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I programmi complessi: la porta della rigenerazione o un ostacolo giuridico?

Questa breve disamina aveva lo scopo di mostrare tutti i principali strumenti attraverso i quali il nostro ordinamento rende possibile la rigenerazione urbana. Si può scorgere un cammino di consapevolezza crescente in queste norme, che sono partite inizialmente da un approccio estremamente legato all’urbanistica tradizionale e alla legge urbanistica del ’42, molto legato al concetto di delimitazione preliminare dell’ambito di intervento, bene attento in primo luogo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Le leggi prevedevano dei finanziamenti pubblici per realizzare dei progetti che il ministero o un comitato interministeriale avrebbe poi valutato, selezionato, e adottato.

La seconda generazione di programmi complessi ha invece posto l’accento sulla flessibilità che questi programmi devono necessariamente avere. La flessibilità concerne le procedure che devono adottarsi, ed è preferibile che la norma che le regola sia di rango secondario, e non primario.

Con la terza generazione, sulla spinta dei programmi Urban, il linguaggio della rigenerazione urbana sembra essere penetrato una volta per tutte nel nostro ordinamento. Flessibilità, approccio integrato, uno sguardo agli abitanti e ai loro bisogni più che non agli edifici e ai valori fondiari sono elementi progettuali di ampio respiro che però adesso non vengono più a mancare in tutte le forme rigenerative.

Indubbiamente, la maggior parte di queste norme soffrono di una impostazione un po’ datata. In particolare, risalta moltissimo l’idea di fondo delle norme di prima generazione, che puntano quasi esclusivamente sul finanziamento pubblico e considerano quello privato solo marginalmente.

Oggi la situazione è profondamente mutata. Gli enti locali hanno bilanci di gran lunga più magri di quelli di vent’anni fa e, più in generale, le risorse liberamente spendibili si sono ridotte. Ma a parte il ricorso ai fondi privati, alla

finanza di progetto e a tutte le forme di partenariato, si è compreso come non è più nemmeno auspicabile una totale autosufficienza del pubblico in questo genere di investimenti.

Questo in quanto la ristrettezza economica ha esaltato la grande inefficienza, sul piano economico, di molti progetti portati avanti dagli enti pubblici come opere pubbliche, anche in forma di rigenerazione urbana150. Ciò

ha suggerito che un maggior contatto col finanziatore privato fosse una fonte di garanzia, posto che il privato è solito valutare con scrupolo l’opportunità di un investimento, laddove nel settore pubblico la decisione politica spesso viene presa all’oscuro, o addirittura volutamente ignorando, le valutazioni di rischio che l’investimento vada nel vuoto o che non raggiunga le finalità che ci si prefiggeva di raggiungere. Inoltre, anche l’aspetto della condivisione del rischio d’impresa non è da sottovalutare.

Insomma, l’idea di fondo dell’avvicinamento tra privato e pubblico in questo settore è che quattro occhi vedano meglio di due, e che se ci si sbagliasse in due, in due si pagherebbe lo sbaglio.

Si tratta di una logica un po’ grossolana, ovviamente, posto che le finalità del pubblico e quelle del privato non necessariamente hanno a coincidere. Tuttavia, è pur vero che questo avvicinamento al privato, ora necessario, è spinto dalla necessità, oltre che di fondi, anche di trovare un confronto preventivo con la società civile per evitare che il progetto di rigenerazione risulti ininfluente per la società stessa.

150 Un esempio calzante può essere la riqualificazione di piazzale Vittorio Veneto a Firenze. L’esigenza di fondo era quella di permettere il passaggio della linea tramviaria 1 da un lato all’altro del piazzale, incrociando così uno dei flussi di traffico primari della città. Anziché interrare semplicemente il tratto di tramvia, si è optato per un progetto di più ampio respiro, che doveva ridare organicità alla piazza e renderla pedonale, interrando il flusso di traffico. Nella fase realizzativa, però, ci si è accorti che il tunnel carrabile non poteva raggiungere la profondità richiesta a causa della vicinanza con una falda acquifera, e così, anziché rinunciare e virare su un più economico tunnel tramviario, si è optato per un tunnel carrabile più corto e meno profondo. Questa scelta ha esaltato ancor più la velleità del progetto iniziale. Infatti il tunnel meno profondo non permette alle due metà della piazza di ricongiungersi, anzi è adesso presente un taglio nettissimo costituito dalle corsie di discesa e di risalita automobilistiche. Quanto al collegamento della piazza, oltre all’attraversamento tramviario, è rimasto per i pedoni un corridoio largo meno di due metri. La piazza ne è risultata tagliata in due ancor più di prima e quel punto della città è universalmente noto come uno dei più trafficati e inquinati.

I PROGRAMMI COMPLESSI: LA PORTA DELLA RIGENERAZIONE O UN OSTACOLO GIURIDICO?

Le logiche di URBAN hanno prepotentemente fatto il loro ingresso nell’ordinamento, e adesso è impossibile immaginare di tornare indietro. L’approccio integrato, l’attenzione rivolta ai cittadini più che alle città, ha colorato di sé anche i programmi italiani successivi.

Tuttavia, è di tutta evidenza che la rigenerazione urbana in Italia non goda di buona salute. Queste erano le premesse da cui partiva il convegno “Rigenerare la rigenerazione. Una proposta per ripartire”151, tenutosi a Milano il 5/12/2017.

Il convegno, organizzato dall’associazione AUDIS, ha scelto non a caso una delle città più virtuose dal punto di vista della rigenerazione.

La rigenerazione in Italia pare essersi bloccata. Quantomeno, quella spinta politica che ha portato a sempre più numerosi e raffinati strumenti giuridici pare attraversare una fase di riflessione, di ridefinizione.

Quasi paradossalmente, stanno iniziando a fiorire i contributi dottrinari sul tema, dopo che nei precedenti decenni quasi nessuno si era occupato della rigenerazione urbana da un punto di vista giuridico in Italia.

Ebbene, non si evidenzia in alcuna parte che il problema della rigenerazione urbana in Italia starebbe nella mancanza di una base normativa, o in una totalmente erronea impostazione delle norme esistenti.

Dall’esame delle norme che aprono alla rigenerazione urbana, infatti, non si leggono di particolari pastoie amministrative, o controlli o pareri obbligatori preventivi o successivi che ne ostacolerebbero la diffusione.

Prima di formulare l’affermazione conclusiva di questo capitolo, è opportuna però una premessa, che sarà anche molto importante per ciò che seguirà.

A lungo, nella storia del diritto italiano, si è pensato, a ragione, che una legge potesse portare con sé una impostazione, una mentalità nuova. La legge cioè non sarebbe, secondo questo approccio “classico”, solo e soltanto una indicazione normativa, ma implicherebbe una svolta anche a livello di mentalità in tutti i soggetti chiamati ad applicare la legge. Non a caso, in Italia si usa con

molta larghezza il termine “riforma”, che ha praticamente il significato di “legge che modifica un determinato assetto” ma che, mediaticamente, richiama sempre una radicale svolta politica.

In realtà è molto importante che, quando si vuole operare una riforma, le persone chiamate ad applicare quella riforma siano realmente in grado di comprenderne il senso; senso che spesso non solo non viene compreso, ma è esso stesso sfuggente e viene inteso tra le pieghe della legge solo dai funzionari più esperti. Ciò sia detto, naturalmente, in via di tendenza.

Questo problema, questo “non marciare di pari passo” tra legislatore ed esecutore della legge, è particolarmente evidente nel diritto amministrativo. Le logiche interne degli uffici assai difficilmente si lasciano stravolgere dalle riforme della pubblica amministrazione, che rimane una degli aspetti del sistema più difficili da riformare.

Si deve pertanto rinunciare all’idea che il formulare una legge automaticamente orienti i funzionari pubblici non solo all’applicazione della stessa (il che si dà per scontato) ma anche ad una corretta comprensione della filosofia che sta dietro a quella legge.

Se questo è vero, come pare abbastanza evidente, si deve anche dire che la disciplina che una legge porta con sé non è in grado di auto-generare la mentalità più corretta per la sua applicazione, specialmente se si tratta di una mentalità nuova.

Fatta questa premessa, si può concludere che le norme sulla rigenerazione urbana che si sono passate in rassegna in questo capitolo non sono di ostacolo di per sé, per il loro contenuto normativo, ad una più piena attuazione della rigenerazione urbana in Italia.

Se però si pretendesse, applicando l’approccio classico e duro a morire secondo cui ogni legge sarebbe una riforma e in quanto tale preluderebbe ad un cambio di mentalità prima che di disciplina in tutti gli interessati, a partire dai funzionari pubblici, si dovrebbe concludere che le norme sulla rigenerazione urbana hanno fallito nel tentativo di introdurre una vera mentalità nuova

I PROGRAMMI COMPLESSI: LA PORTA DELLA RIGENERAZIONE O UN OSTACOLO GIURIDICO?

nell’urbanistica italiana, che continua per inerzia a trascinare la vecchia logica che considera solo zone, cubature e destinazioni d’uso come gli elementi rilevanti di un tessuto urbano. Quelle norme infatti non conterrebbero alcuna indicazione in grado di orientare diversamente il funzionario che si occupa di urbanistica, ma verrebbero viste come semplici occasioni per ottenere degli interventi puntuali, degli sporadici finanziamenti statali o regionali o comunitari, e per realizzare dei cambiamenti localizzati e circoscritti.

Al contrario, rifiutando, come pare più opportuno, di approcciarsi a un istituto nuovo con mentalità vecchia, e rinunciando in partenza al tentativo di affidare alla norma compiti che non può avere, come la “conversione simultanea” di tutti i funzionari ad una mentalità che non è loro propria, ma che è al contrario radicalmente diversa dagli approcci a loro più familiari, si può probabilmente essere più puntuali e corretti nel giudizio di quelle norme.

Le norme sulla rigenerazione urbana introducono questa possibilità nel nostro ordinamento, e non sembra che le pecche nella loro formulazione, che obiettivamente non mancano, siano il reale ostacolo alla penetrazione della rigenerazione urbana nello scenario delle politiche urbanistiche in maniera considerevole.

Nel prossimo capitolo ci si interrogherà proprio su quale sia l’ostacolo alla rigenerazione urbana in Italia.

CAPITOLO 3

LA RIGENERAZIONE

URBANA ALLA PROVA

1.

La

rigenerazione

urbana