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LE PASSIONI CRISTIANE

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 112-118)

CAPITOLO 3: L’IDIOTA E L’ÜBERMENSCH

3.1 LA DECADENZA DEL CRISTIANESIMO

3.1.2 LE PASSIONI CRISTIANE

Secondo Nietzsche, la pretesa di un avvicinamento a Dio ha come unico esito quello di trascinare l’umanità in basso, di provocare il suo disfacimento valoriale.

Il cristianesimo abolisce la ragione dei saggi, fondamento etico della filosofia pagana, incentrato sul dominio di sé, e fomenta le passioni in nome di Dio:

Il cristianesimo e le passioni. Dal cristianesimo si leva ai nostri occhi anche una grande protesta popolare contro

la filosofia: la ragione dei vecchi saggi aveva sconsigliato agli uomini le passioni, il cristianesimo vuole

restituirle ad essi. A questo fine contesta alla virtù, così come era concepita dai filosofi, - come vittoria della

ragione sulla passione, - ogni valore morale, condanna in genere la razionalità e sfida le passioni a manifestarsi nella loro estrema pienezza di forza e magnificenza: come amore di Dio, timor di Dio, come fanatica fede in Dio, come la più cieca speranza in Dio 203.

201 H. Arendt, Che cos’è la politica, tr. di M. Bistolfi, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, p. 48.

202 J. J. Rousseau, Du contrat social et autres œuvres politiques, Paris, Garnier, 1975, livre IV, chapitre VIII, p.

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Da una parte, infatti, si staglia un Deus absconditus, lontano e inconoscibile, che non interviene mai per redimere l’uomo dalla sua condizione di peccatore né per concedergli la verità agognata:

La rettitudine di Dio. Un Dio che è onnisciente e onnipotente, e che non provvede neppure a che la sua

intenzione venga compresa dalle sue creature, dovrebbe essere un Dio di bontà? Un Dio che lascia persistere innumerevoli dubbi e scrupoli per interi millenni, come se essi non fossero pericolosi per la salvezza dell’umanità, e che tuttavia mette ancora in evidenza le spaventose conseguenze di un cadere in errore riguardo la verità? Non sarebbe un Dio crudele, se possedesse la verità e potesse osservare come l’umanità si tormenta disperatamente per essa? Ma forse è pur sempre un Dio di bontà, - e tutto sta nel fatto che non poteva esprimersi più chiaramente! Gli mancava forse l’intelligenza per questo? oppure l’eloquenza? Tanto peggio! Se così fosse, avrebbe errato forse anche in ciò che egli chiama la sua verità e non sarebbe lui stesso tanto lontano dal «povero diavolo truffato». Non dovrebbe allora sopportare quasi infernali torture nel vedere che, per amore della conoscenza di lui, le sue creature soffrono così e continuano a soffrire ancora di più per tutta l’eternità, e nel non poter dare un consiglio e un aiuto, se non come un sordomuto che fa ogni sorta di segni ambigui quando alle spalle del suo bambino o del suo cane sta il pericolo più terribile? 204

La crudeltà del sordomuto Dio acuisce ancor di più il tormento dell’uomo. Dall’altra parte, difatti, troviamo un animale fisiologicamente contrassegnato dall’errore. L’inevitabilità di quest’ultimo, tuttavia, viene interpretata dalla fede cristiana come arbitrarietà del peccato, ossia come libera scelta del male:

Povera umanità! Una goccia di sangue di troppo o di meno nel cervello può rendere la nostra vita indicibilmente

miserabile e dura, così che noi abbiamo a soffrire di questa goccia più che Prometeo nel suo avvoltoio. Ma il peggio viene soltanto quando non si sa nemmeno che quella goccia è la causa. Bensì «il diavolo»! Oppure «il peccato»! 205

Cos’è, più precisamente, il peccato? Il peccato consiste nell’inadempienza all’ideale cristiano della perfezione. Un ideale che, come abbiamo constatato precedentemente, non può essere realizzato. Esso cozza con i limiti fisiologici e psicologici dell’essere umano.

Per Nietzsche, il cristianesimo propina dei valori che misconoscono la natura degli individui. La sua morale è contronatura. Così facendo, presenta Dio come nemico della vita:

204 ivi, (91), pp. 66-67. 205 ibidem, (83), p. 62.

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Riduco in formula un principio. Ogni naturalismo nella morale, vale a dire ogni morale sana è dominata da un istinto della vita – un certo imperativo della vita viene adempiuto con una determinata regola del «tu devi» e del «tu non devi», un certo intralcio e una certa ostilità nel cammino della vita vengono in tal modo tolti di mezzo. La morale contronatura, vale a dire quasi ogni morale che sia stata insegnata, venerata e predicata fino a oggi, si volge viceversa proprio contro gli istinti della vita – è una condanna ora segreta, ora aperta e sfrontata, di questi istinti. Dicendo «Dio guarda al cuore», essa dice no alle infime e alle supreme bramosie della vita e considera

Dio come nemico della vita… Il santo, in cui Dio ripone la sua compiacenza, è il castrato ideale… La vita finisce

là dove ha inizio il «regno di Dio»…206

La natura dell’uomo è istintuale. Dagli istinti derivano le sofferenze e i dolori, esperienze, come vedremo in seguito, che Nietzsche considera imprescindibili per fortificare gli spiriti più nobili. L’individuo deve accettare la sua bassezza, la sua animalità. Sognare di esserne privi, di disfarsene, di rinnegarle equivale alla follia dell’illusione allucinatoria, alla volontà del nulla. Il cristianesimo non si preoccupa di gestire saggiamente gli istinti e le passioni. Esso vuole solo castrare. La sua prassi è ostile a ogni movimento vitale ed energico:

Annientare le passioni e le brame, semplicemente per la loro stupidità e per prevenire le spiacevoli conseguenze

della loro stupidità, non ci appare oggi che una forma acuta di stupidità. Non ammiriamo più i dentisti che

strappano i denti perché non facciano più male… Si ammetterà d’altro canto, non senza ragione, che sul terreno

su cui è allignato il cristianesimo il concetto di «passione spiritualizzata» non poteva affatto essere concepito. La Chiesa primitiva combatteva, anzi, come è noto, contro gli «intelligenti» a favore dei «poveri di spirito»: come ci si potrebbe aspettare da essa una guerra intelligente contro la passione? – La Chiesa combatte la passione con l’estirpazione in ogni senso: la sua pratica, la sua «terapia» è il castratismo. Essa non domanda mai: «Come si può spiritualizzare, adornare, divinizzare un desiderio?» - in ogni tempo essa ha messo l’accento della disciplina sulla distruzione (della sensualità, della superbia, della sete di dominio, dell’avidità di possesso, della bramosia di vendetta). – Ma attaccare le passioni alla radice della vita significa attaccare alla radice la vita: la prassi della Chiesa è ostile alla vita…207

Il principio della religione cristiana si mostra nel movimento moralista che pretende di cambiare l’uomo, di conformarlo a una rigida concezione del “dover essere” stridente con il suo essere fattuale, con la ricchezza del reale:

206 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., (4), p. 52. 207 ibidem, (1), pp. 48-49.

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Consideriamo infine ancora quale ingenuità sia dire: «L’uomo dovrebbe essere così e così!». La realtà ci mostra una mirabile ricchezza di tipi, l’opulenza di un prodigo giuoco e alternarsi di forme; e un qualsiasi miserabile fannullone di moralista esce al riguardo in queste parole: «No! L’uomo dovrebbe essere diverso»?... Sa perfino come dovrebbe essere, questo smunto bigotto: dipinge se stesso alla parete e poi dice «ecce homo!»… Ma anche quando il moralista si rivolge soltanto al singolo e gli dice: «Tu dovresti essere così e così!», non cessa di rendersi ridicolo. Il singolo è un frammento di fatum, sotto ogni aspetto, una legge di più, una necessità di più per tutto ciò che accade e che accadrà. Dirgli «trasformati» significa pretendere che tutto si trasformi e perfino che se ne vada all’indietro…208

Ma la morale cristiana del perfezionamento non può che dimostrarsi un tremendo equivoco, nonché una patologia deleteria:

tutta quanta la morale del perfezionamento, anche quella cristiana, è stata un equivoco… La più cruda luce

diurna, la razionalità ad ogni costo, la vita chiara, fredda, prudente, cosciente, senza istinto, in contrasto agli istinti, era essa stessa soltanto una malattia, una malattia diversa – e in nessun modo un ritorno alla «virtù», alla «salute», alla felicità…209

L’inevitabile sconfitta teologica, afferma Nietzsche, enfatizza l’innata tendenza al peccato del cristiano. Più quest’ultimo viene respinto dall’ideale della perfezione, più si confessa irrazionale e diabolico.

Il cristianesimo, di conseguenza, con il suo proposito di miglioramento, condanna paradossalmente l’umanità al peccato.

Se, dunque, consideriamo valida l’interpretazione di Girard della volontà di potenza e degli istinti, intesi come mimetismo, dobbiamo dedurre dalle parole del pensatore tedesco che l’ideologia cristiana alimenti la mimesi, considerando la virtù della rinuncia l’oggetto principale del desiderio mimetico.

In tal modo, possiamo affermare che il ricorso all’imitatio Christi, modello irraggiungibile di mediazione esterna, ottiene come risultato quello di consolidare la prigionia mimetica.

208 ivi, (6), pp. 53-54. 209 ibidem, (11), p. 38.

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In particolare, sono due i dogmi della teologia cristiana, per Nietzsche, che incrementano la frenesia delle passioni, vale a dire, nell’ottica di Girard, il desiderio mimetico: la dottrina dell’immortalità dell’anima e la dottrina dell’uguaglianza di tutte le anime:

La grande menzogna dell’immortalità personale distrugge ogni ragione, ogni natura nell’istinto – tutto quanto negli istinti è benefico, promotore di vita, mallevadore dell’avvenire, desta ormai diffidenza. Vivere in modo che non ha più senso alcuno vivere, questo diventa ora il «senso» della vita . . . A che scopo uno spirito comunitario, a che scopo serbare ancora gratitudine alla stirpe e agli antenati, a che scopo collaborare, confidare, promuovere e avere di mira un qualsivoglia bene comune? . . . Sono altrettante «tentazioni», altrettante deviazioni dalla «retta via» – «urge una sola cosa» . . . Che ognuno, in quanto «anima immortale», sia allo stesso livello di ogni altro, che nell’insieme di tutti gli esseri la «salvezza» di ogni individuo possa rivendicare un’importanza eterna, che piccoli baciapile, e mentecatti per tre quarti, possano immaginarsi che a cagion loro le leggi della natura vengono costantemente infrante – un siffatto accrescimento all’infinito, spinto fino all’improntitudine, d’ogni sorta d’egoismo non potrà mai essere bollato con sufficiente disprezzo. E tuttavia il cristianesimo deve la sua vittoria a

questa miserabile adulazione della vanità personale – in tal modo esso ha attratto a sé precisamente tutti i falliti,

tutti coloro che covano la rivolta, tutti coloro che se la sono cavata male, l’intera feccia e schiuma dell’umanità. La «salvezza dell’anima» – significa: «intorno a me ruota il mondo»…210

La dottrina dell’immortalità, secondo Nietzsche, è colpevole di esacerbare l’illusione della divinizzazione personale. Il cristiano è incentivato a seguire i dettami della fede non per autentici scopi morali, ma per essere ripagato nell’aldilà con l’eternità e la benedizione celeste, con l’essere l’eletto di Dio, con l’appropinquarsi a Dio. Le leggi dell’universo vengono abolite per ribaltare la condizione di miseria dell’uomo cristiano, essere debole e malriuscito, che auspica di rifarsi dalla sua condizione di minorità in un mondo celeste dove potrà ricoprire la posizione del dominatore, del vincente. La sua obbedienza a Dio si deve al ribaltamento della volontà di potenza: egli brama il passaggio dalla condizione di schiavo a quella di padrone. In chiave girardiana, la prospettiva dell’immortalità dell’anima promette, sebbene nel mondo ultraterreno, di realizzare la speranza di incarnare il ruolo del modello superiore e privilegiato, scopo arduo da conseguire nella vita mondana. Girard stesso, quando accosta l’imitazione luciferina di Nietzsche a quella di Kirillov, sostiene che il cristianesimo instilli negli individui dall’anelito prometeico l’ambizione mimetica della divinizzazione: «La

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sete d’immortalità trasfigura i desideri del cristiano. Né la scienza né l’umanesimo possono placare questa sete. Né l’ateismo filosofico né le utopie sociali arresteranno il folle inseguimento in cui ciascuno si sforza di strappare al suo prossimo una divinità fantasma» 211. La dottrina dell’uguaglianza di tutte le anime, invece, porta alla credenza nell’imprescindibilità della massa. Essa è il fondamento di ogni conformismo violento che ostacola la crescita personale degli individui migliori. Non è, infatti, possibile stabilire delle differenze qualitative tra i soggetti. L’originalità di ognuno viene divorata dal meccanismo conformante. Ogni tentativo di elevatezza, ogni gusto aristocratico è bandito. Per Nietzsche, si tratta di una conseguenza che accresce il fanatismo e genera rivoluzioni sanguinose:

E non sottovalutiamo la sorte funesta che dal cristianesimo si è insinuata fin nella politica! Nessuno oggi ha più

il coraggio di vantare diritti particolari, diritti di supremazia, un sentimento di rispetto dinanzi a sé e ai suoi pari – un pathos della distanza . . . La nostra politica è malata di questa mancanza di coraggio! – L’aristocraticità del modo di sentire venne scalzata dalle più sotterranee fondamenta mercé questa menzogna dell’eguaglianza delle anime; e se la credenza nel «privilegio del maggior numero» fa e farà rivoluzioni, – è il cristianesimo, non dubitiamone, sono gli apprezzamenti cristiani di valore quel che ogni rivoluzione ha semplicemente tradotto nel sangue e nel crimine! Il cristianesimo è una rivolta di tutto quanto striscia sul terreno contro ciò che possiede un’altezza: il Vangelo degli «infimi» rende infimi e bassi . . .212

Ricorrendo alla terminologia di Girard, possiamo sostenere che tale dottrina rappresenti la causa scatenante del mimetismo gregario. Essa costituisce la più potente legittimazione dell’autorità della moltitudine, in particolare della sua sete di sangue. In tal senso, essa approva i risvolti sacrificali con cui l’agglomerato di soggetti mimetici decreta l’espulsione o l’uccisione della vittima. Il misconoscimento mitico, di conseguenza, trova nella dottrina dell’uguaglianza delle anime il suo cardine, poiché trasforma i mediatori esterni in mediatori interni.

L’analisi di Nietzsche sulle passioni cristiane porta ad un esito opposto a quello dello studio girardiano. Per lo studioso francese, la Passione di Cristo implica la cessazione del mimetismo, vale a dire, tradotta in termini nietzschiani, della volontà di potenza.

211 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p.? 212 F. Nietzsche, L’Anticristo, op. cit., (43), p. 208.

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Al contrario, il filosofo tedesco ritiene che l’ideale cristiano, incentrato sulla divinità di Cristo e sull’urgenza di seguire il suo esempio per fronteggiare il peccato, a causa della sua impossibilità, sia il motivo dell’estremizzazione delle passioni più subdole e spregevoli, quelle dell’invidia e della menzogna. Due passioni che contraddistinguono la volontà di potenza più debole, quella dei malriusciti.

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 112-118)