuna comunità “obbligata” […] ma comunità di coloro “che amano solo separarsi, allontanarsi” […] Una comunità di “amicizie stellari”, dove philia si dice veramente nei termini della xenia, come legame d’accoglienza, vincolo di ospitalità nei confronti di chi è veramente straniero, […] dove la presenza di fronte a noi di quel problema, di quello skandalon, che lo straniero esprime, ci appaia come un dono

265.

Tuttavia, secondo Laura Balestra, Cacciari non tiene conto della differenza concettuale tra il tramonto di Cristo, di tipo soteriologico e teleologico, e quello dell’oltreuomo nietzschiano, finalizzato alla creazione del proprio sé. Mentre il primo mira alla redenzione dell’uomo all’interno di una storia lineare e progressiva, il secondo si concentra sull’affermazione artistica dell’individuo in un movimento che si ripropone ciclicamente senza nessun scopo, poiché del tutto pago di sé stesso:

Cristo e l’Übermensch: su quale fundamentum riposa, dunque, l’associazione? Tramonto e redenzione costituiscono caratteri formali appartenenti a Cristo e all’Übermensch, ma il senso, la semantica dei due aspetti, è sostanzialmente diversa: il tramontare di Cristo è un salvifico aprirsi all’altro, all’uomo nella sua totalità e alla totalità degli uomini in una dimensione soteriologica. Il tramontare dell’Oltreuomo è fine a se stesso e ha valenza per il singolo, non ha quel carattere di coinvolgimento di ogni singolo, come il tramontare di Cristo. L’Oltreuomo è solitario, solo, come la solitudine attanagliante il suo artista. Inoltre, il τέλος cristiano è redimere l’umanità dal male, dal peccato, dal dolore con la promessa della vita eterna e beata dell’Al-di-là, l’in-finitas nietzschiana per-duce l’uomo oltre il ponte che ha nome “se stesso”, ma il sentiero è curvo e ricongiunge l’eterno all’eterno, il passato al futuro nell’attimo, la redenzione promessa è il sacro riso del dio antico fanciullo, Dioniso 266.

265 M. Cacciari, L’Arcipelago, op. cit., pp. 145-148.

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La scelta di Dioniso, dunque, esclude qualsiasi affezione di Nietzsche per Cristo. Per quanto egli ne L’Anticristo si esprima in termini positivi sulla vicenda dell’uomo Gesù, egli non lo considera mai il prototipo dell’oltreuomo né, come sostengono Girard e Fornari, il mediatore

par excellence a cui invidiare il privilegio ontologico. Ciò che spinge Nietzsche al culto di

Dioniso è la fascinazione per il mondo pagano, la sua etica aristocratica, non il risentimento per Gesù:

In virtù di quanto esposto finora si converrà, di certo, che l’Übermensch non è Cristo e la verità filologica di una tale affermazione è immediatamente riscontrabile in tutti quei passi in cui il filosofo esprime le proprie considerazioni sulla figura del “lieto messaggero”, i cui accenni appaiono così manifestamente distanti dalla classicità dell’Oltreuomo da rendere le due icone antitetiche. Anzi, più che di opposizione, sarebbe meglio parlare di distinzione e diversità, di riflessioni distinte e diverse. Non esiste, né mai viene posto in essere, un confronto dialettico “Cristo-Übermensch” nell’opera di Nietzsche, per cui una figura risulti vincente a demerito dell’altra. […] Nell’Anticristo rivolge la sua ammirazione verso un uomo di nome Gesù, non verso il Cristo artefatto del ressentiment disangelico. L’icona Gesù è una riflessione che Nietzsche fa internamente alla sua analisi storico-critica del Cristianesimo. L’icona Übermensch appartiene all’ambito a-teo di una riconquista classica del pensiero. Non sussiste relazione, dunque, ma nemmeno antinomia 267.

I veri modelli di Nietzsche, di conseguenza, non sono né Cristo l’idiota né il Crocifisso. Piuttosto, sono i grandi individui che perseguono la creazione artistica del proprio sé, l’insegnamento di Dioniso. Spiriti nobili che Nietzsche rintraccia in determinate epoche: nel mondo antico, sia nella sua versione greca che romana, e nel Rinascimento italiano, il cui apice è l’icona del Principe machiavelliano. Per il filosofo, è la loro virtù aristocratica che va imitata:

Nell’imitatio della virtus e della fides antiche si forgiò il Principe di Machiavelli, il singolo potente e virtuoso, golpe e lione, aristocratico par excellence – avrebbe detto Nietzsche – uno solo: ordinatore, fondatore, detentore dell’auctoritas e del potere, il cui agire era scevro da qualsivoglia imposizione morale alla maniera cristiana. In questa risorta civiltà, fortunata epigona di Greci e Romani, in quest’epoca e in un’Italia governata con l’antica forza di principi e signori, Nietzsche vide il rifiorire dei valori aristocratici, che dicono sì alla vita contro tutti i valori della decadenza 268.

267 ivi, pp. 43-44. 268 ibidem, p. 26.

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Ma, più esattamente, in cosa consiste la virtus dionisiaca? Essa corrisponde all’interpretazione di Girard, vale a dire all’esasperazione del mimetismo e alla violenza sacrificale?

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