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I L MODELLO INU NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE

2. La rigenerazione urbana e l’urbanistica per varianti

2.1 I L MODELLO INU NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE

Nel precedente paragrafo si è visto come coesistano un modello formale ed un modello reale di urbanistica. Tuttavia, non è stato chiarito come possano coesistere nella concretezza.

Anche se in teoria questi due regimi potrebbero coesistere senza toccarsi, non è pensabile che nella concretezza non ci siano conseguenze tangibili di un doppio regime. Questa affermazione necessita di approfondimento: il modello INU non intendeva semplicemente modificare il modo in cui viene stilato il P.R.G., distinguendo un aspetto strategico ed uno operativo. Farlo avrebbe significato vanificare totalmente l’introduzione di questa novità, e anzi aggravare un procedimento, quello per l’approvazione del P.R.G., già sufficientemente gravoso. Lo scopo principale era un altro: contrapporre al modello statico del 1942 un modello più dinamico e adattabile, e farlo peraltro senza modificare la legge urbanistica. Pertanto, adottare il modello che include il piano strutturale e quello operativo deve necessariamente - pena vanificare l’intera operazione - comportare un cambio di mentalità. Si deve cioè pensare il P.R.G. veramente in termini di strategia unita ad operatività, mettendo in secondo piano la pianificazione tradizionale.

Tuttavia, è un fatto che la pianificazione tradizionale è tuttora prevista dalla legge e quindi deve comunque in qualche modo trovare esplicitazione. I due modelli, insomma, devono coesistere.

Ciò che in effetti permette questa coesistenza è l’utilizzo del cosiddetto “procedimento in variante”. Si afferma infatti che, pur permanendo le prescrizioni del P.R.G. e del piano attuativo nel loro complesso, è possibile ammettere una eccezione, se adottata con le stesse procedure.

Si tratta delle note varianti agli strumenti urbanistici.

LA RIGENERAZIONE URBANA E L’URBANISTICA PER VARIANTI

modello INU168. Ma se l’eccesso di varianti finiva per indebolire l’autorevolezza

del P.R.G., l’introduzione del sistema dinamico ha invece reso meglio conciliabili le due cose, almeno in linea teorica.

La variante essenziale è la variante al P.R.G.169. Le varianti possono essere

parziali o generali. La variante parziale riguarda un ambito limitato del piano, cui corrisponde un ambito limitato del territorio comunale. Invece, la variante generale concerne l’intero piano e l’intero territorio comunale. Nasce da ciò l’esigenza di distinguere la variante generale dall’adozione di un nuovo P.R.G.: si tratta di un problema non da poco, visto che l’adozione di un nuovo P.R.G. comporta ovviamente lo svolgersi dell’intero iter procedimentale per l’adozione di uno strumento urbanistico generale, mentre invece una variante gode di una procedura più snella. Sul punto, la differenza è stata trovata nel permanere, o meno, «del disegno originario e dell’impostazione primaria nonché caratterizzante del P.R.G.

vigente. In altri termini, secondo l’enunciato criterio, ci si troverebbe di fronte ad una variante generale, quando le modifiche, ancorché incisive e penetranti, non abbiano toccato le linee di impostazione del P.R.G. previgente, mentre, al contrario, si sarebbe davanti ad un nuovo piano regolatore generale, allorché lo strumento urbanistico, così variato, si caratterizzasse per una diversa impostazione.170». Pertanto, se ad esempio un atto fosse presentato

come variante generale al P.R.G. ma ribaltasse il rapporto tra espansione residenziale ed espansione produttiva, questa sarebbe una cattiva qualificazione, trattandosi in questo caso non di variante ma di vero e proprio nuovo P.R.G.

La legislazione regionale ha introdotto anche il concetto di “variante minore”, a seguito della legge 47/1985. Si tratta di un procedimento semplificato

168 La variante era prevista già dall’art. 10 della legge urbanistica del 1942 (v. infra). È però stata la legge 167/1962 la prima ad attribuire alle prescrizioni del piano di zona per l’edilizia economica e popolare l’effetto giuridico di variante al piano regolatore. Questa prescrizione viene generalmente ripresa dalle leggi regionali, però in relazione a tutti i piani attuativi e non solo ai PEEP. La legislazione statale, poi, estende questo principio a tutte le opere di interesse pubblico. Infine, diventa principio generale dell’ordinamento con la l’art. 25 della l. 47/1985. v. P. URBANI, S. CIVITARESE MATTEUCCI, Diritto urbanistico, 6a ed., Torino, Giappichelli, 2017, p. 52.

169 Sul punto, cfr. G. PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico, 5a ed., Milano, Giuffrè, 2014, p. 177 ss., e v. anche G.C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, 5a ed., Milano, Giuffrè, 2003, p. 204 ss.

di approvazione, che però è limitato a dei requisiti ben precisi e quindi trova sporadica applicazione.

La legge 47/1985 ha apportato anche un altro rilevante cambiamento con riferimento alle varianti. Infatti, il comma 3 dell’art. 25 ha eliminato l’obbligo della autorizzazione regionale per le varianti, che quindi sono approvate direttamente dal Consiglio Comunale.

Ad essere precisi, la storia delle varianti è una storia di progressive concessioni legislative. Non si deve dimenticare che, originariamente, era necessaria la preventiva autorizzazione del Ministero dei Lavori pubblici per il varo di un P.R.G. comunale. Ma già nel 1964, la legge del 6 dicembre, la n. 1321, aveva emendato l’art. 10 della legge urbanistica eliminando la preventiva autorizzazione ministeriale.

Ancora, la legge 1° giugno 1971, n. 291, ha introdotto un comma dopo il penultimo all’art. 10, per cui «non sono soggette alla preventiva autorizzazione le varianti,

anche generali, intese ad adeguare il piano approvato ai limiti e rapporti fissati con i decreti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 41-quinquies e dall'articolo 41-septies della presente legge nonché le modifiche alle norme di attuazione e le varianti parziali che non incidano sui criteri informatori del piano stesso.». Il riferimento che l’articolo fa è alle distanze

minime che devono essere disposte con regolamento edilizio in ogni Comune, oltre alle aree lasciate libere per i parcheggi.

Elemento assolutamente centrale nel procedimento in variante è quello descritto al comma otto dell’art. 10 della legge urbanistica: per motivare la variante, il Comune dovrà dimostrare «le sopravvenute ragioni che determinino la totale

o parziale inattuabilità del piano medesimo» o «la convenienza di migliorarlo»171.

La variante però può interessare anche gli strumenti attuativi allo stesso modo. Vale per essi lo stesso principio del “parallelismo delle procedure”: le

171 È appena il caso di notare la grande assonanza tra questo regime e il generale procedimento di revoca, previsto dall’art. 21-quinquies della legge 241/90, in cui si citano come motivazione della revoca il sopravvenuto mutamento del pubblico interesse dovuto o a un mutare della situazione di fatto o a una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Nella definizione dell’art. 10, infatti, è presente tanto la sopravvenienza fattuale quanto la sopravvenuta valutazione dell’interesse pubblico; ma tale definizione è originaria, non è quindi susseguente alla legge 241 ma risale appunto al 1942.

LA RIGENERAZIONE URBANA E L’URBANISTICA PER VARIANTI

varianti ai piani attuativi devono seguire le medesime procedure previste per l’adozione dei piani che vanno a modificare.

Come detto al paragrafo precedente, però, le più recenti norme urbanistiche regionali prescrivono che nel P.R.G. devono essere presenti un piano strutturale ed un piano operativo (la legge urbanistica Toscana lo chiama “regolamento urbanistico”). In questo possiamo apprezzare dal punto di vista tecnico l’apporto innovativo del modello INU.

Infatti, se il piano strutturale contiene le “invarianti”, significa che non è necessario, né consigliabile, modificarlo. Le modifiche si attesteranno solo sul piano operativo, preservando le invarianti da un lato e rendendo più agevole la variante. Ovviamente, ciò comporterà delle modifiche dei piani attuativi, ma ciò naturalmente sarà meno gravoso, perché è implicito che la convenzione col privato già di per sé contiene i dettagli esecutivi, che anzi sono il cuore dell’accordo Comune-privato.