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La nuova disciplina codicistica del Partenariato pubblico privato

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

Cap I: ISTITUZIONI E PRINCIPI ALLA BASE DEL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO ... 6 1.1 Le origini del partenariato in Italia ... 6 1.1.1 Introduzione ... 6 1.1.2 Le concessioni attraverso l’evoluzione storica ... 8 1.1.3 La cooperazione attraverso soggetti “ibridi” ... 10 1.1.4 L’avvento della Costituzione ... 11

1.2 La crisi dei modelli tradizionali di intervento e l’emergere del fenomeno della sussidiarietà orizzontale ... 14 Cap II: IL TEMPO DELLE RIFORME ... 17 2.1 Premessa ... 17 2.2 A proposito del procedimento amministrativo ... 31 2.3 Il nuovo codice dei contratti pubblici ... 41 Cap III: IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO ... 46 3.1 Premessa ... 46 3.2 Il Partenariato Pubblico Privato in Italia, un istituto in evoluzione ... 49

3.2.1 Il ruolo della parte privata e la necessità di nuovi modelli contrattuali ... 49

3.2.2 Rotture e continuità tra d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e il d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50, il PPP nel contesto europeo ... 56

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3.3 L’importanza delle direttive europee, il Libro verde

e il diritto comunitario sugli appalti pubblici ... 67 3.4 Il regime giuridico del contratto di partenariato

pubblico privato secondo il d. lgs 50/2016 ... 79 3.4.1 Aspetti definitori ... 79 3.4.2 I ricavi di gestione ... 81 3.4.3 La gestione del rischio e l’equilibrio economico

finanziario ... 83 3.4.4 Il finanziamento e l’estinzione anticipata ... 88 3.4.5 La scelta dell’operatore economico e l’affidamento ... 90 Cap IV: IL PARTENARIATO PER L’INNOVAZIONE E DINTORNI ... 98 4.1 Diritto e innovazione ... 98 4.2 Contratti pubblici e innovazione ... 101 4.3 La tematica dell’innovazione nelle direttive europee

“appalti” e “concessioni” e nel “codice dei contratti

pubblici” ... 105 4.4 L’innovazione nelle dinamiche dei partenariati

pubblico-privato ... 112 4.5 I partenariati per l’innovazione ... 121 4.6 Tendenze evolutive del diritto contratti pubblici e

innovazione ... 137 CONCLUSIONI ... 141 BIBLIOGRAFIA ... 143 RINGRAZIAMENTI

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INTRODUZIONE

La collaborazione tra la pubblica amministrazione e le imprese private rappresenta una componente imprescindibile dello Stato di Diritto. Tale collaborazione, se debitamente regolata e promossa, rappresenta un vantaggio sotto molteplici aspetti.

Com’è noto, esistono numerosi schemi contrattuali in forza dei quali lo Stato può promuovere opere economicamente rilevanti, i più noti e utilizzati (oltre che i più antichi) sono l’appalto e la concessione. Tuttavia, in tempi moderni si sono fatte avanti esigenze che né l’appalto né la concessione potevano soddisfare. Da una parte, emerge un bisogno di collaborazione orizzontale tra cittadini e istituzioni, movimento che può contrastare sia il senso di alterità della società civile nei confronti dello Stato tipico della contemporaneità, sia l’innegabile inadeguatezza di una politica completamente accentratrice che non può che essere distratta nei confronti di bisogni di specificità tipiche di un dato territorio. Dall’altra parte, il costante bisogno di abbattere i costi dello Stato e di rientrare negli standard europei ha spinto verso la ricerca di schemi innovativi che potessero “alleggerire” la pubblica amministrazione.

La categoria del partenariato pubblico privato, che si configura come una categoria aperta e flessibile, della quale fanno parte contratti come il project financing, la locazione finanziaria, la sponsorizzazione, si presenta come soluzione sia dal punto di vista economico che giuridico, inteso in termini di vicinanza al principio di sussidiarietà orizzontale di cui si è fatto cenno.

Le potenzialità di questa categoria sono palesi: per quanto attiene alla pubblica amministrazione, essa ha la possibilità di investire in un numero maggiore di progetti, non dovendosi addossare il rischio dell’opera, dando così una spinta all’economia senza esporsi più del

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necessario. Mentre i privati hanno la possibilità, grazie alla contrattazione condivisa, di non essere semplici esecutori di un’opera già progettata, bensì si pongono come controparte contrattuale tendenzialmente paritaria; grazie a questo nuovo equilibrio, è auspicabile che gli operatori economici perseguano progetti virtuosi (essendo loro i titolari dei rischi); e si realizzi quel principio di sussidiarietà orizzontale secondo il quale è la parte più vicina al territorio a conoscere e poter meglio rispondere alle esigenze contestuali.

Il partenariato pubblico privato è una figura che da tempo si è fatta strada nel nostro ordinamento, tuttavia quest’anno rappresenta un punto di svolta, dal momento che a tale istituto è stata dedicata una disciplina autonoma, e non più solo dedotta dalla materia delle concessioni1 nel nuovo codice dei contratti pubblici2. Per tale motivo

si è deciso di focalizzare questo lavoro sulle novità codicistiche di questa figura.

La letteratura è, infatti, ampia (se non sconfinata) ma l’impegno è stato quello di fissare solo i punti salienti della nuova disciplina, che hanno dato al partenariato pubblico privato un “volto” più chiaro e definito. Per fare questo, consapevole del fatto che in uno studio non ci si può esimere dall’analisi delle origini, questa tesi dedica il primo capitolo all’origine del partenariato pubblico privato in Italia, con dei cenni storici tesi a ricostruire come attraverso la storia e l’evoluzione del diritto si è partiti dall’inconciliabilità dell’idea di collaborazione tra Stato e privati fino a una condivisione dell’interesse pubblico.

Il secondo capitolo, invece, pone l’accento sul contesto storico odierno all’interno del quale è stato emanato il d. lgs. n. 50/2016, si rendeva, infatti, necessaria una panoramica sul periodo di riforme

1 Seppure, tuttavia, si ha anche nel nuovo codice un richiamo ad esse come

disciplina generalmente applicabile.

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della pubblica amministrazione, con particolare riguardo al procedimento amministrativo e al nuovo codice dei contratti pubblici.

Il corpo vero e proprio della tesi è rappresentato dal terzo capitolo, nel quale tutta l’attenzione è puntata sul partenariato pubblico privato in sé, quale sia l’attuale regime giuridico, dopo una breve analisi della sua evoluzione in territorio nazionale e non senza accennare all’importanza dell’Unione Europea per lo sviluppo di questa categoria giuridica.

Per fini di completezza, si è deciso di dedicare l’ultimo capitolo al partenariato per l’innovazione, nuova procedura di scelta del contraente introdotta nella novella, non senza un inquadramento generale della tematica dell’innovazione nell’ambito dei contratti pubblici.

Si auspica di evidenziare con questo lavoro l’importanza e la potenzialità del cambiamento di prospettiva che timidamente viene posto in essere: un progressivo allontanamento dalla visione autoritaria della pubblica amministrazione, vista come unica detentrice dell’interesse pubblico (che viene sentito come interesse particolare, di una specifica élite), in favore di un avvicinamento in termini collaborativi, teso non solo all’esecuzione di opere infrastrutturali, bensì volto a realizzare una vera e propria partnership in grado di migliorare qualitativamente ed economicamente il nostro Paese.

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Capitolo I

Istituzioni e principi alla base del partenariato

pubblico privato

1.1. Origini del partenariato pubblico privato in Italia 1.1.1. Introduzione Nel rapporto tra Stato e società assume un decisivo rilievo la tipologia di rapporti che intercorrono tra il pubblico e il privato, come sottolineato da autorevole dottrina «il procedere per

associazione tra pubblico e privato è la caratteristica maggiormente indicativa della transizione tra gli ordinamenti di ieri e quelli di domani»3.

Com’è noto, il termine “partenariato” presuppone una collaborazione tra due soggetti; quando le finalità e gli interessi che tali soggetti intendono perseguire vengono condivisi da settori della società civile si sviluppa la nozione di “partenariato pubblico privato”; com’è intuibile, per parlare di partenariato pubblico privato, è necessario che i soggetti collaboratori appartengano l’uno al settore privatistico e l’altro sia un soggetto pubblico.

Nell’evoluzione storico-giuridica italiana l’ammissibilità di una cooperazione tra pubblica amministrazione e soggetti di diritto privato in termini paritari rappresenta il risultato di un lungo e articolato percorso.

Il settore che viene più in rilievo è senza dubbio il settore economico, nel quale si sono alternati momenti di maggiore o minore privatizzazione e, di conseguenza, un potere meno o più permeante dello Stato; senza dubbio il pubblico e il privato hanno

3 Così BERTI, Introduzione, in ID (a cura di), Rapporti associativi tra

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sempre cercato un equilibrio che si è evoluto nel tempo anche in base alle esigenze storiche e del mercato4.

Per quel che ci preme, è da notare in questa sede che all’origine di schemi di cooperazione tra pubblica amministrazione e soggetti privati c’è, in primis, l’esigenza di collaborazione fra diverse figure pubbliche.

Intorno alla fine dell’ottocento, dopo le leggi di unificazione amministrativa del Regno, sono i consorzi tra enti pubblici5 il modello di cooperazione individuato; essenzialmente questo tipo di rapporti nasce tra enti dello stesso tipo per individuare e creare strutture organizzative che permettano di rispondere a problemi tecnici ed economici; nascono in questo modo i consorzi tra comuni, province ed enti locali6.

Durante il periodo dello Stato liberista, appare evidente che non ci fossero margini per una collaborazione tra pubblico e privato, se non in rigidi termini di divisione dei ruoli: da una parte il pubblico con la realizzazione di infrastrutture, dall’altro il privato che si occupava della gestione dei servizi pubblici e dei profili economici; i rapporti possibili erano soltanto di natura contrattuale, ancora lontani da un’idea di sussidiarietà e collaborazione.

Si attraversa così la fase delle concessioni, istituto che nel corso della storia sopravvive ma cambia forma, dimostrandosi idoneo ad adeguarsi a nuove e diverse esigenze.

4 Come sottolinea S. CASSESE, Stato e mercato, dopo privatizzazioni e deregulation,

in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1991, p 382 «per capire quando, dove e perché si riduce lo Stato, bisogna capire quando, come e perché esso si sia ampliato, mai come in questo caso vichianamente, “natura delle cose altro non è che nascimento di esse”»

5 In materia di consorzi si vedano: S.A. ROMANO, Consorzi amministrativi, in Enc.

Giur. Treccani, vol. V, Roma, 1989; G. MIELE – G. STANCANELLI, Consorzi amministrativi, in Enc. Dir., I Milano, 1961.

6 Cfr. E.M. MARENGHI, Il sistema amministrativo locale, Padova, 2004 per

l’organizzazione strutturale dell’amministrazione locale, con particolare riferimento ai servizi pubblici locali.

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1.1.2 Le concessioni attraverso l’evoluzione storica

Originariamente con il termine “concessione” si indicavano atti di benevolenza sovrana attraverso i quali si attribuiva un qualche privilegio, nel senso che veniva riconosciuto al beneficiario una condizione particolare. In tempi più moderni, pur mantenendo la struttura logica, il significato di concessione è completamente cambiato e si è esteso anche ad ambiti coperti precedentemente dal diritto privato. Nel settore delle opere pubbliche e dei pubblici servizi venne per lungo tempo sposata la teoria di Oreste Ranelletti7, secondo la quale la concessione rappresentava l’istituto attraverso il quale veniva attribuita ex novo o trasferita al destinatario un diritto o una facoltà la cui titolarità, altrimenti, era esclusivamente in capo allo Stato; si contrapponevano le autorizzazioni che, invece, avevano lo scopo di eliminare un limite all’esercizio di un diritto che già era in capo al privato.

Era questa senza dubbio una teoria influenzata e pensata nell’ambito ideologico e storico dello Stato liberale.

Data la grande fortuna che ebbe la formula concessoria8, non stupisce che la riflessione della dottrina portò alla produzione di numerose teorie qualificatorie della natura delle concessioni9.

7 O. RANELLETTI, Concetto e natura delle concessioni e autorizzazioni

amministrative, in Giur. It., 1894, IV, p. 7

8 È, infatti, necessario tenere presente che il ritardo della rivoluzione industriale

in Italia fece sì che le grandi reti infrastrutturali furono realizzate solo nella seconda metà dell’800. Cfr. A. DI GIOVANNI, Il contratto di partenariato pubblico privato tra sussidiarietà e solidarietà, Torino, 2012, p. 13.

9 Si veda sul tema E. PRESUTTI, Istituzioni di diritto amministrativo italiano, Roma,

1917, p 330 ss. per la qualificazione dei concessionari di servizi pubblici come amministrazioni statali indirette; M. BOMBARDELLI, La sostituzione amministrativa, Padova, 2005, per la visione secondo la quale vi era identità tra l’attività di cui è titolare un soggetto e l’attività esercitata dal privato che lo sostituisce; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, p. 1142 ss., secondo cui nei rapporti concessori i risultati atti amministrativi sono imputabili all’amministrazione concedente, mentre gli effetti finali dell’atto sono imputati al soggetto che li ha posti in essere.

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Per quanto riguarda il comportamento della giurisprudenza, essa da subito ha preferito delineare la figura della “concessione contratto”, applicando al rapporto patrimoniale dapprima le norme sulle obbligazioni e, successivamente, quelle sui contratti10.

Anche la dottrina finì con allontanarsi dalla teoria del Ranelletti e aderire all’impostazione giurisprudenziale, trovandola più convincente; venne elaborata una dogmatica degli atti negoziali della pubblica amministrazione e del rapporto tra l’atto amministrativo e il contratto; i due atti sono tra loro intimamente collegati da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, posto che l’invalidità del primo travolge il secondo e non viceversa11.

Sebbene si sia ancora ben lontani da qualsiasi forma di

partnership tra amministrazione pubblica e soggetti privati, è

necessario segnalare che fin da questa fase se il rapporto concessorio è andato progressivamente evolvendosi in un senso contrattuale, l’altro grande strumento utilizzato – l’appalto pubblico – è sempre stato considerato dall’amministrazione come una semplice locazione d’opera, utilizzata come strumento per la realizzazione di interessi pubblici di esclusiva pertinenza dell’amministrazione medesima; quando invece la complessità dell’attività richiedeva qualcosa di più – conferimento di pubbliche funzioni o di servizi – ci si è avvalsi dello strumento della delegazione e, successivamente, della sostituzione mediante concessione nell’esercizio dei pubblici poteri.

Tuttavia, anche questa impostazione rappresenta una negazione di partenariato; dal momento che l’attività svolta è

10 Cass., 12 gen. 1910, in Riv. Dir. Comm., p. 248 ss. dove si afferma che il

procedimento concessorio consta di due momenti distinti, un atto di sovranità e una vera e propria stipulazione di contratto di diritto privato, per la disciplina degli aspetti di carattere patrimoniale.

11 Si spiega così la scelta del Legislatore di devolvere i contenziosi tra

concedente e concessionario alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prima ex art 5 l. 1034/1971, ora art 133 cpa.

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soggetta alla vigilanza, al controllo e più in generale ai c.d. poteri di supremazia speciale del concedente. Il rapporto di subordinazione del concessionario fu talmente esasperato da ritorcersi contro l’amministrazione stessa, giacché ha finito per deresponsabilizzare il concessionario, ma, al tempo stesso, lo rendeva anche unico arbitro in grado di premere – per non dire condizionare – sulle sorti della concessione12.

Ancora una volta, nonostante si sia ormai davanti ad uno Stato sociale in regime di economia mista, siamo lontani dalla teoria del partenariato; essendo l’imprenditore visto come un braccio destro della p.a., ma non un partner.

Se il procedimento concessorio consta pacificamente di due momenti, il momento contrattuale è considerano strettamente strumentale all’atto amministrativo, vera sede in cui viene individuato l’interesse pubblico e, di conseguenza, il momento contrattuale perde il suo valore negoziale nella cura di tale interesse, limitandosi ad un più modesto compito di regolazione di rapporti. 1.1.3 La cooperazione attraverso soggetti “ibridi” Le Aziende Autonome dello Stato, le Aziende municipalizzate e le Aziende speciali dello Stato rappresentano il modello organizzativo che rispose all’esigenza dell’amministrazione di gestire delle imprese; esse rappresentano il primo esempio della coesistenza collaborativa e competitiva di imprese pubbliche e private13.

12 Le concessioni infatti non subivano la teoria dell’evidenza pubblica che vigeva

per gli appalti, bensì il provvedimento concessorio era visto in chiave di provvedimento organizzativo.

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Senza dubbio il modello più comune è quello delle Aziende municipalizzate, disciplinate dal T.U. sulla municipalizzazione dei servizi pubblici (R.D. n. 2578/1925).

A tali aziende era riconosciuta autonomia organizzativa e contabile, nonché alcune peculiarità interessanti, tra le quali si segnala la legittimazione negoziale e processuale, l’essere amministrate da organi propri, l’operare con mezzi propri, avere una propria contabilità e un proprio bilancio.

Da tali modelli organizzativi si giunge in seguito ai più moderni “enti pubblici economici”14.

La dinamica che caratterizza la collaborazione tra soggetti pubblici e privati è però ancora lontana da forme di partenariato pubblico privato, dal momento che lo schema adottato è quello di un rapporto sinallagmatico dove è la parte pubblica l’unica titolare e responsabile dell’attività, mentre le prestazioni private si atteggiano come un semplice rapporto sinallagmatico di servizio contro prezzo.

1.1.4 L’avvento della Costituzione

Sebbene a livello embrionale, è nella Costituzione che si possono intravedere i primi sviluppi del partenariato pubblico privato.

È innanzi tutto importante ricordare gli art 2 e 3, nei quali si fondano le basi al principio generale di solidarietà; grazie all’art. 2 è garantito il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, non solo singolarmente ma pure nelle formazioni sociali, che vengono riconosciute come preesistenti allo Stato, individuate come luogo

14 Enti di natura pubblica istituzionalmente operanti in base alla disciplina

privatistica, cfr. F.G SCOCA, La partecipazione azionaria quale forma di collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati, in Scritti in onore di Guido Carli, cit. p. 170.

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di sviluppo della personalità, alla base, quindi, di rapporti sociali di tipo umano e solidale; d’altra parte nell’art. 3 si evidenzia la solidarietà grazie alla dichiarazione non solo di una formale uguaglianza, ma anche sostanziale, attraverso un impegno attivo della Repubblica.

È, però, nell’art 41 che si scorge la visione possibilistica di una collaborazione tra pubblico e privato di tipo partenariale, e non asetticamente contrattualistico

«L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.»

Nel terzo comma, in particolare, appare evidente il riferimento ad una azione congiunta dell’attività pubblica e privata, che si atteggia non tanto come la seconda subordinata alla prima, quanto più come una collaborazione al fine di un complessivo miglioramento per l’intero Paese.

Purtroppo, nei primi venticinque anni della Costituzione si reputarono idonei a raggiungere i risultati prefissati strumenti di tipo autoritativo; soprattutto per quanto attiene al settore urbanistico, infatti, si fece grande uso della programmazione di tipo autoritativo15.

Dopo la teoria della netta separazione tra pubblico e privato, era seguita la teoria dell’integrazione politica, seguendo la quale i soggetti coinvolti non si trovavano in una posizione paritaria, era comunque l’amministrazione a svolgere un ruolo di controllo, di

15 Sull’evoluzione dell’attività di programmazione si veda per tutti G.M. ESPOSITO,

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coordinamento, di governo; attraverso i suoi veti conformava alle proprie scelte programmatiche e politiche l’iniziativa economica privata.

È possibile notare una prima inversione di tendenza in occasione dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, all’interno del quale la programmazione imperativa cede il passo alla contrattazione programmata16.

È, in questo senso, di particolare interesse la delibera adottata dal CIPE il 30 ottobre 1969, dove viene precisato che la definizione della contrattazione programmata poteva essere operata anche ad iniziativa dei privati, oltre che grazie agli organi della programmazione per lo sviluppo del Mezzogiorno; un decennio circa più tardi una delibera CIPE17 riconobbe come lo strumento preferibile da utilizzarsi per l’efficace coinvolgimento nel riequilibrio tecnologico e produttivo del Mezzogiorno dei gruppi industriali nazionali o internazionali fosse proprio la contrattazione programmata.

L’istituto si è evoluto andando progressivamente ad ampliare le materie interessate: in tema di piani di lottizzazione18; dei piani per l’edilizia economica e popolare19; da ricordare anche l’art. 35 l. n. 865/1971, sempre nell’ambito dei programmi di edilizia economica e popolare, nel quale viene esplicitato il contenuto della convenzione. In ogni caso, la caratteristica era la possibilità per il privato di colmare una lacuna o comunque di attuazione di un piano pubblico.

16 Sulla programmazione negoziata si vedano: A. CONTIERI, La programmazione

negoziata. La consensualità per lo sviluppo, i principi, Napoli, 2000; R. FERRARA, La programmazione “negoziata” tra pubblico e privato, in Dir. Amm., 1999, p. 429 ss.

17 Ci si riferisce alla delibera del 16 luglio 1986.

18 Art. 28 l n. 1150/1942 come modificato dalla l. n. 765/1967 19 Riformati con l. n. 167/1962

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Sebbene nell’evoluzione l’istituto cambi anche nomen – programmazione negoziata – esso non cambia come ratio o tipo di istituto, la dottrina osservò che esso era capace di dare una collocazione precisa e sistematica ad ogni singola azione di partenariato20; senza dubbio ha rappresentato uno strumento utile per il raccordo tra attività di coordinamento dell’amministrazione ed il coinvolgimento dei soggetti privati.

L’istituto permetteva all’amministrazione di ricorrere a figure convenzionali all’interno delle quali far rientrare la partecipazione sia di altre amministrazioni che di soggetti privati in qualche modo interessati alla realizzazione degli interventi e degli obiettivi pubblici.

1.2 La crisi dei modelli tradizionali d’intervento e l’emergere del fenomeno della sussidiarietà orizzontale

A partire dalla fine degli anni settanta si assiste ad una profonda crisi dello Stato sociale, dovuta a numerose cause che non possono in questa sede essere approfondite. Procedendo schematicamente, è necessario considerare la globalizzazione, come fenomeno che porta in modo inesorabile ad una uniformazione e “sovranazzionalizzazione” del diritto; altro fenomeno da tenere presente è la crisi del principio di legalità, con le numerose conseguenze che ne derivano.

Nel complesso, si assiste ad un fenomeno di riduzione della sfera pubblica e la ricerca irrinunciabile di nuovi equilibri.

Secondo Autorevole dottrina «dagli anni ’90 del 1900 si fa

lentamente ma inesorabilmente strada in tutti gli Stati sociali e anche in Italia la contrapposta dottrina della c.d. solidarietà

20 Si veda M. GRECO, Il partenariato pubblico-privato (PPP): opzione o necessità?,

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orizzontale, che comporta una sensibile riduzione della c.d. sfera pubblica (e quindi della fiducia nella capacità di integrazione politica rispetto ai conflitti sociali)»21

Il principio della sussidiarietà orizzontale si pone come soluzione a quella necessità di nuovo equilibrio originata dalla crisi dei modelli tradizionali; sebbene se ne trovino accenni in alcune leggi degli anni novanta, è solo con la riforma del titolo V della Costituzione ad opera della l. n. 131/2003 che viene introdotto tale principio mediante l’art 118 Cost22, si legge, infatti, al quarto comma: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e

Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.».

Sotto il nome di sussidiarietà sono stati indicati molteplici esempi23: la semplificazione delle attività amministrative – soprattutto attraverso l’autodenuncia delle attività economiche –; l’affidamento ai privati di servizi pubblici nazionali e locali; la privatizzazione di una serie di enti pubblici, operanti in diversi ambiti, e di imprese pubbliche.

Parte della dottrina ha incluso in questi esempi anche il partenariato pubblico privato sostenendo che questo costituisca «uno dei risvolti giuridici del principio di sussidiarietà sociale ed

amministrativa poiché codesto nuovo istituto implica – come traspare dal suo nome – un incontro di volontà tra soggetti pubblici e privati per realizzare congiuntamente iniziative di pubblico interesse; laddove la sussidiarietà implica una sostituzione dei privati all’amministrazione, pur con modalità diverse a seconda dei

21 Così E. PICCOZZA, Introduzione ad diritto amministrativo, Padova, 2006, p. 4 ss. 22 Cfr. A. DI GIOVANNI, Il contratto di partenariato pubblico privato tra

sussidiarietà e solidarietà, Torino, 2012, p. 25.

23 L. FRANCESE, Ordine economico e ordinamento giuridico (la sussidiarietà nelle

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casi.»24, tuttavia, non manca chi sostiene che non sia tanto il partenariato un risvolto della sussidiarietà quanto, viceversa, che sia attraverso il partenariato che si possano gettare le basi per una società sussidiaria; asserendo che molte delle ipotesi rientranti nel risvolto del principio di sussidiarietà siano in realtà espressione della necessita di uniformarsi alla Costituzione europea, che eleva al rango di diritti fondamentali le libertà economiche e lo stesso diritto di proprietà25.

In conclusione è necessaria un’osservazione, è opinione di chi scrive che la natura di un rapporto di tipo partenariale si presti ad una grande flessibilità, insita nel suo stesso essere istituto che permette la collaborazione tra due soggetti che si trovano ad intendersi non solo in un ottica puramente negoziale, quanto più come partner di un progetto che se anche non è comune, è quantomeno condiviso.

Data questa premessa risulta difficile escludere che un tipo di rapporto come questo, intercorrente tra un soggetto pubblico ed uno privato non sia un risvolto del principio di sussidiarietà orizzontale, inteso non tanto come principio “auto esecutivo”, quanto più come modello di ispirazione dell’operato. D’altra parte, è inutile negare che il partenariato rappresenta una conveniente risposta alle esigenze di semplificazione, liberalizzazione e abbattimento dei costi che si fanno nell’evoluzione storica sempre più stringenti. Considerando la sua potenziale ambivalenza, il partenariato, che come visto è un istituto moderno ma con antichi antenati che si sono pian piano evoluti alle esigenze della società, si dimostra non aprioristicamente catalogabile in uno o in altra interpretazione.

24 M.P. CHITI, I partenariati pubblico-privati e la fine del dualismo tra diritto

pubblico e diritto comune, Napoli, 2009, pp. 6 e 7.

25 Cfr. A. DI GIOVANNI, Il contratto di partenariato pubblico privato tra

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Capitolo II

Il tempo delle riforme

2.1 Premessa Prima di addentrarci nell’esame della figura del partenariato pubblico privato, così come riformato nel nuovo codice degli appalti26, è doveroso contestualizzare questa figura, attraverso una disamina del contesto all’interno del quale la categoria oggetto del nostro studio è stata normata.

Com’è noto, il diritto amministrativo è un diritto recente, se lo si confronta alla tradizione millenaria del diritto privato, essendosi andato a formare nel corso del XIX secolo, parallelamente all’evoluzione dello Stato di diritto; sebbene le locuzioni “administration publique” e “burocrazia” comparvero per la priva volta in Francia intorno alla metà del XVIII secolo e vennero riferite alla nascita e al consolidarsi di un potere pubblico nuovo, dai tratti dispotici e autoritari.

Si deve ricordare, infatti, che tra le caratteristiche della paradigmatica formazione dello stato moderno - quale fu quella francese - si ha l’unificazione del potere politico in capo al re (Stato assoluto) e la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano (gli intendenti del re)27.

Nel corso del XVIII secolo lo Stato assoluto assunse i caratteri dell’assolutismo illuminato, cedendo il posto al cd. Stato di polizia che, pur essendo basato su una gestione orientata al benessere della collettività, conservava ancora, per quanto attiene

26 D. lgs. 50/2016

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all’apparato amministrativo, i caratteri dei funzionari alle dipendenze del sovrano, e non a disposizione dei consociati.

Oggi, possiamo dire che il diritto amministrativo ha dimesso in gran parte «l’incrostazione autoritaria originaria»28, assumendo connotati maggiormente garantistici, ancorati al principio di legalità (espressione dello stato di diritto); si è aperto a moduli consensuali; ha incorporato i principi di trasparenza, partecipazione, efficienza, ecc.

Grazie agli sviluppi e le modifiche della l. n. 241/1990 il procedimento amministrativo trova oggi una sua disciplina generale.

Anche al livello organizzativo, a seguito soprattutto della riforma costituzionale del 2001, si possono distinguere precisi principi ispiratori: la sussidiarietà verticale, con devoluzione di molte competenze dallo Stato29 in favore delle regioni e degli enti locali; la sussidiarietà orizzontale, con il coinvolgimento dei privati nello svolgimento di attività di interesse pubblico in forme variegate di partenariato pubblico privato; la parabola discendente delle forme organizzative pubblicistiche e la comparsa di modelli privatistici ibridi come le società di diritto singolare in mano pubblica e le società in-house; l’assestamento di nuovi tipi di apparati, come le autorità amministrative indipendenti.

Non si può dimenticare il Codice del processo amministrativo, che dal punto di vista processuale ha razionalizzato e dato certezza dopo la convulsa situazione attinente all’individuazione del giudice e i relativi dubbi sulla giurisdizione che si era venuta a creare una volta stabilità la risarcibilità del danno da lesione dell’interesse legittimo.

28 cit. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, 2013, Premessa.

29 Sebbene in tempi recentissimi ci sia stato il tentativo al ritorno di uno stato

più accentrato e meno federale, la risposta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 è stata di rigetto.

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Parimenti, la continua e penetrante influenza del diritto europeo, dal quale il diritto amministrativo «trae continuamente

linfa innovativa» 30 ; non più soltanto nella legislazione amministrativa speciale (ambiente, contratti pubblici, ecc.), ma anche con riguardo ad istituti generali: si pensi ai principi in materia di regimi autorizzato, ai principini id proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento, ai criteri per definire il perimetro della pubblica amministrazione al fine di applicare la disciplina dei contratti pubblici oppure alle regole sul Patto di stabilità.

Nel diritto amministrativo odierno quindi ci troviamo davanti a soggetti (pubblici e privati) che agiscono in virtù di precisi rapporti con le varie amministrazioni pubbliche, regolati da leggi generali o speciali che prescrivono e limitano l’esercizio del potere, che viene espresso attraverso sequenze di atti e comportamenti formalizzati in procedimenti amministrativi.

Essi rappresentano, dunque, la forma ordinaria dell’esercizio del potere pubblico; ai fini del nostro studio è di fondamentale importanza soffermarcisi in questa sede giacché possiamo dire che questi corrispondono all’evoluzione del rapporto tra cittadini e amministrazioni, non più basato esclusivamente sul principio di autorità, bensì su principi di parità, proporzionalità e ragionevolezza31.

Lunga è stata la strada che ha portato all’art 97 Cost32, secondo il quale l’amministrazione è al servizio dei cittadini, ma

30 cit. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, 2013, Premessa.

31 Crf. A. FIORITTO, Genesi e sviluppi della legge sul procedimento amministrativo,

in F. MERUSI e V. GIOMI (a cura di) Nuove modifiche alla legge sul procedimento amministrativo, 2016

32 Art. 97 Cost. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento

dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

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certo non è sufficiente “imbrigliare” un principio in una norma per far sì che questa sia effettiva; di conseguenza, sebbene l’amministrazione si muova per realizzare l’interesse pubblico secondo il principio costituzionale, non sempre e non in ogni amministrazione ciò avviene con la stessa “naturalezza”, segno evidente del fatto che se una riforma, in senso ampio, esiste, è ancora in corso di svolgimento.

Spesso, infatti, si commette l’errore di identificare le riforme amministrative con le leggi di riforma amministrativa, causa la diffusa tendenza da parte di studiosi, politici e pubblici funzionari a sopravvalutare l’importanza e la necessità delle leggi33.

Questo automatismo, tuttavia, è errato, non solo perché normalmente le leggi sono solo il principio dell’opera riformatrice, che va completata a livello amministrativo, ma anche perché riforme importanti si possono fare senza nuove leggi.

L’insufficienza delle leggi, senza un’adeguata attenzione alla loro attuazione, è dimostrata dal basso grado di attuazione di alcune importanti norme di riforma.

Si pensi ad esempio all’autocertificazione, rimasta dormiente per oltre venti anni dopo essere stata introdotta nel 1968; al termine del procedimento amministrativo, che molte amministrazioni continuano a non rispettare e, spesso, a non fissare; al divieto di aggravamento del procedimento, entrambi previsti fin dal 1990; alla centralizzazione dei concorsi pubblici, prevista da una norma del 2013, finora sostanzialmente inattuata e aggirata.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge

33Cfr. B. G. MATTARELLA, intervento La riforma amministrativa: istruzioni per l’uso,

in relazioni convegno AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme, 7 /8 ottobre 2016, Roma.

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È chiaro come buona parte dell'opera riformatrice, quindi, consista nello sforzo per imporre l'attuazione di norme vigenti da parte delle amministrazioni e l'effettivo godimento di esse da parte dei cittadini e degli operatori economici.

Inoltre, si deve tener presente che molte importanti riforme possono essere fatte, e a volte sono state fatte, senza bisogno di interventi legislativi.

A questo titolo si può menzionare l'adozione di moduli unificati per la presentazione delle istanze ad opera di molti comuni; altre importanti innovazioni, che procedono a livello amministrativo, sono quelle volte alla modernizzazione delle amministrazioni e alla prestazione di servizi on line34; segno evidente del fatto che un’amministrazione che operi “ispirata” dai principi costituzionali e comunitari può, senza il bisogno di leggi “calate dall’alto” adempiere alla sua funzione di perseguimento dell’interesse comune al servizio dei consociati.

Ciò non significa che non ci sia bisogno di leggi, al contrario dato che in Italia l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni sono molto regolate dalla legge; molto più di quanto avvenga per le persone giuridiche private, o per le amministrazioni pubbliche di altri stati.

Ciò dipende da cause fisiologiche, come la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, ma anche da cause patologiche, come l'eccesso di leggi che notoriamente affligge il nostro ordinamento e che riguarda principalmente il settore amministrativo.

34 Ci si riferisce ad esempio al sistema pubblico di identità digitale (Spid); o

all’Anagrafe nazionale della popolazione residente; il processo telematico, la fatturazione elettronica, il fascicolo sanitario elettronico, i servizi di pagamento on line e l’utilizzo delle piattaforme e-learning per la formazione dei dipendenti pubblici

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Tutto questo porta alla conseguenza che per ogni rilevante cambiamento nelle amministrazioni pubbliche c’è bisogno di una o più leggi; la legge serve non solo per le grandi riforme, che introducono princìpi nuovi, ma anche per i continui adattamenti necessari nella vita delle amministrazioni.

Ciò spiega perché la legge n. 124 del 2015 contenga, oltre ad alcune norme di immediata applicazione, quattordici deleghe legislative e perché in base a queste deleghe siano stati adottati o siano in corso di adozione una ventina di decreti legislativi e un regolamento delegificante.

Sia le previsioni di immediata applicazione della legge, sia i decreti legislativi, peraltro, apportano modifiche a leggi o decreti legislativi già vigenti, senza quindi alimentare l’inflazione normativa, con l’unica eccezione data dall’articolo 14 della legge, relativo alla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, suscettibile peraltro di confluire nel futuro nuovo testo unico del pubblico impiego.

In tre casi35 poi, le deleghe legislative sono rivolte al riordino normativo dei relativi settori, attraverso l’elaborazione di testi unici.

I problemi che la riforma amministrativa avviata dalla legge n. 124 del 2015 vuole affrontare, sono in parte analoghi a quelli dei sistemi amministrativi di altri stati occidentali, in parte peculiari.

Tra i problemi che in Italia sono particolarmente accentuati, rientrano certamente quelli inerenti all’inflazione normativa, al disordine normativo, alla cattiva qualità della normazione36.

A essi si cerca di porre rimedio con l’introduzione di nuovi testi unici (in materia di società pubbliche, di servizi pubblici

35 Ci si riferisce alle società partecipate da pubbliche amministrazioni, ai servizi

pubblici locali e al pubblico impiego

36 Cfr. B. G. MATTARELLA, intervento La riforma amministrativa: istruzioni per

l’uso, in relazioni convegno AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme 7 /8 ottobre 2016, Roma.

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locali, di processo contabile), con la sostituzione di testi unici invecchiati (quello in materia di lavoro pubblico) e anche con l’utilizzo della lingua italiana, cioè scrivendo le disposizioni in modo comprensibile e superando l’ermetismo che spesso caratterizza la normazione amministrativa recente.

Vi sono poi i problemi legati alla lentezza delle amministrazioni e alla complicazione delle procedure.

Tali problematiche vengono affrontate, da un lato, con misure volte alla modernizzazione, che tengono conto delle possibilità offerte dalla tecnologia (come nel caso delle revisioni al codice dell’amministrazione digitale e della nuova disciplina della conferenza di servizi), dall’altro, con misure di semplificazione volte a costringere le amministrazioni ad assumere le responsabilità per le decisioni di propria competenza (come nel caso del silenzio assenso tra amministrazioni).

Altre riforme sono volte ad affrontare l’incoerenza dell’azione amministrativa e, più in generale, il difetto di certezza generato dalle norme e dalle decisioni amministrative: in particolare, i limiti sostanziali e temporali al potere di autotutela e la nuova disciplina dei regimi amministrativi delle attività private, con la precisa individuazione delle attività soggette a segnalazione certificata di inizio di attività, a mera comunicazione, ad autorizzazione con silenzio assenso e così via.

L’esigenza di semplificazione si pone non solo per i cittadini e le imprese, ma anche per le stesse amministrazioni, gravate da numerosi adempimenti da varie discipline più o meno recenti: si pensi a quelle in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione, con i vari piani da elaborare e le numerose

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informazioni da pubblicare sui siti internet; difatti alcuni interventi di riforma37 sono volti a ridurre questi adempimenti.

Purtroppo non mancano, peraltro, previsioni in controtendenza, che introducono nuove figure o adempimenti di dubbia utilità (si pensi al “difensore civico digitale” introdotto nel codice dell’amministrazione digitale).

Alcune innovazioni sono ispirate a un’idea di amministrazione responsabile, nei confronti innanzitutto dei cittadini; in coerenza con quell’evoluzione nel senso dell’amministrazione al servizio dei cittadini, e non del “sovrano”.

Per combattere la tendenza delle amministrazioni a fuggire dalle decisioni e dalle responsabilità, si introducono meccanismi di imputazione, come la nuova disciplina della conferenza di servizi, che ne produce un’accelerazione, e il silenzio assenso tra amministrazioni, si rafforza la trasparenza amministrativa (che diventa un diritto di tutti a conoscere tutti i dati e i documenti in possesso delle amministrazioni, con le dovute eccezioni), si riordina il processo dinanzi alla Corte dei conti, precisandone i poteri del pubblico ministero e le garanzie dei funzionari.

Ci si sforza, poi, di arginare la tendenza all’eccessiva frammentazione, per non dire alla disgregazione, che induce spesso le amministrazioni pubbliche a non coordinarsi tra loro, a massimizzare la tutela del singolo interesse pubblico a costo di sacrificare gli altri e anche a contrapporsi le une alle altre.

Al fine di rafforzare il sentimento unitario e la consapevolezza dell’unità del sistema amministrativo, si agisce sull’organizzazione e sul personale.

37 Si pensi a quelli sulla disciplina della trasparenza e, in prospettiva, quelli in

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Dal primo punto di vista, si punta al centro sul ruolo di coordinamento della Presidenza del Consiglio e in periferia sull’accorpamento degli uffici periferici dello Stato.

Dal secondo punto di vista, si punta sull’accentramento del reclutamento, su un sistema di gestione del personale che ne favorisca la mobilità e sui ruoli unici della dirigenza.

Alcune riforme sono volte a combattere la corruzione amministrativa e il malcostume dei pubblici dipendenti e dei funzionari, anche in relazione a pratiche che determinano sfiducia e indignazione da parte dei cittadini.

Si spiegano così il procedimento disciplinare accelerato, volto al licenziamento di dipendenti assenteisti in caso di flagranza o di documentazione televisiva e, in generale, le correzioni volte a rendere più certa e celere l’irrogazione delle sanzioni disciplinari; anche le già citate innovazioni in tema di trasparenza amministrativa rispondono all’esigenza di arginare il fenomeno della corruzione, anche se ovviamente non si può dire che ne sia l’unico obiettivo, dato che la trasparenza serve innanzitutto a offrire servizi migliori ai cittadini e alle imprese.

Vi sono, infine, misure volte a risolvere i numerosi problemi relativi al personale delle pubbliche amministrazioni.

Un personale anziano, che si cerca di ringiovanire con misure come l’eliminazione del trattenimento in servizio dopo l’età pensionabile; mal distribuito, che si cerca di collocare in modo più efficiente, superando le grandi difficoltà che incontra l’istituto della mobilità; reclutato per lo più sulla base di piante organiche invecchiate e di percentuali di turnover uguali per tutte le amministrazioni, elementi che si cerca di sostituire con un sistema basato sul budget e sui fabbisogni effettivi; selezionato sulla base di concorsi svolti in modo antiquato, che si cerca di centralizzare e di rendere più moderni; la cui carriera si sviluppa spesso per

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anzianità o – nel caso dei dirigenti – per scelta politica piuttosto che per merito, aspetto che si cerca di valorizzare introducendo maggiore concorrenza e prevedendo l’intervento di organismi indipendenti nelle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali.

Appare chiaro che questa, come altre riforme, siano ispirate da un senso di opposizione contro quella crisi del diritto e dello Stato che affligge i nostri tempi da lunga data; appare, infatti, svanito il concetto di sacralità del potere, venuta meno l’efficacia di fattori come la patria o il popolo, oggi considerati quasi utopie, o concetti “pseudo-razionali” come quello di “bene comune” o di “volontà generale”; in un tale contesto lo Stato non può più far affidamento su di una passiva acquiescenza dei governanti o un generale senso di collaborazione.

Inoltre, lo Stato si vede oggi travolto da un sovraccarico di pretese e di aspettative, come fosse un contraente - oltretutto inadempiente - e non un garante, un qualcosa che riconduca ad unità, ma un “altro da sé” rispetto ai governati.

Tale sensazione di estraneità è ciò che è più grave in uno Stato democratico, giacché i cittadini dovrebbero poter dire “lo stato siamo noi”, mentre sempre più spesso avviene che la distanza tra i cittadini e le istituzioni sia tale da indurli a concludere “lo stato sono loro”38.

Per riavvicinare consociati e istituzioni certo servono riforme attraverso leggi che permettano una maggior cooperazione nel perseguimento dell’interesse pubblico, ma è altrettanto importante una generale “bona gestio” che ispiri quella fiducia che da tempo è stata perduta.

38 Cfr. E. RIPEPE, Riforma alla Costituzione o assalto Alla costituzione? (e altre

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Le riforme hanno, tuttavia, bisogno di tempo, per essere concepite ed attuate. Il tempo però, si rivela spesso tiranno, in quanto sottoposto ai cicli e ai ritmi della politica; le esigenze politiche, infatti, condizionano la scelta dei tempi e dei temi.

Vi sono riforme che difficilmente attraggono l’interesse dei politici, perché i loro effetti positivi sono grandi, ma nascosti e non immediati: per esempio, il riordino normativo, che richiede una forte volontà politica e difficilmente la ottiene.

Sui tempi delle riforme, poi, incide molto l’attualità. Una polemica politica, un’inchiesta giornalistica o anche la percezione distorta di un fenomeno possono rendere urgente una riforma che effettivamente non lo è, o lo è meno di un’altra, o la cui preparazione meriterebbe un maggiore lavoro di studio e approfondimento: così, si decide un intervento legislativo il cui oggetto è impreciso e le cui linee sono indefinite.

L’esigenza di annunciare la riforma al momento giusto, per trarne vantaggi in termini di consenso spesso prevale sull’esigenza di prepararla adeguatamente, e ci si trova a dover correggere il tiro nel corso del procedimento di approvazione della legge o del decreto. Senza considerare che l’evoluzione del quadro politico è idoneo a produrre sostanziali rallentamenti, non di rado, ad esempio, al termine del percorso di redazione di un provvedimento si è prodotta una ragione per non adottarlo o per cambiarlo sostanzialmente.

Esistono, senza ombra di subbio, dei particolari momenti in cui le riforme possono essere avviate più facilmente, come all’inizio della legislatura, quando l’entusiasmo del governo appena formato e la sua prospettiva di durata consentono di mettere in cantiere riforme ambiziose, anche se si corre il concreto rischio di concepirle frettolosamente; inoltre, per quanto attiene alle riforme dell’amministrazione è da tenere presente che queste

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hanno alti costi immediati e benefici posticipati, si capisce quindi quale altro rischio corra un governo ai suoi inizi ad adottarne39; al contrario, sul finire della legislatura o durante le crisi di governo si può arrivare addirittura a momenti di stasi.

Nel complesso, l’irregolarità dei tempi della politica, la discontinuità del confronto politico e le rotture che esse impongono incidono negativamente sull’attività riformatrice, che dovrebbe essere graduale, costante e meditata.

La breve durata dei governi, poi, incide negativamente anche sull'attuazione delle riforme e sulla loro stessa sopravvivenza.

È già tanto se un governo riesce, nell’arco della sua durata in carica, a completare una riforma legislativa, che normalmente comprende le due fasi del conferimento della delega legislativa e del suo esercizio.

Occorre poi sperare che il governo successivo non smantelli la riforma: cosa ben possibile se vi è un cambio di maggioranza politica, dato che le riforme amministrative sono operate principalmente con atti legislativi, cioè con decisioni politiche della maggioranza di governo. E, naturalmente, non è sufficiente che la legge sopravviva, è necessario che ci sia un governo che si preoccupi della sua attuazione. Ma è raro che un governo abbia il tempo di seguire l’attuazione delle riforme da esso stesso proposte, né è scontato che un governo si impegni nell’attuazione delle riforme introdotte dal governo precedente.

Condizioni favorevoli per una riforma amministrativa sono, dunque, la tempestività del suo avvio, la convinzione da parte del governo che la propone, nonché la forza e la durata del Governo stesso.

39 Cfr. S. CASSESE, intervento Sulla buona amministrazione e sulle riforme, in

relazioni convegno, AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme 7 /8 ottobre 2016, Roma.

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A tal proposito è interessante notare la posizione di parte della dottrina, secondo la quale la classe politica ai vari livelli di governo, al fine di “distrarre” l’opinione pubblica dagli effetti dei mancanti o negativi interventi macro economici volti ad invertire il ciclo economico di crisi, elemento causante della sfiducia nei cittadini, sarebbero le riforme amministrative40.

Secondo tale impostazione, riformando l’Amministrazione si interverrebbe sull’attività economica e, conseguentemente, se ne favorirebbe lo sviluppo, riconquistando così la fiducia dei cittadini.

Sempre secondo questa dottrina il punto terminale di questa tecnica di distrazione sarebbe proprio la legge 7 agosto 2015, n. 124, definita come una delle «…leggi "zibaldone", leggi in cui si

prevedono direttamente, o di solito attraverso il rinvio a leggi delegate o a regolamenti, le più disparate riforme amministrative tutte riunite sotto lo slogan accattivante di interventi per giovare all'economia in crisi (Cresci Italia, Salva Italia, Decreto del fare etc.)»41; all’interno della quale mancherebbe, però, la riforma più importante: un riassetto radicale dell’economia del nostro paese.

Per quanto possa apparire superfluo perché “istintivo”, è opportuno chiedersi quali siano i criteri, la misura della “buona amministrazione”, che permetta di stabilire se una diversa amministrazione è “cattiva”; ovviamente la risposta non può essere lasciata ai sentimentalismi, è necessario un riscontro più scientifico e verificabile.

40 Cfr. F. MERUSI, intervento Introduzione ai possibili antidoti alla cattiva

amministrazione. A che cosa possono servire le riforme amministrative, in relazioni al convegno Roma 7 /8 ottobre 2016 - AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme.

41 Cit. F. MERUSI, intervento Introduzione ai possibili antidoti alla cattiva

amministrazione. A che cosa possono servire le riforme amministrative, in relazioni al convegno AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme, 7/8 Ottobre 2016, Roma.

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In questo senso soccorre il parere reso dal Consiglio di Stato a proposito della legge n.124/201542; in cui viene indicata l’opportunità di giudicare le riforme amministrative sulla base di strumenti utilizzati nell’economia aziendale per misurare gli effetti dell’attività di una struttura aziendale e per misurare gli effetti di una data organizzazione rispetto agli scopi che si vogliono raggiungere con la sua attività.

Ad avvalorare la posizione del Consiglio di Stato vi è la constatazione che non può dirsi sufficiente riferirsi all’art 97 Cost, dato che il semplice richiamo al principio di “buon andamento” non risolve il problema se il legislatore e la dottrina non indicano come definire cosa è, e anche in cosa consiste, la buona amministrazione.

Per giudicare appieno una riforma che ha come scopo tanti diversi obiettivi è senz’altro necessario vederne l’applicazione, fase certo più complessa della proposizione o redazione.

Sono necessarie risorse, la mancanza delle quali è idonea a far fallire l’intero impianto riformatore e, ancora più delicato, è avere la collaborazione di tutte le amministrazioni e degli organi di controllo, ai quali spetta il compito di recepire essi stessi i principi di semplificazione e economicità, oltre che le nuove discipline, e di farli rispettare dalle amministrazioni.

42 nel quale si legge: ≪In particolare, accanto alle tradizionali misure di

eliminazione di oneri e controlli gravanti sull'attività economica, le politiche pubbliche devono prevedere specifiche misure tecniche – spesso multidisciplinari – quali il perfezionamento del test di proporzionalità, la compliance analysis, il confronto costi-benefici, l'analisi (più economica che giuridica) dell'effettività della concorrenza, l'empowerment del consumatore, tenendo conto anche delle indicazioni dell'economia comportamentale (la cd. behavioural regulation). Per non parlare della necessità di un 'monitoraggio' delle riforme amministrative, capace di registrarne ex post gli effetti concreti e di raccogliere le reazioni di cittadini e operatori economici. Tale ultimo strumento, anch'esso multidisciplinare, è forse quello attualmente più studiato nelle sedi internazionali ed è quello tradizionalmente più carente ..., pur essendo uno dei più efficaci per un successo 'effettivo' delle riforme≫.

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Come sappiamo, la legge n. 124/2015, cd. Riforma Madia, contiene numerose deleghe legislative al governo, attinenti a svariati settori della pubblica amministrazione, ai fini di questo lavoro, però, interessano in particolar modo le deleghe (nonché le disposizioni di immediata applicazione) che hanno portato alla modifica di alcune parti della legge n. 241/1990, ovvero il procedimento amministrativo, e quelle che hanno condotto al nuovo codice degli appalti.

2.2 A proposito del procedimento amministrativo

Potrebbe apparire inappropriato e fuori luogo soffermarsi in questa sede sulla legge sul procedimento amministrativo, ma si deve tenere in considerazione che nella legge n. 241, e nelle sue successive e frequenti modificazioni, si trovano diversi temi che vanno a toccare da vicino l’assetto degli interessi e della “collaborazione” tra pubblico e privato.

Innanzitutto, vi è il tema della partecipazione del cittadino all’esercizio del potere esecutivo, essenza stessa di tutte le leggi sul procedimento amministrativo; si trova il tema della “riforma della pubblica amministrazione” al fine di renderla più efficiente e funzionale agli scopi, e ancora il tema della “trasparenza” dell’azione della pubblica amministrazione, che attiene alla effettiva partecipazione del cittadino all’attività della pubblica amministrazione, anche, se del caso, per impedire abusi a suo danno e a danno della stessa pubblica amministrazione43.

Tra i tanti istituti riformati dalla l. 124/2015, si segnala l’autotutela decisoria, a cui è dedicato l’art. 6, rubricato come “autotutela amministrativa”; il quale modifica ed integra diversi

43 Cfr. F. MERUSI, Osservazioni finali e…provvisorie, in F. MERUSI E V. GIOMI (a cura

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articoli della l. n. 241/1990 contenuti sia nel capo IV, dedicato alla semplificazione, che nel capo VI bis, dedicato alla efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo44.

Le disposizioni sono quindi introdotte in maniera apparentemente frammentaria ed episodica e non contengono solenni enunciazioni di principi, ma sono destinate a ridisegnare in profondità le caratteristiche e la natura dell’istituto dell’autotutela amministrativa. È cioè per certi versi singolare, ma non privo di significato, il fatto che l’articolo 6 sia destinato a disintegrarsi nella

44 ≪Art. 6.Autotutela amministrativa

1. Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 19, i commi 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti: «3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell'attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata.

4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies»;

b) all'articolo 21:

1) al comma 1, la parola: «denuncia» è sostituita dalla seguente: «segnalazione»; 2) il comma 2 è abrogato;

c) all'articolo 21-quater, comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento di cui all'articolo 21-nonies.»;

d) all'articolo 21-nonies:

1) al comma 1, dopo le parole: «entro un termine ragionevole» sono inserite le seguenti: «, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20,»; 2) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

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novellazione dei diversi articoli che disciplinano le diverse figure dell’autotutela decisoria, mentre la sua rubrica attesta di per sé stessa l’avvenuta consumazione di una ricostruzione sistematica dell’istituto dell’autotutela decisoria 45 . Comunque sia, le disposizioni recate dalla legge delega, completate con quelle dei decreti delegati al momento emanati in materia di SCIA e di conferenza di servizi e con quelle già recate dal quasi coevo decreto cd. Sblocca Italia (d.l. 12 settembre 2014 n. 133, conv. in l. 11 novembre 2014 n. 164), si rivelano particolarmente significative e delineano un nuovo quadro dell’autotutela decisoria.

Il tema dell’autotutela si sposa con quello della certezza e della stabilità degli effetti giuridici, dato che l’amministrazione ha il potere di intervenire in via unilaterale su di un proprio precedente provvedimento oppure sul rapporto aperto da questo (o anche da un contratto, da un accordo o da un silenzio-assenso) per ragioni di legittimità o di opportunità e dunque al fine di cuore «l’interesse generale ad un corretto, ordinato e pertinente

svolgimento della propria attività»46.

Fino al 200547, l’esistenza e la portata generale del potere dell’amministrazione di “rivedere” i suoi atti non sono mai state poste in dubbio dalla giurisprudenza teorica e pratica; l’autotutela è concepita come uno strumento degli attributi dell’amministrazione, ad essa è attribuita dall’ordinamento la capacità di risolvere da sé un conflitto con il soggetto che subisce gli effetti di un suo provvedimento, senza dover ricorrere alla

45 Cfr. F. FRANCARIO, intervento Riesercizio del potere amministrativo e stabilità

degli effetti giuridici, in relazioni convegno AIPDA Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme 7 /8 ottobre 2016, Roma.

46 cit. A. SCOGNAMIGLIO, La certezza del tempo nell’azione della pubblica

amministrazione. Termini ordinatori e perentori, in Nuove modifiche alla legge sul procedimento amministrativo, F. MERUSI e V. GIOMI (a cura di), Pisa, 2016

47 Con la l. n 15/2005 sono stati introdotti gli artt. 21 quater, quinquies e nonies

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