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IL SACRIFICIO DI DIO

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 76-80)

CAPITOLO 2: LA FOLLIA DI DIONISO

2.2 IL TEOLOGO NIETZSCHE

2.2.1 IL SACRIFICIO DI DIO

Girard ritiene che Nietzsche sia il più grande teologo del XIX secolo.

Contrariamente alle interpretazioni tradizionali, per lui, bisogna valorizzare la dimensione religiosa della filosofia nietzschiana:

la problematica religiosa di Nietzsche era già stata emarginata allorché i critici francesi cominciarono la loro impresa esegetica. […] Perfino dal punto di vista degli studi nietzschiani intesi nel senso più stretto, un simile atteggiamento negazionista rappresenta una mutilazione. Esso ci priva di ciò che è veramente più originale e appassionante nell’opera di Nietzsche. […] non possiamo avere alcun dubbio sulla circostanza evidente che più ci avviciniamo alla catastrofe finale più il tema del cristianesimo diventa ossessivo per il filosofo 137.

A cosa si deve l’opinione di Girard? Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che per lo studioso francese Nietzsche rappresenta un caso emblematico di malattia mimetica, un uomo del sottosuolo che misconosce il suo male. Inoltre, la patologia lo induce a venerare l’idolo della pazzia, Dioniso. In che senso, allora, può essere considerato un teologo? Quale verità cristiana emergerebbe dagli scritti nietzschiani se il loro intento è proprio la demolizione del cristianesimo?

Nella prospettiva di Girard, infatti, considerare Nietzsche un teologo comporta la necessità di sostenere che il filosofo tedesco sia consapevole prima della natura del sacro e del ruolo del sacrificio, poi dell’originalità antropologica del cristianesimo. Due elementi che, secondo lui, sarebbero presenti nell’opera del filosofo tedesco:

Nietzsche estaba, en efecto, absolutamente convencido de la singularidad de la perspectiva bíblico-cristiana, rechazando en cierto modo la equivalencia establecida por el posetivismo entre todas las tradiciones religiosas. Él –observa todavía Girard – conocía demasiado bien la mitología pagana como para no disgustarse por la superficial asimilaciόn de la tradiciόn judaico-cristiana a ella 138.

137 R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche, op. cit., pp. 64-65.

138 S. Langella, Friedrich Nietzsche, René Girard y el «pecado original» del cristianismo, in Azafea. Rev. filos., 11,

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In quali passi sarebbe possibile rintracciare la consapevolezza di Nietzsche? Per Girard, in uno dei suoi aforismi più celebri: quello relativo alla morte di Dio:

L’uomo folle. Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al

mercato e si mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? – E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «Si è forse perduto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino?» fece un altro. «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?» gridavano e ridevano in una gran confusione. L’uomo folle balzò in piedi in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n’è andato Dio?» gridò «ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli – chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatòri, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di quest’azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai azione più grande – e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di quest’azione, a una storia più alta di quanto mai siano state le storie fino ad oggi!» 139.

A differenza dell’esegesi erronea degli interpreti, i quali leggono le parole dell’uomo folle come l’annuncio della morte “naturale” di Dio, intesa come fine del processo storico del cristianesimo e della sua morale, Girard ritiene che Nietzsche stia parlando di un assassinio di tipo sacrale, ossia di un sacrificio:

Ciò che ognuno è andato annunciando, ovviamente, è che il Dio biblico sta morendo di vecchiaia. Si tratterebbe, in altre parole, di una morte più o meno naturale. Quasi tutti credono che il testo di Nietzsche si riferisca esclusivamente all’ateismo moderno. L’ateismo fa senza dubbio parte della storia, ma ne è solo una parte, e anche alquanto enigmatica, dal momento che l’aforisma nietzschiano rigetta con parole del tutto esplicite proprio la nozione che ognuno cerca di trovarvi, la nozione di Dio inteso come qualcosa di veramente infantile e insignificante, di cui gli uomini hanno un po’ alla volta imparato a fare a meno […]. Invece di questo graduale affievolimento di Dio, che si manifesterebbe senza alcuna violenza o dramma particolare, Nietzsche vede la scomparsa di Dio come un orrendo assassinio al quale ogni uomo ha partecipato: «Siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini!» 140.

139 F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft (1882), tr. di F. Masini: La gaia scienza, Adelphi, Milano, 1977, (125),

pp. 162 – 163.

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Rimarcando il gesto dell’assassinio di Dio, secondo Girard, Nietzsche intravede la vera origine del religioso:

Il punto è che gli dèi non devono esistere realmente per essere uccisi e, di fatto, se non vengono prima uccisi, essi non esisteranno mai. Contrariamente agli esseri ordinari, che possono esistere solo se non vengono assassinati, gli dèi cominciano a esistere come dèi, perlomeno agli occhi degli uomini, soltanto dopo essere stati uccisi. […] Egli sembra aver avvertito che il crimine collettivo fosse l’idea più potente ma anche quella più difficile da comunicare, un’idea che sarebbe stata osteggiata ed elusa con la più grande energia. Bisognava dunque dare alla cosa maggior enfasi, e Nietzsche lo ha fatto, fino a includere una macabra descrizione dell’assassinio collettivo di Dio 141.

Nella prospettiva dell’antropologo francese, le conseguenze dell’assassinio di Dio sono squisitamente religiose. Esso, infatti, non sancisce la fine della religione. Al contrario, ne rappresenta un inizio, una rinnovata fondazione. Il sacrificio di Dio, per Girard, svolge la funzione del rituale. Esso perpetua il meccanismo dell’eterno ritorno sacrificale per incanalare le tensioni mimetiche e innalzare nuove forme di trascendenza da cui ricavare nuovi orientamenti valoriali:

E il crimine è così grande che nuove feste di purificazione e nuovi giochi sacri dovranno essere inventati. Non v’è dubbio che appariranno nuovi rituali. Le conseguenze dell’assassinio di Dio sono dunque religiose, squisitamente religiose. Proprio l’azione che sembra porre termine al processo religioso è in effetti l’origine di quel processo, la sua ricapitolazione completa, il processo religioso per antonomasia. Queste nuove feste e questi nuovi giochi sacri certamente ripeteranno l’assassinio collettivo di Dio. Saranno riti sacrificali. La morte di Dio è in realtà la sua nascita 142.

Se, dunque, in base alle parole girardiane, nel testo di Nietzsche si riscontrano tutte le sfumature legate al sistema del sacro (dall’immolazione agli effetti catartici del transfert collettivo, passando per la colpevolizzazione e la devozione per la vittima uccisa), possiamo affermare che egli condivida la stessa idea di Girard sul processo vittimario, costitutivo della dimensione religiosa.

141 ivi, pp. 81-82. 142 ibidem, p. 82.

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Per Girard, infatti, tutti i livelli primari del passo testimonierebbero la consapevolezza di Nietzsche, compresa l’importanza antropologica della rivelazione cristiana:

Il livello più evidente riguarda la moderna cancellazione dell’assassinio collettivo di Dio; un po’ sotto viene l’assassinio collettivo degli dèi pagani come forza generatrice della loro esistenza, e ancora più sotto viene il livello più difficile di tutti, la Passione di Gesù, che non può essere la morte del Dio cristiano nel senso degli dèi pagani fatti nascere dalla loro morte, ma che può veramente rappresentare la morte di tutti gli altri dèi nel senso banale che abbiamo in mente quando parliamo di “morte di Dio”. Certo bisogna anche aggiungere che questi dèi pagani sono “duri a morire”, o piuttosto nascono continuamente in opere come quella di Nietzsche 143.

Se, pertanto, a detta di Girard, riscontriamo nel testo quest’ultimo rilevante aspetto, la Passione di Cristo come morte degli dei pagani, vale a dire del sistema vittimario, possiamo concludere che Nietzsche sia pienamente cosciente della centralità e originalità del cristianesimo. L’essere pervenuto a tale cognizione lo renderebbe, agli occhi di Girard, un teologo. Quindi, anche nel caso del cristianesimo, egli rappresenterebbe un antesignano dell’antropologia evangelica girardiana: «Il pensiero di Nietzsche, dell’ultimo Nietzsche, […] a solo un anno di distanza dalla follia, sembra avere spiegato le vele verso l’interpretazione autentica del messaggio e della rivelazione evangelica […] sorprendentemente in sintonia con la rilettura girardiana delle narrazioni neotestamentarie» 144.

Tuttavia, possiamo chiederci in che modo riescano a coesistere i due lati contradditori della personalità e del pensiero di Nietzsche: l’uomo del sottosuolo e il teologo. Perché, infatti, egli non ricorre al cristianesimo per fronteggiare la propria malattia mimetica? Per Girard una prima spiegazione consiste nella persistenza degli dei pagani nella sua opera, divinità che sono dure a morire nonostante l’influenza del cristianesimo. L’assassinio di Dio, prosegue lo studioso francese, permette la rigenerazione degli idoli:

143 ivi, p. 87.

144 L. Balestra, Mito, Verità, Rivelazione: il «non resistere malo» in Girard e Nietzsche, in Dialeghestai. Rivista

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Se Dio è sempre il risultato del suo assassinio collettivo, questo testo non afferma allora che la morte degli dèi equivale alla loro vita e che la vita degli dèi equivale alla loro morte? Che cos’è questa sorta di eterno ritorno della religione? È in grado Nietzsche di spiegarcelo? 145

D’altronde, Nietzsche stesso suggerisce la necessità di quest’ umana creazione di nuovi idoli: «Non dobbiamo anche noi diventare dèi?». Ma come avviene questo processo di divinizzazione? Chi bisogna adorare? Chi immolare?

Come abbiamo visto prima, l’unico dio di Nietzsche è Dioniso.

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 76-80)