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I gruppi di auto-mutuo-aiuto in salute mentale: un esempio di integrazione sociale nel territorio pisano

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1. PERCHÈ L'AUTO-AIUTO? 7

1.1 I nuovi bisogni del sociale 7

1.2 Un nuovo modo di intendere il benessere 8

1.3 Il principio di sussidiarietà 10

1.3.1 Il principio di sussidiarietà orizzontale 11

1.3.2 Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’ordinamento costituzionale italiano 13

1.3.3 Il principio di sussidiarietà orizzontale nella legge 833 del 1978 14

1.3.4 Il principio di sussidiarietà orizzontale nella legge 328 del 2000 14

1.3.5 Il principio di sussidiarietà orizzontale nelle normative regionali 16

1.4 La comunità come risorsa 17

CAPITOLO 2. CHE COS'È L'AUTO-AIUTO 21

2.1 La storia del self-help: dai primordi allo stato moderno 21

2.2 Il panorama italiano: la nascita dei gruppi AMA nel nostro Paese 24

2.3 In cerca di una definizione 25

2.4 Caratteristiche e peculiarità principali dei gruppi di auto-mutuo-aiuto 27

2.5 Classificazione dei gruppi di auto-mutuo-aiuto 29

2.6 Obiettivi e finalità dei gruppi di auto-mutuo-aiuto 31

2.7 Gli effetti trasformativi del gruppo: dinamiche interne ai gruppi di auto-mutuo-aiuto 32

CAPITOLO 3. L’AUTO-AIUTO NELLA SALUTE MENTALE: UNA

CONCRETA ESPERIENZA SUL TERRITORIO PISANO,

L’ASSOCIAZIONE L’ALBA 36

3.1 Il sociale della psichiatria 36

3.2 Un quadro internazionale: l’evoluzione storica dell’auto-aiuto psichiatrico 38

3.3 Le riforme degli anni Settanta in Italia 40

3.4 La storia dell’Associazione L’Alba 41

3.4.1 Le attività dell’associazione L’Alba 44

3.5 La figura del Facilitatore Sociale 46

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2

3.5.2 Metodi di conduzione dei gruppi di auto-mutuo-aiuto 50

CAPITOLO 4. IL PROTAGONISMO DEGLI “UTENTI”: PERCORSI DI EMPOWERMENT ALL’INTERNO DEI GRUPPI DI AUTO-MUTUO-AIUTO

54

4.1 Per una definizione 54

4.2 Salute mentale ed empowerment 56

4.3 Auto-aiuto ed empowerment 58

4.3.1 Il percorso di empowerment nei gruppi di auto-aiuto 58

4.3.2 I gruppi di auto-aiuto dell'Associazione L'Alba: l'acquisizione dell'empowerment ai fini

dell'inserimento in contesti lavorativi 60

4.4 Cittadinanza attiva e partecipazione 61

CAPITOLO 5. LE RETI SOCIALI 65

5.1 Cogliere la complessità sociale: la prospettiva di rete 65

5.2 Il concetto di rete sociale 65

5.3 Le reti sociali e il benessere: la produzione di capitale sociale 67

5.4 I gruppi di auto-aiuto e le reti sociali 69

CAPITOLO 6. FARE LAVORO DI RETE NELLA SALUTE MENTALE 72

6.1 Tra lavoro di rete e lavoro di comunità: la valorizzazione del territorio 72

6.2 Il lavoro di rete nella salute mentale 74

6.3 Integrazione tra servizi “formali” ed “informali”: verso una nuova collaborazione 75

6.4 Auto-aiuto e servizi istituzionali: la realtà dell'Associazione L'Alba 78

6.5 L'auto-aiuto come risorsa in rete: l'opinione degli operatori 81

6.6 Il ruolo degli operatori nella promozione e nell'attivazione dei gruppi di auto-aiuto 82

6.7 Il ruolo dell'assistente sociale nei gruppi di auto-mutuo-aiuto 86

CAPITOLO 7. TESTIMONIANZE DI VITA 89

Fabiana Pacini, Facilitatrice Sociale dell’Associazione L’Alba 89 Eva Campioni, Facilitatrice Sociale dell’Associazione L’Alba 92

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3

BIBLIOGRAFIA 95

SITOGRAFIA 97

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4 INTRODUZIONE

Viviamo in una società in cui il bisogno di cura e il tempo ad esso dedicato tende ad aumentare.

Il lavoro di cura non interessa più solo alcune categorie di persone, ma riguarda, interessa e coinvolge un numero sempre più ampio di individui di tutte le età, di tutte le professioni, a prescindere dall’essere portatori o meno di specifiche patologie. Alcuni elementi caratterizzanti l’attuale società come la forte individualizzazione, la complessificazione dei bisogni e la frammentazione della domanda rendono necessaria la valorizzazione di interventi basati sulla centralità della persona nella sua cura e sulla valorizzazione delle risorse individuali.

Il lavoro di auto-mutuo-aiuto sarà una costante con cui le nostre politiche sociali dovranno fare i conti. La pratica del self-help interesserà un numero sempre più elevato di persone.

Si tratta, infatti, di una “tecnica” che ben si adatta alle nuove esigenze dei cittadini e alle loro richieste di maggiore personalizzazione delle risposte, di maggiore umanizzazione, nonché di una maggiore flessibilità delle prestazioni.

Chi opera nel sociale non può più prescindere dal ragionare sulle capacità di iniziativa e di espressione presenti in ogni soggetto, al fine di sviluppare e lasciare emergere tali potenzialità direttamente dalla dotazione personale dell’individuo piuttosto che pensare di dare indicazioni e istruzioni su cosa e come fare. Non è quindi possibile pensare ad un percorso di cura che annienti gli aspetti esperenziali vissuti in prima persona.

Questo ovviamente comporta un ripensamento dell’organizzazione dell’intero sistema dei servizi per la salute mentale, che dovrà prendere necessariamente atto ed accogliere la presenza e la partecipazione di altre forme di aiuto oltre a quelle istituzionali, con le quali sarà necessario collaborare al fine di mettere in campo risposte “intelligenti” che siano in grado di cogliere la reale complessità di un bisogno altrettanto complesso, come quello della salute mentale.

È proprio questo l’elemento di modernità dell’auto-aiuto: ciascun soggetto porta il suo problema e la sua storia di vita dentro il gruppo, questo lo riceve, lo fa proprio e attraverso lo scambio, il confronto e la condivisione elabora il problema e lo restituisce al soggetto che ne era portatore. A beneficiare di tutto ciò non è solo la

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5 persona che ha esposto il problema, ma tutto il gruppo in quanto la riflessione che ne scaturisce può portare una nuova visione riguardo i propri problemi.

Questa tesi si propone di dimostrare, o meglio di mettere in evidenza, i punti di forza dei gruppi di auto-mutuo-aiuto (AMA) nel trattamento del disagio mentale, per farlo si serve del lavoro svolto con passione sul territorio pisano da parte dell’Associazione L’Alba.

Il territorio pisano ha concretamente recepito il principio di sussidiarietà orizzontale, che ha preso vita attraverso la creazione di gruppi di auto-aiuto e col tempo di una vera e propria Associazione.

Quest’ultima mira, attraverso le sue attività, a realizzare gli obiettivi di socializzazione e integrazione sociale, passando per l’acquisizione dell’empowerment e per la costruzione di reti sociali, attraverso l’importante collaborazione con i servizi territoriali.

All’interno di questa tesi l’attenzione viene focalizzata in particolar modo sui gruppi di auto-aiuto, data la personale frequentazione a questi incontri durante il mio periodo di tirocinio ogni lunedì e mercoledì pomeriggio, presso il circolo Arci di San Biagio.

Il fulcro centrale di quest’elaborato consiste nel mettere in evidenza il ruolo strategico e fondamentale svolto dall’auto-aiuto psichiatrico sul territorio pisano in termini di produzione di benessere.

L’intento è quello di dimostrare come sia effettivamente possibile liberarsi da una condizione di inerzia e di sudditanza nei confronti della malattia, al fine di riconquistare la propria vita, prendendone nuovamente in mano le redini.

Si tratta di un percorso complesso, ma possibile, come dimostrano i risultati ottenuti nel corso del tempo dall’Associazione L’Alba di Pisa in termini di empowerment e nella costruzione di reti sociali.

La trattazione di questa tematica si inserisce all’interno di un ampio contesto che vede i gruppi di auto-mutuo-aiuto agire in un moderno sistema di welfare mix, in cui i fruitori delle prestazioni sono partner attivi, destinatari con diritto di voce.

Le politiche di self-help includono tutto quell’insieme di interventi e azioni finalizzati a dare cittadinanza a individui che tradizionalmente rivestono un ruolo marginale.

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6 Si tratta di politiche in grado di valorizzare esperienze di vita dirette, di creare legami tra individui, di valorizzare il capitale sociale dei singoli sostenendo contemporaneamente la creazione di un capitale sociale collettivo.

Tutto ciò produce degli effetti positivi, in quanto, l’esigenza di autonomia e di scelta da parte del cittadino trova finalmente risposta.

L’importanza delle politiche di self-help risiede proprio nella possibilità di riconoscere al cittadino il diritto di partecipare non solo alla definizione dei bisogni ma anche alla creazione di risposte finalizzate alla loro soddisfazione.

I gruppi di self-help, sono generatori di forme di vita comunitarie sul territorio, sono espressione di cittadinanza attiva, rappresentano un modo per reinserire il disagio all’interno della vita quotidiana, aumentano e rafforzano il legame sociale producendo relazione, scambio e comunicazione.

Inoltre, è fondamentale tenere presente che l’auto-aiuto non vuol essere in alcun modo sostitutivo di altre tecniche terapeutiche, questo deve essere percepito come una risorsa aggiuntiva, che va a sommarsi a quelle già esistenti, si tratta di un valido completamento alle risposte offerte dalle istituzioni ai più svariati problemi socio-sanitari.

L’auto-mutuo-aiuto costituisce uno “strumento per la vita”, gli individui che partecipano ai gruppi di self-help hanno la possibilità di riscrivere il copione della loro esistenza.

Si tratta di gruppi in grado di coniugare interessi e identità, capaci di portare alla luce risposte basate su reali esperienze di vita, è proprio questo il segreto della loro efficacia.

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7 CAPITOLO 1. PERCHÈ L'AUTO-AIUTO?

1.1 I nuovi bisogni del sociale

Nel nostro Paese l'attuale momento è caratterizzato dal tentativo di rivedere complessivamente lo stato sociale e in particolar modo i rapporti tra istituzioni e terzo settore.

Questa necessità è determinata da una crisi dello Stato assistenziale, presentatesi sin dagli anni Settanta. Crisi imputata da un lato a questioni fiscali e finanziarie e dall'altro a questioni organizzative e burocratiche che vincolano in modo eccessivo gli interventi pubblici, rendendoli inadeguati a garantire prestazioni che siano coerenti con le esigenze individuali. Esigenze legate ad elementi caratterizzanti l'attuale società quali la forte individualizzazione e una maggiore complessità dei bisogni.

In un tale contesto diviene essenziale la personalizzazione delle risposte, cogliere la multiformità dei bisogni degli utenti e l'emergere di nuovi valori che esprimono la necessità di rapporti umani più intimi e di solidarietà quotidiana, nonché una flessibilità delle prestazioni.

Nel rispetto della globalità e unitarietà dei bisogni delle persone, è necessario assicurare il coordinamento tra quelle istituzioni che operano all'interno del sistema sanitario nazionale e quelle istituzioni sociali che pur non facendone parte si occupano della salute degli individui; bisogni multiformi e complessi richiedono risposte armoniche e non contraddittorie. Quindi, la direzione imboccata è quella di integrare le funzioni e le risorse delle istituzioni con quelle del terzo settore.

Precondizione necessaria alla definizione di politiche socio-sanitarie di integrazione tra pubblico e privato sociale è la promozione della partecipazione diretta del cittadino alla vita sociale, e in particolar modo alla gestione e alla protezione della propria salute.

Nell'attuale società minacciata da un crescente individualismo e dalla competizione, diventa prioritario riportare al centro della vita comunitaria l'intervento di prevenzione e promozione del benessere.

“Per cui dal problema personale si passa al problema sociale, dalla cura medica all'integrazione sociale, dal trattamento individuale all'azione civica, dall'aiuto professionale alla responsabilità individuale e collettiva, dall'intervento sulla persona

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8 a quello sull'ambiente, sui comportamenti e sulle politiche socio-sanitarie”1.

La realtà dell'auto aiuto, in questi ultimi anni si è affermata sempre più, diventando valido completamento alle risposte offerte dalle istituzioni ai più svariati problemi socio-sanitari.

Accanto ad altri e più tradizionali strumenti operativi, l'auto-aiuto ha saputo offrire tempestività e diffusività nelle risposte, sviluppando interventi di ampio respiro e a lungo termine, ricollocando nella dimensione della vita quotidiana sia il bisogno che l'offerta di aiuto.

1.2 Un nuovo modo di intendere il benessere

Oggi il termine benessere è rivestito da un nuovo significato. Risale, infatti, al primo statuto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948, la prima estensione del concetto in base al quale, “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattie e infermità”2

.

Un ulteriore contributo è arrivato nel 1978 dalla Conferenza Internazionale sull'Assistenza Sanitaria Primaria di Alma Ata3, che sottolinea che “la salute è un obiettivo sociale di assoluta importanza che presuppone la partecipazione di numerosi attori socio-economici oltre che sanitari”.

Si assiste così al passaggio da una antica medicina fondata sull'osservazione ad una medicina scientifica basata sul modello bio-medico dove l'individuo veniva visto come “un organo” più che come una persona e l'attenzione era focalizzata più sulla malattia che sulla salute.

Fino ad arrivare al passaggio da un modello medico ad un modello bio-psico-sociale e la società tutta diviene promotrice della costruzione di salute e felicità. Non basta, infatti, intervenire solo in termini di cura e terapia medica, ma si rendono necessari interventi volti ad una cura complessiva della persona.

Se la salute non è semplice assenza di malattia ma una condizione di benessere fisico, mentale e sociale, la conseguenza è duplice: da un lato occorre individuare i fattori che contribuiscono allo stato di benessere di ciascuna persona; dall'altro quali

1

Associazione L’Alba (2013), Self Help in mental health, San Miniato (PI), tipografia Bongi, p. 184. 2

http://www.intelligenzaemotiva.it/Centro_pilota/Intervento%20Barbara.pdf. 3

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9 sono i soggetti cui compete la promozione delle politiche di salute.

Agli Stati vengono assegnati così dei compiti che vanno ben oltre la gestione di un sistema sanitario, il loro compito è quello di modificare quei fattori che influiscono negativamente e promuovere quelli che migliorano la qualità della vita.

Il principio affermato dall'OMS è stato fatto proprio dall'ordinamento italiano fin dalla legge 833 del 19784, istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Tale legge assegna a quest'ultimo il compito di provvedere al mantenimento del benessere fisico, mentale e sociale. Non solo curare ma anche prevenire, informare, sensibilizzare, promuovere comportamenti orientati al benessere.

Il governo, come amministratore ultimo della salute, deve assumersi la responsabilità di mettere in atto, di sviluppare e incrementare politiche in grado di individuare le principali problematiche e i relativi obiettivi di benessere, definendo i ruoli da assegnare al settore privato e a quello pubblico nel finanziamento e nella promozione delle azioni. Inoltre spetterà al governo stesso la definizione degli strumenti politici e gli accordi tra organizzazioni che operano a livello pubblico e privato per l'identificazione di obiettivi comuni.

La promozione della salute è intesa come processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, un individuo o un gruppo deve essere in grado di realizzare le proprie aspirazioni, i propri bisogni. La salute è vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l'obiettivo del vivere. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.

Questi principi costituiscono l’impalcatura concettuale della Carta di Ottawa5, del 1986, nella quale si evince l’importanza del ruolo assegnato al personale dei servizi per la salute ed ai gruppi professionali e sociali, di: “mediatori per conciliare i differenti interessi della società a favore della salute”; in altre parole vengono riconosciute e legittimate le scelte, le decisioni degli individui relativamente all’ambito della salute personale, fisica e mentale, attraverso la diffusione di una logica di restituzione e stimolazione dell’empowerment, delle conoscenze e delle competenze personali.

Oggi, la salute è proposta come concetto positivo che mette l'accento sulle risorse

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http://www.comune.jesi.an.it/MV/leggi/l833-78.htm. 5

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10 personali e sociali: ogni cittadino è chiamato ad esercitare un maggior controllo sulla propria salute e su quella dei propri cari e migliorarla.

Si va verso una “medicina della persona” nella sua totalità, si propone un concetto di salute globale che riporta al centro la persona come unità psico-fisica interagente con l'ambiente. La salute viene presentata come “patrimonio” personale ma anche sociale, che pone l’accento sull’importanza dei soggetti interessati ad essere più responsabili ed a partecipare attivamente alla costruzione del proprio stato di salute. Questo contesto favorisce la crescita del self-help, contribuisce a creare grande interesse intorno a questo “modello”, ancor più importante, contribuisce a realizzare quelle condizioni, quel clima, quel terreno fertile, dove solidarietà, integrazione e aiuto reciproco, cioè i valori del self-help crescono e si sviluppano.

La pratica dell'auto-mutuo-aiuto (AMA) interesserà un numero sempre crescente di persone poiché le molte e continue prove a cui ogni individuo è sottoposto richiedono per essere affrontate forme di sostegno significative, non costrittive, riconosciute dal singolo e non standardizzate.

1.3 Il principio di sussidiarietà

Il nostro attuale sistema socio-sanitario è basato su cinque principi fondamentali:  universalità dell'assistenza sanitaria;

 solidarietà del finanziamento attraverso la fiscalità generale;  equità di accesso alle prestazioni;

 sussidiarietà;  integrazione.

Questi principi sono fortemente legati tra loro e ciascuno di essi è indispensabile al fine di creare risposte intelligenti, che siano in grado di cogliere la vera natura dei bisogni.

Per quanto riguarda l'espressione “sussidiarietà”, questa era già stata introdotta in occasione del recepimento della “Carta Europea delle Autonomie Locali”6

, avvenuto con la legge n. 439 del 19897; ma è entrata a far parte del nostro ordinamento solo

6

http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/PDF/Italian/122-Italian.pdf. 7

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11 con la legge n. 59del 19978.

Le fonti comunitarie si riferiscono esplicitamente soltanto al concetto di sussidiarietà “fra le Istituzioni pubbliche” (la così detta “sussidiarietà verticale”), quando indicano che “l'esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini” (articolo 4 della Carta Europea). Per la costruzione di un moderno sistema di risposta ai bisogni dei cittadini però è necessario tenere in considerazione anche la così detta “sussidiarietà orizzontale” fra le Istituzioni pubbliche e società civile, intesa, quest'ultima quale l'insieme di soggetti individuali e collettivi che la compongono.

Solo dall'incrocio tra questi due sistemi, verticale e orizzontale, potranno essere fornite risposte efficaci e adeguate alle esigenze della popolazione. Questi due sistemi devono necessariamente integrarsi tra loro, più grande sarà questo incrocio maggiormente idonee saranno le risposte fornite dai servizi.

In un quadro solidaristico che preservi le fondamentali funzioni dello stato sociale, la corretta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale deve mirare a conservare e rafforzare il ruolo delle Istituzioni pubbliche in due direzioni:

 sostegno costante ai legami solidaristici che si vengono a creare all'interno della società civile e alle loro risorse;

 garanzie di imparzialità e completezza della rete degli interventi e servizi presenti sul territorio.

Il concetto di sussidiarietà orizzontale non può essere inteso quale semplice supplenza delle istituzioni pubbliche alle carenze della società civile, ma quale strumento di promozione, coordinamento e sostegno alle formazioni sociali (famiglie, associazioni, volontariato ecc.), per permettere loro di esprimere al meglio le proprie potenzialità e risorse. Resta comunque in capo alle istituzioni il dovere di garantire delle risposte.

1.3.1 Il principio di sussidiarietà orizzontale

L'affermarsi di una visione olistica della tutela della salute e la costruzione di un modello organizzativo più confacente alla necessità di perseguire l'integrazione fra il

8

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12 sociale e il sanitario hanno creato la consapevolezza della necessità di un maggiore coinvolgimento della società civile, e quindi delle realtà del terzo settore e del volontariato, non solo nella gestione dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, ma anche nella pianificazione delle strategie e degli interventi.

La regione Toscana si è sempre dimostrata sensibile alle dinamiche sociali e ai valori che hanno generato nel tempo un sistema di “welfare mix”, che vede intrecciarsi i servizi pubblici con una fitta rete di opere del privato sociale.

Le nuove collaborazioni tra pubblico e privato hanno tentato di risolvere alcuni dei problemi che sono alla base della crisi del welfare: abbassare la spesa, creare organizzazioni meno burocratiche, più elastiche, capaci di adattarsi a bisogni sempre più diversi, coinvolgere maggiormente i cittadini in processi di auto-aiuto.

Negli assetti programmatori e gestionali trovano maggiore risalto le forme di partecipazione basate sul coinvolgimento dei destinatari dei servizi, delle organizzazioni sociali e delle comunità locali. Insieme caratterizzano l'evoluzione verso sistemi di protezione sociale ad alta “sussidiarietà solidale”.

In Toscana, la gran parte di tali istanze avevano assunto rilevanza giuridica già nel 1997: la legge regionale sulla “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità”9, valorizzava già in modo significativo il ruolo del cittadino, stimolato a farsi “protagonista e soggetto attivo nell'ambito dei principi di solidarietà, di partecipazione, di auto-organizzazione, di attività promozionali” mediante “la promozione e valorizzazione della partecipazione degli utenti, dei cittadini, e delle formazioni ed organizzazioni sociali all'individuazione delle istanze emergenti in seno alla collettività e degli obiettivi di programmazione”.

In Toscana il principio della sussidiarietà orizzontale trova oggi espressione concreta in un ricchissimo tessuto di volontariato, associazionismo e opere sociali diffuse sul territorio. La normativa nazionale e le conseguenti norme regionali hanno sostenuto questi processi.

9

http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Superabilex/Banca_Dati/Leggi_Regionali/info 1531848158.html.

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13 1.3.2 Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’ordinamento costituzionale italiano

Il principio di sussidiarietà è un principio relativamente recente per l'ordinamento costituzionale italiano, in quanto vi ha trovato ingresso soltanto con la riforma del titolo V della parte II della Costituzione.

Tale principio è regolato dall'articolo 11810 del nostro testo costituzionale il quale prevede che:

"Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà".

Il principio di sussidiarietà orizzontale implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività.

Tutti gli enti pubblici rappresentativi, elencati nell'articolo 118, quarto comma, nel momento in cui decidono di tutelare un diritto sociale devono preferire l'azione dei cittadini singoli o associati e solo dopo aver accertato la necessità di un intervento pubblico, possono attribuire a sé o ad altro ente rappresentativo la tutela di quel diritto.

Il carattere innovativo del suddetto principio sta proprio nel fatto che il flusso delle informazioni e delle decisioni, che tradizionalmente partiva dalle amministrazioni, si inverte: diventa il cittadino, come singolo o nelle formazioni sociali cui appartiene, il fulcro delle iniziative pubbliche.

La crescente richiesta di partecipazione dei cittadini alle decisioni e alle azioni che riguardano la cura di interessi aventi rilevanza sociale ha dunque oggi la sua legittimazione nella nostra legge fondamentale.

Quest'ultima prevede, dopo la riforma del Titolo V, anche il dovere da parte delle amministrazioni pubbliche di favorire tale partecipazione nella consapevolezza delle conseguenze positive che ne possono derivare per le persone e per la collettività in termini di benessere.

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14 1.3.3 Il principio di sussidiarietà orizzontale nella legge 833 del 1978

La concezione universalistica del diritto alla salute per tutti i cittadini resta ancora oggi il risultato più importante dell'elaborazione politica e culturale che si sviluppò negli anni Settanta.

Fu la legge 833/1978, Istituzione del Sistema sanitario nazionale, l'evento chiave del processo di riforma dell'intero comparto dei servizi alla persona. Essa conteneva anche molti riferimenti al settore sociale e alla necessità di integrazione tra settore sociale e sanitario. In mancanza dell'approvazione di un'analoga legge per il comparto sociale, tale legge assunse funzione di “traino” rispetto all'innovazione anche dei servizi sociali.

Termini come lotta all'emarginazione, prevenzione, programmazione, decentramento, partecipazione divennero idee-guida che andarono a determinare il nuovo assetto assunto dalla rete dei servizi.

Perché gli obiettivi proposti e i singoli interventi rispondessero effettivamente ai bisogni occorreva che cittadini e utenti avessero voce nel proporli e valutarli, in altre parole, il coinvolgimento partecipativo era ritenuto requisito necessario per garantire efficienza ed efficacia dei servizi alla persona. La partecipazione doveva essere sostenuta da una capillare diffusione dell'informazione sui bisogni della popolazione, sui servizi e sui processi decisionali ad essi relativi.

Con la legge 833/1978 aveva preso avvio un processo volto a costituire una organizzazione unitaria e universalistica a tutela della salute. Si parla non soltanto di diagnosi e cura, ma anche di prevenzione e riabilitazione, si sollecita la collaborazione con i servizi sociali. Per la prima volta si fa riferimento a una collaborazione pubblico-privato, si chiama il volontariato alla collaborazione per il perseguimento dei fini della legge.

1.3.4 Il principio di sussidiarietà orizzontale nella legge 328 del 2000

Sempre a livello nazionale la partecipazione della società civile, non solo alla gestione, ma anche alla programmazione delle politiche e degli interventi di tutela della salute ha ricevuto un primo riconoscimento di portata generale con la legge 328 del 2000, la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e

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15 servizi sociali”11

.

Secondo quanto disposto dal suddetto testo di legge, “la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali avviene sulla base dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali” (art. 1, comma 3).

“Gli enti locali, le regioni, lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano, il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (art. 1, comma 4).

“Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale con valorizzazione delle iniziative delle persone, di nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata” (art. 1, comma 5).

“La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali” (art. 1, comma 6).

“La legge affida compiti rilevanti al terzo settore e in generale punta sulla capacità delle comunità di produrre processi di auto-aiuto e legami di reciprocità e solidarietà. Al fine di favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse disponibili, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi dell'Unione europea” (art. 5, comma 1).

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16 1.3.5 Il principio di sussidiarietà orizzontale nelle normative regionali

Anche a livello regionale è possibile riscontrare ampio rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale.

All'interno del suo statuto, la regione Toscana, all'artico 72, comma 112, promuove la partecipazione dei cittadini secondo principi di sussidiarietà sociale e istituzionale. In particolare favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro aggregazioni per il diretto svolgimento di attività di riconosciuto interesse generale. L’attuazione del principio della sussidiarietà sociale è prioritariamente volta al miglioramento del livello dei servizi, al superamento delle disuguaglianze economiche e sociali, a favorire la collaborazione dei cittadini e delle formazioni sociali, secondo le loro specificità, ai fini della valorizzazione della persona e dello sviluppo solidale delle comunità.

L'azione di governo regionale accoglie il principio di sussidiarietà all'interno di altre due fondamentali leggi: la L.R. 24 febbraio 2005 n. 40 “Disciplina del servizio sanitario regionale”13

e la L.R. 24 febbraio 2005 n. 41 “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”14

, rispettivamente modificate dalla L.R. 29 luglio 2014 n. 44 e dalla L.R. 30 luglio 2014 n. 4515.

Da una sintetica rassegna del testo della legge n. 41, si può riscontrare come la regione Toscana si preoccupi di promuovere diritti di cittadinanza sociale, autonomia individuale e coesione sociale (art. 2).

Il sistema integrato si caratterizza per l'universalità, la promozione e l'attuazione dei diritti di cittadinanza e per la valorizzazione delle autonomie locali. Inoltre la Regione e gli enti locali riconoscono e agevolano il ruolo che il volontariato, gli organismi della cooperazione sociale, le associazioni e gli altri soggetti privati senza scopo di lucro, operanti nel settore, svolgono nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato (art. 2).

12 http://www.regione.toscana.it/documents/10180/71374/Statuto+Regione+Toscana+in+vigore+dal+11 ++febbraio+2005.pdf/1e85276f-307e-4fe0-bc66-2ba4c344563e;jsessionid=1B555F91A9072B6327AD787653581A38.web-rt-as01-p1?version=1.1. 13 http://www.regione.toscana.it/documents/10180/23570/Legge+n+40+24+febbraio+2005/68f83386-889a-4032-b0c7-bc824b7eaeed?version=1.0. 14 http://www.sds-nordovest.fi.it/nw/docdoc/lr41-2005.pdf. 15 http://www.regione.toscana.it/documents/10180/11859000/PARTE+I+n.+36+del+04.08.2014.pdf/3e9 17ce8-86cf-414f-9212-833dea4c3f.

(17)

17 La realizzazione del sistema integrato avviene attraverso la cooperazione e la concertazione tra una pluralità di livelli istituzionali ed i soggetti pubblici e privati, inclusi quelli del terzo settore (art. 3).

Ai fini del rispetto del principio di sussidiarietà, la Regione e gli enti locali riconoscono la rilevanza sociale dei soggetti del terzo settore che concorrono alla programmazione regionale e locale, partendo dalla progettazione, attuazione ed erogazione degli interventi e dei servizi (art. 17).

Nell'ambito specifico della programmazione gli enti locali promuovono e valorizzano attività organizzate da singoli o gruppi anche mediante la definizione di patti per la costruzione di reti di solidarietà sociale e attraverso l'attivazione di procedure di contrattazione negoziata. Gli enti locali con il concorso dei soggetti del terzo settore, delle organizzazioni sindacali, delle categorie economiche e di altri soggetti pubblici, promuovono patti che hanno ad oggetto lo sviluppo e la coesione sociale mediante l'impiego di risorse umane, tecnologiche finanziarie e patrimoniali (art. 32).

Nelle recenti modifiche viene sottolineato come l'obiettivo principale sia la costruzione di un sistema organizzativo in grado di fare rete tra tutti i settori e le istituzioni coinvolte, dotato di dinamicità e costruito attorno ai cittadini.

Le politiche sociali devono essere costruite in modo da garantire livelli di qualità che riducano la frammentazione e promuovano forme assistenziali per favorire la responsabilità delle persone e dei nuclei familiari e la promozione ed il sostegno della rete dei soggetti pubblici e del privato sociale che operano nel settore.

1.4 La comunità come risorsa

Il principio di sussidiarietà orizzontale promuove una cittadinanza attiva, di azione, in cui è valorizzata la creatività dei singoli e delle formazioni sociali; riconosce alla persona il diritto di iniziativa e nel contempo ne afferma la responsabilità sociale. La persona come protagonista della vita sociale, capace di rispondere, nella libera associazione con altri, a esigenze e bisogni della società.

Le collaborazioni tra pubblico e privato nell'ambito della comunità costituiscono un'occasione concreta di sperimentare la realizzazione del principio di sussidiarietà. Questo viene inteso come sostegno a “responsabilità diffuse” e non come

(18)

18 abdicazione della parte pubblica dal farsi carico del problema del benessere dei propri cittadini.

L'articolo 118 della Costituzione non libera le istituzioni dalla responsabilità primaria di adoperarsi per il bene della collettività; esso introduce il principio della sussidiarietà circolare, in base a cui società e Stato collaborano per conseguire l'interesse generale, mentre ai cittadini è attribuito un nuovo potere, il potere sussidiario, che arricchisce e non sostituisce i poteri e le responsabilità preesistenti. Non si tratta tanto di abbassare il livello istituzionale di chi assume le decisioni, dallo Stato al terzo settore, ma ancora una volta è il destinatario dell'intervento che deve essere messo nelle condizioni di decidere, in un sistema effettivamente partecipato. Il terzo settore è in grado di raggiungere destinatari di prestazioni che per le loro caratteristiche di marginalità non riescono ad essere raggiunte dallo Stato, ma ancora scarso peso hanno questi soggetti nell'implementazione delle politiche sociali e nell'orientare le prestazioni.

La costruzione di un welfare comunitario, nel rispetto del principio di sussidiarietà, richiede infatti il riconoscimento da parte del pubblico di una maggiore autonomia del terzo settore.

Il principio di sussidiarietà può quindi essere interpretato in una prospettiva promozionale di nuove iniziative; all'Ente pubblico viene richiesto di sostenere le responsabilità diffuse nell'intera società civile soprattutto del terzo settore, offrendo risorse aggiuntive che insieme alle risorse pubbliche vadano a costituire il complessivo sistema di protezione e promozione sociale.

Il terzo settore è poi produttore di “capitale sociale” cioè una rete di legami fiduciari che consentono scambi di informazioni e collaborazioni. Esso non limitandosi a sostituire risorse pubbliche può divenire moltiplicatore di risorse, proprio mettendo in gioco quelle reti di relazione che sono il patrimonio più grande del terzo settore. La tendenza degli ultimi tempi è quella di concepire il Terzo settore come mero fornitore di prestazioni. Non lo si riconosce nella sua qualità di attivatore di capitale sociale, e quindi come soggetto capace di generare fiducia e cura della società verso se stessa.

Il Terzo settore è una risorsa per la società, è importante poiché è quello meglio attrezzato a pensare e agire sui problemi sociali in chiave relazionale; può essere

(19)

19 definito come un “motore relazionale” nei sistemi di welfare16

.

Il Terzo settore è produttore di “servizi relazionali” cioè servizi che vanno a sostenere le relazioni sociali affinché queste siano autonome nel far emergere le necessarie risposte di cura. Il Terzo settore rappresenta, infatti, le relazioni sociali che in un dato contesto reagiscono ai disagi percepiti, si condensano e danno forma a istituzioni e realtà associative che a loro volta diventano catalizzatrici di relazioni per ulteriori reazioni ai singoli disagi e malesseri locali di vario tipo.

La riprogettazione del welfare ha bisogno del contributo di tutti: soggetti pubblici e privati devono lavorare “in rete”.

Il welfare mix non è qualcosa che si forma semplicemente aumentando il numero dei soggetti coinvolti, ma va costruito, promosso al fine di attivare un processo di co-costruzione del bene pubblico. Rapporti, reti, partnership, basati sul reciproco riconoscimento, sulla collaborazione e valorizzazione dei diversi attori, compreso l'utente-cliente.

Si viene dunque a disegnare un “Welfare Plurale” che, senza tralasciare i “saperi tecnici” di professionisti in campo sociale, valorizza anche i “saperi sociali” del singolo soggetto che diventa cittadino attivo e che si auto-organizza per poter responsabilmente interagire con il pubblico e la rete dei servizi. In questa prospettiva la comunità risulta essere pienamente titolare della risposta ai bisogni sociali17. La riforma si propone come punto di svolta da una concezione di assistenza quale contenitore di bisogni a una concezione di protezione sociale attiva. Assistiamo ad una modifica al tradizionale rapporto esistente tra amministrazione e cittadini, che ruotava intorno alla contrapposizione fra soggetti attivi e passivi della potestà amministrativa; in tale prospettiva invece i cittadini si attivano autonomamente nell'interesse generale, in quanto co-amministratori.

Valorizzare la comunità come risorsa è certamente la sfida più nuova delle politiche sociali.

I servizi devono calarsi nelle reti di protezione e solidarietà costituite all'interno della comunità: famiglie, reti amicali e familiari, reti di vicinato, associazioni.

L'Ente locale non può infatti permettersi di essere una sorta di “distributore automatico” di servizi rispetto a bisogni sempre crescenti e complessi, perché non dispone di risorse sufficienti, ma anche perché in molti casi non ha la capacità di

16

F. Folgheraiter (2006), La cura delle reti, Trento, Erickson, pp. 39-44. 17

(20)

20 leggere correttamente i nuovi bisogni e di mettere a punto risorse adeguate18.

La comunità non è più considerata come bacino di utenza o come mercato di un servizio ma come “attore sociale”. In questa prospettiva i cittadini non sono visti come beneficiari/destinatari passivi di un intervento ma come attori e protagonisti con cui stabilire forme di collaborazione.

All'interno di queste reti e coalizioni si stravolge il ruolo tradizionale del servizio: esso non costituisce più il centro dell'erogazione dei servizi a cittadini-utenti, bensì diventa uno degli attori in gioco per soddisfare i bisogni di una specifica comunità. La definizione stessa dei bisogni e dei problemi da affrontare non è più appannaggio esclusivo delle istituzioni e dei servizi, ma diventa competenza della comunità specifica in cui i servizi sono inseriti.

Sono queste le premesse per un Welfare di comunità, per indicare un modello di politica sociale che, modificando profondamente i rapporti tra le istituzioni e la società civile, recuperi la prospettiva secondo la quale è la comunità stessa a “prendersi cura” delle forme di disagio, sviluppando meccanismi di appartenenza e, nel medesimo tempo, alimentando processi di autonomia.

La realtà sociale mette in risalto sempre di più la presenza di fenomeni associativi non rispondenti né alla logica del mercato, né a quella politica; si tratta di sfere di relazioni sociali che si fondano su una concezione attiva della soggettività della comunità.

La presenza e la disponibilità di cittadini consapevoli e di organizzazioni sociali, come le associazioni di auto-mutuo-aiuto, rappresentano un esempio concreto per dare forma a moderne esperienze di sussidiarietà.

18

(21)

21 CAPITOLO 2. CHE COS'È L'AUTO-AIUTO

2.1 La storia del self-help: dai primordi allo stato moderno

La pratica dell'aiutarsi reciprocamente ha origini lontane. All’inizio del secolo scorso, Peter Kropotkin, filosofo sociale russo, nel suo libro pionieristico “Mutual Aid”, opera che ha dato il via a tutta la moderna letteratura scientifica in tema di auto-aiuto, avanzò la tesi secondo cui la stessa evoluzione della specie umana sarebbe stata impossibile senza l’attitudine degli uomini a “riunirsi” tra di loro, a cooperare, a sostenersi reciprocamente di fronte ai problemi comuni o ai pericoli esterni19.

La letteratura sul tema concorda ormai tutta ad attribuire al filosofo russo una prima teorizzazione di questa “filosofia pratica”.

Scrive Kropotkin:

“Nella pratica del mutuo aiuto, che possiamo far risalire all'inizio dell'evoluzione, possiamo scorgere la concreta e sicura origine del nostro concetto di etica, e possiamo affermare che nel progresso etico dell'uomo il sostegno reciproco, e non la reciproca lotta, abbia avuto un ruolo essenziale”20

.

Kropotkin delinea la storia del mutuo aiuto in Europa a partire dall'emergere delle società primitive per arrivare agli inizi del Novecento, evidenziando la naturale tendenza dell'uomo a unirsi, per fronteggiare difficoltà e pericoli legati alla quotidianità.

Per Kropotkin la solidarietà e l’aiuto reciproco erano le forze intrinseche del progresso umano, contrariamente alla concezione hobbesiana dell’ “homo homini lupus” allora in voga, che riteneva preminente la lotta solitaria di ciascuno contro tutti per la sopravvivenza.

Secondo il filosofo russo, già le società preistoriche svilupparono forme di cooperazione o di mutuo aiuto, i membri delle tribù e dei clan si univano per espellere e proteggere i meno sani. Egli fa dipendere la sopravvivenza dell'uomo proprio dallo sviluppo di queste abitudini alla cooperazione sociale.

Nel Medioevo, i gruppi di self-help estesero le loro azioni oltre gli aiuti destinati alla mera sopravvivenza fisica. In questo periodo e in quelli successivi, sottolinea

19

P. Kropotkin (1955), Mutual Aid: a factor in evolution, Boston, Estendine Horizons Books. 20

(22)

22 Kropotkin, la pratica del mutuo aiuto era molto ridotta, era strettamente limitata ai membri del gruppo, mentre venivano esclusi gli stranieri, i viandanti, gli handicappati.

E’ soltanto con il processo di industrializzazione ed il conseguente incremento dei problemi ad esso connessi, problemi di ordine sociale, economico e sanitario, all’interno di un contesto più ampio e con una popolazione sempre in crescita, che si sviluppano i concetti di assistenza reciproca, di solidarietà, basati sul mutuo aiuto. Dapprima in Inghilterra per poi pian piano espandersi ovunque, nacquero le Friendly Societies, ovvero piccoli gruppi di lavoratori in cerca di sostegno e con lo scopo comune di affrontare le difficoltà legate al vivere quotidiano.

I veri movimenti di mutuo aiuto nascono dunque solo dopo la rivoluzione industriale, come risposta alle nuove esigenze economiche e sanitarie.

Nel XIX secolo negli Stati Uniti sempre a causa dei nuovi bisogni e squilibri provocati dal processo di industrializzazione nascono le Trade Unions, vere e proprie aggregazioni di mutuo aiuto che si occupavano non solo di questioni legate al mondo del lavoro, ma anche personali e familiari.

Le Trade Unions presentavano molte caratteristiche del mutual aid, esse erano strutture locali organizzate attorno ai problemi occupazionali della gente e a quelli personali e familiari, costituivano un luogo di discussione politica e sociale o di supporto e aiuto per i periodi più difficili.

La grande depressione degli anni Trenta determinò la nascita su base locale di molte istituzioni educative attraverso programmi fondati sull’aiuto reciproco e sull’impegno dei partecipanti, ovvero sul modello del mutuo aiuto.

Negli stessi anni si svilupparono anche molte cooperative di gruppi di self-help impegnate nei problemi della disoccupazione, dell'immigrazione e dell'assistenza sociale e sanitaria.

E’ in questo scenario politico-sociale che nasce nel 1935 negli Usa il gruppo più famoso di auto-aiuto, Alcolisti Anonimi, quando il medico Bill e l’agente di borsa Bob scoprirono di poter rimanere sobri solo grazie all’aiuto e al sostegno reciproco. Gli Alcolisti Anonimi condividevano i principi e l'ideologia dell'Oxford group, movimento luterano che aveva come fine la rinascita spirituale dell'umanità ed era guidato dalla figura carismatica di Frank Bechman.

Questo gruppo religioso protestante era fondato su finalità quali la condivisione, il mutamento o conversione, e aspirava a perseguire valori quali l’onestà, la purezza e

(23)

23 l'amore. In questo tipo di associazione si sviluppò il concetto di self-help moderno, cominciano ad essere definiti in modo preciso quali debbano essere i principi di questo nuovo sistema e/o pratica di auto-cura.

Gli Alcolisti Anonimi sono la prima società di eguali che nasce con l’obiettivo di trovare un’alternativa ai percorsi di cura tradizionali, fondata sul riconoscimento delle potenzialità, del reciproco sostegno, della responsabilizzazione dei singoli e l'acquisizione di uno stile di vita sano.

Troviamo negli Alcolisti Anonimi le caratteristiche del moderno mutuo aiuto: un problema condiviso, la competenza derivante dall'esperienza anziché da una formazione specialistica, l'identificazione tra chi aiuta e chi è aiutato.

Negli stessi anni, sempre negli Usa nascono anche i primi Club di utenti psichiatrici dimessi dai manicomi, allo scopo di evitare di essere sottoposti ad un nuovo ricovero. A partire dal 1970 il movimento dell'auto-aiuto ha avuto uno sviluppo impetuoso, queste esperienze hanno dato il via alla fondazione di gruppi di auto-aiuto specifici per diverse problematiche, dai Narcotics Anonymous, gruppo per tossicodipendenti, Gamblers Anonymous per giocatori d’azzardo, Overeaters Anonymous per disturbi alimentari, ai Emotion Anonymous per disturbi emotivi.

Tra il 1930 e il 1950 negli Stati Uniti vengono fondate le associazioni dei familiari anonimi di alcolisti (Al-Anon e Al-Ateen) e familiari di bambini con handicap. Nel 1958 viene fondata Synanon, comunità per il recupero sviluppata sull’autonomia dai servizi formali, e Recovery Inc., un’associazione di utenti ed ex pazienti psichiatrici, atta a facilitare l’inserimento sociale dei malati mentali ed il mantenimento di una condizione di benessere attraverso attività di auto-aiuto. Comincia pian piano a modificarsi l’approccio alla malattia mentale, meno farmaci e più attenzione ai diritti dei malati e ai loro bisogni come persone.

In questo periodo, che possiamo definire pionieristico, la stampa americana da grande risalto a questa “nuova tecnica” consentendone una grande diffusione. I gruppi si moltiplicarono e diversificarono tra di loro trattando le più svariate tematiche.

Negli anni Ottanta del secolo scorso negli Stati Uniti venne fatta una stima sull'esistenza di tre o quattro milioni di gruppi AMA per un totale di 15 milioni di persone coinvolte.

(24)

24 2.2 Il panorama italiano: la nascita dei gruppi AMA nel nostro Paese

Per quanto riguarda il nostro Paese, esperienze pionieristiche sono state registrate negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso quando abbiamo la diffusione dei gruppi di auto-aiuto nel dopoguerra, importati dagli americani residenti in Italia ed alcune precoci esperienze nel campo della salute mentale negli anni Settanta.

Lo sviluppo delle esperienze italiane avvenne negli anni Ottanta, in ritardo rispetto al mondo anglosassone. In questo decennio il loro impetuoso sviluppo fu dovuto principalmente alla diffusione dei Club degli Alcolisti in Trattamento (oggi Club Alcologici Territoriali, CAT).

Nel 1999 l'Istituto Devoto di Firenze, su commissione del Ministero degli Affari Sociali, condusse un'indagine21 al fine di compiere una stima sul numero di gruppi di self-help presenti in quel momento in Italia. L'indagine era stata condotta con un questionario postale costruito ad hoc e monitorato attraverso colloqui telefonici con i referenti delle varie realtà nazionali dell'auto-aiuto. I risultati riportarono la presenza di 1603 gruppi AMA, dei quali 868 erano dedicati all'alcolismo, 119 a tematiche strettamente psichiatriche e 271 si riferivano a disturbi dell'alimentazione.

Se si esaminano i dati inerenti alla distribuzione regionale dei gruppi di auto-mutuo-aiuto si rileva una caratteristica tipica del self-help italiano: un maggior incremento là dove vi è un sistema sviluppato di servizi pubblici. Il grosso dei gruppi era concentrato nell'Italia Settentrionale (79%), poi al Centro (17%), al Sud (3%) e nelle Isole (1%).

L'Istituto Devoto e il Coordinamento Regionale Toscano dei Gruppi AMA, nato nel frattempo, hanno ripetuto l'indagine nel 2006 riproponendo il questionario postale del 1999. I gruppi censiti in totale erano 3265 con una crescita del 203% rispetto a quelli del 1999. Anche la distribuzione territoriale si presentava più omogenea: 63% al Nord, 24% al Centro, 9% al Sud, 4% nelle Isole.

Oggi assistiamo quindi ad una presenza capillare di gruppi e realtà di self-help sul nostro territorio, organizzati con modalità diverse e rivolti alle molteplici tipologie del disagio, presenti nella nostra società.

21

La ricerca commissionata dalla Presidenza del consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, dal titolo: Indagine conoscitiva sulle associazioni di auto-aiuto e di tutela della salute. È stata condotta nel periodo 1998-1999.

(25)

25 2.3 In cerca di una definizione

Il movimento del self-help include al suo interno una varietà straordinaria di gruppi con scopi e strutture fortemente diversificate, dando vita ad un fenomeno altamente articolato e non unitario.

L'espressione “auto-mutuo-aiuto” mette in evidenza che il mutuo aiuto inizia sempre con l'auto-aiuto, nel momento in cui la persona riconosce l'esistenza di un problema e si attiva per cercare qualche forma di sostegno.

Il mutuo aiuto costituisce il passaggio successivo, che si verifica quando chi aiuta e chi viene aiutato condividono fatti, vissuti, emozioni di un medesimo problema. Diversi autori si sono cimentati nel tentativo di definire che cosa si intende per gruppi di self-help.

L. Maguire, nel 1989, definì i gruppi di auto-mutuo-aiuto come dei piccoli gruppi di persone che si costituiscono volontariamente per ricevere e dare aiuto. Sono proprio queste persone che decidono in autonomia quali saranno i membri del gruppo e gli obiettivi da perseguire.

L'OMS definisce l'auto-mutuo-aiuto come: “l'insieme di tutte le misure adottate da figure non professioniste per promuovere, mantenere o recuperare la salute, intesa come completo stato di benessere fisico, psicologico e sociale di una determinata comunità”22

.

Una delle definizioni maggiormente esaustive è quella formulata da Katz e Bender, nel 1976, secondo la quale:

“I gruppi di auto-mutuo-aiuto sono strutture di piccolo gruppo, a base volontaria, finalizzate al mutuo-aiuto e al raggiungimento di particolari scopi. Essi sono di solito costituiti da pari che si uniscono per assicurarsi una reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali o sociali. I promotori e i membri di questi gruppi hanno la convinzione che i loro bisogni non siano o non possano essere soddisfatti da o attraverso le normali istituzioni sociali. I gruppi di auto-mutuo-aiuto enfatizzano le interazioni sociali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri. Essi assicurano sostegno emotivo e a volte anche assistenza materiale; tuttavia, altrettanto spesso appaiono orientati verso una qualche “causa” proponendo un' “ideologia” o dei valori sulla base dei quali i membri possano acquisire o potenziare il

22

(26)

26 proprio senso di identità personale”23

.

I gruppi di auto-aiuto stanno assumendo all'interno della realtà socio-sanitaria odierna un rilievo crescente, questi possono essere utili e rappresentare un valido strumento in tutti i campi della medicina e del sociale.

Pino Pini, operatore del self-help molto attivo, ha definito il self-help ricorrendo alla metafora del jolly, “il matto che serve in tutti i giochi e che può violare le regole che le altre carte più banali devono rispettare”24

. In altre parole, P. Pini sostiene che il self-help può essere applicato in qualunque ambito socio-assistenziale, in quanto è in grado di sovvertire le regole di funzionamento dei servizi tradizionali ed andare oltre i modelli e gli approcci tradizionali.

È ormai diffusa la convinzione che molte patologie o stati personali di disagio possono essere affrontati dal basso, facendo leva sulle motivazioni, l’interesse e le esperienze delle persone direttamente interessate piuttosto che sull’esclusiva presa in carico di professionisti ed istituzioni.

I gruppi di auto-aiuto presentano una forte connotazione volontaristica, si basano cioè sulla buona volontà delle persone25. Sul senso di responsabilità dei membri che condividono gli stessi problemi e si impegnano nella gestione del gruppo.

Idea portante dell'auto-aiuto è che la persona sia condotta ad essere il soggetto della sua esistenza, in modo tale che questa diventi nuova abilità e strumento per migliorare la qualità della vita, con l'obiettivo di poter raggiungere l'autonomia e l'autodeterminazione in un percorso di emancipazione.

Per P. Silverman26 i gruppi di auto-mutuo-aiuto sono definibili come:

“reti sociali artificiali, reti cioè che si creano deliberatamente per produrre aiuto/sostegno sociale. I punti di maglia di queste reti sono costituiti da soggetti portatori di un identico problema o condizione. Ciascuno di questi soggetti possiede un proprio network naturale di riferimento da cui può ricavare sostegni e risorse di vario tipo”.

L'assistente sociale L. Grosso27, nel 1996, esalta nella sua definizione dei gruppi AMA il senso di identità e di riscoperta del sé sostenendo che:

“i gruppi offrono alle persone la possibilità di esercitare attenzione ai loro corpi, alle loro menti, ai loro comportamenti e possono aiutare altri a fare la medesima cosa. Non

23

A. Kats, H. Bender (1976), The Strenght in Us. Self-help Groups in the Moder Word, New York, Franklin Watts.

24

P. Pini (1994), Auto aiuto e salute mentale, Firenze, Fondazione Andrea Devoto, p. 9. 25

http://www.automutuoaiuto.it/. 26

P. Silverman (1989), I gruppi di mutuo aiuto, Trento, Erickson, p. 11. 27

L. Grosso (1996), Il percorso dei gruppi di auto-aiuto. I gruppi di auto-aiuto, in “Quaderni di animazione e formazione , animazione sociale”, Università della strada, p. 103.

(27)

27 solo offrono supporto, ma restituiscono alla persona una competenza, un senso di sé, un ruolo e possibilità di nuovi legami”.

S. Bertoldi vede nell'auto aiuto una modalità pratica di emancipazione; infatti il gruppo di auto aiuto è concepito come:

“un momento d'incontro tra persone, singole, in coppia o famiglie, unite dallo stesso problema (dipendenza, stato di bisogno, difficoltà in generale o condizione di vita), per rompere l'isolamento, per raccontarsi le proprie esperienze di vita (gioiose o dolorose), per scambiarsi informazioni e soluzioni, per condividere sofferenze e conquiste, con l'obiettivo di riscoprirsi risorsa, non solo per sé, ma per l'intera collettività”.

Il movimento dell'auto-aiuto rappresenta un'esperienza e uno strumento capace di rendere le persone protagoniste della propria realtà sociale e culturale, competenti nel ricercare una migliore qualità di vita non solo per se stesse ma anche per la comunità di appartenenza. I gruppi AMA possiedono valenze didattico-riabilitative, ad esempio, imparare a stare con gli altri, ma anche socializzanti attraverso una condivisione dei problemi e delle gioie e la maturazione di empatia.

2.4 Caratteristiche e peculiarità principali dei gruppi di auto-mutuo-aiuto

Tali definizioni, ci permettono di delineare, in maniera chiara e precisa, quelle che sono le caratteristiche principali dei gruppi di auto-aiuto.

La prima importante caratteristica di un gruppo di auto-mutuo-aiuto è proprio il fatto che le persone che ne fanno parte vivono tutte una simile situazione di difficoltà, sono unite da un disagio comune e sono interessate a cambiare tale condizione. Il presupposto fondante è infatti che chi vive una situazione di difficoltà è in grado di comprendere meglio le fatiche e i vissuti di coloro che sperimentano una simile condizione.

Un ulteriore aspetto da evidenziare è il concetto della centralità della persona che sottende alla filosofia dell'auto-aiuto. L'attivazione dei gruppi di auto-mutuo-aiuto si fonda su premesse che esaltano il ruolo e le qualità dei membri che li costituiscono. All'interno del gruppo si ha la possibilità di sfruttare le competenze esperenziali della persona portatrice di un disagio. Il mettere in comune queste esperienze permette di offrire mutuo supporto e di mettere in comune informazioni pratiche e modalità operative per affrontare determinati problemi, ma prima di tutto garantisce una

(28)

28 migliore comprensione dell'altro.

Un'altra caratteristica di un gruppo di auto-mutuo-aiuto è che le persone che vi fanno parte, poiché condividono una comune situazione di difficoltà o di vita, sono poste tutte sullo stesso piano. I gruppi di self-help sono “gruppi di pari”, ovvero persone che si pongono al medesimo livello, senza che vi sia qualcuno che ricopra il ruolo dell'esperto e che osserva gli altri al fine di una prescrizione terapeutica. Sono escluse le forme gerarchiche di relazione al fine di creare un clima paritario e consentire a tutti la possibilità di partecipare.

Un'altra specificità dei gruppi di auto-mutuo-aiuto è che lo strumento principale che i membri del gruppo hanno a disposizione per aiutarsi reciprocamente è la parola. Il racconto riflessivo della propria storia di vita, quando condiviso, infatti, permette da un lato di raggiungere una maggiore consapevolezza di quanto si sta vivendo e dall'altro di acquisire informazioni utili ad affrontare il disagio.

L'auto-aiuto parte dalla convinzione che la forza e la capacità di affrontare e discutere specifici problemi per risolverli, può nascere da una partecipazione attiva di ogni singolo, che in modo organizzato insieme ad altre persone opera concretamente per affrontare le difficoltà dell'esistenza.

L'efficacia dei gruppi di auto-mutuo-aiuto si fonda sulla messa in campo di dinamiche dialogiche che stimolano la reciprocità, nella convinzione che per affrontare i problemi della vita delle persone non ci sono risposte preconfezionate erogabili da un servizio, ma soluzioni personalizzate da trovare insieme, per comprendere cosa è preferibile fare in ogni specifica situazione.

L'auto-mutuo-aiuto si rivela efficace e dà i suoi frutti nel momento in cui le persone che vi partecipano acquisiscono nuove consapevolezze, scambiano informazioni, mettono appunto strategie di cambiamento.

Gli input dati dai gruppi di auto-aiuto sono mirati alla crescita e all'evoluzione sia personale che collettiva per questo è indispensabile valorizzare gli scambi comunicativi e le occasioni di dialogo e di confronto su argomenti di qualsiasi tipo, questi danno ai membri la possibilità di vedere i loro problemi da un diverso punto di vista e hanno la possibilità di trovare nuove soluzioni.

Infine, la partecipazione a un gruppo di auto-mutuo-aiuto è tanto più funzionale quanto più è su base volontaria. La funzionalità del gruppo aumenta se le persone sono mosse dal desiderio di trasformare la loro esperienza in qualcosa di positivo per se stesse e per altre persone attraverso il sostegno reciproco e il forte coinvolgimento

(29)

29 personale.

Tale coinvolgimento avviene sulla base di alcuni valori forti che caratterizzano le realtà di self-help e che riguardano:

 la circolarità della comunicazione;  il protagonismo e l'empowerment;

 la restituzione del problema al soggetto portatore;  la parità di rapporti e di potere;

 la gratuità e lo scambio di risorse;

 la reciprocità dei legami e lo scambio di aiuto;  la centralità dell'esperienza;

 chi contribuisce a modificare mediante l'interazione con gli altri il comportamento altrui, contemporaneamente modifica anche se stesso (principio dell' helper therapy).

2.5 Classificazione dei gruppi di auto-mutuo-aiuto

Sono state individuate diverse categorie di gruppi di auto-aiuto, tutte rispettano le caratteristiche sopra elencate, ma si differenziano in base al rapporto con gli operatori professionali, alla presenza o assenza di familiari, agli obiettivi primari degli utenti.

Per quanto riguarda il rapporto con gli operatori, Emerick, sociologo ed esperto di gruppi di auto-aiuto psichiatrici, nel 1989, ha suddiviso i gruppi in:

 radicali “separatisti”, basati sul rifiuto da parte dei membri di una partecipazione di operatori e familiari. Il gruppo si configura fin dall'inizio come gruppo di pari che si scambiano esperienze e che hanno in comune un obiettivo. Ci sarà, comunque, al loro interno qualcuno che assumerà una leadership ma costui non si presenterà mai come un classico “professionista”;  gruppi conservatori di “supporto” che ammettono la collaborazione degli

operatori a patto che questi rispettino alcune condizioni fondamentali. Si tratterà, in tal caso, di un operatore che condivide i principi dell'auto-aiuto e che al loro interno svolgerà principalmente la funzione di facilitatore .

(30)

30 auto-aiuto in: “primary consumer groups” formati solo da pari e “secondary consumer groups” che comprendono i familiari e talvolta gli operatori. In alcuni gruppi di auto-aiuto la partecipazione dei familiari è libera; mentre, in altri l'intervento dei familiari rappresenta parte integrante del programma terapeutico e si configura quindi come un elemento costante.

Si possono infine distinguere i gruppi di self-help in base al loro scopo primario, Katz e Bender28 costruiscono una tipologia dei gruppi di mutuo aiuto distinguendo i gruppi in:

 centrati sull'autoregolazione e la crescita personale attraverso l'aumento dell'efficienza nella gestione della vita quotidiana. Sono gruppi identificati sia dagli osservatori che dagli stessi membri come gruppi terapeutici. Ad esempio i gruppi formati da ex pazienti psichiatrici;

 centrati sulla convivenza con malattie croniche (es. gruppi di pazienti oncologici, diabetici) o condizioni esistenziali che implicano un certo livello di stress (es. gruppi di vedovi/e). Il problema affrontato è come continuare a vivere in maniera soddisfacente nonostante la cronicità della condizione;  centrati sulla riorganizzazione della condotta o sul controllo

comportamentale. I partecipanti condividono il desiderio di eliminare o controllare alcuni comportamenti problematici. Ad esempio i gruppi di alcolisti o gruppi di genitori che maltrattano i bambini;

 centrati sulla difesa sociale (social advocacy) intesa come forma di azione sociale in generale. Essa comprende campagne di sensibilizzazione e di educazione dirette al pubblico, alle istituzioni e agli operatori sociosanitari, il confronto con il sistema sanitario e la denuncia di eventuali inefficienze;  impegnati a creare nuovi modelli di vita, e di solidarietà di gruppo offrono

una solida base per innescare dei cambiamenti nelle istituzioni sociali. Questi tipi di organizzazione possono dare luogo a nuove modalità di vita e di lavoro.

I due autori, inoltre, sulla base dell'ambiente di attività del gruppo, distinguono:  gruppi “autocentrati” focalizzati sugli interessi dei singoli partecipanti e utili

ai membri per ottenere benefici materiali, offrire nuove opportunità, maturazione psicologica, dare supporto emotivo e sociale;

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