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Rigenerazione urbana e legalita amministrativa. Profili giuridici e scelte di sistema

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE GIURIDICHE -XXXI CICLO

CURRICULUM DI DIRITTO PUBBLICO E DELL’ECONOMIA

RIGENERAZIONE URBANA E LEGALITÀ

AMMINISTRATIVA:

PROFILI GIURIDICI E SCELTE DI SISTEMA

SUPERVISORE: chiar.ma prof.ssa VALENTINA GIOMI

CANDIDATO: dott. EMANUELE PETRILLI

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Ad Anna e Raffaele perché non è stato tutto invano

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Time change, and so must I. We all change. When you think about it,

we’re all different people, all through our lives. And that’s okay, that’s good, you gotta keep moving, so long as you remember all the people that you used to be. I will not forget one line of this, not one day. I swear. I will always remember when the Doctor was me.

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... 1

INTRODUZIONE ... 6

La rigenerazione urbana nel panorama urbanistico italiano ... 7

CAPITOLO 1 ... 14

1. Il termine “rigenerazione” ... 15

2. La rigenerazione urbana ... 18

3. Il termine “rigenerazione urbana” ... 21

4. Rigenerazione urbana e concezioni urbanistiche ... 23

5. La rigenerazione urbana in senso giuridico: un concetto sfuggente ... 28

6. Concetti contigui alla rigenerazione urbana ... 37

6.1–IL RECUPERO ... 37

6.2–IL RIUSO ... 38

6.3 IL RICICLO ... 40

6.4LA RIQUALIFICAZIONE ... 42

6.5 LA RIABILITAZIONE ... 43

7. La rigenerazione urbana: un esempio e una possibile definizione ... 44

8. I modelli di rigenerazione urbana ... 50

8.1LA RIGENERAZIONE FISICA ... 50

8.2LA RIGENERAZIONE ECONOMICA ... 51

8.3RIGENERAZIONE CULTURALE ... 52

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9. Proposta per una diversa categorizzazione della rigenerazione urbana ... 58

CAPITOLO 2 ... 61

1. La rigenerazione urbana e le sue infinite finalità, che poi è una sola ... 62

2. I programmi complessi ... 70

3. I programmi complessi: la prima generazione. ... 72

3.1PROGRAMMI INTEGRATI DI INTERVENTO (PRINT O PII) ... 72

3.2PROGRAMMI DI RECUPERO URBANO (PRU) LEGGE 493/93 ... 77

3.3PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA (PRIU) ... 81

3.4IPROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA E SVILUPPO SOSTENIBILE (PRUSST) ... 85

4. La seconda generazione di programmi complessi: la legge finanziaria del 1995 88 5. La terza generazione dei programmi complessi: i programmi di rigenerazione urbana ... 91

5.1PROGETTI PIC(URBANI E URBANII) ... 91

5.2ICONTRATTI DI QUARTIERE (CDQ) ... 96

5.3.IPROGRAMMI DI RIABILITAZIONE URBANA ... 99

6. La rigenerazione urbana nella legislazione regionale ... 102

7. I programmi complessi: la porta della rigenerazione o un ostacolo giuridico? . 106 CAPITOLO 3 ... 111

1. La rigenerazione urbana nell’aggiramento della legge nazionale ... 112

1.1IL MODELLO TEORICO E IL MODELLO REALE ... 114

1.2L’URBANISTICA “ORIZZONTALE” ... 117

1.3IL “MODELLO INU” ... 119

(9)

2.1IL MODELLO INU NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE ... 127

2.2URBANISTICA PER PROGETTI. ... 130

2.3L’URBANISTICA PER VARIANTI. ... 132

3. Il procedimento in variante “ordinario” nella legislazione regionale ... 136

3.1.LOMBARDIA ... 136

3.2.LAZIO ... 138

3.3.PUGLIA ... 139

3.4.TOSCANA ... 140

3.5.EMILIA-ROMAGNA ... 142

4. I procedimenti regionali: la partecipazione ... 147

4.1.PUGLIA ... 147

4.2.TOSCANA ... 148

4.3.LAZIO ... 149

4.4.LOMBARDIA ... 151

4.5.EMILIA-ROMAGNA ... 152

5. I procedimenti di rigenerazione urbana alla prova ... 154

CAPITOLO 4 ... 166

1. La rigenerazione urbana e il rispetto del principio di legalità amministrativa ... 167

1.1.RIGENERAZIONE URBANA E LEGALITÀ. ... 171

1.2.ALCUNI PUNTI FERMI ... 181

2. La zonizzazione e il possibile contrasto con la rigenerazione urbana. La perequazione ... 187

2.1.LA ZONIZZAZIONE IN MANO AI COMUNI ... 189

(10)

3. La rigenerazione urbana e gli interessi statali ... 200

3.1.IL CONFLITTO TRA NORME ... 207

3.2.SANZIONI PENALI ... 212

4. Questioni processuali: tutela dei terzi e danno erariale ... 215

4.1.LA PARTECIPAZIONE COME ELEMENTO DI DEFLAZIONE DEL CONTENZIOSO. ... 216

4.2.IL RISCHIO DI DANNO ERARIALE ... 226

CONCLUSIONI ... 232

1. La conquista del significato della rigenerazione urbana come obiettivo iniziale ... 233

2. La conquista della legalità sostanziale della rigenerazione urbana come obiettivo finale ... 240

Bibliografia ... 251

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La rigenerazione urbana nel panorama

urbanistico italiano

L’esigenza di una ordinata regolazione dei centri urbani è, tra quelle che il diritto amministrativo contemporaneo si prefigge di soddisfare, una delle più risalenti. Benché naturalmente non si possa parlare di diritto amministrativo sia pure genericamente assimilabile a quello che conosciamo oggi che da pochi secoli a questa parte, le esigenze che stanno alla base dell’urbanistica e del diritto urbanistico sono certamente molto più antiche.

Le esigenze in questione hanno mostrato anche una grandissima continuità: da sempre infatti l’edificazione di case concentrate in un luogo sottrae spazio a quello stesso luogo. Ogni edificazione è una occasione colta, e al tempo stesso la rinuncia a infiniti usi diversi di quello stesso spazio, primo tra tutti quello che corrisponde alla scelta di lasciare semplicemente vuoto quello spazio.

La novità che si è imposta a partire dalla rivoluzione industriale è stata quella della concentrazione degli abitanti della pianeta nei centri urbani. Questo ha portato le esigenze dell’urbanistica ad una nuova dimensione, in cui suddividere correttamente lo spazio privato e quello comune è diventato una delle più rilevanti occupazioni della politica locale.

La risposta più ovvia alle esigenze di case per i nuovi cittadini è stato lo sviluppo dell’area urbana, possibilmente in tutte le direzioni. Questa crescita per centri concentrici, come il tronco di un albero, ha determinato un aumento notevole dell’estensione delle città, specialmente se si considera che in origine gli stabilimenti industriali trovavano generalmente collocazione all’interno delle città.

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La concentrazione nei centri urbani, che pareva destinata a non avere fine, ha però trovato una battuta d’arresto. La fine dello sviluppo industriale degli anni Settanta e l’inizio dell’era del terziario hanno trasformato il mondo del lavoro, e, per ricaduta, anche le esigenze delle città. Non era più necessario trovare spazio per costruire nuovi capannoni industriali, né edificare in tutta fretta interi quartieri popolari per accogliere i nuovi lavoratori.

Le città avevano cessato di attrarre nuovi abitanti. Iniziava il decremento abitativo, e la migrazione interna verso i comuni limitrofi facilmente raggiungibili e che potevano offrire alloggi più comodi e più economici.

In tutto questo, si verificava il problema dei vuoti da riempire, o meglio da ritrovare e riusare.

L’abbandono, alla fine degli anni ’70, dell’economia tradizionale basata sulla produzione industriale, unita alla più recente delocalizzazione delle fabbriche conseguente alla globalizzazione, aveva condotto i capitali su altri lidi, o in altre dimensioni, lasciando però delle reliquie ingombranti all’interno del tessuto urbano.

Il capannone industriale dismesso, e dello spazio da riutilizzare, ha rappresentato il paradigma del riuso urbano contemporaneo. La necessità di rimuovere questi relitti del recente passato industriale, perché fonti di degrado ma anche perché occupavano spazio prezioso nella zona attorno al centro cittadino (e a volte anche all’interno di esso, come nel caso dello stabilimento ex-Marzotto di Pisa, che si trovava all’interno della cinta muraria) ha portato a chiedersi che cosa convenisse fare. Le scelte di fondo, scartata ovviamente la possibilità che qualcun altro ricomprasse gli stessi capannoni sempre per scopi

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industriali, erano due: demolire l’area e aprirla ai più diversi usi, oppure riutilizzare l’immobile o parte di esso. Entrambe le strade sono state percorse.

Più di recente, si è compreso che questo meccanismo del riutilizzo dello spazio urbano poteva determinare valori diversi, ulteriori rispetto al semplice fatto di avere un giardino in più, o una scuola in più. Attraverso il riutilizzo dello spazio urbano si può addirittura modificare l’urbanistica di quartiere. Si possono perseguire perfino finalità di natura politico-amministrativa, come lo stressato tema della lotta al degrado, che è sempre presente in tutte le agende di ogni politico locale.

Ma naturalmente questa opportunità non si ravvisa solo con riferimento a capannoni industriali dismessi, che pure ne rappresentano l’archetipo: qualunque edificio dismesso (e perfino qualche edificio non ancora dismesso, ma anzi in piena efficienza: cfr. cap.4, par. 4.2), trovandosi in posizione “interessante”, può oggi suscitare degli “appetiti urbanistici” nel senso di dare una nuova destinazione.

Tuttavia, ben presto si è capito che lo spazio lasciato vuoto dai capannoni e lo spazio lasciato da un edificio magari adibito a uffici, poli commerciali o anche abitazioni non era dello stesso rango. La sopravvenuta inutilità del capannone industriale ai fini per cui è stato pensato ne determina il crollo del prezzo sul mercato. Questa svalutazione repentina e drastica, come tutte le variazioni rilevanti di valore, è foriera di generare valore, perché il capannone dismesso e che non vale più nulla può facilmente essere venduto e acquistato, e il riuso diventa così un affare vero e proprio. Viceversa, altrettanto non si può dire per strutture che non sono reliquie del recente passato industriale, come un palazzo nella fascia attorno al centro che ha perso il suo scopo originario:

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l’abbattimento del valore è molto più accentuato, e per realizzare un valore aggiunto dal suo riutilizzo occorrono capacità e know-how particolari.

Nel frattempo, complice la crisi economica ma soprattutto con la denatalità e la fine dell’esodo dalle campagne verso le grandi città, la corsa all’edificazione selvaggia si arresta. Si inizia a costruire poco, e spesso solo nei comuni dell’hinterland: si comincia a parlare di “piani a volumi zero”, per cui in città come Firenze (complice l’esaurimento, di fatto, del suolo edificabile) non si può costruire senza prima demolire un volume identico.

Lo spazio diventa poco, e i mezzi di trasporto diventano sempre più strategici visto che anche la selvaggia motorizzazione dell’Italia si ritrova in controtendenza.

Se negli anni ’50 costruire condomini era diventato il modo di gran lunga più semplice per arricchirsi alla svelta, già alle soglie del nuovo millennio buona parte di quei gruppi imprenditoriali dell’edilizia “di quantità” avevano già orientato altrove i loro core business. Stanti queste premesse, la conseguenza è infatti che costruire in città e realizzarne un lucro è diventato, in particolare negli ultimi vent’anni, un mestiere per persone di elevatissima professionalità, per studi in grado di fornire competenze in tutti i settori: insomma, edificare oggi, in modo sostenibile, è diventato un lavoro per esperti rifiniti.

Parallelamente, anche l’atteggiamento degli enti locali è molto mutato. A causa dei i vincoli di bilancio adesso vigenti, uniti al dimagrimento dei bilanci comunali e regionali, senza contare le questioni legate all’ambiente, alle licenze, al rapporto con il terzo settore, il lavoro di un Comune è diventato molto più delicato di quanto non fosse in precedenza.

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Ciò che invece è rimasto pressoché inalterato è il panorama normativo nazionale in materia di urbanistica. Come si avrà modo di sottolineare, l’ossatura delle norme urbanistiche è rimasta intatta rispetto ad un momento in cui le esigenze e anche l’andamento della politica delle città era totalmente diverso.

Le politiche urbanistiche che oggi sembrano ineludibili, incentrate sul riutilizzo del suolo, erano in realtà state concepite già negli anni Settanta, e con particolare forza in quei paesi, come il Regno Unito, che sono stati precursori tanto nel sorgere dell’urbanesimo industriale quanto nel suo tramonto.

Tardivamente, ma inevitabilmente, si inizia anche in Italia a parlare di riutilizzo del suolo, con vari termini (recupero urbano, riqualificazione urbana, e altri). Quando il concetto giunge in Italia si è già arricchito di molti significati e scopi ulteriori, primo tra tutti quello del contrasto al degrado: non solo il degrado edilizio, ma anche il degrado sociale ed economico.

Più di recente, si è imposto un termine che ha catturato l’immaginario collettivo, e adesso catalizza nel suo significato praticamente tutti gli interventi di riutilizzo, a vario titolo, del suolo. Questo termine è la “rigenerazione urbana”.

Il termine si presenta quindi al dibattito pubblico pregno dei più diversi significati, talvolta persino di qualche significato non attinente. L’idea di “rigenerare” la città affascina chiunque.

Tuttavia, il significato in questione, ad una analisi più approfondita, appare assai poco chiaro. Perso nel prisma dei significati che ogni diverso professionista (architetti, ingegneri, dirigenti pubblici, avvocati, professori) ha in animo di dargli, la rigenerazione urbana rischia di inciampare su questo profluvio di scopi che le vengono attribuiti.

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Per contro, vi è la curiosa condizione per cui la rigenerazione urbana, da molti invocata, è estremamente difficile da realizzare. Per unanime ammissione di tutti i professionisti coinvolti, la rigenerazione urbana assomma a tutte le problematiche dell’urbanistica altre difficoltà specifiche.

Da ultimo, vien fatto di notare che la rigenerazione urbana ha molti estimatori ma, apparentemente, nemmeno un nemico. Non vi è nessuno infatti che, come posizione preconcetta, è contrario alla rigenerazione urbana, né è dato trovare questi “nemici” nella pratica.

Vi è pertanto da chiedersi per quale motivo quella che potrebbe essere la soluzione a molteplici problemi, che può perseguire molteplici scopi e che non ha nemici, è così difficile da realizzare.

Il presente lavoro rappresenta un tentativo di fornire una spiegazione a due domande. Anzitutto, che cosa è la rigenerazione urbana; in secondo luogo, per quale motivo essa sarebbe tanto difficile da realizzare nel nostro paese.

Chi si accosta alla rigenerazione urbana dovrebbe infatti aver chiaro di che cosa si tratti: come si vedrà nel primo capitolo, la risposta è tutt’altro che scontata.

La rigenerazione urbana, poi, non è rimasta un fenomeno asettico, ma è penetrata, in una modalità particolare, nel nostro ordinamento. Nel secondo capitolo si darà conto delle particolari modalità con le quali la rigenerazione urbana, o per meglio dire le politiche di riutilizzo del suolo, hanno fatto breccia nella dura scorza della legislazione urbanistica italiana.

Le politiche statali però hanno recentemente ceduto il passo alle politiche regionali. In particolar modo dopo il 2001, con la riforma Costituzionale che ha attribuito la materia del “governo del territorio” alla competenza concorrente

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Stato-Regioni, le normative statali in materia urbanistica, già poco loquaci, si sono del tutto ammutolite, lasciando la scena a quelle regionali. Per contro, le Regioni hanno dimostrato un grande dinamismo normativo, e anche una speciale attenzione per il riutilizzo del suolo.

Purtuttavia, il problema dell’attuazione della rigenerazione urbana, pur nelle mani capaci e “dinamiche” degli amministratori regionali, non riesce ancora a decollare. Le linee fondamentali delle politiche regionali di rigenerazione saranno l’oggetto del terzo capitolo.

Nel quarto capitolo si fornisce un tentativo di spiegazione a tutti questi dubbi, di ricostruzione della problematica in concreto, partendo da una prospettiva pienamente giuridica. Come si vedrà, la situazione della rigenerazione giuridica ha il sapore del dramma cechoviano: ciò che sembrava la soluzione perfetta, che avrebbe risolto ogni male, si rivela irraggiungibile proprio a causa di quei problemi eternamente irrisolti, che si pensava invece di riuscire a scacciare d’un colpo.

Le conclusioni non possono fare altro che ricollegarsi alle domande iniziali, viste però non più come il primo passo di un percorso conoscitivo, ma come il passo decisivo verso un più lungo, ma proficuo, percorso risolutivo.

(20)

CAPITOLO 1

LA RIGENERAZIONE

URBANA: UN CONCETTO

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1. Il termine “rigenerazione”

Il concetto di “rigenerazione” non è nuovo nella lingua corrente. Il termine, di origine latina1, contiene in sé la radice del “genus”, ossia qualcosa

che non soltanto è proprio di ciò che è durevole, ma è altresì legato in qualche modo al profilo genetico, ossia alla “nascita”, in qualche modo, di quel sistema, di quell’apparato, di quell’organismo la cui storia per così dire si interrompe per ritrovare una nuova origine.

In biologia il termine rigenerazione è frequentemente utilizzato. Esso indica la ricostituzione di un tessuto, o di un organo leso. Molti tessuti del corpo umano (pelle, capelli, ossa, muscoli) sono in grado di rigenerarsi, ossia di ripararsi, ricostituirsi.

Nota è poi la capacità di alcuni animali di rigenerare ampie parti del proprio corpo, oggetto di studi genetici approfonditi proprio per questo motivo, anche per esplorare la possibilità di estendere tale fattore ad altri tessuti, magari tessuti umani2.

Il termine è usato anche nell’industria per definire un processo di lavorazione che porta al restituire ad un materiale esausto o logoro le capacità originarie perdute. Si pensi agli oli lubrificanti, agli pneumatici, ma anche più comunemente al ferro.

Ancora, la rigenerazione ha un significato spirituale: rigenerarsi significa rinnovarsi dal punto di vista spirituale, convertirsi, abbandonare la vecchia vita per abbracciarne una nuova e più elevata3.

1 Il termine regeneratio, dal latino tardo, era utilizzato nella Vulgata per tradurre il termine palingenesi (παλιγγενεσια) a indicare il principale effetto del Battesimo. Così in Dizionario Treccani, ed. online www.treccani.it

2 Ex multis, D.L. WILLIAMS, Regenerating reptile retinas: a comparative approach to restoring retinal

ganglion cell function, Eye, 2016, vol 31, Cambridge Ophtalmology Symposium, p. 167-172.

3 definizioni tratte dal Dizionario della lingua italiana SABATINI-COLETTI, Giunti, Firenze, 2008.

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IL TERMINE “RIGENERAZIONE”

Questi diversi significati circoscrivono in parte il senso del concetto che alla parola “rigenerazione” generalmente si ricollega. Certamente in tutti ci sono alcuni elementi comuni.

Il primo elemento comune è la sottolineatura implicita del passaggio da uno stato iniziale, peggiore, ad uno stato di arrivo, migliore. Non si tratta però solo di un miglioramento, ma di un ritrovato senso, un nuovo scopo.

Qui dobbiamo separare tre concetti diversi di rigenerazione: il primo, quello meno pregnante (ma non meno interessante) delle scienze tecnologiche, come la rigenerazione intesa come processo industriale che porta a nuova vita materiali esausti. In questo primo senso, la rigenerazione non è altro che un ripristino, spesso non completo, della funzione iniziale (si pensi alla rigenerazione della lana) ovvero un nuovo scopo (si pensi alla rigenerazione degli oli esausti).

Un secondo concetto di rigenerazione, più interessante, riguarda la biologia e le scienze mediche, concernendo la capacità di un organismo di ricostituire parti di sé in forma esogena. In questa forma di rigenerazione, più le parti da ricostruire sono grandi e/o complesse, più il processo rigenerativo è complesso e affascinante, specie considerando la grande differenza con tessuti che normalmente non si rigenerano. Si pensi alla capacità rigenerativa del fegato umano, che può ricostituire buona parte di sé stesso anche dopo una epatectomia parziale di importanti proporzioni4.

Il terzo concetto di rigenerazione è il più interessante: riguarda la sensibilità spirituale. La rigenerazione è infatti considerata, in particolare da Sant’Agostino, come il frutto, il risultato del sacramento del Battesimo. Esso rappresentava, specialmente nei primi secoli dopo Cristo, il punto di approdo della conversione spirituale, che porta oltretutto alla rimessione dei peccati5.

4 G.K.MICHALOPOULOS, M.C. DEFRANCES, Liver regeneration, Science, Aprile 1997, p. 60-66

5 Da AGOSTINO, Santo, Trattato sul Battesimo contro i Donatisti, libro 1, 16: «[…] Dice, infatti, l'Apostolo: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo; ma se non è rivestito di Cristo, non va neppure considerato battezzato in Cristo. Del resto, se noi diciamo che egli è battezzato in Cristo, ammettiamo che è rivestito di Cristo; ma ammettere questo, è ammettere che egli è un rigenerato. Ma se è così, anche i peccati gli sono stati rimessi.»

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Questa breve distinzione tra concetti comuni di rigenerazione consente di trarre spunto per tracciare il secondo elemento comune rilevante. Lasciando stare il concetto “industriale” di rigenerazione, in qualche modo meno significativo e in tutto e per tutto sostituibile con un diverso vocabolo (riconversione, vulcanizzazione, rifusione, ripristino, riciclo) il concetto di rigenerazione implica che il passaggio da uno stato iniziale, deteriore, ad uno stato successivo, migliore, avviene in modo endogeno, ossia facendo uso delle risorse che l’organismo che si rigenera possiede6. La rigenerazione è cioè una

capacità intrinseca dell’organismo o dell’organo, che è quindi intrinsecamente rigenerabile.

Il terzo elemento rilevante è invece più icasticamente richiamato dal concetto spirituale della rigenerazione, intesa come conversione dell’anima. In questo concetto, ben rappresentato dagli scritti di S. Agostino7, la rigenerazione

avviene sì come frutto di una modificazione determinata da risorse endogene, ma altresì indotto e reso possibile da una forza esterna e in qualche modo extra-ordinaria (rappresentata in Sant’Agostino dalla Divina Grazia.)

In questi tre elementi pare si possa compendiare un concetto particolarmente pregnante del termine rigenerazione, idoneo a penetrare il discorso in campo urbanistico. Per rigenerazione si deve quindi intendere un cambiamento (auspicato come miglioramento) endogeno ma al tempo stesso catalizzato da un intervento di un potere superiore che questo miglioramento ha voluto.

6 È bene precisare che quando ci si riferisce alle proprie risorse si intende non esattamente che tutto ciò che occorre all’organismo per rigenerarsi è prodotto internamente. È chiaro che così come un tessuto organico ha bisogno di apporti nutrienti per rigenerarsi, allo stesso modo un quartiere ha necessità di risorse ideali, economiche o decisionali esterne.

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2. La rigenerazione urbana

Il fatto che si parli di “rigenerazione urbana”, o, talvolta, di “rigenerazione urbanistica8” indica, a tutta prima, una forma di rinnovamento che avrebbe ad

oggetto la città o la sua strutturazione così come pianificata.

Molti termini sono stati utilizzati, in effetti, per indicare pressappoco lo stesso fenomeno: si è parlato, ad esempio, di rinnovamento, rigenerazione, riqualificazione, riuso9. Al tempo stesso, sotto il termine “rigenerazione” si sono

fatti rientrare fenomeni affini, sì, dal punto di vista puramente astratto; ma, tutto sommato, di ampiezza, incisività, intenti, oggetto, profondamente diversi.

Tutto questo genera una grande confusione in chi si accosta ad un concetto, come quello della rigenerazione, i cui margini non sono, ora come ora, chiaramente delineati in una formula e in una definizione univoca.

Uno dei motivi di questa confusione terminologica è stata certamente il fatto che lo stesso fenomeno è stato ripreso in più paesi, in più culture, e non soltanto: persino in più campi del sapere diversi. Ma assai raramente ci si è premurati di discutere per pervenire ad una definizione chiara, univoca, piana.

Il termine rigenerazione urbana o urbanistica non è utilizzato infatti solo dai giuristi, che, anzi, faticano un po’ a collocare il fenomeno nel sistema.

Il tema della rigenerazione urbana infatti è noto da tempo, e vastamente trattato, nelle facoltà di architettura. Gli studi in architettura infatti, comprendendo la branca della urbanistica intesa come scienza che studia la

8 Questa terminologia, invero alquanto inusuale e forse frutto di un refuso, si può trovare sporadicamente. Ad esempio, TAR CAMPANIA, sentenza n. 1471/2016 : «il collegamento tra risanamento ambientale e rigenerazione urbanistica non può essere ritenuto incongruo, trattandosi di funzioni strettamente connesse, già nella legislazione ordinaria». Così riporta T. BONETTI, http://territorio.regione.emilia-romagna.it/paesaggio/formazione-lab-app-1/TBonetti_slide_22092016.pdf/at_download/file/TBonetti_slide_22092016.pdf .

9 In particolare, sul concetto di riuso utilizzato in senso lato e quasi a confondersi con quello di rigenerazione, v. M. ROVERSI MONACO, Il comune, amministratore del patrimonio edilizio

inutilizzato, in Rivista giuridica dell’Edilizia, 2016, vol 5, p. 541. Sulla sovrapposizione di termini da

parte del legislatore, v. T. BONETTI, La rigenerazione urbana nell’ordinamento giuridico italiano:

profili ricostruttivi e questioni aperte, in E. FONTANARI, G. PIPERATA (a cura di), Agenda RE-CYCLE, Bologna, Il Mulino, 2017,p. 73.

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formazione e lo sviluppo dei centri urbani10, sono ovviamente i primi ad essere

interessati al fenomeno della rigenerazione. Come si vedrà più oltre, le politiche di lotta al consumo di suolo hanno portato molti architetti ad adottare la logica del “costruire sul costruito”11, ossia ad adottare soluzioni che portino al

riutilizzo di spazi urbani già edificati: un concetto decisamente contiguo a quello della rigenerazione urbana.

Un altro ambito del sapere molto interessato alla rigenerazione urbana e ai suoi effetti è la sociologia. Se già i padri della sociologia come Max Weber12 e

Emile Durkheim avevano analizzato la sociologia in ambiente metropolitano apprezzando il legame tra tipologie urbanistiche e qualità della vita, questi elementi sono apparsi ancora più evidenti nella prospettiva della scuola ecologica di Chicago (Robert Park, Ernest Burgess, Roderick McKenzie) che nel loro monumentale saggio “la città13” sviluppano il concetto di sociologia

urbana.

Ne consegue che tutti gli approcci urbanistici che coinvolgono direttamente la trasformazione del tessuto urbano hanno un risvolto sociologico già di per sé. Ma la rigenerazione urbana in particolare, come vedremo infra, è particolarmente interessante nel suo aspetto sociologico in quanto spesso si prefigge direttamente di realizzare dei veri e propri interventi di ingegneria sociale attraverso i progetti rigenerativi14.

La questione della rigenerazione urbana interessa anche gli economisti. Infatti primario è diventato, nell’economia dello sviluppo declinata sullo sviluppo urbanistico, il concetto che la sostenibilità, sia ambientale che economica, richiedono uno sforzo di creatività per l’individuazione di soluzioni

10 Dizionario SABATINI-COLETTI, cit.

11 Cft. Intervento dell’architetto R. PIANO al convegno Plannincities 2011, Genova, 2-5 novembre 2011.

12 Cft. A.PETRILLO, Max Weber e la sociologia della città, Milano, Franco Angeli, 2001.

13 R.E. PARK, E.W. BURGESS, R.D. MCKENZIE, The city: suggestion for investigation of human

behavior in the urban environment, Chicago, Chicago University press, 1925.

14 Cft. S.VICARI HADDOCK, F. MOULAERT (a cura di): Rigenerare la città. Pratiche di

innovazione sociale nelle città europee, Il Mulino, Bologna, 2009; F. MEMO, I grandi progetti di rinnovo urbano: genesi e impatti, in Quaderni di sociologia, 52, 2010, p. 79-95.

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LA RIGENERAZIONE URBANA

maggiormente efficienti15. Tali soluzioni spesso hanno coinciso con la logica

della rigenerazione urbana, maggiormente attenta all’approccio integrato delle operazioni urbanistiche e necessariamente rivolta alla fattibilità economica della progettistica che propone.

La rigenerazione urbana, come si vedrà meglio infra, se certamente ha un imprescindibile aspetto di funzione amministrativa, ha genericamente anche un rilevante risvolto di natura politico-amministrativa. Infatti, la rigenerazione di un quartiere importa una scelta di investire energie e risorse su quel quartiere, e profila quindi una scelta che più che puramente amministrativa è una scelta di politica locale. Più in generale, la rigenerazione attiene a una scelta di fondo che l’amministrazione di un ente locale è portata a fare riguardo al tipo di urbanizzazione che vuole abbracciare.

Questi profili non sono sfuggiti agli organi dell’Unione Europea che, oltre a varare i programmi Urban e Urban II (v. oltre) pongono lo sviluppo sostenibile al centro delle proprie raccomandazioni e logiche d’azione16.

15 Cfr. W. SANTAGATA, La fabbrica della cultura. Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del

paese, Il Mulino, Bologna, 2007.

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3. Il termine “rigenerazione urbana”

Il termine “rigenerazione urbana” era già usato nel mondo anglosassone dalla metà del XIX secolo, e un uso ancora più risalente si riscontra negli scritti del romanziere americano Sylvester Judd (1813-1853)17.

Il termine, però, non ha una paternità chiara, neppure nel mondo anglosassone. Di certo c’è che esso ha iniziato a essere comune in quella cultura a partire dalla metà degli anni ’80 del XX secolo18. Una data certa è ricollegata

al complesso rigenerativo del quartiere londinese di Dockland, che venne apertamente definita “urban regeneration”. Quest’opera venne iniziata nel 1981 e durò 18 anni19 e riguardava una dismessa area portuale non lontano dal centro

di Londra (v. infra)

Molti termini in quel momento erano circolanti e utilizzati, sia nel mondo

anglosassone: “urban renowal20”, “urban revitalization”, “urban

redevelopment”21. Nel mondo francofono si parlava di “assainissement urbain”,

“aenouvellement urbain”, “rénovation urbaine”, “réhabilitation urbaine”,

17 V. Dizionario Oxford.

https://en.oxforddictionaries.com/definition/urban_regeneration

18 Per maggiori informazioni sulla genesi documentata del termine e del fenomeno, si veda P. ROBERTES, H. SYKES (a cura di), Urban regeneration: an handbook, Londra, SAGE Publications, 2000.

19 Maggiori informazioni sul sito http://www.lddc-history.org.uk/

20 Al termine “urban renewal” è legata una espressione satirica, volutamente denigratoria, che potrebbe averne compromesso la diffusione. Infatti, si iniziava infatti a dire, negli anni ’70 a New York, che questi interventi di “urban renowal” consistevano in degli interventi “negro removal”, ossia tesi a scacciare la popolazione afro-amernicana dalle loro abitazioni relativamente centrali, o comunque in quartieri divenuti appetibili, per farne abitazioni per ceti più abbienti. Sul punto, v. J. LOGAN, H. MOLOTCH, Urban fortunes. The political economy of

place, Los Angeles, University of California press, 1987, p. 114.

21 Di questi termini fanno ampio uso svariati autori. Tra questi: D.JUDD, M.PARKINSON,

Leadership and urban regeneration: Cities in North America and Europe, Newbury Park, Sage, 1990;

J.FOX-PRZEWORSKI, B. GODDARD, M. DE JONG, Urban regeneration in a changing economy:

An international perspective, Oxford, Clarendon Press,1991; I. COLQUHOUN, Urban regeneration: An international perspective, Londra, Batsford, 1994.

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IL TERMINE “RIGENERAZIONE URBANA”

“reconversion urbaine”22 mentre in Italia si parlava di “recupero urbano”,

“riqualificazione urbana”, “rinnovamento urbano”23.

Tuttavia, fu il termine “rigenerazione” a prevalere, probabilmente proprio grazie ad una sua indeterminatezza di fondo, unita ad un concetto, quello della generazione, fortemente evocativo di qualcosa di profondamente naturale24.

22 In particolare su questo termine v. J. FONTAN, J. KLEIN, G. TREMBLAY, Entre la

métropolisation et le village global. Les scènes territoriales de la reconversion, Montreal, Presses de

l’Université du Québec, 1999.

23 I termini in inglese, francese (ad eccezione di “reconversione urbaine”, che è citato da S. VICARI HADDOCK, op.cit, p. 19, ) ed italiano sono riportati da A.LALLI, Un’altra idea di città?

I programmi complessi di rigenerazione urbana a Torino nell’ambito italiano ed europeo, Tesi di dottorato,

2014, Politecnico di Torino.

24 La congettura che il termine “rigenerazione urbana” sia prevalso perché generico e legato a un concetto di natura si deve a S. VICARI HADDOCK, op.cit., p. 19.

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4. Rigenerazione urbana e concezioni

urbanistiche

Approcciandosi alla storia della rigenerazione urbana, in particolare modo con riferimento al Regno Unito25 si comprende anzitutto da cosa derivi il

tourbillon di termini definitori. Tali termini (urban regeneration, urban renewal, urban revitalisation, urban ranaissance) sono il portato di diverse stagioni della politica

(nello specifico, della politica britannica) e delle diverse fazioni politiche che si sono succedute. Ad esempio, se negli anni ’60 si parlava di “renewal” per indicare il contrasto al sovraffollamento delle aree urbane26, negli anni ’80 si è

parlato di “regeneration” e le politiche di Margareth Thatcher tendevano piuttosto alla crescita economica e allo sviluppo della proprietà27. Se il New

Labour di Tony Blair e Gordon Brown (tardi anni ’90- 2000) ha preferito parlare di “renaissance”, nella fase seguente (ossia nel periodo post-crisi), di pari passo con politiche che tentavano di ripristinare la crescita economica, si è tornato a parlare di “regeneration”28.

Naturalmente, non bisogna confondere la rigenerazione urbana con l’evoluzione delle politiche urbanistiche. La possibilità di questo equivoco esiste, dal momento che la rigenerazione urbana indubbiamente ha avuto un ruolo primario nelle politiche urbanistiche britanniche, ed è altrettanto indubbio che le politiche urbanistiche hanno subìto una evoluzione che ha comportato anche e forse soprattutto l’assimilazione di questa logica. Ma sarebbe erroneo identificare le due cose, affermando che “oggi la rigenerazione rappresenta l’evoluzione della politica urbanistica”.

25 V. in particolare S. VICARI HADDOCK (a cura di), Rigenerare la città, pratiche di innovazione

sociale nelle città europee, Bologna, il Mulino, 2009 e A.TALLON, Urban regeneration in the UK,

Londra, Routledge, 2013.

26 C.COUCH, Urban renewal, theory and practice, Londra, Macmillan, 1990.

27 S.BROWNHILL, Developing London’s Docklands: Another Great Planning Disaster?, Londra, Paul Chapman Publishing Ltd., 1990, e S.BROWNHILL, Turning the East End into the West End: the

lessons and legacies of the London Docklands Development Corporation, in AAVV, British urban policy: an evaluation of the urban development corporations , Londra, Sage, 1999.

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RIGENERAZIONE URBANA E CONCEZIONI URBANISTICHE

Fornite queste due precisazioni, è il caso di offrire un inquadramento dei principali modelli urbanistici che si sono succeduti nella scienza urbanistica occidentale, applicati in particolare modo alla città di Londra.

Il primo modello di città contemporanea è il modello a cerchi concentrici di Burgess.

Tale modello risale al primo decennio del secolo: esso consiste in una visione urbanistica appunto a cerchi concentrici, con in mezzo il centro cittadino (ad esempio, la City di Londra) in un cerchio più ampio la prima e più antica urbanizzazione, con le case della medio-alta borghesia, e più oltre ancora le fabbriche e gli slum della working-class. Questo modello rispecchiava la Londra alle soglie della Prima guerra mondiale.

Negli anni ’30 si sviluppa una diversa urbanistica, e si segue un modello del tutto diverso: è il modello a settori di Hoyt. Questo modello prevede dei settori trasversali rispetto alla città, in cui il grado di importanza non è dato dalla vicinanza al centro. Il settore trova il suo motivo d’essere nella propria coerenza interna: può accadere, pertanto, che zone anche relativamente centrali siano popolari, oppure che zone alquanto periferiche siano, invece, signorili. Può accadere anche che vi siano aree commerciali o industrie relativamente vicine al centro della città, che rimane comunque l’unico settore legato ad una collocazione geografica, per ragioni storiche.

È appena il caso di ricordare che è a questa visione che fa riferimento la legge urbanistica del 1942: essa, infatti, obbliga l’amministratore locale a ragionare in termini di zone a seconda della loro destinazione, che possono però essere collocate sul territorio a prescindere dalla distanza dal centro storico dell’abitato.

(31)

Il più attuale modello di sviluppo urbanistico è quello “a nuclei multipli” di Harris ed Ullman (post-bellico). In questo modello non esiste più un centro attorno a cui gravita tutto, ma la città diventa policentrica. Di conseguenza, non solo non può più dirsi che cresce l’importanza dell’abitazione tanto più essa è prossima al centro geografico e storico della città, ma non può più nemmeno affermarsi che esista uno e un solo centro, o meglio un polo centrale.

I poli si diversificano e si sparpagliano per la città: poli residenziali, industriali, commerciali, sportivi.

A questa evoluzione per modelli deve aggiungersi una nota su un altro, importante fattore di modifica del panorama urbano.

Si tratta della de-industrializzazione tipica del periodo post-anni ’80. Questo fenomeno urbanistico è la conseguenza diretta di una modificazione dell’economia globale. A seguito di una serie di concause (la sopraggiunta inefficacia delle politiche economiche Keynesiane e l’avvento della scuola di Chicago e delle politiche economiche neo-classiche, lo Smithsonian

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RIGENERAZIONE URBANA E CONCEZIONI URBANISTICHE

agreement che mise fine ai trattati stabiliti a Bretton Woods, determinando la

fluttuazione delle monete) l’economia iniziò, a partire dagli anni ’70, a privilegiare gli investimenti finanziari rispetto a quelli produttivi-industriali29.

La ricaduta, non immediata ma inarrestabile, sui tessuti urbani è stata quella di uno stravolgimento profondo del rapporto tra città e periferia. Anzitutto, moltissime fra le industrie piccole e medie hanno cessato l’attività, lasciando quindi spazi più o meno ampi inutilizzati.

In conseguenza della de-industrializzazione cittadina, moltissime persone hanno perso il lavoro, e sono state costrette a cercarne un altro. La riduzione drastica del reddito delle classi operaie ha fatto sì che interi quartieri popolari diventassero degradati, e teatri di disagio sociale.

La chiusura dei grandi centri produttivi, e la conseguente ricerca di altri impieghi nel terzo settore, ha fatto sì che il luogo di lavoro potesse essere collocato ovunque in città. La diminuzione dei redditi ha portato a cercare abitazioni più economiche, anche in centri limitrofi. Questi due elementi, uniti, hanno portato ad una esplosione del traffico veicolare cittadino, portando le amministrazioni comunali alla necessità di istituire dei blocchi o limitazioni della circolazione, specialmente nel centro storico della città. A sua volta, questi blocchi al centro cittadino, limitando di fatto la libertà di circolazione con mezzo proprio degli abitanti del centro, hanno portato molti cittadini e molti artigiani ad abbandonare il centro stesso, in favore di fasce abitative sempre più periferiche30. L’abbandono del centro ha portato a sua volta a una

spersonalizzazione dello stesso; spesso i centri cittadini sono stati progressivamente invasi da commercianti di merci di ogni livello.

Gli stessi quartieri popolari, poi, hanno mutato la loro vocazione, subendo la cosiddetta “gentrification”, termine coniato alla fine degli anni ’50 dalla

29 M. REVELLI, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Einaudi, Torino, 2001.

30 Sul tema v. A. BALDUCCI, Strategic planning as exploration, in Strategic planning for contemporary

urban regions - City of cities: a project for Milan, ROUTELEDGE, p. 532.

cfr. anche A.DI CINTIO, Il quartiere di Santa Croce a Firenze tra recupero e trasformazione, in A.A.V.V., Conoscere per progettare. Il centro storico di Firenze, Firenze, Dipartimento di Architettura, 2014, p. 88-95.

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sociologa inglese Ruth Glass e che descrive appunto l’espulsione dei ceti popolari dai loro quartieri per essere soppiantati da ceti di classe media31.

Il quadro così tracciato può sembrare disastroso, in quanto pressoché ogni settore ha in qualche modo e per qualche motivazione ripudiato la propria funzione di battesimo. In effetti, non si può certamente affermare che il quarantennio appena trascorso abbia giovato al benessere dell’abitante della città, nella misura in cui quel benessere è legato al vivere la città.

È anche per rispondere a queste problematiche che nuove logiche urbanistiche sono state concepite e perfezionate.

Si era dunque detto che il termine, oltre che internazionale, intercetta pure più materie, più ambiti del sapere e dello studio accademico. Ciò non a caso: l’ampiezza di questo confine esterno della rigenerazione non è altro che il riflesso della ampiezza di tutta la materia urbanistica, e quindi di tutte le cause ma anche delle conseguenze che la concernono.

Ciò che in questa sede primariamente interessa è il senso giuridico che esso può avere. Come si avrà ben presto modo di vedere, si può tranquillamente affermare che la riflessione giuridica è indiscutibilmente rimasta indietro nell’opera di concettualizzazione e collocazione nel sistema di questo fenomeno che ad essa concerneva.

31 Si veda C. HAMNETT, Gentrification, Postindustrialism, and Industrial and Occupational

Restructuring in Global Cities, in G. BRIDGE, S. WATSON, A Companion to the City, Blackwell

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5. La rigenerazione urbana in senso

giuridico: un concetto sfuggente

L’urbanistica contemporanea e, con ogni probabilità, quella dell’immediato futuro, vede nella rigenerazione urbana uno dei suoi tasselli fondamentali32. È opinione dei più eminenti studiosi di diritto urbanistico che il

recupero e il riutilizzo dell’esistente, del costruito, sia tipico della fase in cui l’urbanistica contemporanea vive: ciò sia per i centri che a maggior ragione per le periferie, magari degradate33.

La lotta al degrado non è il principale motore di questa tendenza, bensì, anzitutto, la politica di contrasto al consumo di suolo34, che è parte di un più

generale principio di sostenibilità ambientale che vede nella lotta alla cementificazione un tassello importante.

Al riguardo occorre citare il disegno di legge S. 2383 sul “contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”. L’art. 1, comma 2, di questo disegno di legge così recita: «Il riuso e la rigenerazione urbana, oltre alla limitazione del consumo di suolo, costituiscono princìpi fondamentali della materia del governo del territorio.»

A fronte di questa indiscussa importanza della rigenerazione urbana, non vi è però una idea chiara e condivisa di cosa costituisca vera e propria “rigenerazione urbana”. Lo stesso disegno di legge sul consumo di suolo, dopo aver dichiarato che la rigenerazione urbana rappresenta uno dei principi fondamentali in materia di governo del territorio, ne fornisce una definizione decisamente limitante e che non abbraccia il fenomeno, tanto da indurre a

32 R. DIPACE, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in Riv.giur.ed., 5, 2014, p. 237, così esordisce: “ Il recupero e la riqualificazione del costruito si impone come una delle direttrici fondamentali della futura attività di pianificazione urbanistica.”

33 P. STELLA RICHTER, I sostenitori dell’urbanistica consensuale, in P. URBANI (a cura di) Le

nuove frontiere del diritto urbanistico, Torino, Giappichelli, 2013, p. 21.

34 Sul consumo di suolo, anche un disegno di legge, AS1181, rubricato “Legge quadro per la protezione e la gestione sostenibile del suolo.

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pensare che il legislatore abbia in mente un concetto di rigenerazione completamente diverso35.

La legislazione regionale, a differenza di quella nazionale, sembra avere maggiore consapevolezza di ciò che la rigenerazione urbanistica costituisca.

Già nel 2008, infatti, la Regione Puglia aveva emanato una legge in materia. Si tratta della legge 29 luglio 2008, n. 21: essa è rubricata “norme per la rigenerazione urbana”. Questa legge dimostra di aver ben compreso le potenzialità di questo strumento, tanto da elencare, se non tutte, buona parte di esse. Non viene definita la rigenerazione urbana, ma i “programmi di rigenerazione urbana”, che sono “strumenti volti a promuovere la riqualificazione di parti significative di città e sistemi urbani mediante interventi organici di interesse pubblico”. Essi “si fondano su un’idea-guida di rigenerazione legata ai caratteri ambientali e storico-culturali dell’ambito territoriale interessato, alla sua identità e ai bisogni e alle istanze degli abitanti.”

Come accennato, anche l’impianto degli strumenti appare decisamente variegato e appropriato: non solo si menzionano il recupero edilizio e il risanamento, ma anche il miglioramento dei servizi socio-assistenziali, il sostegno dell’istruzione e dell’occupazione, la conservazione e il restauro dei beni culturali e paesaggistici al fine di migliorarne la fruizione, il recupero e il riuso per favorire attività turistiche, artigianali e commerciali nei contesti urbani interessati da degrado e disagio sociale.

La norma detta anche un procedimento per l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbanistica conformi agli strumenti urbanistici comunali.

35 Il ddl S2383 all’art. 2, lett. e), afferma che si intende “per «rigenerazione urbana»: un insieme coordinato di interventi urbanistici, edilizi e socio-economici nelle aree urbanizzate, compresi gli interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura urbana, quali orti urbani, orti didattici, orti sociali e orti condivisi, che persegua gli obiettivi della sostituzione, del riuso e della riqualificazione dell'ambiente costruito in un'ottica di sostenibilità ambientale, di contenimento del consumo di suolo, di localizzazione dei nuovi interventi di trasformazione nelle aree già edificate, di innalzamento del potenziale ecologico-ambientale, di riduzione dei consumi idrici ed energetici e di realizzazione di adeguati servizi primari e secondari.” Il pressante riferimento alla agricoltura urbana e agli orti urbana indica che si ritiene che in essa consista il proprium della rigenerazione urbanistica.

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LA RIGENERAZIONE URBANA IN SENSO GIURIDICO: UN CONCETTO SFUGGENTE

Tuttavia, la norma non definisce la rigenerazione urbanistica in sé in modo diretto, ma solo indiretto, definendo i programmi che ne sono oggetto.

Ciò che la legge regionale 21 fa è introdurre uno strumento ulteriore nelle mani dell’urbanista: appunto, i programmi di rigenerazione urbana. Una operazione non molto diversa da quella attuata dal legislatore nazionale col decreto-legge 393 del 1998 che aveva introdotto i piani di recupero urbano. A differenza di quel decreto, però, questa legge dimostra di aver compreso l’essenza del concetto di rigenerazione urbana. Tuttavia, nessuna delle due norme delinea una fattispecie vera e propria, e, pertanto, non considera la rigenerazione come un istituto.

Più o meno allo stesso punto sono le corrispondenti norme di altre regioni. La legge urbanistica della Regione Toscana, la l.r. 10 novembre 2014, n. 65, agli articoli 122 e seguenti, si occupa di rigenerazione urbana, inquadrandola come un rimedio al degrado.

Altre due leggi regionali in via di approvazione menzionano la rigenerazione urbanistica in forma strumentale. Anzitutto, la proposta di legge regionale 2 febbraio 2017 n.365 della Regione Lazio, concernente le “norme per la rigenerazione urbana e il recupero edilizio”. Anche questa norma, assai meno puntuale della norma pugliese (anche perché rimanda, per l’attuazione, ad una preesistente norma sui programmi integrati di intervento e recupero) non definisce la rigenerazione urbanistica che finalisticamente, ancora citando il contrasto al degrado urbano.

Questo elemento finalistico, quello cioè del degrado urbano, rappresenta uno dei due poli di attrazione dello strumento rigenerativo.

L’altro polo è quello del consumo di suolo.

Già la legge regionale toscana vi faceva cenno. L’altra normativa di cui si era anticipato è una norma regionale veneta in via di attuazione sul consumo dei suoli36. Questa norma menziona il recupero e lo strumentario della

36 Approfondisce la questione l’articolo di P. BOSCHETTO, C. GHIRARDELLI, La

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rigenerazione, appunto in funzione di una urbanistica che riduca al minimo il consumo di suolo.

Sulla base di questa breve rassegna sulla legislazione regionale, è possibile stilare qualche provvisoria conclusione.

Anzitutto, è chiaro che nessuna norma regionale considerata definisce in modo diretto la rigenerazione urbana. Lo sforzo definitorio, quando c’è, è demandato ad un criterio finalistico. A tal proposito, vengono soprattutto citati il contrasto al degrado urbano che si traduce in degrado sociale, o anche il consumo di suolo. Raramente vengono menzionate altre finalità.

In secondo luogo, a giudicare da questa proliferazione di norme che comunque fanno riferimento alla rigenerazione urbanistica, sembra però che questo strumento, la sua utilità ma soprattutto il concetto “rigenerativo” sia ormai entrato nel lessico politico regionale, ed auspicabilmente anche nella mentalità degli amministratori locali.

Nonostante questo, è ancora complesso definire, in campo giuridico, la rigenerazione urbana.

Due elementi concorrono a creare confusione.

Il primo elemento è la mancanza di una definizione legale chiara. Come si è visto, le legislazioni regionali offrono sì una definizione, ma solo obliquamente, descrivendo un fenomeno urbanistico più che non una funzione amministrativa. Inoltre - e anzi, direi, soprattutto - non vi è perfetta concordia tra queste definizioni. Quanto alla legge nazionale, sì è visto che non vi è una definizione unica vigente (si parla infatti di un disegno di legge, che attende da lungo tempo di essere approvato). Pertanto, il silenzio della legge nazionale e la non univocità delle definizioni delle leggi regionali portano a concludere che in effetti non vi è una definizione legale soddisfacente.

Il secondo elemento di confusione è la prossimità del concetto di rigenerazione con altri concetti simili. Si è detto già di come contendano il

vol 2/2013. La rivista riporta gli atti della XVI conferenza nazionale SIU (società italiana degli urbanisti) Urbanistica per una diversa crescita, tenuta a Napoli il 9-10 maggio 2013.

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LA RIGENERAZIONE URBANA IN SENSO GIURIDICO: UN CONCETTO SFUGGENTE

campo alla rigenerazione urbana termini come recupero urbano, riuso, riqualificazione, eccetera37. Come è chiaro ormai, i termini tendono a

sovrapporsi anzitutto perché, mancando una univocità di termini nelle norme e nella comunicazione istituzionale, ciò dà adito ad errori in buona fede, però di grande diffusione e assai difficili da correggere. Di ciò ci si rende conto facilmente nel corso delle ricerche sul tema: riuso, recupero, rigenerazione e riqualificazione vengono usati indifferentemente, magari presupponendo di aver incluso nel termine di più limitata portata (riuso) anche tutti quegli elementi che invece sono propri del significato più ampio (rigenerazione).

Questa iniziale confusione è amplificata dal fatto che più ambiti del sapere (come detto: l’architettura, le scienze politiche, l’economia oltreché il diritto) portano avanti in modo parallelo proprie riflessioni in merito, sempre dando per presupposta una concordia sui termini e sui concetti, che invece non pare così scontata. Ciò sarà più chiaro in base a quanto si dirà in seguito.

Basti solo considerare la totale assenza di una qualsivoglia definizione nelle enciclopedie giuridiche più comuni38 di rigenerazione urbanistica, nonché nei

trattati di diritto amministrativo39. Anche nelle enciclopedie di materia

architettonica non è agevole riscontrare una definizione soddisfacente40.

37 Un esempio su tutti è un articolo abbastanza recente apparso sulla rivista giuridica di urbanistica. Si tratta di P. CHIRULLI, La pianificazione urbanistica tra esigenze di sviluppo e riduzione

del consumo di suolo: la riqualificazione dell’esistente, in Rivista giuridica di urbanistica, 4, 2015, pp.

592-614. In esso i concetti di rinnovo urbano, riqualificazione, rigenerazione vengono utilizzati a volte come sinonimi, a volte giustapposti a formare una endiadi, segno che si intende parlare di fenomeni più che non di fattispecie distinte.

38 Il riferimento è alla Enciclopedia Giuffrè, alla Enciclopedia Giuridica Treccani, al Nuovissimo Digesto Italiano.

39 Ad esempio, il trattato di Sabino Cassese, pur dedicando una buona sezione all’urbanistica e che contiene menzione della riqualificazione urbana, non parla mai di rigenerazione urbana (V. MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto

amministrativo, diritto amministrativo speciale, 1a ed., Tomo III, Milano, Giuffrè, 2000, p. 2571.

40 Non si trova traccia del termine nel Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica diretto da Paolo Portoghesi (Gangemi editore, 2005). Nell’ Oxford Dictionary of Architecture and Landscape Architecture si trova questa definizione di regeneration: “ the securing of the repaire and conservation fo older structures to ensure their future viability” . Nel “The metapolis

dictionary of advanced architecture” non si parla neppure di urban regeneration ma solamente di

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Naturalmente, è estremamente difficile fare delle affermazioni fondate sul motivo per cui una nozione è mancante, quando ciò non sia dovuto a una scelta deliberata e dichiarata41. L’assenza di questa definizione, infatti, non è il frutto

di una scelta dottrinaria di puntare su termini diversi. Come si vedrà meglio nei prossimi paragrafi, termini simili come “riuso”, “riqualificazione” non hanno un significato del tutto sovrapponibile con quello che normalmente si intende con “rigenerazione urbana”.

Né l’assenza di questa definizione è dovuta al fatto che essa fosse irrilevante o sconosciuta, posto che di rigenerazione si parla già da molto tempo, in particolare modo nel Regno Unito (v. supra).

Potrebbe quasi nascere il sospetto che il termine non abbia in sé tutta questa importanza, ma che possa costituire una semplice “moda passeggera”, una espressione che alcuni hanno ritenuto di utilizzare per riferirsi ad attività urbanistiche perfettamente indicabili con altre parole. Occorrerebbe cioè, per accettare l’uso di questo termine, un appiglio concettuale forte.

L’appiglio può essere individuato nel fatto che gli organi dell’Unione Europea, facendo evidentemente perno sulla esperienza anglo-sassone, si riferiscono sempre alla rigenerazione urbana. In particolare, i programmi di iniziativa comunitaria Urban e Urban II hanno sempre utilizzato il termine “rigenerazione urbana”.

È infatti a questi programmi che si deve l’uso del termine “rigenerazione urbana”.

L’iniziativa comunitaria “Urban” risale al 199442. In base ad essa, “la

Comunità mette a disposizione un contributo finanziario, sotto forma di prestiti e sovvenzioni

41 Il pensiero va alla scelta della commissione di redazione del progetto di codice civile, presieduta da Filippo Vassalli, che aveva optato per ridurre al minimo indispensabile le definizioni offerte dal codice civile: questo al fine dichiarato di non ostacolare l’azione della Dottrina, che, nelle intenzioni di Vassalli, è depositaria del dovere di fornire definizioni. Il fatto di affidare le definizioni alla dottrina e non ad un preciso articolo introdotto per descrivere la fattispecie avrebbe così determinato una certa flessibilità e longevità del codice, ottenuto proprio grazie ad un sistema non cristallizzato di definizioni, definizioni che invece erano lasciate al più dinamico e flessibile dibattito accademico.

42 Comunicazione agli stati membri 94/C 180/02, Gazzetta Ufficiale delle comunità europee C 180 del 1° luglio 1994.

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LA RIGENERAZIONE URBANA IN SENSO GIURIDICO: UN CONCETTO SFUGGENTE

e di assistenza tecnica, conformemente agli orientamenti stabiliti nella presente comunicazione, a favore di misure e di regioni comprese nei programmi operativi presentati dagli Stati membri e approvati dalla Commissione delle Comunità europee.”43.

Benché il testo della comunicazione non rechi l’espressione “rigenerazione urbana”, i contenuti sono già in gran parte coerenti con quel concetto, che verrà più proficuamente ripreso nella iniziativa Urban II.

Già nell’ottobre del 1998 una comunicazione della Commissione Europea rivolta al Parlamento e al Consiglio (Sustainable urban development in the european

union: a framework for action) utilizzava distesamente il termine “urban

regeneration” senza peraltro definirla esplicitamente, come è abitudine negli atti degli organi dell’Unione Europea44.

Il concetto era però già stato efficacemente definito due anni prima, nel marzo 1996, nella relazione di un gruppo di esperti sull’ambiente urbano rivolto alla Commissione Europea45. In questa relazione la rigenerazione urbana era

così definita:

“Il processo per invertire il decadimento economico, sociale e fisico delle

città, una volta raggiunta la fase dove le forze di mercato da sole non sono sufficienti (Royal Institution of Chartered Surveyors46 del Regno Unito) “

Questa definizione, indubbiamente molto anglo-sassone perché pone al centro il mercato, può però essere apprezzata come esempio di sussidiarietà orizzontale. In particolare, è interessante il criterio finalistico che si adotta: lo scopo della rigenerazione è invertire un processo di decadimento urbano.

43 Così letteralmente dalla Comunicazione di cui alla precedente nota, punto n°2.

44 Da notare che nella traduzione italiana dello stesso documento il termine “urban regeneration” è stato sostituito con “rinnovamento urbano”. Evidentemente, non si riteneva che il termine rigenerazione urbana sarebbe stato compreso in Italia nel 1998.

45 Si tratta della Relazione "Città europee sostenibili” - Relazione del Gruppo di esperti sull'ambiente urbano Pubblicata dalla Commissione europea -DG XI "Ambiente, sicurezza nucleare e protezione civile” (Bruxelles, Marzo 1996).

46 Si tratta di una organizzazione professionale inglese che ha lo scopo di fornire certificazioni nella gestione di terreni, immobili, infrastrutture e costruzioni. Nasce nel 1868 come istituto di sorveglianza. Gli esperti interpellati dalla commissione europea ne hanno recepito la definizione di rigenerazione urbana.

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L’iniziativa comunitaria Urban II (2000-2006), erede di Urban, ugualmente menziona la rigenerazione, ma indirettamente: si parla sì di rigenerazione, però si parla di rigenerazione “sociale47”. Tuttavia. ciò può dirsi fare poca differenza,

perché comunque sussiste il fatto che di rigenerazione sociale si parla in un contesto di una iniziativa che ha di riguardo l’urbanistica. Infatti, la rigenerazione urbana, per dirsi tale, ha sempre un risvolto socio-economico, e il fatto che Urban II parli di rigenerazione economica e sociale di una certa area non fa che ribadire il concetto di rigenerazione urbana.

Una definizione interessante di rigenerazione la si potrebbe trarre dal famoso regolamento per l’utilizzo dei beni comuni del Comune Bologna48. La

fama deriva dal fatto che è stato il primo nel suo genere, e i numerosi regolamenti comunali che sono stati fatti o sono in via di approvazione guardano a quello come un modello.

Nel regolamento per l’utilizzo dei beni comuni del Comune di Bologna sono definiti interventi di rigenerazione “interventi di recupero, trasformazione ed

innovazione dei beni comuni, partecipi, tramite metodi di co-progettazione, di processi sociali, economici, tecnologici ed ambientali, ampi e integrati, che complessivamente incidono sul miglioramento della qualità della vita nella città.” (art. 2, comma 1, lett.h) )

Questa definizione è maggiormente soddisfacente di quelle viste in precedenza. Anzitutto parte dalla consistenza oggettiva di questi fenomeni: sono interventi di recupero, trasformazione e innovazione dei beni comuni. Segue poi la finalità: incidere sul miglioramento della qualità della vita nella città. La definizione contiene altresì una indicazione di modo, una modalità attraverso cui questi interventi perseguono l’obiettivo: partecipando, attraverso la co-progettazione, a processi sociali, economici, tecnologici ed ambientali. Un ultimo elemento potrebbe sembrare secondario, ma è invece importantissimo: questi processi sono ampi ed integrati.

47 V., ad es., Vademecum for URBAN II Community Initiative Programmes , http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docoffic/working/doc/vadem_en.pdf

48 Cfr. P. MICHIARA, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei

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LA RIGENERAZIONE URBANA IN SENSO GIURIDICO: UN CONCETTO SFUGGENTE

A ben considerare questa definizione, si possono tranquillamente escludere che siano interventi di rigenerazione urbana praticamente tutti gli interventi urbanistici che normalmente i Comuni fanno, con ben poche eccezioni. E questo a prescindere dal fatto che i Comuni stessi definiscano questi interventi come di rigenerazione.

Come si è detto in precedenza, una buona parte della confusione che indubbiamente sussiste sul termine “rigenerazione urbana” è da attribuirsi alla confusione che spesso si fa con concetti contigui. Termini come recupero, riuso, riciclo e riqualificazione vengono spesso utilizzati come sinonimi di rigenerazione, e disinvoltamente confusi.

È quindi indispensabile chiarire preliminarmente la tassonomia di questi fenomeni.

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6. Concetti contigui alla rigenerazione

urbana

6.1–IL RECUPERO

Il recupero è un termine eminentemente edilizio - architettonico ed evoca una forma di restauro particolarmente complessa. A sua volta, il restauro si contrappone a “costruzione”, e indica semplicemente l’intervento edilizio volto non a costruire qualcosa di prima inesistente, ma più semplicemente a modificare ciò che già esiste.

Se il restauro è un concetto piuttosto generico, il recupero è qualcosa di più specifico, individuando un intervento su qualcosa che è esistente e che però rischia di perdere la sua funzione, o l’ha già persa. Davanti a qualcosa che va perduto, il termine che più correttamente esprime l’azione di ripristino è appunto il recupero.

Il concetto di recupero urbano o urbanistico è però più complesso. Indiscutibilmente si è voluto indicare un parallelo tra l’attività di recupero nell’edilizia e quella in urbanistica, come a voler dire che il recupero edilizio è in piccolo ciò che il recupero urbanistico è in grande, perché simile è l’idea di fondo: appunto, il recupero dell’esistente, il ripristino di ciò che ha perso la sua funzione.

Quello di “recupero” è però un termine che può vantare un vantaggio su tutti gli altri: è richiamato da molteplici leggi nazionali.

Anzitutto, naturalmente, la legge 5 agosto 1978, n.457, sui piani di recupero urbano. In essa l’art. 27 fornisce, sia pure indirettamente, una definizione di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico, inteso come “interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso”.

Parla più precisamente di recupero il Decreto del Ministero dei lavori pubblici del 5 agosto 1994, rubricato “Determinazione dei limiti massimi di costo per gli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e di edilizia

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CONCETTI CONTIGUI ALLA RIGENERAZIONE URBANA

residenziale agevolata.”. Si distinguono infatti due forme di recupero: primario e secondario.

Il recupero primario è definito come “il recupero della funzionalità e della sicurezza anche sismica dell'edificio. Tale recupero riguarda le parti comuni e comprende il consolidamento statico delle strutture portanti comprese le fondazioni, il risanamento delle murature, delle scale, delle coperture e delle parti comuni degli impianti compresi gli allacciamenti.” (art. 2, comma 1). Invece il recupero secondario è “il recupero della agibilità e funzionalità dei singoli alloggi.” (art. 3, comma 1).

Il recupero urbano è molto diverso dalla rigenerazione urbana. Quest’ultima infatti, a differenza del recupero, comprende delle azioni complesse per il risanamento urbanistico, ambientale e sociale delle zone degradate49. Non si tratta quindi solo di dimensioni dell’intervento, ma anche e

soprattutto di tipologie di intervento e di livelli e piani in cui esso va a collocarsi. Infatti, il recupero urbano ha lo scopo di ridare nuovamente servizi e infrastrutture alla disponibilità della città, ma anche solo di un quartiere o di un gruppo di edifici: sempre, però, rispettando la tipologia edilizia e la struttura urbanistica esistente50.

6.2–IL RIUSO

Il concetto di riuso è molto utilizzato, soprattutto in discipline non giuridiche. In particolare in ambito architettonico-urbanistico si parla spesso di riuso.

Il riuso è, banalmente, l’atto di dare una nuova funzione ad un edificio o a uno spazio urbano. Il concetto si contrappone al disuso, ossia appunto il non utilizzo, il lasciare inutilizzato.

Non necessariamente il riuso richiede che il suo oggetto abbia cessato la propria funzione: ma indubbiamente richiede che la funzione originaria sia una

49 R.DIPACE, op cit., p. 245.

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