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L’IMITAZIONE LUCIFERINA DI CRISTO

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 86-92)

CAPITOLO 2: LA FOLLIA DI DIONISO

2.2 IL TEOLOGO NIETZSCHE

2.2.3 L’IMITAZIONE LUCIFERINA DI CRISTO

Perché, dunque, Nietzsche ricorre alla vendetta sacrificale di Dioniso a discapito delle vittime, adottando una soluzione folle e sanguinaria?

Il motivo, secondo Girard, è che Cristo, dopo Wagner, rappresenta il principale mediatore di Nietzsche. La scelta di Dioniso e la critica al risentimento cristiano fungono da mezzi di repressione, di misconoscimento dell’influenza esercitata dal suo più autorevole modello. Imbastendo una netta opposizione fra lui e Cristo, egli tenta disperatamente di salvare il proprio orgoglio. Tuttavia, l’oscillazione dissociativa fra i due poli, Dioniso e Cristo, non può che condurre alla pazzia: «L’oscillazione tra i due poli è frenetica lungo l’arco dell’intera carriera del pensatore, malgrado egli cerchi in ogni modo di eliminarla, e i suoi scritti,

156 M. Müller, Intervista con René Girard, op. cit. 157 R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche, op. cit., p. 74.

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essendo lo strumento di questa eliminazione, sono quasi sempre fissati su una sola estremità del quadrante» 158.

Ma fino a che punto si può sostenere che Nietzsche invidi e ammiri Cristo se la sua intera filosofia si propone di contestare la morale negatrice del cristianesimo, nonché la divinità di Gesù? Si possono rintracciare degli indizi evidenti di un così inaspettato apprezzamento? Riccardo Di Giuseppe individua in una delle strofe di un canto scritto da Nietzsche, appartenente ai due Juvenilia 159 allegati alla lettera scritta a Raimund Granier il 28 luglio del 1862, una prova fondamentale a sostegno della tesi di Girard:

Ich war verloren, Taumeltrunken, Versunken,

Zur Höll’ und Qual erkoren. Du standst von ferne: Dein Blick unsaglich Beweglich

Traf mich so oft: nun komm‘ ich gerne.

Io ero perduto,

ebbro fino a barcollare, prostrato,

destinato all’inferno e al tormento. Tu stavi in lontananza:

ineffabilmente, commoventemente

il tuo sguardo così spesso mi ha colpito: con gioia ora io vengo.

Per Di Giuseppe, il testo è rivelatore dell’ammirazione di Nietzsche per Cristo. Un sentimento di devozione che, sebbene rinnegato dalla filosofia dionisiaca, accompagna il filosofo per tutta la sua vita, anche negli anni della follia:

158 ivi, p. 62.

159 Neues aus Nietzsches Jugend. Unbekannte Verse und Entwürfe Friedrich Nietzsches, eing. v. F. Dernburg,

«Der Zeitgeist», Beiblatt zur Berliner Tageblatt vom 24. November 1902, Nr. 47. Prima ed. crit. in BAB (Historisch-kritische Ausgabe METTE) 1, 1938, n. 197, pp. 192-195. Cf. ora NIETZSCHE, KGB I 1, n. 324, pp. 217

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Si è detto che la sua vita è una composizione ad anello, e che principio e fine della sua filosofia si congiungono nello spettro sedicente di Dioniso. Ma ora scopriamo che c’è come un anello più largo che, questa volta, misura

la vita di Nietzsche, e che questo è rappresentato dal nome di Gesù Cristo che, a diciassette anni, pur essendo già

occultato […] precede Dioniso con accordi insospettati. Perciò, se non spetta agli epigoni giudicare l’uomo Nietzsche, ma solo stare in guardia dalle sue fanfaronate, nulla, forse, impedisce di chiedersi se la sua morte non abbia concluso, con la vita di quest’uomo, un anello più spazioso e più chiaro, un ritorno ai veri inizi, nella luce di Gesù Cristo 160.

Possiamo sostenere, ricorrendo alla teoria girardiana, che la venerazione di Cristo della giovinezza di Nietzsche si configuri come una relazione di mediazione esterna: il filosofo riconosce apertamente la superiorità del proprio modello e la propria dipendenza. Come mai, allora, in seguito, Cristo si tramuta in rivale? Che cosa comporta il passaggio dal rapporto di mediazione esterna a quello di mediazione interna?

Secondo Girard, il conflitto con Cristo deriva dall’acuirsi della malattia mimetica del pensatore. La mimesi illude gli uomini di poter sostituire Dio, di poter divenire dèi gli uni per gli altri. Le urla dell’uomo folle, per lui, sono in tal senso emblematiche: «Non dobbiamo anche noi diventare dèi?». Per farlo, bisogna strappare la divinità ai propri nemici, coloro che, in quanto mediatori, godono della pienezza d’essere. E chi, più di Dio, gode della pienezza ontologica? E chi, più dell’orgoglioso Nietzsche, ambisce a eguagliarlo? Le parole di Zarathustra, argomenta l’antropologo, rispecchiano il suo desiderio: «se vi fossero degli dèi, come potrei sopportare di non essere dio!» 161.

Secondo Girard, Nietzsche vede in Cristo il principale ostacolo alla sua divinizzazione. Il cristianesimo, infatti, concepisce la divinità di Cristo come un privilegio: solo Gesù è figlio di Dio, solo lui può salvare gli uomini dai loro peccati. Il rifiuto nietzschiano di Cristo è dettato dall’invidia: «Il rifiuto di Cristo era perciò inevitabile, una tappa fatale e obbligata, che accompagna sin dall’inizio, sin dagli scritti giovanili, l’evoluzione del pensatore,

160 R. Di Giuseppe, Un inedito sulla follia di Nietzsche a Torino, in RIFD Rivista internazionale di filosofia del

diritto, serie V, anno LXXXVI, n. 4, ottobre/dicembre 2009, p. 543.

161 F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra (1881-1885), tr. di M. Montinari: Così parlò Zarathustra, in Opere, cit.,

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tormentandolo però in misura crescente» 162. La sua critica al cristianesimo, afferma Girard, è

influenzata dalla sua aspirazione usurpatrice, dalla volontà di uccidere il rivale-Dio: «L’uomo bestemmia Dio perché lo vorrebbe uccidere al suo posto, vorrebbe compiere in lui il più antico dei sacrifici sostitutivi: è questa la definizione stessa dell’origine dell’umanità […]. Nella sua ansia di ribellione teologica, […] Nietzsche non poteva non toccare anche questo punto» 163.

Ma come può l’uomo ribellarsi a Cristo? In cosa consistono le sue pretese di divinizzazione? Per Girard, Dostoevskij, ne I demoni 164, si rivela profeta della deriva imitativa umana e critico di ogni insensata impresa di divinizzazione:

Dostoevskij è il profeta di tutte le deificazioni dell’individuo che si sono succedute dalla fine del XIX secolo in poi. […] Dostoevskij non giustifica le ambizioni prometeiche, le condanna formalmente, profetizza il loro insuccesso. La superumanità di Nietzsche non sarebbe stata ai suoi occhi che un sogno sotterraneo 165.

Grazie all’opera di Dostoevskij, dichiara lo studioso francese, possiamo comprendere la dissennatezza dell’imitazione di Nietzsche. Rinunciando a ogni forma di trascendenza, egli consacra la propria pretesa di autonomia alla valorizzazione dell’orgoglio. Per il filosofo, il cristianesimo deve essere rinnegato per innalzare un nuovo tipo di santità, quella della solitudine e dell’amor proprio:

La superumanità si fonderà su una duplice rinuncia alla trascendenza verticale e alla trascendenza deviata. Zarathustra si sforza di penetrare nel santuario della propria esistenza in nome di un’ascesi purificatrice analoga all’ascesi religiosa, ma di senso contrario. L’analogia è sottolineata di continuo dallo stile e dalle immagini bibliche. Così parlò Zarathustra è un nuovo vangelo che pone fine all’era cristiana. L’orgoglio non è più la tendenza naturale dell’uomo, ma la più alta, la più austera di tutte le vocazioni. L’orgoglio si mostra ormai soltanto contornato dalle sue virtù teologali. […] Il pensatore ci propone un ideale di quasi santità fatto apposta, questa volta, per sedurre gli spiriti più nobili e più forti 166.

162 R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche, op. cit., p. 209. 163 ibidem, p. 220.

164 F. Dostoevskij, I demoni, tr. di A. Polledro, Einaudi, Sagrate, 2014. 165 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit., p. 239. 166 ibidem, p. 235.

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In base alla teoria girardiana, la negazione di Cristo e l’esaltazione dell’orgoglio comportano la venerazione del Nulla costitutivo dell’uomo. Il risultato, ad ogni modo, non può che essere nefasto. Nel momento in cui l’individuo prometeico comprende l’impossibilità di eguagliare Dio, giacché ontologicamente limitato dalla sua mancanza d’essere, decreta il trionfo della mimesi sui suoi propositi di vittoria. Un destino che Nietzsche condivide con il personaggio Kirillov. Anche quest’ultimo è un imitatore di Cristo. Nel tentativo di scalzarlo, ricorre al suicidio. Se, infatti, Cristo muore sulla croce per redimere gli uomini, Kirillov uccide se stesso per sacralizzare il proprio nulla, nel disperato tentativo di dimostrare che l’unica via possibile all’umanità per la redenzione è adorare la mancanza d’essere che la costituisce, senza più affidarsi a Dio. Il Nulla dell’uomo s’identifica con la morte. Ma l’esito del suo piano non può che essere la distruzione fine a se stessa, l’impossibilità di sostenere da soli il peso del Nulla. La sua sconfitta sancisce la necessità per l’individuo di abbandonarsi a Dio:

Come Zarathustra, […] Kirillov vuole adorare il proprio nulla. Vuole adorare ciò che ciascuno di noi scopre di più miserabile e di più umiliante nel profondo di sé. […] Kirillov è ossessionato dal Cristo. In camera sua c’è una icona e, davanti all’icona, ceri accesi. Agli occhi lucidi di Verchovenskij, Kirillov è “più credente di un pope”. Kirillov fa del Cristo un mediatore non nel senso cristiano, ma nel senso prometeico, nel senso romanzesco del termine. È appunto il Cristo che Kirillov imita orgogliosamente. Per porre fine al cristianesimo occorre una morte analoga a quella del Cristo ma di senso inverso. Kirillov è la scimmia della redenzione. Come tutti gli orgogliosi brama la divinità di un altro e diventa il rivale diabolico di Cristo. In questo supremo desiderio le analogie fra la trascendenza verticale e la trascendenza deviata sono più nette che mai. Il senso luciferino della mediazione orgogliosa è svelato appieno. […] Il suicidio di Kirillov è una dimostrazione la cui portata è data dalle virtù dell’eroe. […] Se quest’eroe non può morire in pace, se le leggi della colpa e della redenzione non sono sospese per questo santo dell’orgoglio, non saranno sospese per nessuno. Gli uomini continueranno a vivere e a morire all’ombra della croce 167.

Quella di Nietzsche si rivela, conclude Girard, un’imitazione luciferina, poiché influenzata da Dioniso e Satana, incarnazioni del mimetismo. L’orgoglio ascetico con cui cerca di superare Cristo non gli consente di cogliere la necessità della trascendenza verticale della mediazione esterna, unica possibilità di salvezza per l’uomo, animale mimetico.

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Così come l’ascetismo dell’orgoglio spinge Kirillov al suicidio, quello di Nietzsche diviene causa della sua follia. La rivalità insuperata con Gesù, aggravata dall’intensificazione dell’imitazione luciferina, spinge il filosofo all’immolazione di se stesso.

Per Girard, la lezione è chiara. Cristo non è mai responsabile del male dell’uomo. È quest’ultimo che decreta la sua stessa condanna, rifiutando l’amore infinito di Dio e sostituendolo con la sua ambizione mimetica.

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