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La rigenerazione urbana nella legislazione regionale

La legislazione regionale, a differenza di quella nazionale, sembra avere maggiore consapevolezza di ciò che l’espressione “rigenerazione urbana” comporta.

Nel 2008, infatti, la Regione Puglia ha emanato una legge (legge 29 luglio 2008, n. 21) rubricata “norme per la rigenerazione urbana”. Questa legge dimostra di aver ben compreso le potenzialità di questo strumento, tanto da elencare, se non tutte, buona parte di esse. Non viene definita la rigenerazione urbana, ma i “programmi di rigenerazione urbana”, che sono “strumenti volti a promuovere la riqualificazione di parti significative di città e sistemi urbani mediante interventi organici di interesse pubblico”. Essi “si fondano su un’idea- guida di rigenerazione legata ai caratteri ambientali e storico-culturali dell’ambito territoriale interessato, alla sua identità e ai bisogni e alle istanze degli abitanti.”

Come accennato, anche l’impianto degli strumenti appare decisamente variegato e appropriato: non solo si menzionano il recupero edilizio e il risanamento, ma anche il miglioramento dei servizi socio-assistenziali, il sostegno dell’istruzione e dell’occupazione, la conservazione e il restauro dei beni culturali e paesaggistici al fine di migliorarne la fruizione, il recupero e il riuso per favorire attività turistiche, artigianali e commerciali nei contesti urbani interessati da degrado e disagio sociale.

La norma detta anche un procedimento per l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbanistica conformi agli strumenti urbanistici comunali. Tuttavia, la norma non definisce la rigenerazione urbanistica in sé in modo diretto, ma solo indiretto, definendo i programmi che ne sono oggetto.

Ciò che la legge regionale 21 fa è introdurre uno strumento ulteriore nelle mani dell’urbanista: appunto, i programmi di rigenerazione urbana. Una operazione non molto diversa da quella attuata dal legislatore nazionale col

decreto-legge 393 del 1998 che aveva introdotto i piani di recupero urbano. A differenza di quel decreto, però, questa legge dimostra di aver compreso l’essenza del concetto di rigenerazione urbana: l’oggetto è più ampio, l’approccio più vasto.

Più o meno allo stesso punto sono le corrispondenti norme di altre regioni. La legge urbanistica della Regione Toscana, la l.r. 10 novembre 2014, n. 65, agli articoli 122 e seguenti, si occupa di rigenerazione urbana, inquadrandola come un rimedio al degrado.

Altre due leggi regionali in via di approvazione menzionano la rigenerazione urbanistica in forma strumentale. Anzitutto, la proposta di legge regionale 2 febbraio 2017 n.365 della Regione Lazio, concernente le “norme per la rigenerazione urbana e il recupero edilizio”. Anche questa norma, assai meno puntuale della norma pugliese (anche perché rimanda, per l’attuazione, ad una preesistente norma sui programmi integrati di intervento e recupero) non definisce la rigenerazione urbanistica che finalisticamente, ancora citando il contrasto al degrado urbano.

Questo elemento finalistico, quello cioè del degrado urbano, rappresenta uno dei due poli di attrazione dello strumento rigenerativo.

L’altro polo è quello del consumo di suolo.

Già la legge regionale toscana vi faceva cenno. L’altra normativa di cui si era anticipato è una norma regionale veneta in via di attuazione sul consumo dei suoli147. Questa norma menziona il recupero e lo strumentario della

rigenerazione, appunto in funzione di una urbanistica che riduca al minimo il consumo di suolo.

Nel 2009 sono state varate in parallelo delle leggi regionali che avevano lo scopo di rimettere in moto l’edilizia da un lato e favorire il risanamento, dall’altro148.

147 Approfondisce la questione l’articolo di P. BOSCHETTO, C. GHIRARDELLI, La

rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo, in Planum. The Journal of Urbanism, n. 27,

vol 2/2013. La rivista riporta gli atti della XVI conferenza nazionale SIU (società italiana degli urbanisti) Urbanistica per una diversa crescita, tenuta a Napoli il 9-10 maggio 2013.

LA RIGENERAZIONE URBANA NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE

Non sfugge il fatto che tutte queste leggi sono state emanate tra il luglio e il novembre del 2009. E infatti sono il frutto di un accordo regionale sancito con la Conferenza unificata del 1° aprile 2009, conferenza in cui le Regioni avevano deciso di prendere iniziative legislative finalizzate al rilancio dell’attività edilizia e del tessuto urbanistico.

Queste leggi sono quindi simili: alcune più ambiziose e sistematiche, come quella del FVG, il “codice regionale dell’edilizia”; altre più brevi e puntuali, come quella lombarda che consta solo di sette articoli. Tutte però offrono la possibilità di valorizzazione del patrimonio edilizio esistente favorendo il risanamento, il consolidamento, e quindi il recupero edilizio da un lato, ma anche ampliando le possibilità di costruire, dall’altro.

Spesso le Regioni hanno emanato leggi specifiche in collegamento con un istituto concepito a livello nazionale, in piena attuazione della sussidiarietà verticale e del principio di leale collaborazione. È il caso della legge regionale lombarda 12 aprile 1999, n. 99, rubricata “disciplina dei programmi integrati di intervento”. Questa legge introduce ed esplica i programmi integrati di intervento già previsti dalla legge nazionale (legge 179/1992, art. 16). In particolare, però, introduce uno strumento nelle mani dei comuni: si tratta del Documento di inquadramento.

Il Documento di inquadramento è il risultato di una delibera del consiglio comunale con il quale si determinano quali sono gli obiettivi generali “e gli

La legge Regionale 11 Agosto 2009, n. 21 della Regione Lazio, rubricata “Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale”;

La Legge Regionale 07 agosto 2009, n. 25 della Regione Basilicata, rubricata “ Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”;

La Legge Regionale 08 ottobre 2009, n. 22 della Regione Marche, rubricata “Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l'occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”, così come modificata dalla Legge Regionale 25 dicembre 2016, n. 26;

La Legge Regionale 11 novembre 2009, n. 19 della Regione Friuli-Venezia Giulia, rubricato “codice regionale dell’edilizia”;

La Legge Regionale 16 luglio 2009, n. 13, della Regione Lombardia, rubricata “ Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia”.

indirizzi della propria azione amministrativa nell'ambito della programmazione integrata d'intervento sull'intero territorio comunale.” (così l’art. 5).

La legge poi permette delle procedure semplificate per le varianti del piano regolatore generale che si rendessero necessarie149.

In sostanza, si tratta di un buon esempio di come la legge regionale può (e dovrebbe) completare la normazione di questi istituti solo abbozzati dalla legge nazionale.

Sulla base di questa breve rassegna sulla legislazione regionale, è possibile stilare qualche provvisoria conclusione.

Anzitutto, è chiaro che nessuna norma regionale considerata definisce in modo diretto la rigenerazione urbana. Lo sforzo definitorio, quando c’è, è demandato ad un criterio finalistico. A tal proposito, vengono soprattutto citati il contrasto al degrado urbano che si traduce in degrado sociale, o anche il consumo di suolo. Raramente vengono menzionate altre finalità.

In secondo luogo, a giudicare da questa proliferazione di norme che comunque fanno riferimento alla rigenerazione urbanistica, sembra però che questo strumento, la sua utilità ma soprattutto il concetto “rigenerativo” sia ormai entrato nel lessico politico regionale, ed auspicabilmente anche nella mentalità degli amministratori locali.

149 L’art. 8, comma 4 della l.r. 9/99 consente infatti, nei casi definiti dall’art. 6, comma 2 della legge regionale 23/1997, (ossia se non si tratta di progetti in corso, di aree stralciate dalla giunta regionale e che comunque rispettino gli standard urbanistici) di approvare le varianti con procedura semplificata di cui all’art. 3 della stessa legge, ossia con 30 giorni di pubblicazione e 90 giorni di tempo per approvare la variante.

7. I programmi complessi: la porta della