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I porti dell'Africa romana: impatto urbanistico delle infrastutture portuali di Cartagine, Leptis Magna e Iol Caesarea

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I

N D I C E Introduzione ... 1 1. CAPITOLO: Una provincia Romana in Africa ... 3 1.1. Genesi delle provincie Romane ... 3 1.2. L’Africa prima di Roma ... 6 1.3. La conquista ... 7 1.3.1. La Prima Guerra Punica ... 8 1.3.2. La Seconda Guerra Punica ... 13 1.3.3. La terza Guerra Punica ... 19 1.3.4. Dalla fine delle Guerre Puniche alla guerra civile ... 22 1.3.5. L’età imperiale, le ultime conquiste territoriali ... 25 1.4. Romanizzazione, difesa del territorio e urbanizzazione ... 33 1.4.1. Urbanistica ... 35 1.4.2. I Fori ... 41 1.4.3. Gli archi ... 44 1.4.4. Edifici per Spettacolo ... 46 1.4.5. Edifici Termali ... 49 1.5. Storia degli studi ... 52 2. CAPITOLO: Cartagine ... 57 2.1. Inquadramento territoriale ... 57 2.2. Le origini ... 57 2.2.1. Il mito della fondazione ... 59 2.3. Carthago ... 60 2.3.1. I commerci di Cartagine ... 65 2.4. Cartagine dopo il 146 a.C. ... 67 2.4.1. Urbanistica e centuriazione ... 68 2.4.2. La Byrsa in età Romana: centro politico e religioso della nuova Cartagine ... 72 2.4.3. Cartagine nel II sec. d.C., una nuova spinta edilizia ... 75 2.6. I Porti di Cartagine ... 81 2.6.1. I Porti di Cartagine in Appiano ... 82 2.6.2. I porti punici di Cartagine ... 85 2.6.3. I porti di Cartagine in epoca romana ... 92

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3. CAPITOLO Leptis Magna ... 103

3.1. Inquadramento territoriale ... 103

3.2. Gli Emporia della Tripolitania; dall’ eparchia cartaginese alla romanizzazione volontaria ... 103 3.3. Lpqy - Lepcis – Leptis Magna ... 107 3.3.1. Trasformazione dalla città punica a quella romana: urbanistica e monumenti ... 108 3.3.2. Nuovi edifici per Leptis Magna ... 115 3.3.3. La Leptis di Settimio Severo ... 120 3.3.4. La zona Est di Leptis Magna ... 125 3.4. I porti di Leptis Magna ... 127 3.4.1. Il primo approdo di Lepcis ... 128 3.4.2. Il porto ellenistico di Leptis nello Stadiasmus Maris Magni ... 130 3.4.3. Il porto canale claudio – neroniano ... 133 3.4.4. Il porto severiano di Leptis Magna ... 136 4. CAPITOLO: Iol – Caesarea ... 156 4.1. Inquadramento territoriale ... 156 4.2. La Mauretania: da regno cuscinetto a provincia romana ... 156 4.2.1. Giuba II, un sovrano filoellenico al servizio di Roma ... 158 4.3. Iol nel periodo punico, dalle fonti letterarie alle evidenze archeologiche ... 163 4.3.1. Iol come punto di transito nel mediterraneo ... 166 4.4. Caesarea, la capitale di Giuba II ... 169 4.4.1. Urbanistica e fortificazioni: tra ideologia e necessità ... 170 4.4.2. Gli altri monumenti del programma edilizio di Giuba II ... 175 4.4.3. Fine della monarchia, tra edifici nuovi e modifiche a quelli esistenti ... 179 4.5. Il porto di Iol Caesarea ... 183 4.5.1. Il porto punico e l’ilot Joinville ... 184 4.5.2. Il porto militare e la sua flotta ... 184 4.5.3. Il porto mercantile di Caesarea e il faro di Caesarea ... 187 4.5.4. Gli “altri” porti di Caesarea ... 188

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I

N T R O D U Z I O N E

Questo lavoro rappresenta la naturale prosecuzione di un percorso iniziato durante la tesi triennale intitolata “I porti di Claudio e Traiano: nascita dell’insediamento di

Porto” sotto la guida della prof. Ilaria Romeo. Non immaginavo che sarebbe stato

possibile continuare a perseguire così profondamente i miei interessi, per cui ringrazio il mio attuale relatore, il prof. Maurizio Paoletti, che mi ha lasciato libero di sviluppare il lavoro secondo le mie più congeniali inclinazioni di ricerca e la mia passione per l’architettura antica.

A differenza del precedente lavoro di tesi, concorde con il prof. M. Paoletti, si è deciso di studiare 3 città portuali di una provincia romana. La scelta è ricaduta sull’Africa.

L’Africa non solo è stata una delle prime province, ma anche una delle più longeve a essere posta sotto l’egemonia di Roma, e a sviluppare contatti e proficui commerci con il resto del mondo romano; è questo il motivo per cui il suo vasto territorio è costellato di meravigliosi resti di città antiche che testimoniano la grandiosità della civiltà romana. Inoltre essa è tra le provincie più conosciute e più studiate, in cui flotte di viaggiatori, appassionati del mondo antico e studiosi, si sono riversati da tutto il mondo per ammirare le vestigia che questo straordinario territorio custodisce. L’attuale clima geopolitico altamente instabile è di ostacolo al prosieguo delle ricerche e degli studi su una terra che a mio modesto parere ha ancora moltissimo da raccontarci.

Come città di partenza si è deciso di puntare su quelle che erano le città che più di tutte erano state investite dalla civiltà romana, quel fenomeno che gli studiosi moderni chiamano romanizzazione, e che avevano raggiunto l’apice dello splendore nel periodo romano sotto molteplici punti di vista, da quello economico - commerciale a quello prettamente urbanistico ed edilizio e che da semplice insediamento o scalo portuale punico si sono evolute e sono poi diventate un ponte o una vetrina della grandezza di Roma. le città in questione sono: Cartagine, Leptis Magna e Iol – Caesare.

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Queste città erano congeniali dal punto di vista geografico essendo poste in areali diversi della provincia. Molto distanti l’una dall’altra, si prestavano ad uno studio estensivo delle strutture, del paesaggio e del territorio circostante.

Inizialmente avevo intenzione di studiare solo l’evoluzione delle infrastrutture portuali, esattamente come nel precedente lavoro di tesi, ma poi ho deciso di volgere le mie attenzioni a dinamiche urbanistiche più complesse, cercando di capire se tali strutture, in qualche modo, avessero influenzato l’impianto urbanistico generale delle città.

Partendo quindi dagli albori di ogni città (tutte e tre nascono prima del periodo romano), ho analizzato con attenzione lo sviluppo del tessuto urbanistico e gli elementi maggiori che lo compongono come le strade e gli edifici pubblici più importanti, successivamente mi sono occupato dello sviluppo del porto per concludere con l’analisi di come esso si legasse con la città.

Ovviamente ogni città è peculiare sotto molti punti di vista e presenta problemi diversi partendo dalla propria storia, dalla geografia del sito sino ai personaggi che vi hanno vissuto.

Come premessa bisogna tener presente che l’architettura portuale non è codificata come può essere quella di altri tipi di edifici del panorama romano. Non esisteranno due porti tipologicamente uguali, in quanto un porto ha più fattori che ne condizionano lo sviluppo che altri edifici non hanno. Questo concetto è vero nel mondo antico quanto in quello moderno con 2000 anni in più di sviluppo tecnologico. Una problematica importante era inoltre è la natura pre romana dei siti. Questa costante presente in tutte le città ha influito non poco nello sviluppo della successiva fase edilizia.

Per concludere ci tenevo a ringraziare chi mi ha guidato in questo lungo percorso, partendo dal prof. Paoletti e a coloro che hanno accettato di aiutarmi a migliorare ulteriormente nella veste di controrelatori, mettendomi a disposizione la loro vasta esperienza, il prof. Fabio Fabiani e il dott. Stefano Genovesi.

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1. CAPITOLO:

U

N A P R O V I N C I A

R

O M A N A I N

A

F R I C A

soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

Tacito, Vita di Agricola, XXX, 6.

1.1. Genesi delle provincie Romane

L’introduzione del termine “provincia” arriva a Roma dopo l’annessione dei territori in Sicilia, l’indomani della vittoria nella Prima Guerra Punica. In lingua italiana indica una circoscrizione di territori dai confini ben delineati. In latino invece il termine provincia è sempre legato ad un incarico o alla sfera di attività di un magistrato dotato di imperium, che indicava il potere di comandante delle truppe militari1. Il termine non perderà mai del tutto questo significato2. Solo successivamente incorpora un significato, territoriale che sarà efficace strumento, per ordinare i vari territori che cadevano sotto le armi romane. Agrippa fece apporre nella porticus Vispania una carta dell’ecumene conosciuto con una suddivisione in 24 territori e 17 di questi erano province romane. Tale

suddivisione fu usata anche da Plinio nella sua opera enciclopedica3.

L’imperium si evolve con il concetto di provincia in maniera lineare, quindi il potere di cui era investito un singolo magistrato aveva effetto solo nella provincia a lui assegnata. La provincia veniva formalmente costituita con una legge, la lex

provinciae. Questa era redatta per la necessità di dare un governo stabile per

1 A. Dalla Rosa 2015, p. 21. 2 M. H. Crawford 1990, p. 91. 3 A. Dalla Rosa 2015, p. 21.

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avviare il prima possibile lo sfruttamento del territorio4. Per le prime annessioni di fatti abbiamo un quadro delle magistrature abbastanza confuso con diversi pareri. L’attribuzione della provincia avveniva per sorteggio tra i magistrati eletti

facenti parti dei più alti ceti romani, quello senatorio e quello equestre5. Venivano

aumentati il numero delle cariche nel caso di nuove annessioni, ad esempio nel 197 a.C. per dare governo alle province di Hispania Ulterio e Hispania Citerior furono aumentati il numero pretori portandoli a sei6. Il senato rivestiva un ruolo importante nella scelta dei magistrati e sceglieva quali province erano di rango consolare cioè quelle che venivano assegnate a un console in carica, e quelle di

rango pretori7. Nel 52 a.C. Pompeo con la lex pompeia de provinciis cambiava

drasticamente il sistema di assegnazioni; alla base della c’era sempre il sorteggio, fu stabilito un intervallo di cinque anni che pretori e consoli dovevano aspettare prima di passare al governo di una provincia, fissando la durata ad un anno. Cesare nel 46 a.C. abolisce la legge di Pompeo, sancendo che la durata

dell’incarico in provincia fosse di due anni8, salvo poi restaurare la legge di

Pompeo sotto il principato di Augusto solo per le province proconsolari che non

erano sotto il diretto controllo dell’imperatore9. Per le altre province, cioè quelle

sotto il diretto controllo di Augusto, era lui stesso senza il consenso del senato o del popolo a scegliere il governatore; sono funzionari sotto il suo diretto controllo e prendono il nome di legati Augusti. Gli incarichi duravano normalmente due o tre anni e venivano scelti uomini dell’ordine senatorio che avevano già rivestito una magistratura cum imperium, quindi ex consoli o ex pretori, che potevano

esercitare il potere solo nei confini della provincia di loro competenza10.

L’imperatore, sempre a sua discrezione ma con molta lungimiranza, sceglieva in base alle necessità delle singole province; agli ex pretori di solito veniva

4 La lex provinciae o redactio formula provinciae serviva a definire i limiti territoriali del territorio sotto il comando del magistrato e tutte le città che erano di sua responsabilità. Non ci troviamo di fronte ad un unico emendamento ma ad una serie di documenti che dovevano legiferare su argomenti di varia natura; un primo nucleo di leggi furono stabilite dal magistrato romano dopo la pacificazione, assistito da una commissione nominata appositamente di cui facevano parte dieci membri del senato. I punti principali che venivano sanciti era la tassazione da applicare al territorio, Ibid., pp. 22 – 23, S. Segenni 2015, p. 24. 5 G. Burton 1987, p. 112. 6 Ibid., p. 24. 7 Ibid., p. 25. 8 Ibid., p. 26. 9 A. Della Rosa 2015, p. 34. 10 U. Laffi 2015, p. 37.

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assegnata una provincia poco militarizzata che contava al massimo una legione più gli ausiliari, agli ex consoli invece erano destinate province più caotiche dal

punto di vista militare dove soggiornavano stabilmente più legioni11.

Con l’età graccana abbiamo una delineazione precisa dei compiti di un

Governatore 12 . Tra le responsabilità del governatore provinciale c’erano:

garantire la sicurezza dei confini, con l’autorità di espanderli annettendo nuovi

territori13. Il compito che occupava più tempo era l’amministrazione della giustizia

e il mantenimento dell’ordine pubblico con poteri assoluti all’interno della provincia, però senza mai andare a inficiare istituzioni locali preesistenti che continuavano ad operare nelle loro sfere di competenza. In regioni meno

civilizzate invece Roma importava il proprio modello giuridico14; il governatore

era l’unico che poteva emanare condanne capitali. Per amministrare la giustizia viaggiava all’interno della provincia durante tutto l’anno tenendo delle udienze in cui locali o cittadini romani in disputa chiedevano un arbitrato, però non vi era un sistema preciso con cui si svolgevano queste udienze, a volte per i ceti più bassi veniva applicata la giustizia sommaria senza un regolare processo; quando si metteva in piedi un processo vero e proprio spesso a condizionare il giudizio del Governatore era la posizione sociale degli imputati, ovviamente questo pregiudizio favoriva la corruzione, come sappiamo da molte fonti letterarie come

ad esempio Cicerone15. L’ultimo compito che gravava sulle spalle di un

governatore provinciale era la tassazione del territorio sia in denaro che in natura, che permetteva allo stato Roma di imporre la sua presenza non solo militarmente.

Il governatore si occupava dell’esazione dei tributi che si svolgeva in tre fasi distinte: censimento, accertamenti e riscossione. Il censimento da sempre era l’ossatura del sistema fiscale romano, che per le province veniva eseguito subito

dopo l’annessione all’impero16.

Il governatore per ottemperare ai suoi compiti era coadiuvato da una vera e propria corte, formata da funzionari di vario rango e a seconda provincia variava 11 Ibid., p. 37 – 38. 12 M. H. Crawford 1990, p. 103. 13 S. Segenni 2015, p. 27. 14 Ibid., p. 27 – 28. 15 G. Burton 1987, pp. 117 – 120. 16 Ibid., p. 113.

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status e numero; degli impiegati detti apparitores e una schiera di suoi amici che lo assistevano durante il suo mandato, e un braccio armato di soldati con funzioni

speciali che si occupavano della difesa della sua persona17.

1.2. L’Africa prima di Roma

L’Africa è il continente in cui la preistoria dura più a lungo che in qualsiasi altro luogo. Una prima diversificazione sociale l’abbiamo nel Neolitico Medio con due aree ben distinte; la parte nord era abitata dai Neanderthal e nell’area subsahariana prevaleva la “cultura del bifacciale”.

Andando più avanti nel tempo, vediamo che l’organizzazione sociale più diffusa è quella di tipo tribale. Molte popolazioni che i Romani identificavano come Numidi, Mauri o Getuli vivevano stabilmente nel Nord Africa da più di 3000 anni; si insediavano sulle alture che fornivano dei perfetti punti di difesa, come ci mostrano moti resti di abitati preistorici e ampie tracce di cultura agricola su cui si

basava l’economia da cui queste popolazioni traevano sostentamento18. Saranno

i Fenici a imprimere un’identità importante al continente africano. Popolo di eccelsi navigatori ma dalla complessa genesi, su cui studiosi antichi e moderni si sono lungamente interrogati. Vengono nominati nell’Iliade come Sidoni o Fenici che Omero indica come navigatori o artigiani, ma ci conferma che già nel VII sec.

a.C. veleggiavano per il mediterraneo19. Altra fonte illustre è Erodoto che in

occasione della visita a Tiro nel 450 a.C. apprende che la città fu fondata intorno

al 2750 a.C. aggiungendo la probabile provenienza degli abitanti dal Mar Rosso20

hanno abitato le coste dell’Eritrea, al litorale della Siria e alla Palestina.

Sicuramente Ugarit ha delle presenze fenice come dimostrano alcune iscrizioni21.

Hanno sicuramente fondato le importanti città di Tiro, Sidone e Biblo sulla costa del Libano da cui sono partiti per mare stabilendo contatti commerciali spaziando in tutto il mediterraneo toccando Cipro famosa per il rame, Creta, arrivando in 17 Ibid., p, 111. 18 S. Rinaldi Tufi 2012, pp. 372 – 373. 19 M. H. Fantar 1993, pp. 37 – 39. 20 M. Gras 2000, pp. 22 – 23. 21 M. H. Fantar 1993, p.13

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Grecia, la Sicilia occidentale e Sardegna alle coste dell’Andalusia arrivando a valicare le Colonne d’Ercole fondando Lixus. Questi insediamenti avevano origine per scopi commerciali; notiamo delle similitudini tra tutti gli avamposti punici sparsi per il Mediterraneo che ci permettono di riconoscerli; piccole dimensioni, assenza quasi totale di monumenti con l’eccezione dei templi, vicinanza costante al mare. Venivano privilegiati punti che permettevano il diretto contatto con lo sbocco marino, isolotti come nel caso di Mozia in Sicilia oppure in grandi cale riparate come sull’isola di Sulcis, nei golfi come vediamo in Africa per

Cartagine e Utica oppure all’estremità di penisole come per Nora in Sardegna22,

altri insediamenti venivano posti sulle foci di fiumi come Tartesso, insediamento punico in Andalusia situato alla foce del Guadalquivir che forse viene nominato

nell’antico testamento23. Per quanto riguarda l’Africa, sono Lixus e Utica le prime

fondazioni fenice24. La presenza dei Fenici nel continente avrà dei risvolti sia

sulle società ma, anche sullo sviluppo economico ed edilizio. La presenza prima fenicia e poi greca interessa principalmente i siti della costa; molte leggende ruotano intorno alle città più antiche e sono tutte legate ad una fondazione mitica legata a celebri eroi: Anteno è il fondatore di Tingi, mentre Ercole avrebbe trovato il Giardino delle Espidi a Lixus. Dal I millennio a.C. la civiltà fenico – punica è la più attestata. Cartagine poi diviene la prima potenza in ambito commerciale e militare conquistando molti territori anche fuori dall’Africa, fondando molte colonie

per espandere la propria area d’influenza25.

1.3. La conquista

Le vicende che vedono l’affacciarsi della potenza romana in quella che sarà definita dagli studiosi l’Africa Romana, che nel tempo arriverà a comprendere quella striscia di terra delimitata a Ovest dal Ras el-Ali in Libia e a Est

dall’oceano Atlantico26, ruota inevitabilmente intorno al sanguinoso conflitto che

22 M. Gras 2000, p. 56. 23 S. Lancel 1992a, pp. 21 – 22. 24 Ibid., pp. 27 - 28 25 S. Rinaldi Tufi 2012, p. 357. 26 A. Ibba 2013 p. 11.

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Roma scatena contro Cartagine, la città di massimo splendore e maggior potere economico dell’epoca che poteva insidiare i piani espansionistici di Roma.

Le due città, inizialmente, sulla scia di precedenti trattati elencati di non belligeranza, si alleano contro Pirro con il terzo elencato da Polibio, siglato fra il

278 e 280 a.C.27 per far fronte al nemico comune. Pirro aveva l’intenzione di

conquistare la Sicilia, regione dalle grandi risorse naturali, che rivendicava per diritto matrimoniale essendo sposato con Lassana, figlia del Re di Siracusa Agatocle.

La disfatta del Re dei Molossi avviene proprio grazie alla collaborazione tra le due città: Pirro dopo molte vittorie non poteva ultimare la conquista della Sicilia, i Cartaginesi, arroccati a Lilibeo (odierna Marsala), potevano resistere ad oltranza perché costantemente rifornita via mare, dove la città punica aveva il dominio. Inoltre il comandante della lega epirotica perdeva continuamente alleati per i suoi modi dispotici. Decise che era impossibile conquistare la Sicilia in tempi brevi, quindi tornò in Italia dove nel 275 a.C. affrontò per l’ultima volta Roma, che esce vittoriosa dalla battaglia grazie allo schiacciante numero di forze messe in campo. L’ultima battaglia contro Pirro avviene nel luogo dove poi sorgerà la colonia latina di Benevento. Roma vince per la prima volta una guerra contro un’aggressione esterna, consolidando così il dominio in tutta l’Italia peninsulare, con l’annessione della Magna Grecia, la definitiva sconfitta dei Piceni nel 269, il potenziamento del litorale adriatico con la fondazione di Rimini nel 268 e Fermo nel 264 a.C. A Sud la fondazione di Brindisi dopo la sconfitta dei Salentini e Messapi nel 266 a.C. Con questo assetto territoriale Roma si prepara ad

affrontare la prima Guerra Punica28.

1.3.1. La Prima Guerra Punica

I rapporti tra le due potenze si incrinano quando è Roma a prendere di mira la Sicilia che diviene teatro del primo conflitto tra Cartagine e Roma.

Dopo la vittoria su Pirro, a Roma una nuova volontà espansionistica andava prendendo piede nella classe dirigente; questo sentimento viene definito causa dell’inevitabile conflitto contro Cartagine.

27 E. Gabba 1990, p. 57.

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Nel 264 a.C. Roma conquistava e assoggettava tutta l’Italia peninsulare fino allo Stretto di Messina, Roma aspettava solo l’opportunità di aggredire, ma con il favore dell’opinione pubblica, senza violare apertamente gli accordi. Sempre da Polibio possiamo dedurre che, anche se non formale, la suddivisione delle zone di influenza tra Roma e Cartagine esisteva, dati i continui accenni ai timori di

Roma di un accerchiamento dell’Italia da parte della potenza punica29.

L’inizio del conflitto avviene con la richiesta di protezione fatta dai Mamertini che dopo aver occupato in maniera violenta Messina, si rivolgono a Roma per liberarsi dell’opprimente aiuto che Cartagine aveva offerto con lo scopo di controllare Siracusa, impedendogli il controllo di una zona nevralgica come lo stretto. I Mamertini, mercenari di origine campana e sannita preferirono offrire la

deditio a Roma invocando dubbie affinità etniche30.

Polibio ci tramanda il dibattito che nasce in senato per decidere se intervenire in favore dei mamertini che si erano macchiati di turpi azioni contro la popolazione di Messana. Molti senatori ritenevano ingiustificata l’intromissione solo sulla base di una richiesta di aiuto, contro una potenza come quella cartaginese che grazie ad una serie di rapporti di alleanze e di sottomissione era al centro di un vasto impero che si estende dalle coste africane sino a quelle della Spagna Meridionale passando per la Sardegna e per la Sicilia Occidentale, ma la fame di conquista di Roma prevalse, fame di conquista accompagnata dal crescente timore cartaginese che una volta conquistata Messina avrebbe sicuramente

eliminato Siracusa e completato l’accerchiamento dell’Italia31. Nel 264 a.C. i

romani sbarcano in Sicilia e cacciano senza combattere l’esiguo presidio cartaginese stanziato a Messina comandato da Annone.

Non siamo sicuri se Roma abbia effettivamente violato gli accordi territoriali presi in precedenza. La clausola che riguarda la Sicilia è ricordata solo da Filino, uno storico greco filocartaginese, ma l’unica testimonianza vera è di Polibio che

negava di aver mai visto il trattato di Filino negli archivi32. Probabilmente nei vari

trattati tra le due città esisteva qualche delimitazione territoriale per sancire le

29 E. Gabba 1990, p. 58.

30 Ibid., p. 59. 31 Ibid., p. 60. 32 Ibid., p. 57.

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rispettive aree d’influenza, ma questi confini non erano precisi come vuole far credere Filino.

Non intervenire inoltre significava lasciare nelle mani di Cartagine un punto strategico come lo Stretto di Messina e precludersi la possibilità di mettere piede in Sicilia, con tutti i vantaggi puramente economici che avrebbe portato la nuova guerra. Il senato comunque indeciso si rimise ai comizi che accettarono la

richiesta di deditio dei mamertini33. Questa decisione aprì la Prima guerra

Punica, anche se Roma non aveva mai dichiarato formalmente guerra a

Cartagine, se non dopo il rifiuto di liberare Messina34.

Dopo la cacciata di Annone, Cartagine e Siracusa si alleano per rispondere all’aggressione da parte di Roma ponendo d’assedio Messina. Nel 263 a.C. i nuovi consoli, Manio Valerio e Otacilio, giungono in Sicilia forzando il blocco sullo stretto e spezzano l’assedio su Messina per poi marciare su Siracusa. Sempre nel 263 a.C. si ha la svolta che decide la guerra. Dopo aver inanellato una serie di vittorie, un numero sempre maggiore di città minori abbandona la coalizione punico-siracusana fino che Siracusa stessa non passa dalla parte di Roma voltando le spalle a Cartagine. Ierone II, Re di Siracusa, che solo l’anno prima aveva duramente criticato l’invasione Romana, ora diviene perno fondamentale per la riuscita delle operazioni in Sicilia a favore di Roma. Grazie a questa alleanza Roma riusciva a fare fronte ai rifornimenti necessari all’esercito impegnato nella campagna. La svolta decisiva si ebbe nel 262 - 261 a.C. quando cade la grande base di Agrigento senza però determinare grosse perdite umane per i cartaginesi. La città punica conservava il predominio sul mare, di

conseguenza un saldo controllo in molti punti strategici della costa35. Roma si

vede costretta a creare una grande flotta di quinquiremi. Solo grazie all’aiuto dei

socii navales, reclutati nelle città dell’Italia meridionale, che fornirono gli

equipaggi e la loro maestria nell’arte della navigazione già nel 260 a.C. Roma coglie una prima importante vittoria nelle acque di Milazzo; la flotta cartaginese si vede immobilizzata durante la consueta manovra di speronamento dalle passerelle uncinate (chiamate corvi) calate per facilitare l’arrembaggio. La flotta cartaginese, colta impreparata a questa nuova arma, perse 45 unità, mentre il

33 S. Lancel 1992a, p. 382. 34 E. Gabba 1990, pp. 60 – 61. 35 Ibid., p. 62.

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console Caio Duilio che l’aveva inventata l’anno dopo celebrava a Roma il trionfo36.

Dopo aver tentato senza successo di minare la solidità della dominazione punica anche in Corsica e Sardegna, e conscia del fatto che le piazzeforti cartaginesi in Sicilia reggevano più forti che mai, evitando sapientemente la battaglia campale, Roma tentò di affondare un colpo definitivo alla rivale. Nel 256 a.C. Roma muove sui possedimenti africani di Cartagine sotto il comando dei consoli Regolo e Vulsone con uno spiegamento di forze impressionante: 230 navi da guerra e 100

da trasporto37. L’invasione iniziò sotto i migliori auspici; l’imponente flotta aveva

sbaragliato quella comandata da Amilcare e Annonea Capo Ecnomo che tentava

di intercettare la flotta romana38. I due consoli sbarcarono presso Capo Bon

conquistando la città di Aspis o Clupea che usarono come base per le operazioni successive. Regolo rimase l’unico console al comando della campagna alla testa di 15.000 uomini. Dopo alcuni rilevanti successi fece fallire i negoziati di pace

richiesti da Cartagine per le condizioni troppo dure che voleva imporre39. E’

singolare come queste trattive di pace durarono il tempo necessario per dare il tempo a Cartagine di assoldare un contingente di mercenari spartani guidati da Santippo, valente generale che riorganizzo i ranghi dell’esercito punico. Alla ripresa delle ostilità Regolo si trovò ad affrontare un agguerrito esercito composto

da 12.000 fanti, 400 cavalieri e 100 elefanti.40 Nel 254 a.C. Regolo venne

duramente sconfitto in una battaglia campale, il resto dell’esercito si imbarcò per fare ritorno in Sicilia ma la flotta venne colta da una tempesta affondando i due

terzi delle imbarcazioni41. Come Pirro, Roma non riusciva a impossessarsi delle

piazzeforti cartaginesi, che speravano di riconquistare l’intera isola. A tale scopo sbarca a Lilibeo Asdrubale figlio di Annone, che cerca di riconquistare Panormo, ma viene sconfitto dal proconsole Lucio Cecilio Metello, mettendo in pericolo Lilibeo stessa che resiste solo grazie al valore del comandante Imilcone. Nel 249 a.C. la situazione per Roma si complica; subisce una nuova sconfitta navale a largo di Trapani grazie alla superiore perizia degli ammiragli punici. L’Ammiraglio 36 F. Barreca 1964, pp. 92 – 93. 37 Ibid., p. 94. 38 S. Lancel 1992a, p. 385. 39 Ibid. 40 F. Barreca 1964, p. 94. 41 E. Gabba 1990, p. 63.

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Adebardale riuscì ad evitare una manovra di aggiramento e a inchiodare la flotta romana tra le sue navi e la costa. Dopo l’ennesimo naufragio a largo di capo Pachino in seguito ad un uragano, Roma rimaneva priva di forze navali. Alla fine del quindicesimo anno di belligeranza le forze ormai erano allo stremo in ambedue le fazioni. In Sicilia reggevano solo basi puniche di Lilibeo e Drepano.

Nemmeno l’entrata in scena del valoroso generale Amilcare Barca42, poté dare

una svolta decisiva alla guerra ma, si limitò ad infiacchire le forze romane da terra con azioni di guerriglia con lo scopo di tagliare comunicazioni e rifornimenti con le piazze assediate. Amilcare condusse queste fulminee azioni di attacco seguite da repentine difese per 3 anni fino al 244 a.C., anno in cui dovette arrendersi alle forze nemiche troppo numerose e in cui Erice fu assediata. I capisaldi sulla costa resistettero fino al 242 a.C. quando una nuova flotta di 200 quinquiremi comparve davanti Drepano conquistandola facilmente, dato che la flotta punica era stata quasi tutta smobilitata. La nuova flotta non era all’altezza dei fasti di un tempo, gli equipaggi erano male addestrati e inesperti. Nel tentativo di riprendere Drepano, delle 170 nuove navi partite da Cartagine solo 50 navi scamparono alla decisiva battaglia delle Egadi di fronte Lilibeo, vinta per Roma dal console Lutazio Catulo il 10 marzo 241 a.C. che disponeva di nuove quinquiremi costruite con i finanziamenti di privati facoltosi

A Cartagine prevalse l’opinione che non si dovevano più sostenere spese per la Sicilia. Amilcare Barca dunque come comandante delle truppe cartaginesi presenti sull’isola viene incaricato dal governo di trattare la pace con Roma. Le condizioni di pace imposte da Catulo e ratificate senza grossi cambiamenti da Roma imposero l’abbandono della Sicilia delle Egadi e delle Isole Lipari, la restituzione di prigionieri e il pagamento di una indennità di guerra di 3200 talenti

d’argento da versare in dieci anni43. Cartagine non abbandona la Sicilia che da

secoli reggeva contro tutti gli attacchi greci senza impegnarsi, lo dimostra la straordinaria durata del conflitto che dura quasi 20 anni. L’abbandono dell’isola è da ricercare nella politica e nel modo di fare guerra di Cartagine che è strettamente collegato al lato economico; la metropoli punica non si imbarcava

mai in guerre anti economiche.44 Probabilmente Cartagine attendeva un collasso

42 Ibid.

43 S. Lancel 1992a, p. 389. 44 F. Barreca 1964, p. 98.

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degli alleati latini di Roma che, pressati dalla continua richiesta di mezzi e uomini avrebbero defezionato la causa ma questa defezione non arrivò mai.

Si costituiva così il primo possedimento romano al di fuori della penisola italica. Dopo la prima guerra punica però Roma ottiene solo il ridimensionamento del potere di Cartagine nel Mediterraneo.

Dopo un primo momento di tensioni interne a causa delle due fazioni rivali, una capeggiata da Annone il grande, che spingeva per una politica isolazionistica. L’altra fazione era invece guidata da Amilcare Barca, che voleva costituire un vasto impero oltremare.

Il primo impegno per Amilcare fu domare una rivolta di mercenari che richiedevano il compenso per il loro servizio nella guerra contro Roma. In questa occasione Amilcare dimostra lungimiranza e generosità trattando con i dovuti i riguardi i prigionieri incentivando la progressiva defezione delle truppe ostili. Riuscì a caro prezzo a riprendere le città occupate ma perse la Sardegna che costituì la base per i fuggiaschi. Quando Cartagine organizza una spedizione per recuperare l’isola i rivoltosi chiedono a Roma di occupare l’isola per scampare alla vendetta cartaginese. Cartagine viene accusata di preparare una nuova guerra contro Roma con la scusa di riprendere la Sardegna. Nel 237 a.C. essa diviene insieme con la Corsica la seconda provincia romana dopo la Sicilia. A Cartagine viene imposto di pagare un nuovo indennizzo di guerra di 1200 talenti45.

1.3.2. La Seconda Guerra Punica

A riaccendere le ostilità fu senza dubbio la politica espansionistica di Amilcare Barca, che dopo aver trionfato sul rivale Annone il Grande in una guerra di consensi, mira alla Spagna ancora semi barbara per rimpiazzare la perdita delle

tre isole e fondare un vasto impero46. Nel frattempo Roma aveva consolidato le

sue posizioni espandendo i suoi possedimenti nell’Adriatico contro il regno di Illiria e in Italia Settentrionale conquistando la pianura Padana, spingendo sempre più a nord i Galli e conquistando nel 222 a.C. il loro principale centro

45 S. Lancel 1992a, pp. 393 – 394. 46 Ibid., pp. 394 – 395.

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Mediolanum, fondando numerose colonie tra le quali ricordiamo Piacenza e

Cremona e nel 181 a.C. Aquileia47.

La conquista della Spagna fu condotta dalla famiglia Barca con il consenso dello stato cartaginese. La progressiva occupazione fu condotta prima da Amilcare poi dal genero Asdrubale, e dopo la sua morte fu eletto comandante supremo il figlio di Amilcare, il celebre Annibale.

L’espansione punica in Spagna mette in allarme Marsiglia, alleata storica di Roma. Nel 226 a.C. un’ambasceria del senato chiude con Asdrubale un trattato che secondo Polibio sanciva che gli eserciti cartaginesi non potevano superare il fiume Ebro; Livio invece afferma che anche i Romani si sarebbero impegnati a

non superare il fiume Ebro che era un confine tra le zone48.

Un possibile elemento di discordia era rappresentato dalla città di Segunto con cui Roma aveva stretto un’alleanza che si trovava a sud del fiume Ebro. Annibale il cui genio non era solo militare, sfrutta al meglio la questione di Segunto, che guidata dal partito filo romano insidiava la tribù dei Torpoleti. L’intervento di Cartagine fu fulmineo, con l’intenzione di far capire a tutte le tribù indigene che non conveniva cercare l’amicizia di Roma.

Nel 219 a.C. Segunto fu cinta d’assedio, dopo una resistenza di otto mesi cadde mentre a Roma si dibatteva ancora se intervenire o meno; Annibale invece archiviata la conquista di Segunto, aveva delineato il suo piano strategico per conquistare l’Italia49.

Annibale era conscio che per essere battuta, Roma doveva essere sconfitta in

Italia cercando di privarla del potenziale umano fornitogli dagli alleati italici50.

Nella primavera del 218 a.C. Annibale parte dalla base di Nova Carthago con un poderoso esercito ben addestrato ed abituato alla disciplina militare. Valicati i Pirenei, evitando lo scontro con il console Publio Cornelio Scipione e poi le Alpi dopo un audace marcia, in cui perde anche parte delle sue truppe, cerca e trova consensi nelle popolazioni celtiche dei Boi e degli Insubri che abitavano l’Italia settentrionale prima di venire sconfitti da Roma.

47 G. Clemente 1990, p. 79. 48 Ibid., p. 81.

49 S. Lancel 1992a, pp. 398 – 399. 50 G. Clemente 1990, p. 81.

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Annibale, dopo la pericolosa marcia per valicare le Alpi, possiede un contingente di cavalleria tale da garantirgli una prima vittoria sul Ticino. Questa vittoria ha un valore psicologico elevatissimo. Di fatti il console Scipione non accetta più di ingaggiare battaglia se non all’arrivo del suo collega per quell’anno. Anche con gli eserciti consolari riuniti, Annibale riporta nel dicembre del 218 a.C. una grande

vittoria sulle rive del fiume Trebbia51. I Romani per la prima volta vedono

all’opera una manovra avvolgente52 con la rottura delle ali avversarie con la

cavalleria. Durante l’inverno che passerà a Bologna continua la sua campagna denigratoria contro Roma cercando di agire sull’animo delle popolazioni italiche e latine. Nella primavera del 217 a.C. riparte puntando l’Etruria dopo aver valicato gli Appennini passando per la via più breve raggiungendo Fiesole, attraverso pantani malarici e pericolosi acquitrini dove Annibale perde tutti gli elefanti tranne uno. Arrivato a Fiesole, dopo un periodo di riposo cerca di ingaggiare battaglia contro il console Flaminio. Vi riesce cogliendo il console di sorpresa grazie al favore della nebbia nei pressi del lago Trasimeno. L’esercito romano venne annientato, dei 25.000 soldati che componevano i reparti quasi 15.000 perirono

nella battaglia; anche lo stesso Flaminio fu tra le vittime53.

La contromossa di Roma fu di eleggere Quinto Fabio Massimo dittatore, ma ormai il panico serpeggiava in senato e nel popolo, Annibale sembrava imbattibile in campo aperto. Inoltre la tattica di attesa promossa dal dittatore romano (che passerà alla storia con il nome di temporeggiatore) era un segnale chiaro di impotenza. Ma anche Annibale non era in buone condizioni: le sue truppe erano stanche per le lunghe marce, le tumultuose battaglie e le incessanti malattie. Non poteva in quelle condizioni assediare Roma che gli bloccava i rifornimenti dalla Spagna e dalla madre patria. Dopo aver nuovamente attraversato gli Appennini passò indisturbato per il Piceno e il Sannio arrivando in Apulia dove prese il caposaldo di Canne sul fiume Ofanto (216 a.C.). La tattica di Roma alla fine del 217 a.C. era totalmente cambiata; si decise che era tempo di passare al contrattacco; allestito un enorme esercito al comando dei due consoli, Marco Terenzio Varrone e Lucio Emiliano Paolo forte di quasi 83.000 uomini, marciano contro la roccaforte di Annibale pensando di poter vincere solo grazie

51 S. Lancel 1992a, p. 404.

52 In generale sulle tecniche di battaglia applicate nella seconda Guerra Punica, G. Brizi 2002. 53 S. Lancel 1992a, p. 406.

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al favore dei numeri. Annibale diede la prova del suo genio militare con l’esempio meglio riuscito di manovra di accerchiamento della storia. La resistenza romana non evita una sanguinosa carneficina; il console Emiliano Paolo con 25.000

uomini perirono in battaglia.54

Anche con questa nuova magnifica vittoria, Annibale non avrebbe potuto però porre l’assedio a Roma se prima non avesse portato a compimento anche il suo piano politico. La vittoria a Canne stava facendo vacillare la credibilità di Roma; infatti iniziarono a staccarsi molte tribù sannitiche, e alcune città come Nocera e Arpi; inoltre il successore di Ierone di Siracusa, Ieronimo passo dalla parte di Cartagine. Annibale stringe un’alleanza con Filippo V di Macedonia nel 215 a.C., con il chiaro scopo di impegnare Roma su un altro versante, mentre per Filippo il premio era il recupero di quanto le guerre di Illiria gli avevano sottratto in termini

di prestigio nei Balcani55. Filippo insieme a Ieronimo dovevano appoggiare

Cartagine nel progetto della creazione di una confederazione antiromana con

base a Capua56, alleanza vanificata dal blocco che Roma aveva imposto in mare

dopo l’alleanza con la Lega Etolica, naturale nemico della Macedonia impendendo che le ambasceria giungessero ad Annibale e costringendo Filippo alla pace nel 205 a.C. a Fenicia gettando le basi per una futura espansione in Grecia57.

Dopo la morte di Ieronimo e il massacro della fazione filo punica, Siracusa viene assediata, per cadere nel 212 a.C.; da Cartagine gli aiuti arrivarono puntuali al comando di Imilcone che una volta sbarcati ad Agrigento fu decimato da una epidemia. Il console Marcello può cosi sferrare la decisiva controffensiva per pacificare la Sicilia, che nel 211 a.C. era di nuovo saldamente sotto il comando di Roma58.

La svolta decisiva si ebbe in Spagna. Roma decide di portare guerra a Sud dell’Ebro per tagliare i rifornimenti ad Annibale; inoltre Cartagine aveva commesso l’errore di disperdere le sue forze impegnando risorse umane ed

54 S. Lancel 1992a, pp.408 - 410. 55 G. Clemente 1990, p. 83. 56 S. Lancel 1992a, p. 410. 57 G. Clemente 1990, p. 83. 58 S. Lancel 1992a, pp. 410 – 411.

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economiche su fronti secondari come la Sardegna che i Romani ripresero nel 214 a.C59.

Nel 217 a.C. Gneo e Pubblio Scipione varcano l’Ebro vincendo a Ibera, ma poi non vi saranno altri fatti di guerra rilevanti sino al 215 a.C. quando sconfissero il fratello minore di Annibale Asdrubale. Cartagine invia in Spagna l’ultimo figlio di Amilcare Barca, Magone per rimpolpare le truppe di Asdrubale. I rinforzi dettero i loro frutti e nel 211 a.C. i due fratelli minori di Annibale sconfissero i due Scipioni cogliendoli separatamente e sconfitti e uccisi.

In Italia Annibale, praticamente abbandonato dal 215 a.C., era costretto ad affrontare da solo la pressante offensiva romana, rinunciando ad assediare Nola e Cuma, e perdendo Arpi. Nel 212 a.C. le cose miglioravano con l’adesione alla causa punica delle citta della Magno Grecia come Taranto, Metaponto, Eraclea e

Turi.60. Annibale continuava a non ricevere i rifornimenti sperati, i Romani posero

d’assedio Capua che fu riconquistata nel 211 a.C. nonostante gli sforzi di Annibale stesso per soccorrere la piazzaforte, sforzi che furono vanificati dall’arrivo di nuove forze romane dal Piceno. Quello stesso anno come detto cadeva Siracusa, Annibale era sempre più solo e Roma trovava in Publio Cornelio Scipione, che passerà alla storia con il cognomen di Africano,

l’antagonista da contrapporre al comandante cartaginese. Ancora

ventiquattrenne e con solo una magistratura minore viene scelto dai comizi per

proseguire le operazioni in Spagna per le sue capacità personali61, di cui diede

prova nel 209 a.C. assediando ed espugnando Nova Carthago e sconfiggendo il fratello di Annibale, Asdrubale, in campo aperto. Asdrubale riuscì comunque a raggiungere l’Italia in soccorso del fratello ma fu intercettato dagli eserciti consolari congiunti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone. L’esercito al comando di Asdrubale fu sconfitto e distrutto nel 207 a.C. sul fiume Metauro; lo stesso Asdrubale trovò una morte da eroe gettandosi in prima persona nella mischia62.

Scipione sconfiggeva gli eserciti punici in Spagna, la vittoria risolutiva la coglie nel 206 a.C. ad Ilipa (località vicino l’odierna Siviglia).

59 G. Clemente 1990. p. 85. 60 Ibid.

61 Ibid., p. 88.

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Nel 205 a.C. torna a Roma, intenzionato a promuovere l’invasione dell’Africa; nel 204 a.C. il giovane Scipione parte da Lilibeo alla volta di Cartagine contando 40

navi da Guerra e 30.000 soldati63. Qui subito trovo l’alleanza fondamentale di

Massinissa, principe dei Numidi Massili entrato in contrasto con Cartagine in seguito all’alleanza della città punica con un’altra tribù numidica, quella dei Massesili. Grazie a questa alleanza Roma guadagnava un formidabile corpo di

cavalleria composto da 10.000 cavalieri64.

Le trattative di pace fallirono prima di cominciare per le durissime condizioni di pace che Scipione voleva imporre, la più gravosa delle quali era la smobilitazione

della flotta65. Annibale era tornato dall’Italia per disporre la difesa. Nel 202 a.C.

sbarca a Leptic Minor, dove subito fu eletto comandate con pieni poteri. Le forze di difesa cartaginese arrivavano a 40.000 uomini, ma non erano paragonabili per il livello di addestramento all’esercito di cui aveva affrontato le campagne in Italia. Scipione disponeva, di un numero simile di forze ma quelle del generale romano erano meglio addestrate a cui si devono sommare i reparti di cavalleria numidica. La battaglia decisiva si ebbe nello stesso anno a Zama, Annibale fu sconfitto per l’insufficiente numero di cavalieri, il comandante punico stava per compiere un altro miracolo tattico, riuscendo ad evitare la manovra avvolgente di Scipione, allontanando dal fulcro dello scontro la cavalleria Romana e Numidica. Grazie al valore dei suoi 8000 veterani che formavano il centro della formazione, resistette alla manovra di Scipione, ma momento in cui stava per sopraffare la formazione romana usando forze di riserva fresche, l’esercito punico fu travolto alle spalle dalla cavalleria numidica al completo. La giornata si chiuse con quasi 20.000 morti e altrettanti prigionieri. Si chiudeva la seconda guerra punica. Cartagine formalmente rimaneva uno stato sovrano indipendente, ma Roma impose durissime condizioni. A livello territoriale la restituzione a Massinissa del regno di Numidia e di tutte le terre della tribù nemica dei Messesili e i territori d’oltre mare. A livello militare invece Cartagine doveva consegnare tutta la flotta tranne dieci triremi, gli elefanti da guerra e aveva il divieto di addestrarne di nuovi, di muovere guerra senza il consenso di Roma, oltre all’obbligo di pagamento di 10.000 talenti d’argento in cinquanta anni, l’obbligo di inviare forze militari, ogni volta che Roma

63 F. Barreca 1964, p. 116. 64 S. Lancel 1992a, p. 419. 65 Ibid.

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lo comandasse66. A Massinissa il compito di bloccare qualsiasi nuova mira espansionistica di Cartagine, che Scipione lasciò volutamente indipendente dal punto di vista economico per non creare un pericoloso vuoto di potere in Nord Africa67.

La guerra Annibalica sicuramente muta profondamente la società romana, emerge di un opinione pubblica forte che attraverso i comizi impone il suo volere andando a rompere tradizioni e schemi consolidati, basti pensare al conferimento di imperium ad un giovane Scipione e continue deroghe dei comandi militari in teatri di guerra lontani come la Spagna,. Anche a livello economico il confronto con Annibale necessitò dell’attuazione di misure drastiche. La tattica di attesa promossa da Flavio Massimo comportò una serie di norme atte a ridurre gli sprechi: fu imposta una tassa sul lusso, si svalutò la moneta introducendo il sistema del denario, fu prelevato denaro da fondi destinati a vedove e orfani e

per finire si aumentò il tributum del due per mille68.

1.3.3. La terza Guerra Punica

Cartagine si riprese brillantemente dalla guerra, attuando una brillante riforma in campo economico promossa dall’infaticabile Annibale, eletto suffetto nel 196 a.C., che le permise di pagare in largo anticipo l’indennità di guerra a Roma dopo soli dieci anni, contro i cinquanta concessi da Roma nei trattati di pace del 201

a.C.69. La potenza economica di Cartagine in questa fase è ben documentata

archeologicamente; furono costruiti nuovi quartieri ai piedi della collina della

Byrsa70, inoltre la cospicua presenza di ceramica Campana A predominante in

tutto il Nord Africa, sono la prova tangibile del potere economico della città, in

grado di attirare nuovi flussi commerciali71.

Un nuovo elemento di discordia nacque quando Massinissa, Re dei Numidi e braccio armato di Roma in Africa volle espandere il suo regno, tentando al contempo di portarlo fuori dal primitivo ordinamento tribale, facendolo evolvere in 66 Ibid., p. 421. 67 G. Clemente 1990, p. 86 68 Ibid., pp. 86 – 90. 69 S. Lancel 1992a, p. 421. 70 Ibid., p. 167. 71 Ibid., p. 428.

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un più complesso organo di governo, usando come modello le città ellenistiche chiedendo l’aiuto delle aristocrazie libico – puniche, da tempo imbevute di usi e costumi ellenistici e dei notabili romani, aprendo i mercati ad agenti stranieri (soprattutto Romani e Latini) desiderosi di nuovi territori in cui insediarsi per portare aventi i propri traffici. Massinissa quindi crea una capillare rete viaria per facilitare i commerci, crea un nuovo apparato burocratico su modello greco, favorisce con il tesoro reale la nascita di nuove comunità urbane su modello cartaginese ma con un’edilizia monumentale, nelle comunità rurali introduce

migliorie e accorgimenti tecnici nuovi per migliorare la produzione.72

I problemi si verificarono quando iniziò ad intaccare i territori cartaginesi con il tacito consenso di Roma; Cartagine fino ad allora si era comportata in maniera irreprensibile, rispettando tutte le clausole della pace del 201 a.C., costringendo alla fuga Annibale in oriente con le false accuse di cospirare contro Roma con Antioco III di Siria73.

Una serie di soprusi da parte di Massinissa costarono a Cartagine la perdita di alcuni ricchi territori. Cartagine chiese l’arbitrato da parte di Roma per risolvere la questione. L’esito fu deludente, perché le commissioni davano sistematicamente ragione a Massinissa. L’ultimo di questi interventi fu nel 152 a.C., con una commissione d’inchiesta capeggiata da Catone e da Scipione Nasicca Corculo. La commissione ripartì da Cartagine senza aver risolto nulla; avevano solo appurato la crescente insofferenza del partito nazionalista e il potere economico della città. Il dibattito in senato fu serrato: Catone propendeva per la distruzione della città per salvaguardare gli interessi dei produttori Italici, mentre Nasicca

fedele alle linee guida dettate dall’Africano vi si oppose74.

Nel 151 a.C. la situazione precipita, dati gli infruttuosi arbitrati di Roma che non poteva di certo andare contro Massinissa il quale era un prezioso alleato nelle

continue campagne in Spagna75 , tutti gli esponenti più in vista della fazione

filonumida vennero banditi dalla città e un esercito venne mandato contro Massinissa. La mossa fu disastrosa per Cartagine; l’esercito era male addestrato e fu annientato senza troppi problemi.

72 A. Ibba 2011, p. 16.

73 S. Lancel 1992a, p. 422. 74 E. Gabba 1990, p. 232. 75 Ibid., p. 231.

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Inoltre si era verificata una chiara violazione al trattato di pace del 201 a.C., evento che molti aspettavano come pretesto per muovere la definitiva guerra contro Cartagine. Per evitare lo scontro con Roma, ormai intenzionata a distruggere la città, che nella mente di molti ancora rappresentava un grande

pericolo, Cartagine offrì la completa deditio consegnando le armi76. Il gesto non

bastò a placare chi a Roma, Catone su tutti, continuava spingere per la guerra77.

Il senato per dare modo all’esercito consolare ormai radunato in Sicilia valente di 80.000 uomini finse di prendere in considerazione l’offerta di resa dell’ambasceria Cartaginese salvo poi rimettersi alle richieste fatte dai due consoli che guidavano la campagna. Le richieste furono: la consegna di parte dell’arsenale e l’abbandono della città con la sua ricostruzione nell’entroterra. Accettare la seconda richiesta avrebbe significato la rovina economica, quindi la guerra era inevitabile78.

Dopo una resistenza di tre anni, in condizioni sfavorevoli, data la defezione di molte città della costa, prima alleate adesso schierate con Roma come Utica, che vedevano nella distruzione di Cartagine la possibilità di ascesa in campo economico, nel 147 a.C. viene eletto console Scipione Emiliano, senza avere l’età giusta per ricoprire la massima magistratura, con il solo scopo di chiudere quanto prima questa imbarazzante situazione, date le sue spiccate doti da

comandante79. Egli riuscì a circoscrivere le azioni esclusivamente intorno a

Cartagine. Nel 146 a.C. lanciò l’assalto finale; dopo aver forzato le mura nella zona del porto fu conquistata prima l’Agorà, poi saccheggiato il tempio di Apollo spostando poi lo scontro tra gli edifici ai piedi dell’acropoli, combattendo “porta a

porta” 80. L’ultimo attacco è verso l’acropoli sulla collina della Byrsa e al tempio

Eshmoun, dove erano arroccati gli ultimi difensori guidati da Asdrubale che si

gettarono nelle fiamme pur non arrendersi81.

76 A. Ibba 2011, p. 18. 77 E. Gabba 1990, p. 232. 78 S. Lancel 1992a, p. 432. 79 E. Gabba 1990, p. 232. 80 Ibid., p. 233. 81 S. Lancel 1992a, p. 446.

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Buona parte della città fu rasa al suolo a causa dell’incendio e i prigionieri furono

venduti come schiavi82. Scipione evitò distruzioni inutili e affiancato da una

commissione di decemviri si prodigò per la prima sistemazione del territorio. Tutto il territorio acquisito divenne ager publicus Populi Romani; si estendeva dal fiume Tusca, a Est di Tabarka fino a Thaenae, a delimitare il confine Sud

troviamo abbiamo la Fossa Regia83, un percorso ormai perduto che doveva

seguire la sommità delle colline84.

1.3.4. Dalla fine delle Guerre Puniche alla guerra civile

In questo momento abbiamo la creazione di una prima entità giuridica, non una vera e propria provincia ma un primo abbozzo della presenza romana in terra d’Africa. Questo nuovo territorio sotto il controllo di Roma era limitato solo

all’entroterra di Cartagine (circa 25.000 kmq)85 ,ma il braccio di Roma si

estendeva molto più in profondità per molteplici motivi d’interesse: il paese era ricchissimo dal punto di vista agricolo, inoltre distava poche leghe dall’Italia.

La capitale fu posta a Utica86; qui risiedevano gli organi di comando nelle figure

del pretore che si preoccupava di incombenze militari, amministrative e giudiziarie. Il questore aveva invece il compito di gestire le finanze e riscuotere i tributi.

L’ager publicus rimasto, dopo varie assegnazioni alle città che sin da subito si erano schierate a favore di Roma e quei territori affidati al regno di Numidia, fu centuriata e divisa in lotti di 4 iugera. Le particelle ricavate furono cedute a Cavalieri e Senatori ma anche Coloni italici, in cambio di un canone di affitto annuale. Lo sfruttamento agricolo non era il solo interesse di Roma in quella terra conquistata dopo ardue fatiche. Ben presto iniziarono ad arrivare nelle città portuali rimaste “libere” negotiatores italici. Eliminata la concorrenza di Cartagine, città come Utica, Hadrumentum e Lepti Minus con i loro porti si ritrovarono al centro dei traffici sulla rotta non solo verso Roma, ma anche verso altre mete in tutto il mediterraneo. 82 E. Gabba 1990, p. 233. 83 S. Bullo 2002 p. 5. 84 S. RInaldi Tufi 2012 p. 375. 85 A. Ibba 2011 p. 21. 86 S. Bullo 2002, p. 7.

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Da qui in avanti il territorio di quella che diverrà l’Africa Proconsularis era destinato a crescere; il peso che le risorse africane avevano per la repubblica diventarono essenziali per il mantenimento dell’Urbe e delle sue legioni, e spiegano il coinvolgimento della regione nelle vicende politiche che

caratterizzano tutto il I sec. a.C.87 Ovviamente non si poteva sfruttare a pieno il

potenziale della regione senza il rilancio di Cartagine. Il primo a rendersi conto di questo fu nel 123 a.C. Caio Gracco quando rivestì la carica di Tribuno della Plebe. L’impresa era destinata a naufragare per colpa del partito degli ottimati. Erano avversi ai piani del tribuno Gracco e orchestrarono una campagna denigratoria sulla base di avversi presagi, in merito alla ricostruzione di Cartagine che verrà poi ripresa da Cesare e ultimata da Augusto.

L’annessione della Numidia segna un altro sanguinoso capitolo dell’espansione Romana in Africa. Tutto scaturisce in seguito alla guerra giugurtina. Dopo che Roma aveva ripartito il territorio tra i figli di Micipisa, Giugurta figlio di Mastendal ma adottato alla sua morte da Micipisa, quindi nipote di Massinissa alleato storico di Roma era fortemente avverso alla politica egemone di Roma. Dopo una fulgida carriera militare al servizio dell’Emiliano, decide di eliminare i Cugini per riunificare la Numidia; in più fa barbaramente uccidere tutti i Negotiatores italici presenti nella regione. Questo massacro provoca la reazione del partito dei popolari tramite il Tribuno delle Plebe Gaio Memmio. Le operazioni militari furono affidate a Lucio Calpurnio Bestia, che dopo qualche vittoria inconcludente, negozia la pace con Giugurta e lo convoca a Roma per testimoniare di fronte al senato sul suo operato. A Roma si macchia di un altro delitto, facendo assassinare il cugino che poteva aspirare al suo trono. Le operazioni riprendono nel 110 a.C., ma con delle pesanti sconfitte per Roma. Il comando passa allora a Quinto Cecilio Metello, coadiuvato da un giovane Gaio Mario come luogotenente. I successi di Metello non bastarono a spezzare le alleanze che Giugurta aveva tessuto all’interno della Numidia; egli puntava a rinsaldare i rapporti con quelle tribù che ritenevano insostenibile l’intrusione di Roma. Inoltre poteva contare sulla ferrea alleanza del suocero Bocco, re di Mauretania.

Nel 107 a.C. il proseguirsi della guerra fu affidato a Gaio Mario, homo novus, dotato di incredibile talento militare. Il successo finale arriva grazie all’aiuto del

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suo questore, Lucio Cornelio Silla, che convinse il principale alleato di Giugurta, Bocco, a voltargli le spalle; Bocco consegna Giugurta nel 105 a.C., Roma crea uno stato cuscinetto e la Mauretania dell’alleato Bocco si amplia sino all’Oued el

Nebir che segnerà da quel momento il confine tra Numidia e Mauretania.88

L’Africa non è ancora ufficialmente sotto il controllo diretto di Roma, e la vittoria su Giugurta non porta all’avanzamento dei confini della provincia romana; ma per

l’Urbe l’Africa è un territorio divenuto ormai fondamentale per

l’approvvigionamento del grano, vi si svolgono grandi traffici gestiti dai populares,

inoltre molti optimati gestiscono (indirettamente) vaste proprietà terriere.89

Delineata questa situazione, era ovvio che la provincia sarebbe stata investita dagli effetti dalle lotte intestine tra Mario e Silla prima, e Cesare e Pompeo dopo. Soprattutto durante la faida tra i due triumviri, l’Africa ricoprì un ruolo più importante nello svolgimento delle operazioni militari, e qui si consumarono gli ultimi atti delle Guerre Civili90.

Cesare aveva capito l’importanza della provincia per il quieto vivere di Roma e dell’Italia. Da subito si affretta ad occuparla con quattro legioni comandate da Curione, ma purtroppo egli viene sconfitto da uno dei luogotenenti di Giuba. Dopo Farsalo (48 a.C.), la provincia diviene naturale rifugio delle truppe pompeiane. Cesare allora decide di guidare personalmente l’offensiva, forte di

sette legioni, 2800 cavalieri e dell’appoggio dei Re della Mauretania.91 Nella

conquista dell’Africa Cesare diede prova del suo coraggio militare: partito nel dicembre del 47 a.C. dalla Sicilia in periodo di Mare clausum, ovvero quando ci sono le condizioni meno favorevoli per la navigazione, sbarca dopo quattro giorni vicino Hadrumentum. Per prima cosa volle occupare i porti di Lepti Minor e

Sullecthum per far arrivare rifornimenti dalla Sicilia; dopo una prima sconfitta

passò la fine dell’inverno a consolidare nuove alleanze. La battaglia finale si svolse a Tapaso nel 46 a.C., con la vittoria di Cesare sui pompeiani e su Giuba. I suoi avversari allo sbando ripararono prima in Iberia ma furono catturati e finirono con il togliersi la vita.

88 A. Ibba 2011, p. 28.

89 Ibid., p. 29.

90 S. Bullo 2002, p. 8. 91 A. Ibba 2011, p. 32.

(27)

Cesare, dopo la conquista nello stesso anno, si prodiga per dare un primo assetto politico: con l’annessione dei territori della Numidia, si viene a costituire

la provincia di Africa Nova che confina, ad Ovest, con la Mauretania di Bocco92,

dove alcuni centri costieri vengono dotati di presidi militari93, e a sud, con i territori delle tribù semi-nomandi. Primo prcoconsole della provincia fu lo storico Sallustio.94

I territori di precedente acquisizione (dopo il 146 a.C.), furono denominati Africa

Vetus.

Cesare riprogettò il recupero di Cartagine rifondandola ex novo, e molte città della costa ottennero il rango di Colonia, altre invece furono punite con pesanti

ammende per essersi schierate con Pompeo95, alcune città della costa della

tripolitana furono legate a Roma da un particolare foedus.96

1.3.5. L’età imperiale, le ultime conquiste territoriali

Alla morte del dittatore, fu il figlio adottivo Ottaviano che diede una nuova riorganizzazione alla provincia, rimasta del tutto immutata durante il primo periodo imperiale, anche quando nel 27 a.C. passò nominalmente sotto il controllo del senato, anche se solo formalmente le due province di Africa Nova e

Vetus furono unificate sotto il primo triumvirato di Lepido e97 affidate ad un

governatore di rango senatorio, da cui deriva il nome Africa Proconsularis98. Con

Augusto abbiamo il definitivo rilancio di Cartagine, dove trasferì la capitale della

provincia99 con uno stanziamento ulteriore di 3000 coloni.100 In questo periodo

abbiamo l’ingresso degli empori della Tripolitania101. Non solo Cartagine rientrava

nei piani coloniali di Augusto, ma fu elargito il rango di Colonia alle città portuali più importanti per prime, poi alle altre situate in parti più interne della regione. 92 S. Bullo 2002, p. 9. 93 A. Ibba 2011, p. 33. 94 S. Bullo 2002, p. 9. 95 Ibid. 96 A. Di Vita 1982, p. 524 – 525. 97 S. Bullo 2002, p. 10. 98 A. Ibba 2011, p. 37. 99 Ibid., p. 37. 100 S. Bullo 2002, p. 10. 101 A. Di Vita 1982, pp. 524 – 525.

(28)

Se fino ad ora i fatti descritti sono sempre stati molto precisi, più ostico risulta descrivere l’espansione verso il sud della regione; i contatti tra le tribù dell’entroterra in passato erano sempre stati mediati dai Re numidici. La caduta della monarchia dà modo di riaffermare la loro autonomia, entrando in contrasto con Roma che tentava di sfruttare queste terre per creare nuovi tributi, aprire nuovi mercati, imporre una leva militare, procurarsi schiavi e ampliare l’egemonia romana in territori esterni all’influenza dell’antico regno di Numidia.

Vi furono un susseguirsi di operazioni fra il 35 e il 19 a.C., e il 9 a.C. e il 6 d.C. con annessi trionfi per la vittoria contro le triibù dei Garamantes, Phazanii,

Gaetuli, Marmaridae, Nasamones, Musulamii e Musulamii. Questi popoli erano

dislocati nelle steppe della Byzacena in Tripolitania e Cyrenaica.102

Non sappiamo con certezza come si svolsero le operazioni militari vere e proprie, nemmeno se esse possano essere definite tali o se erano semplici azioni per reprimere rivolte e cacciare i barbari dalle loro terre; Roma mirava solo a regolamentare lo spostamento delle tribù e imporre una tassazione delle terre, lasciandole poi in gestione alle tribù che le avevano abitate fino all’arrivo di Roma, che non poteva sobbarcarsi l’onere di un conflitto tanto dispendioso quanto effettivamente poco utile. Le tribù abituate ai grandi spostamenti, avevano un modo del tutto diverso di condurre battaglia, sconosciuto a Roma; a differenza dei Re numidici che si basavano sul metodo ellenistico queste popolazioni

facevano della fluidità di manovra il loro maggiore punto di forza103.

Queste condizioni saranno importanti poi per definire i primi passi nel processo di romanizzazione subito dall’Africa. Il proconsole, per controllare e mantenere pacifici i possedimenti appena acquisiti, doveva avere a disposizione non meno di tre o quattro legioni più gli ausiliari per un totale di 30.000 uomini,104 per poi ridurle nei periodi più tranquilli alla sola legio III Augusta, che si spostava lì dove

vi era necessità.105

Tutta un’altra storia, molto meno cruenta, riguarda l’acquisizione dei territori più occidentali dell’Africa, l’antico regno di Mauretania, attualmente composto da

Marocco, parte della Mauritania e l’Algeria fino allo Wadi el-Kebir106. Nell 33 a.C.

102 A. Ibba 2011, p. 40. 103 Ibid., p. 41. 104 Ibid. 105 Ibid., p. 42. 106 S. Rinaldi Tufi 2012, p. 357

(29)

come era accaduto altre volte (come con il regno di Pergamo o l’isola di Creta), i possedimenti appartenuti a Bocco II vengono ereditati da Ottaviano tramite lascito testamentario. Augusto ha amministrato questi territori per otto anni, fondando dodici colonie di suoi veterani sia sulla costa sia nell’entroterra; in seguito decide che è troppo dispendioso gestire un così marginale e vasto territorio e crea quindi un regno vassallo affidandolo a Giuba II, figlio di Giuba di Numidia, fatto prigioniero di guerra dopo la caduta del padre a Tapso contro Cesare. Egli viene allevato a Roma come compagno di studi del futuro imperatore e per tali motivi gode della massima fiducia. E’ un uomo energico e di vasta cultura, che si prodiga per creare un regno moderno superando il sistema tribale.107

Le future province di Mauretania Tingitana e Caesariensis si formarono in seguito a varie vicende: Tolomeo, erede di Giuba II, fu assassinato dopo un diverbio con Caligola provocando una rivolta, domata poi da Claudio nel 41 a.C. Sarà lo stesso imperatore poi, nel 42 a.C., a dividere il regno in due province affidate a procuratori di rango equestre. Quella posta più a occidente era la Mauretania Tingitana che prendeva il nome dalla sua capitale, Tingi, il cui confine con la

Caesariensis era indicato dai monti del Rif108, e che aveva per capitale Iol Caesarea, ex capitale del regno di Giuba II. La provincia confinava con la

Proconsolare a est, era una striscia di terra lunga 700 km e profonda 60 km.109

Le province, per tutta l’età imperiale, furono pacifiche e prospere; si intensificarono le produzioni cerealicole e oleare, le esportazioni verso l’Italia si infittirono, in particolare i traffici di bestie feroci da destinare ai giochi nelle arene. Sotto i Flavi non ci sono ampliamenti territoriali considerevoli; Vespasiano e i suoi figli si limitano solo a consolidare il potere fino allora acquisito senza grandi stravolgimenti, politici o territoriali.

Bisognerà arrivare al II sec. d.C., durante il principato di Traiano, per avere una tangibile espansione dei confini verso sud, con la costruzione di presidi militari e colonie in territori che erano da sempre sotto il controllo delle tribù.

Nerva è il primo a penetrare la regione degli altopiani nell’estremità orientale della Caesariensis: deduce per i veterani la colonia di Sitifis, poi Traiano

107 A. Ibba 2011, p. 43. 108 Ibid., p. 50.

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