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La sintassi dell'aldilà. Studio sulla sintassi periodale dei discorsi diretti delle anime della Commedia di Dante.

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Indice generale

INTRODUZIONE...4

LA RICERCA DI UNA LINGUA DELLE ANIME DELL'ALDILÀ...4

IL METODO DI ANALISI...13

1. LA STRUTTURA DEL PERIODO: AMPIEZZA E COMPLESSITÀ...17

2. I TIPI DI FRASE PRINCIPALE...21

2.1. IL TIPO DICHIARATIVO... 22 2.1.1. Dichiarative all'indicativo... 23 2.1.1.1. Presente...23 2.1.1.2. Passato... 28 2.1.1.3. Futuro...33 2.1.2. Dichiarative al condizionale...36 2.1.3. Dichiarative illocutive...39 2.2. IL TIPO INTERROGATIVO... 41

2.2.1. Interrogative dirette di tipo x... 42

2.2.1.1. Canoniche...43

2.2.1.2. Non canoniche... 45

2.2.2. Interrogative alternative...49

2.3. IL TIPO IUSSIVO...50

2.3.1. Iussive dirette...51

2.3.1.1. I tipi di azione richiesta... 51

2.3.1.2. Forme sintattiche di realizzazione... 56

2.3.2. Iussive indirette... 60 2.4. IL TIPO OTTATIVO... 61 2.5. IL TIPO ESCLAMATIVO... 62 3. LE STRUTTURE COORDINATE... 66 3.1. COORDINAZIONE CONGIUNTIVA...67 3.1.1. Copulativa... 67 3.1.2. Asindetica...71 3.1.3. Conclusiva ed esplicativa...75 3.1.4. Consecutiva... 77 3.2. COORDINAZIONE AVVERSATIVA...78 3.3. COORDINAZIONE DISGIUNTIVA...81

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3.4. PSEUDOCOORDINAZIONE E COORDINAZIONE TESTUALE...82

4. LA FRASE PARENTETICA... 85

5. I TIPI DI FRASE SUBORDINATA... 87

5.1. LA SUBORDINAZIONE ARGOMENTALE...88

5.1.1. La frase soggettiva...88

5.1.2. La frase oggettiva...93

5.1.3. La frase completiva obliqua...98

5.1.4. La frase dichiarativa o epesegetica... 101

5.1.5. La frase interrogativa indiretta...102

5.2. LA SUBORDINAZIONE RELATIVA...109

5.2.1. Frasi relative con antecedente... 110

5.2.1.1. Appositive... 110

5.2.1.2. Restrittive... 114

5.2.1.2.1. Considerazioni generali sugli antecedenti nominali...114

5.2.1.2.2. Gli antecedenti dimostrativi e la deissi...117

5.2.1.2.3. Gli avverbi locativo-temporali e i pronomi personali...124

5.2.1.2.4. Gli introduttori di relativa esplicita restrittiva...126

5.2.1.2.5. I modi del verbo e le sfumature circostanziali...129

5.2.1.3. Relative implicite all'infinito...131

5.2.2. Frasi relative indipendenti... 131

5.2.3. Frasi pseudo-relative...134

5.3. LA SUBORDINAZIONE CIRCOSTANZIALE...136

5.3.1. Le subordinate del gruppo causale... 136

5.3.1.1. Causali... 136

5.3.1.1.1. Semantica... 136

5.3.1.1.2. Sintassi... 140

5.3.1.1.3. Causali e condizione oltremondana...144

5.3.1.2. Finali... 147

5.3.1.2.1. Semantica... 147

5.3.1.2.2. Sintassi... 149

5.3.1.3. Consecutive... 152

5.3.1.3.1. Consecutive con antecedente... 152

5.3.1.3.2. Consecutive libere...156

5.3.1.3.3. Consecutive ellittiche... 158

(3)

5.3.1.4. Ipotetiche...159 5.3.1.4.1. Protasi all'indicativo...160 5.3.1.4.2. Protasi al congiuntivo... 166 5.3.1.4.3. Protasi implicita...169 5.3.1.5. Concessive...169 5.3.2. La frase temporale... 172 5.3.3. La frase comparativa...179

5.3.3.1. Comparazione per analogia... 179

5.3.3.2. Comparazione di grado... 182

5.3.4. Frasi implicite strumentali, modali e di maniera...184

5.3.5. La frase limitativa... 186

5.3.6. Le frasi esclusive ed eccettuative...187

5.3.7. La frase avversativa... 188

CONCLUSIONI...189

(4)

Introduzione

La ricerca di una lingua delle anime dell'aldilà

La critica novecentesca ha riconosciuto pienamente, a partire dalle celeberrime pagine di Auerbach, la natura eminentemente drammatica e teatrale dell'ingegno poetico di Dante, che già Giovan Battista Gelli, in un'appassionata lectura Dantis del 1562, in pieno clima bembiano, difendeva come colui che

[ha] superati tutti i poeti volgari in rappresentare vive ed efficaci le azioni ch'egli descrive […]. Per il che fare il nostro Poeta, se voi avvertite bene, non lascia mai, in azione alcuna che egli descriva e racconti, cosa alcuna, ancor che minima e bassa, che la possa far apparir viva e vera a la mente dei lettori […].1

Il dialogo è certamente una componente essenziale del realismo e della drammaticità della Commedia,2 come si può evincere anche attraverso un semplice riscontro

quantitativo: il discorso riportato infatti ha un'estensione di 7804 versi su 14233, corrispondente al 54,8% sul totale. Tuttavia questi numeri – osserva giustamente Paolo De Ventura in un recente saggio3 dedicato proprio al dialogo nel sacrato poema – non

sono sufficienti a spiegare la cifra drammatica dell'opera. Infatti, anche nei poemi della tradizione classica, dove il tasso di realismo è marcatamente minore, la presenza del dialogo è assai estesa: nell'Iliade il discorso diretto ha un estensione del 44,3% sul totale dei versi, nell'Odissea del 41,9%, nell'Eneide del 46,6%. Sarà dunque necessario fare appello a degli aspetti qualitativi per spiegare come il dialogo divenga nella Commedia un vettore di realismo.4

Con questo lavoro mi propongo, tramite un'analisi della sintassi periodale dei discorsi diretti delle anime della Commedia, di verificare presenza e consistenza di tre elementi della lingua dei dialoghi che, intuitivamente, mi sembrano essere i maggiori responsabili del loro realismo e che costituiscono, a mio avviso, dei tratti distintivi che caratterizzano la lingua delle anime dell'aldilà come specifica e autonoma: il ricorso al mimetismo linguistico per caratterizzare storicamente i personaggi dialoganti; l'uso di

1 Gelli, Giovan Batista. Letture edite e inedite di Giovan Batista Gelli sopra la Commedia di

Dante. A cura di Carlo Negroni, Firenze, Bocca, 1887, II, P. 371-373.

2 Perché ci sia teatro – ricorda Davico Bonino – anche nelle forme mediate di una sua

trascrizione lirica, occorre, come tutti sappiamo, che esistano una scena, dei personaggi, e che questi personaggi si esprimano con la parola e con l'azione. (Davico Bonino, Guido. “La teatralità dell'Inferno dantesco”. Letture classensi, 20-21, 1992, P. 161-162).

3 De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia di Dante. Napoli, Liguori, 2007. 4 Tramontana, Carmelo. “Il sistema dialogico nella Commedia”. Linguistica e letteratura, XXIV,

(5)

particolari strutture linguistiche che riflettono la condizione ultraterrena (di dannazione, penitenza o beatitudine) del parlante; l'impiego di strategie linguistiche tipiche dell'oralità.

Il primo fattore di realismo menzionato è stato ampiamente dibattuto dalla critica, ma non si può dire che su di esso sia stata raggiunta l'unanimità. Uno degli interventi più autorevoli, volti a dimostrare il nesso tra lingua utilizzata e individualità del parlante è stato quello di Auerbach a proposito dell'episodio di Farinata e Cavalcante. Le due figure di eretici, dice il critico tedesco, vengono rappresentate da Dante in contrapposizione, sia nella descrizione dei loro atteggiamenti, sia per quanto concerne la lingua da essi parlata. A proposito delle parole pronunciate da Farinata, alle quali è dedicata un'approfondita analisi, lo studioso afferma:

Farinata interrompe il dialogo dei due viandanti con le parole «O tosco, che per la città del foco vivo ten vai…». È un appello, un vocativo introdotto da «o», seguito da una proposizione relativa di gran peso e contenuto riguardo all’appello, a cui soltanto allora segue la frase desiderativa ugualmente carica di solenne e misurata cortesia; non è detto «Tosco, fermati», bensì: «O Tosco, che…, piacciati di restare in questo loco». La formula è sommamente solenne e deriva dallo stile illustre dell’epos antico…5

Ad una sintassi così raffinata si contrappone l’intervento di Cavalcante caratterizzato invece da un tono disuguale e da un crescendo lamentoso. Per la forma di queste domande dei versi 58-60 e 67-69, afferma Auerbach, Dante ha avuto probabilmente per modello l’apparizione di Andromaca (Eneide, III, 310), dunque il lamento di una donna.6 Dall’analisi di questo episodio esemplare, Auerbach conclude che, se nella

condizione di abitatori eterni degli avelli infuocati si concretizza il giudizio divino su tutta la categoria degli eretici senza alcuna distinzione tra le vicende individuali, d’altra parte nelle espressioni, nei corpi, nei movimenti, nei gesti di Farinata e Cavalcante l’essenza individuale di ciascuno appare in tutta la sua potenza.7 Attraverso le loro parole, infatti, i

due personaggi dimostrano il proprio carattere, che è quello avuto nella vita terrena, sublimato e ingigantito nella fissità del modo ultraterreno, dove Dio non ha distrutto l’individualità delle anime, ma l’ha cristallizzata, portandola a compimento e rendendola del tutto trasparente.8

Tali considerazioni si possono allargare a tutti i personaggi che Dante incontra lungo il suo viaggio nell’aldilà, il ruolo dei quali rappresenta l’estremo ed eterno compimento

5 Auerbach, Eric. “Farinata e Cavalcante”. In: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale.

Torino, Einaudi, 1956, P. 193.

6 Ivi, P. 196-197. 7 Ivi, P. 208. 8 Ivi, P. 209.

(6)

della loro vita terrena. E il fatto che nel mondo ultraterreno si palesi prepotentemente l’arcana cifra che domina ed ordina9 il vissuto individuale dei suoi abitanti, fa sì che le

passioni e le peculiarità di ogni personaggio emergano con un protagonismo e una forza espressiva sconosciute al mondo terreno, dove l’espressione dell’individualità risulta appiattita e velata dalle convenzioni sociali, dal pudore, dalla convenienza.

Le conclusioni a cui Auerbach giunge induttivamente, a partire da una minuziosa analisi della lingua parlata da Farinata e da Cavalcante, sono illuminanti e incontestabili; tuttavia egli non dimostra (né questo era il suo intento) che per tutti i discorsi delle anime dell'aldilà sia possibile tracciare una mappatura così fitta di corrispondenze tra gli aspetti morfologici, sintattici e lessicali della lingua utilizzata e l'individualità storica del parlante.

Un problema relativo a questo aspetto dei discorsi diretti, poi, è che non è sempre semplice stabilire un discrimine netto tra lo stile dei discorsi esibito dai personaggi e lo stile dello stesso Dante.10 A questo proposito, si può citare l'episodio di Francesca da

Rimini che, nel raccontare la sua vicenda amorosa, utilizza gli stilemi della lirica cortese; rispetto al suo discorso osserva acutamente Contini:

...perizia suprema nella perifrasi, copia e agilità di simmetrie, obbedienza del discorso alle norme dell'ars dictandi: dove, appunto, è la retorica di Francesca che non sia la retorica di Dante?11

La medesima questione, come nota De Ventura, si colloca al centro del dibattito attorno all'episodio di Pier della Vigna, di cui qui sintetizzo le due linee critiche estreme, che fanno capo l'una a De Sanctis (e poi a Novati e Parodi), l'altra a Leo Spitzer. Il primo filone interpretativo tende a riconoscere nello stile di Piero una volontà da parte di Dante di caratterizzare storicamente il personaggio: in altre parole, la lingua parlata dal suicida sarebbe un'imitazione dell'oratoria del cortigiano siciliano. Se De Sanctis vede nell'artificiosa retorica del personaggio una mancanza di sentimento, Parodi arriva addirittura a parlare di caricatura:

Nell'Inferno, Pier della Vigna pronuncia, all'indirizzo de' due ignoti visitatori, una vera epistola del tipo a lui solito, addensando in pochi versi tutte le preziosità del suo stile, tanto che si arriva a due dita dalla caricatura. Prima l'immagine alquanto pomposa con personificazione dell'astratto12 (riconosciamo che talvolta Pietro trova

9 Auerbach, Erich. “Dante, poeta del mondo terreno”. In: Studi su Dante, Milano, Feltrinelli,

2002, P.132.

10De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia, P. 98.

11Contini, Gianfranco. “Dante come personaggio-poeta nella Commedia”. In: Varianti e altra

linguistica, Torino, Einaudi, 1970, P. 343. Il corsivo è mio.

12Parodi allude ai vv. 64-66: La meretrice che mai da l'ospizio // di Cesare non torse gli occhi

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immagini poetiche); poi l'insistente ripetizione dello stesso radicale […];13 poi

l'epiteto puramente adornativo e contrapposto anteticamente – lieti onor, tristi lutti – (qui la caricatura è più vicina che mai); e poi ancora quella pioggia finale di antitesi e di parallelismi [cfr. vv. 70-72], tanto di senso quanto di collocazione.14

Nel 1942 Leo Spitzer propone una nuova interpretazione dell'episodio di Pier della Vigna. Il critico viennese, partendo da un'approfondita analisi dell'intero canto, riconosce che le antitesi, i parallelismi, le figure di ripetizione, le frequenti allitterazioni di suoni aspri non sono prerogativa dello stile del solo Piero, ma caratterizzano l'intero tredicesimo canto dell'Inferno, comprese le parole di Dante personaggio e autore (si veda ad esempio il v. 25: cred'ïo ch' ei credette ch'io credesse) e la testimonianza dell'anonimo suicida posta in explicit (ad esempio al v. 151: Io fei gibetto a me de le mie case). Perciò Spitzer, pur riconoscendo un valore al filone critico precedente e ammettendo che nel discorso di Piero vi sia anche una finalità di caratterizzazione storica del personaggio, giunge tuttavia ad una diversa conclusione:

We are surely warranted in rejecting the 'caricature-theory' (as does D'Ovidio: “In questi vezzi Dante non mise un'intenzione quasi di caricatura”). Moreover, I believe that the desire to achieve a historical caracterization was not the sole or even the prime, artistic motive behind the use of these rhetorical devices; they offer a sort of linguistic, of onomatopeic rendition of the ideas of torture, schism, estrangement, which dominate the canto […].

From this point of view, the more practical question of historical identification sinks into insignificance; it is right that the second suicide, a crippled being in the image of Piero, should share the crippled style of Piero; or that the pilgrim Dante, so sensitive to the disarmonious atmosphere surrounding the plant-souls, should record his reactions in phrases evocative of this disarmony.15

Sebbene l'interpretazione del critico viennese colga un aspetto essenziale dell'episodio di Pier della Vigna, riconoscendo nelle sue parole non l'artificio e la caricatura, ma una vivida rappresentazione dell'intima scissione che il più grande gesto di ingiustizia contro sé stessi produce nell'anima, tuttavia mi sembra che egli oltrepassi il limite, quando afferma che la questione dell'identificazione storica perde ogni significato e che il secondo suicida parli la stessa lingua storpiata del cortigiano siciliano. Mi sembra infatti evidente, ad esempio, la mimesi del linguaggio solenne e letterario del dicitore16 che Piero fu in vita in questo esordio:

13Infiammò, 'nfiammati, infiammar (vv. 67-68).

14Parodi, Ernesto Giacomo. Lingua e letteratura: studi di teoria linguistica e di storia

dell'italiano antico. A cura di Gianfranco Folena, Venezia, Neri Pozza, 1957, II, P. 350.

15Spitzer, Leo. “Speech and language in Inferno XIII”. Italica, XIX, 1942, P. 95-97.

16Nel commentare questa terzina, osserva opportunamente Chiavacci Leonardi: Sembra quasi

che le colte e cortesi parole di Virgilio abbiano ricondotto il tronco alla sua antica, storica individualità umana. All'incontro con l'uomo, l'uomo riemerge dal dannato, come fu con Ciacco, come sarà con Ugolino, e sempre in genere nell'Inferno dantesco. (Alighieri, Dante. Commedia. A cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori, 1991, I, P. 402, n. 55).

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E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi perch' ïo un poco a ragionar m'inveschi. (If XIII 55-57)

In conclusione, dall'esame della vicenda critica sul tredicesimo canto dell'Inferno, la questione del mimetismo linguistico volto alla caratterizzazione storica del personaggio rimane ancora aperta: esiste nei dialoghi della Commedia una precisa e costante volontà dell'autore di connotare storicamente i personaggi? E se sì, con quali strumenti questo intento si realizza?

De Ventura mi sembra indicare una possibile via d'uscita a questa impasse, suggerendo l'impossibilità di dimostrare questo tipo di mimetismo focalizzando l'attenzione sugli aspetti stilistici. Riprendendo le argomentazioni di Baldelli,17 egli

sostiene che nel suo saggio Spitzer dimostra la coerenza artistica del canto, ma non la sua univocità stilistica. Infatti, per valutare la questione del mimetismo non è sufficiente una ricognizione astratta della presenza di figure retoriche, che del resto sono diffusissime in tutto il poema, ma andrà verificato se un certo aspetto stilistico stabilisca un rapporto vitale con la situazione. Tuttavia gli sembra praticamente impossibile, oltre che difficilmente attuabile con criteri oggettivi, un'analisi sistematica che possa dirimere la questione generale, mettendo a confronto l'ampia gamma stilistica dell'autore della Commedia con l'idioletto dei singoli personaggi. La proposta di De Ventura, che raccolgo in questo lavoro, è perciò quella di individuare possibili spie di un mimetismo più specificamente linguistico.18

Un primo obiettivo di questa analisi sistematica della struttura periodale dei discorsi diretti delle anime della Commedia sarà dunque quello di verificare se esistano degli usi sintattici che abbiano la finalità di connotare il carattere e l'essenza storica del personaggio parlante.

***

Le osservazioni di Spitzer riguardo all'episodio di Pier della Vigna, sebbene conducano ad una conclusione non del tutto accettabile e non siano esenti dal limite che Baldelli e De Ventura vi hanno riscontrato, tuttavia hanno a mio avviso delle interessanti implicazioni, che meritano di essere approfondite. Credo infatti che egli non sbagli nell'affermare che l'altissima concentrazione di antitesi e parallelismi nelle

17Baldelli, Ignazio. “Il canto XIII dell'Inferno”. In: Nuove letture dantesche. Firenze, Le Monnier,

1970, II, P. 33-45.

18De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia, P. 109. In seguito a queste

considerazioni, De Ventura dedica un paragrafo alla ricerca di spie di un mimetismo lessicale, nell'uso dei regionalismi e dei prestiti (P. 121-140).

(9)

parole di Piero non abbia come unico intento quello imitare la lingua utilizzata dal Piero storico. L'estrema coerenza tra il parlare di Piero e la rappresentazione dell'ambiente circostante, infatti, è ben evidente, ad esempio, in questi passi:

L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. (If XIII 73-75)

Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. (If XIII 3-6)

In casi come questo la corrispondenza tra lo stile di Piero e lo stile di Dante non è superficiale, ma sostanziale: non si tratta di due procedimenti antitetici casualmente collocati nello stesso canto, uno in inserto dialogico, l'altro nella parte diegetica. Si tratta invece di un espediente stilistico che in entrambi i casi stabilisce il medesimo rapporto vitale con la situazione, cioè quello di porre in rilievo la disarmonia morale, l'innaturalezza che caratterizza il peccato del suicidio. E questa disarmonia pervade tanto le parole di Piero, quanto la tetra selva di sterpi che fa da sfondo al suo discorso. La corrispondenza tra dimensione psichica e ambiente circostante non avviene, come ad esempio nel romanzo psicologico di Flaubert, per un processo di soggettivizzazione della realtà esterna, né per un inconscio automatismo del poeta,19 ed è invece una

corrispondenza oggettiva: sia il parlare disarmonico del dannato che l'ambiente in cui esso è collocato, infatti, non sono altro che la concretizzazione del giudizio divino sulla condotta dei suicidi.

In altre parole, se l'individualità terrena traspare nella lingua delle anime dell'aldilà, come dimostra Auerbach per Farinata e Cavalcante o come vari critici, a partire da De Sanctis, hanno dimostrato per Pier della Vigna, tuttavia non si può dire che il loro parlare sia del tutto individuale e storico. Esso riflette, a mio avviso, anche la particolarissima condizione, collettiva e non individuale, in cui le anime dell'aldilà si trovano: l'eterno ripetersi della pena per i dannati, la penitenza e nel contempo la speranza che caratterizzano gli abitanti del secondo regno, l'eterna concordia con il volere divino che contraddistingue i beati. Tali elementi, che connotano la dimensione psichica delle anime dell'aldilà non possono non condizionare la loro visione del mondo e il loro modo di rappresentarlo attraverso le parole.

19Spitzer rigetta apertamente questa ipotesi critica che sembra essere avanzata da Gradgent

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Questa tensione tra storicità ed eternità che caratterizza i discorsi dei personaggi della Commedia mi sembra essere bene espressa dal concetto di polifonia formale che Bachtin elabora a proposito del poema dantesco. Sebbene Bachtin ponga la rivoluzione capitalistica come terminus post quem perché si possa parlare di polifonia e dialogicità e sebbene parli di polifonia esclusivamente a proposito del romanzo, tuttavia egli cita come possibile antecedente del romanzo polifonico dostoevskiano proprio la Commedia. In effetti il poema dantesco è un susseguirsi di voci individuali, uniche e spesso dissonanti. Ma questa polifonia, osserva Bachtin, è solo formale, apparente, poiché se le diverse voci coesistono, esse non interagiscono, come accade invece nel romanzo polifonico:20 nel romanzo di Dostoevskij la dialettica tra le varie voci è

conchiusa nel senso dell'intreccio, ma internamente resta incompiuta e irrisolta,21

mentre le voci che si susseguono nella Commedia non sono mai in contrapposizione polifonica tra di loro, né sono tutte sullo stesso piano come quelle dei personaggi del romanziere russo. Esse invece, come osserva Tramontana, si fondono nell'omofonia della voce autoriale, e prima ancora nell'unidimensionalità della mente divina. In altre parole, nell'aldilà dantesco non ci può essere il conflitto di voci che secondo Bachtin rende il romanzo la forma più piena di conoscenza del mondo moderno: infatti ogni voce, pur nel suo particolare modo, apparentemente individuale, è in realtà portatrice del medesimo senso, in quanto contribuisce a chiarire, agli occhi del pellegrino Dante, la verità divina, che è unica e indiscutibile.

A partire da queste considerazioni, un secondo obiettivo di questo lavoro è cercare nella sintassi periodale dei discorsi diretti degli elementi di uniformità che possano essere connessi con la dimensione di fissità e immutabilità in cui il giudizio divino ha posto le anime parlanti, sottraendole al divenire storico.

***

Il terzo possibile fattore di realismo della lingua delle anime dell'aldilà di cui si è parlato inizialmente è la presenza in essi di alcuni tratti tipici dell'oralità. Dante stesso propone i dialoghi della Commedia come la riproduzione fedele di conversazioni realmente occorse:

20Così il mondo di Dostoevskij è la coesistenza e l'interazione artisticamente organizzata di

una multiformità spirituale, e non una serie di tappe del divenire di un unico spirito. Perciò anche i mondi degli eroi, i piani del romanzo, nonostante la loro differente accentuazione gerarchica, nella struttura del romanzo giacciono l'uno accanto all'altro sul piano della coesistenza (come i mondi di Dante) e dell'interazione (il che non si ha nella formale polifonia dantesca), e non uno dopo l'altro come le tappe di un divenire. (Bachtin, Michail. Dostoevskij. Poetica e stilistica. Torino, Einaudi, 1982, P. 45).

(11)

Tu nota; e sì come da me son porte, così queste parole segna a' vivi del viver ch'è un correre a la morte. (Pg XXXIII)

Valutare se la preferenza di alcuni tratti sintattici sia da attribuire ad un intento di mimesi della comunicazione orale non sarà semplice: sia perché è per noi impossibile avere un'idea precisa dei connotati della lingua parlata nella Firenze del Trecento; sia perché, come osserva giustamente De Ventura, è difficile isolare eventuali scarti dalla norma, laddove Dante stesso, «padre della lingua», è la norma;22 sia perché, infine,

nessun tratto, per quanto marcato, basta a caratterizzare in senso orale un testo poetico,23 operazione che richiede necessariamente dei riscontri relativi al contesto

linguistico ed extralinguistico.

E tuttavia vari elementi incoraggiano a ricercare elementi dell'oralità nel parlato-scritto24 della Commedia: innanzitutto i frutti che hanno dato gli studi sul parlato antico,

condotti anche a partire da testi letterari e altamente formalizzati, come, ad esempio, il volume Sintassi del parlato e tradizione scritta nella lingua italiana di Paolo d'Achille, che nel corpus di testi analizzati inserisce anche il poema dantesco. Un altro elemento che mi sembra andare a favore della ricerca di tratti tipici dell'oralità nei dialoghi del poema è la centralità, nel Medioevo, della dimensione performativa e oralizzante nella ricezione dei testi letterari, per cui Dante, molto probabilmente, mentre scriveva la sua Commedia, immaginava che essa sarebbe stata recitata ad alta voce, piuttosto che destinata ad una lettura individuale e silenziosa; questo fattore culturale, come osserva Mineo, ha probabilmente influenzato, in direzione oralizzante, la scrittura del poeta:

Ma la dominanza e centralità [del dialogo nella Commedia] discendono anche dal carattere dialogico della stessa civiltà medievale. È stato ben messo in evidenza ormai che la trasmissione della cultura stessa, sino ai secoli XII-XIII, è per larga parte orale (oltre e più che visiva e gestuale), dalle chiese alle piazze, dai monasteri alle università. Oralità e dialogicità che si riconducono e si identificano con la teatralità – la visività quindi -, anch'essa elemento distintivo dell'epoca che fu senza teatro forse perché gran parte di essa fu teatro, o meglio, spettacolo.

[...] Sono condizioni culturali che non possono non riflettersi, condizionandola, su un'opera come la Commedia, che vuol pure rivolgersi a un grande pubblico, anche al pubbliche dei non-leggenti, cioè. E tuttavia questa, appartenendo anche a un tempo sempre più denotato dalla scrittura, va letta anche in riferimento a questa situazione di incontro-scontro di così diverse forme di comunicazione.25

22De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia, P. 150.

23Serianni, Luca. “Lingua poetica e rappresentazione dell'oralità”. Studi linguistici italiani, XXXI,

2005, P. 30.

24Questa definizione si deve a Nencioni e al suo saggio “Parlato-parlato, parlato-scritto,

parlato-recitato”. In: Di scritto e di parlato: discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, P. 126-179.

(12)

Un terzo obiettivo di questa tesi è dunque la ricerca nella lingua delle anime dell'oltretomba dantesco di elementi mimetici della comunicazione orale. Credo che tali elementi siano da ricercare in due direzioni: da un lato, su un piano propriamente sintattico, negli usi della complementazione polivalente, nell'uso dei modi e dei tempi verbali, nell'uso dell'ordine marcato, nella deissi; dall'altro, su un piano pragmatico e testuale,26 nelle strategie di coerenza e coesione, negli strumenti di enfasi espressiva,

nella forza illocutiva degli enunciati.

***

Dalla mia indagine ho ritenuto opportuno escludere le battute mimetiche di Dante personaggio, poiché la sua lingua, ovviamente, non condivide con quella degli altri personaggi parlanti della Commedia i primi due tratti distintivi ipotizzati. Essa meriterebbe un'indagine a parte, soprattutto per verificare in quale tipo di rapporto si pone nei confronti della voce autoriale.

Ho inoltre escluso dal corpus analizzato anche i discorsi delle due guide, Virgilio e Beatrice. Infatti, sebbene essi siano un dannato e una beata come gli altri personaggi parlanti, tuttavia il loro statuto particolare rende i loro discorsi incomparabili con quelli delle altre anime. Per quanto riguarda Virgilio, Tramontana individua, nell'Inferno e nel Purgatorio una direttrice dialogica tra lui e Dante che si differenzia nettamente dalle direttrici dialogiche Dante-dannati e Dante-penitenti sia, ovviamente, per l'estensione,27

che per il contenuto; infatti, se il ruolo di Dante in questi due circoli comunicativi è lo stesso, a cambiare è la natura dell'insegnamento impartitogli: prevalentemente dottrinale, per i discorsi di Virgilio, prevalentemente morale per i discorsi delle anime. Analogamente, credo che anche la direttrice dialogica Dante-Beatrice possa essere considerata autonoma, poiché le battute mimetiche di Beatrice sono incomparabili con quelle degli altri beati, sia per estensione che per varietà di contenuti.

26In merito a questa seconda strada, saranno molto utili le osservazioni di De Ventura

contenute nel capitolo La retorica del parlato (in: Dramma e dialogo nella Commedia, P. 155-165): Se il campionario retorico dell'opera dantesca è stato ampiamente catalogato e approfonditamente studiato, meno acclarata risulta, nei singoli casi, la sua funzione sotto il profilo pragmatico, nella prospettiva della scelta di uno stile consapevolmente volto all'imitazione del discorso vivo. Non tutti i fenomeni retorici, infatti, rispondono ad una funzione meramente «retorica», e molti di essi, piuttosto che per innalzamento stilistico, possono essere adottati per riprodurre movenze tipiche del parlato (P. 155). In particolare, De Ventura analizza alcune figure retoriche di ripetizione, ponendo in evidenza come queste non abbiano esclusivamente un valore stilistico, ma anche un valore pragmatico, ora di insistenza espressiva, ora di coesione testuale.

27È da considerare inoltre che, sia per quanto riguarda Virgilio che per quanto riguarda

Beatrice, l'eccezionale estensione dei loro discorsi, incomparabile rispetto a quella di altri personaggi, condizionerebbe pesantemente il risultato finale.

(13)

Il metodo di analisi

Nell’introduzione alla sua monografia dedicata allo stile e alla retorica nella lirica di Dante, che egli considera sia come un contributo allo studio della poesia di Dante, sia come un contributo allo stile «personale» o «individuale» in ogni opera letteraria,28

Patrick Boyde tenta di chiarire con un paragone29 quale sia lo scopo che lo spinge ad

effettuare una rilettura così minuziosa della lirica dantesca. La nostra capacità di riconoscere le persone dalla loro fisionomia, dice il critico, è innata: è un’operazione automatica che, sebbene sia compiuta senza effettuare un’analisi dei singoli tratti distintivi che caratterizzano quella persona, ci permette con un margine assai ristretto di errore di riconoscerla distinguendola da tutte le altre. Eppure spesso, quando siamo chiamati a descrivere l’aspetto di qualcuno, siamo in grado di elencare solo qualche approssimativa nozione riguardo alla sua fisionomia, senza riuscire ad esplicitarne la vivida immagine che abbiamo in mente. La nostra descrizione può diventare via via più precisa, fino a diventare un vero e proprio identikit, se opportunamente guidata da alcune domande più precise riguardo, ad esempio, la corporatura, l’età, il colore degli occhi, dei capelli, della pelle ecc.

Allo stesso modo, un lettore dotato di una certa sensibilità è certamente in grado di riconoscere lo stile di un dato autore e di distinguerlo da quello di un altro, ma difficilmente è in grado di motivare analiticamente la sua intuizione. Anche in questo caso, dunque, sarà necessario porsi delle domande sui singoli tratti di quello stile per comprendere quali lo rendano unico e diverso dagli altri. Boyde afferma:

La nostra prima osservazione, perciò, è che proporsi di studiare lo stile personale non significa scoprire qualcosa di nuovo ma fornire di una spiegazione adeguata un fenomeno familiare. Le domande a cui dobbiamo dare una risposta non sono: «C’è?» o «Funziona?», ma «Di che cosa è fatto?» e «Come funziona?».30

Partendo dagli stessi presupposti teorici, si tenterà in questo lavoro di rendere conto analiticamente di alcuni tratti distintivi di una lingua che si è supposto nel paragrafo precedente avere una propria ben precisa identità. Tale identità non è data esclusivamente dal fatto che i discorsi degli abitanti dell’oltretomba dantesco sono creazioni poetiche di un unico autore, ma anche dal fatto che, nella complessa architettura della Commedia, essi sono espressione di entità diverse, ma fortemente accomunate dalle tre condizioni unificanti che si sono prima rilevate. Cercherò dunque di capire di che cosa sono fatti e come funzionano i meccanismi linguistici che

28Boyde, Patrick. Retorica e stile nella lirica di Dante, Napoli, Liguori, 1979, P. 36. 29Ivi, P. 37 e segg.

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intuitivamente mi hanno portato ad ipotizzare l’esistenza di una specifica lingua delle anime che Dante incontra nel suo viaggio ultraterreno.

L'analisi della sintassi periodale dei discorsi è stata assai facilitata dalla disponibilità di un prezioso strumento, indispensabile per uno studio sistematico della sintassi della Commedia, cioè la codifica elettronica31 esaustiva, tramite il linguaggio XML,32 della

sintassi del poema dantesco elaborata da Sara Gigli nel 2004 come tesi di dottorato.33

Questo lavoro, oltre a comportare il grande vantaggio di consentire la visualizzazione completa delle singole occorrenze per i vari fenomeni descritti, grazie all'interfaccia di ricerca consultabile sul sito http://dante.di.unipi.it:8080/DanteWeb/, ha la grande novità di applicare nuove categorie grammaticali al testo dantesco. Infatti, sebbene la studiosa faccia riferimento alla descrizione dei fenomeni sintattici contenuta nel fondamentale capitolo Lingua e stile contenuto nell'Appendice dell'Enciclopedia dantesca,34 nel contempo si pone l'obiettivo di accogliere le novità apportate

nell'ambito linguistico dalla grammatica di impianto generativo, che in Italia ha dato i suoi migliori frutti nella Grande grammatica di consultazione.35 A proposito di questa

scelta, Sara Gigli, nell'introduzione al suo lavoro, afferma:

Applicare a un testo scritto, letterario, poetico, trecentesco, una classificazione elaborata a partire dalla competenza di parlanti nativi di italiano contemporaneo suona quasi eretico. La scommessa è stata quella di valutare quanto le categorie elaborate per un tipo di lingua distante in diamesia, diastratia e diacronia potessero reggere. La risposta è senz'altro affermativa. Le categorie elaborate nella Grande grammatica per la descrizione dell'italiano contemporaneo sono applicabili, in linea di massima, alla descrizione dell'italiano attestato nella Commedia: i tipi di frase che si riscontrano in Dante sono, in linea di massima, gli stessi attraverso i quali ancora oggi ci esprimiamo. Ciò che cambia distintamente sono, ma non in tutti i

31La codifica è la rappresentazione formale di un testo ad un qualche livello descrittivo

mediante un linguaggio informatico. Si tratta dunque di un processo rappresentazionale che implica una serie di operazioni di selezione e classificazione degli elementi rilevanti in funzione di un particolare punto di vista, e la loro mappatura biunivoca sugli elementi del linguaggio di codifica prescelto. (Ciotti, Fabio. Progetto TIL: manuale per la codifica dei testi. Disponibile su internet: http://til.scu.uniroma1.it/documenti/manuale/Manuale-TIL.doc, 1999.)

32L'XML, eXtensible Markup Language, è un linguaggio di marcatura testuale che inserisce

all'interno del documento delle etichette o marcature (tag), che permettono di descrivere il contenuto del documento stesso. È ad oggi il linguaggio più utilizzato per l'annotazione linguistica dei testi (cfr. il già citato Ciotti e Pierazzo, Elena. La codifica dei testi: un'introduzione. Bologna, Il Mulino, 2005).

33Gigli, Sara. Codifica sintattica della Commedia dantesca. Tesi di dottorato inedita. Scuola di

dottorato in Studi Italianistici dell'Università di Pisa. Tutori: prof. Mirko Tavoni e prof. Fabrizio Franceschini.

34Enciclopedia dantesca. Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1970-1978. Nelle citazioni,

quest'opera verrà richiamata con la sigla ED.

35Grande grammatica italiana di consultazione. A cura di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi,

Anna Cardinaletti. Bologna, Il Mulino, 2001. Nelle citazioni, quest'opera verrà richiamata con la sigla GGIC.

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casi, le strategie morfosintattiche attraverso le quali i vari tipi si realizzano.36

Nel corso di questo studio ho potuto verificare direttamente non solo la compatibilità delle categorie desunte dalla grammatica generativa con le strutture dell'italiano antico, ma anche l'arricchimento, come spero si noterà nelle pagine che seguiranno, che queste nuove categorie comportano per la riflessione sulla grammatica dell'italiano antico.

Il mio lavoro si è svolto essenzialmente in due fasi. Innanzitutto ho implementato la codifica di Sara Gigli, inserendo nell'annotazione XML un nuovo elemento, <q> che, secondo le Guidelines della TEI37 delimita le porzioni di discorso diretto nel testo: <q>

(quoted speech or thought) contains a quotation or apparent quotation — a representation of speech or thought marked as being quoted from someone else (whether in fact quoted or not); in narrative, the words are usually those of a character or speaker.38 All'elemento <q> ho associato due attributi: @type e @id. Al primo ho

associato come possibili valori “dd”, per il discorso diretto vero e proprio; “pens”, per i discorsi diretti che il personaggio pronuncia tra sé e sé o per le parole, riportate tra virgolette, che il personaggio pensa (in questo caso si tratta sempre di Dante); “ddip”, per i discorsi non pronunciati, ma ipotizzati come producibili (ad esempio: Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, // perch' una li s'avvolse allora al collo, // come dicesse 'Non vo' che più diche': If XXV 4-6). L'attributo @id, invece, ha come valore il nome del personaggio parlante, e dunque può avere 128 valori diversi, tanti quanti sono i personaggi parlanti nella Commedia.39

Tramite l'aggiunta di questa marcatura alla codifica di Sara Gigli è ora possibile, sul motore di ricerca DanteWeb, effettuare ricerche sintattiche limitando il corpus ai soli discorsi diretti, con l'ulteriore possibilità di restringere l'indagine a uno o ad alcuni personaggi.

36Ivi, P. 6. Poco oltre Gigli spiega più diffusamente cosa intende con l'espressione in linea di

massima. In certi casi, infatti, ha ritenuto opportuno fare ricorso anche a delle tipologie elaborate dalla grammatica tradizionale e dalla linguistica storica, come per la frase epesegetica, che non ha una trattazione autonoma nella Grande grammatica e per la coordinazione congiuntiva, per la quale sono state desunte dalla grammatica tradizionale le categorie di conclusiva e consecutiva.

37La TEI, Text Encoding Initiative, nata nel 1986, è frutto delle tre principali associazioni

mondiali di informatica umanistica, la Association for Computers and the Humanities (ACH), la Association for Computational Linguistics (ACL) e la Association for Literary and Linguistic Computing (ALLC), che, coordinate dagli studiosi Carl Michael Sperberg McQueen e Lou Burnard, pubblicano dal 1994 delle Guidelines for Text Encoding and Interchange, sottoposte a periodici aggiornamenti, che hanno lo scopo di creare uno standard per la marcatura dei testi (cfr. http://www.tei-c.org/).

38Cfr. http://www.tei-c.org/Guidelines/P4/html/ref-Q.html.

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Grazie a questo strumento, ho poi attuato una rilettura orizzontale, cioè per singoli tipi frastici, della sintassi periodale dei testi inseriti nel corpus, di cui le pagine che seguono sono il risultato.

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1. La struttura del periodo: ampiezza e complessità

Una prima analisi della sintassi periodale dei discorsi delle anime dell'oltretomba dantesco può essere compiuta a partire dalla funzione delle frasi nel periodo. Si potrà così ricostruire la struttura del periodo “tipo” in cui si articolano i discorsi diretti in esame, rispetto alla quale misurare eventuali scarti. Diverranno così evidenti sia le particolarità nella struttura periodale relative alle singole cantiche, sia quelle relative ai singoli personaggi parlanti.

Di seguito, ho elaborato una tabella che, per ognuna delle funzioni che la frase può assumere nel periodo (elencate nella prima colonna), riporta il numero di occorrenze e il relativo valore percentuale. I conteggi sono stati effettuati sia sui discorsi diretti delle singole cantiche, che sull'intero corpus in esame.

Inferno Purgatorio Paradiso COMMEDIA

TOT %40 TOT % TOT % TOT %

Principale 364 29,6% 446 26,5% 445 23,2% 1255 26,0% Coord 207 16,8% 304 18,1% 286 14,9% 797 16,5% Subord I 427 34,7% 579 34,4% 731 38,2% 1737 36,0% Coord I 29 2,4% 45 2,7% 66 3,4% 140 2,9% Subord II 140 11,4% 235 14,0% 294 15,3% 669 13,9% Coord II 7 0,6% 11 0,7% 21 1,1% 39 0,8% Subord III 36 2,9% 43 2,6% 57 3,0% 136 2,8% Coord III 0 1 0,1% 0 1 0,02% Subord IV 8 0,6% 11 0,7% 8 0,4% 27 0,6% Coord IV 0 0 2 0,1% 2 0,0% Subord V 3 0,2% 0 1 0,1% 4 0,1% Coord V 1 0,1% 0 3 0,2% 4 0,1% Subord VI 0 0 1 0,1% 1 0,02 Parent 6 0,5% 6 0,4% 1 0,1% 13 0,3% Coord 0 2 0,2% 0 0 2 0,0% Pcoord 1 0,1% 0 0 1 0,02% TOT 1231 1681 1916 4828

Osservando la tabella, si possono già effettuare delle valutazioni significative:

40Tutti i valori percentuali, da qui in avanti, saranno riportati per eccesso alla prima cifra

decimale. Nei casi in cui la prima cifra decimale sia pari a 0 si approssimerà per eccesso alla seconda cifra decimale.

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1. Poiché il numero delle principali corrisponde al numero dei periodi, è possibile calcolare l'ampiezza media dei periodi, cioè il numero di frasi semplici mediamente contenute in un periodo. Si veda il seguente schema:

Inferno: 1231 frasi/364 periodi = 3,38 Purgatorio: 1681 frasi/446 periodi = 3,76 Paradiso: 1916 frasi/445 periodi = 4,3 COMMEDIA: 4828 frasi/1255 periodi = 3,84

Si noti che l'ampiezza dei periodi è ascendente dalla prima alla terza cantica.

2. Per quanto riguarda le coordinate a una principale, spiccano i dati relativi a Purgatorio e Paradiso che si discostano di circa 1,5 punti percentuali, rispettivamente in più e in meno, dal valore medio. Questo dato è lo specchio, da un lato, di periodi con una più spiccata tendenza alla paratassi, e dunque a un andamento orizzontale, nel Purgatorio; dall'altro, di periodi con una più accentuata tendenza all'ipotassi, e dunque a un andamento in profondità, nel Paradiso.

3. Il dato precedente è confermato dalle percentuali relative alle subordinate di primo grado e alle coordinate a subordinate di primo grado: in entrambi i casi, a fronte di una presenza pressoché identica in Inferno e Purgatorio, il Paradiso registra una presenza più corposa (notevolmente più corposa riguardo alle subordinate di primo grado) rispetto alle prime due cantiche.

4. Per quanto riguarda le subordinate di secondo grado, ci si trova nuovamente di fronte a un andamento ascendente: la differenza maggiore si ha tra Inferno (11,4% di subordinate di II grado sul totale delle frasi) e Purgatorio (14%); tuttavia anche tra Purgatorio e Paradiso (15,3%) la differenza è notevole. Trova dunque un'ulteriore conferma il fatto che i periodi acquisiscono una maggiore ampiezza e un maggiore grado di complessità con il procedere dell'opera.

Per comprendere a fondo le motivazioni di tale andamento mi sembra utile incrociare i dati fin qui esposti con i dati di ordine stilistico raccolti da Carmelo Tramontana nella sua indagine sul sistema dialogico nella Commedia.41 Per dati di ordine stilistico,

intendo, con Tramontana, la durata, cioè il numero di versi per cui si estende ogni intervento dialogico, l'estensione, cioè il numero complessivo di versi occupati da parti

41Tramontana, Carmelo. “Il sistema dialogico della Commedia”, P. 9-45. I dati raccolti da

Tramontana riguardano tutti i dialoghi. Tuttavia, considerando che in tutte e tre le cantiche gli interventi di Dante e del suo accompagnatore (Virgilio e Beatrice) sono distribuitI abbastanza equamente, questi dati possono essere considerati come un buon punto di riferimento anche per questa indagine.

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mimetiche e la quantità, cioè il numero di singole battute mimetiche.42 Propongo qui

sotto tre tabelle riassuntive dei dati raccolti da Tramontana: QUANTITA':

Numero delle occorrenze dialogiche

Inferno 364

Purgatorio 282

Paradiso 150

ESTENSIONE (versi):

Enunciato narrativo Estensione dialogica

Inferno 4720 vv. 2468 vv.

Purgatorio 4755 vv. 2368 vv.

Paradiso 4758 vv. 2968 vv.

DURATA (versi/occorrenza dialogica):

Estensione dialogica / numero occorrenze dialogiche

Inferno 6,8

Purgatorio 8,4

Paradiso 19,8

Da questi dati emerge con chiarezza che, se l'estensione del dialogo è pressoché costante nelle tre cantiche, varia notevolmente la durata delle singole occorrenze dialogiche: parallelamente a una progressiva diminuzione delle occorrenze dialogiche, infatti, aumenta il numero di versi che ciascuna battuta mimetica occupa. Si può osservare inoltre che l'aumento della durata non è graduale e progressivo ma esponenziale: le parti mimetiche nel Purgatorio hanno una durata di circa 1/3 superiore rispetto a quelle dell'Inferno; le occorrenze dialogiche del Paradiso occupano mediamente un numero di versi superiore al doppio dei versi in battuta dialogica del Purgatorio.

Inferno e Purgatorio rivelano dunque, a livello stilistico, una maggiore uniformità, rispetto al netto mutamento che si riscontra nel Paradiso. Questa affermazione, ovviamente, non è valida solo a proposito dell'estensione, ma anche a proposito della quantità: se il Purgatorio conta 82 occorrenze dialogiche in meno rispetto all'Inferno, il Paradiso ne ha 132 in meno del Purgatorio. Si può delineare così il seguente quadro

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descrittivo del tasso di dialogicità43 (numero medio di occorrenze dialogiche per canto)

delle tre cantiche: Inferno: 10,7 Purgatorio: 8,5 Paradiso: 4,5

I dati proposti da Tramontana sono certamente utili a gettare luce sui dati relativi alla struttura sintattica delle occorrenze dialogiche delle anime dell'oltretomba dantesco che ho proposto inizialmente. Infatti è coerente che un tipo dialogico come quello infernale, costituito da battute più brevi e frequenti, abbia anche una struttura periodale più snella, sia per estensione del periodo che per complessità sintattica. Analogamente, un periodo più esteso e complesso è perfettamente congruente con il tipo dialogico del Paradiso, composto da inserti mimetici più lunghi, che assumono quasi le fattezze di monologhi.

Tenendo presenti queste prime considerazioni, si procederà ora a un esame del corpus per quanto riguarda i tipi frastici, per giungere, in conclusione di questo lavoro, a un'ulteriore connotazione dei tipi dialogici che caratterizzano ogni cantica.

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2. I tipi di frase principale

Il tipo sintattico si definisce in base a elementi grammaticali (come il modo e il tempo del verbo, la posizione dei clitici e, nel parlato, l'intonazione) che presentano relazioni sistematiche di cooccorrenza.44 In base a tali relazioni, canonicamente si individuano

cinque tipi sintattici validi per le frasi principali e per le coordinate a una principale: dichiarativo, interrogativo, esclamativo, iussivo e ottativo.

Nella seguente tabella sono riportate le occorrenze (sommando quelle delle principali e delle coordinate a una principale) per ciascun tipo all'interno del corpus, accompagnate dalle relative percentuali.

Inferno Purgatorio Paradiso COMMEDIA

TOT % TOT % TOT % TOT %

DICH 374 65,6% 541 72,1% 609 83,2% 1524 74,3%

IUSS 121 21,2% 130 17,3% 82 11,2% 333 16,2%

INTERR 52 9,1% 57 7,6% 17 2,3% 126 6,1%

ESCLAM 18 3,2% 15 2,0% 17 2,3% 50 2,4%

OTTAT 5 0,9% 7 0,9% 7 1,0% 19 0,9%

Nei paragrafi che seguiranno concentrerò la mia analisi in particolare su tre aspetti che credo possano essere rilevanti dal punto di vista stilistico-critico: in primo luogo focalizzerò l'attenzione sulle modalità di realizzazione morfosintattica di ogni tipo, concentrandomi in particolare sui modi e sui tempi verbali45 e sui fattori stilistici a essi

correlati. In secondo luogo, dato che il corpus è composto da testi che sono proposti come fedeli rappresentazioni di conversazioni realmente occorse e dunque potenzialmente dotate di una marcata forza illocutoria, prenderò in esame i tipi di atto linguistico46 correlati ai tipi sintattici. Infine tenterò di rendere ragione della diversa

distribuzione di ciascun tipo all'interno delle cantiche.

I primi due aspetti, di per sé molto ampi e complessi, non saranno trattati con una pretesa di sistematicità e completezza, ma limitatamente all'obiettivo che in questa tesi ci si propone, cioè l'enucleazione di tratti sintattici significativi per l'individuazione di

44Fava, Elisabetta. Tipi di atti e tipi di frasi. In: GGIC, vol. 3, P. 41.

45La corrispondenza tra tipo sintattico e modo verbale, infatti, non è univoca e le scelte che di

volta in volta l'autore opera possono avere rilevanza a livello stilistico; inoltre l'uso dei tempi verbali è spesso spia di un particolare atteggiamento del parlante. Cfr. ivi, P. 42.

46Anche la corrispondenza tra tipo sintattico e tipologia di atto linguistico non è univoca: ai

cinque tipi di categorie base di atti linguistici (verdettivi, esercitivi, commissivi, comportativi, espositivi), corrispondono in modo non isomorfico i cinque tipi sintattici (Ibidem).

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una specifica e autonoma lingua delle anime dell'oltretomba dantesco.

2.1. Il tipo dichiarativo

Anche se la frase dichiarativa non è univocamente associata a nessun tipo particolare di atto linguistico, certamente la funzione principale che essa riveste è di tipo espositivo, cioè di esprimere una determinata credenza del parlante nei confronti di un certo stato di cose.47 Si tratta dunque di asserzioni attorno alle quali poi si sviluppano i

periodi, che definiscono le implicazioni logiche connesse a tali asserzioni e le sviluppano. In virtù di questa funzione espositiva della frase dichiarativa, diventa particolarmente interessante analizzare i tempi verbali che la caratterizzano per verificare come si collocano le asserzioni dei parlanti rispetto al momento dell'enunciazione.

Dal punto di vista morfosintattico, il tipo dichiarativo nel corpus si realizza nei modi indicativo e condizionale, mentre sono assenti frasi dichiarative all'infinito. Di seguito propongo un quadro riassuntivo dei tempi verbali relativi alle principali e alle coordinate a una principale di tipo dichiarativo.

Inferno Purgatorio Paradiso COMMEDIA

TOT % TOT % TOT % TOT %

INDICATIVO PRESENTE 159 42,5% 310 57,3% 299 49,1% 768 50,4% PERFETTO SEMPLICE 124 33,2% 135 25,0% 175 28,7% 434 28,5% FUTURO 48 12,8% 42 7.8% 64 10,5% 154 10,1% IMPERFETTO 17 4,5% 15 2,8% 39 6,4% 71 4,7% PERFETTO COMPOSTO 4 1,1% 18 3,3% 9 1,5% 31 2,0% PIUCCHEPERFETTO 6 1,6% 1 0,2% 2 0,3% 9 0,6% PUCCHEPERFETTO SECONDO 2 0,5% 2 0,1% CONDIZIONALE SEMPLICE 10 2,7% 20 3,7% 21 3,4% 51 3,3% CONDIZIONALE COMPOSTO 4 1,1% 4 0,3%

Come si può notare dai dati sopra esposti, il tipo dichiarativo si articola essenzialmente in tre forme verbali, che da sole ricoprono circa il 90% delle occorrenze: l'indicativo presente è la forma nettamente maggioritaria, anche se con

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oscillazioni sostanziali, in tutte e tre le cantiche. Segue il perfetto semplice indicativo, in cui si realizza una media del 28,5% delle frasi dichiarative. Il futuro indicativo (sia semplice che composto) compare in circa il 10% delle occorrenze.

Per quanto riguarda il presente indicativo, non stupisce che esso sia la forma più frequente nei discorsi diretti delle anime dell'aldilà dantesco almeno per due ragioni: innanzitutto perché il presente indica l'azione che si svolge o la condizione che esiste nel momento della parola48 e dunque si presta particolarmente a comparire nelle parti

mimetiche, che si presumono maggiormente ancorate al momento dell'enunciazione. Una seconda ragione, meno scontata e da verificare, potrebbe essere relativa alla particolare condizione dei parlanti: le anime dell'aldilà dantesco, infatti, sono calate in un contesto atemporale, avulso dal divenire storico, in cui tutto si ripete sempre uguale a sé stesso e in cui la dimensione essenziale è quella di un eterno presente. Parallelamente, una maggiore incidenza del perfetto semplice nei discorsi infernali mi sembra da attribuire al maggior peso che nella prima cantica riveste il racconto del vissuto terreno dell'anima parlante.

Per verificare ed eventualmente sviluppare queste ipotesi, nei prossimi paragrafi si esamineranno da vicino le forme in cui la dichiarativa si realizza nei vari modi e tempi verbali.

2.1.1. Dichiarative all'indicativo

2.1.1.1. Presente

Nei discorsi diretti delle anime dell'oltretomba dantesco il presente indicativo in dichiarativa assume essenzialmente tre funzioni: una prima funzione è quella di descrivere la condizione eterna e immutabile nella quale le anime si trovano. In questo caso il presente assolve una funzione descrittiva49 e, per utilizzare la classificazione

degli usi del presente proposta da Pier Marco Bertinetto, di presente intemporale.50 Si

osservino i seguenti esempi:

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:

per la dannosa colpa de la gola,

come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

48Brambilla Ageno, Franca. Indicativo. In: ED, Appendice, P. 222.

49Secondo le distinzioni proposte da Brambilla Ageno in ED. Cfr. Brambilla Ageno, Franca.

Indicativo, P. 222-224.

50Le frasi appartenenti a questa tipologia, infatti, sono decisamente incompatibili con il

completamento ma non sempre. Cfr. Bertinetto, Pier Marco. Il verbo. In: GGIC, vol. 2, P. 62-73.

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(If VI 52-54)

Libero è qui da ogne alterazione:

di quel che 'l ciel da sé in sé riceve esser ci puote, e non d'altro, cagione. (Pg XXI 43-45)

«La nostra carità non serra porte

a giusta voglia, se non come quella

che vuol simile a sé tutta sua corte. (Pd III 43-45)

Mi sembra rilevante che questa tipologia di dichiarative al presente sia preponderante nell'Inferno e, ancora di più, nel Paradiso, mentre nel Purgatorio è abbastanza limitata. Infatti nel primo e nel terzo regno lo status animarum post mortem assume un netto carattere di fissità: l'eterno ripersi della pena per i dannati, l'eterna concordia con il volere divino per i beati. Il Purgatorio è invece, come noto, un punto di passaggio per le anime destinate al Paradiso, per cui a Dante interessa sottolinearne la dinamicità. Non è un caso quindi che la grande maggioranza delle dichiarative al presente intemporale siano contenute nei discorsi di Stazio e di Matelda che spiegano struttura e natura, quelle sì immutabili (almeno fino al momento del Giudizio Universale), della montagna purgatoriale.

Una seconda funzione assolta dal presente nelle dichiarative è quella di presente «di attualità» o di presente «immediato»,51 che indicano un'azione o un evento simultaneo

rispetto al momento dell'enunciazione. Si osservino i seguenti esempi:

Gente vien con la quale esser non deggio.

Sieti raccomandato il mio Tesoro,

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio». (If XV 118-120)

lo sole, e io non m'era accorto, quando venimmo ove quell' anime ad una gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». (Pg IV 16-18)

Indi spirò: «Sanz' essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t'è più certa; (Pd XXVI 103-105)

Questa è certamente la tipologia di dichiarativa al presente che maggiormente tenta di

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riprodurre tratti tipici dell'oralità, rivelando al massimo grado il valore deittico del tempo verbale. È questo forse il motivo per cui essa è molto più frequente nelle prime due cantiche, mentre scompare quasi, sostituita dalla prima tipologia, nel Paradiso. La terza cantica, infatti, come si è già visto nel capitolo precedente e come si avrà modo di dimostrare più avanti,52 ha un minore tasso di dialogicità, che corrisponde anche a un

minore livello di interazione tra le anime e il pellegrino, e dunque a una minore allusione al contesto contemporaneo al momento dell'enunciazione.

Il terzo tra i principali tipi di dichiarativa al presente indicativo è quello che esprime sentenze di valore universale. Il presente che lo caratterizza è ancora di tipo intemporale, ma con valore gnomico.53 Di seguito alcuni esempi:

ch'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi

per la contradizion che nol consente". (If XXVII 118-120)54

Non è il mondan romore altro ch'un fiato di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,

e muta nome perché muta lato. (Pg XI 100-102)

Sempre natura, se fortuna trova

discorde a sé, com' ogne altra semente

fuor di sua regïon, fa mala prova.

(Pd VIII 139-141)

Questo terzo tipo ha una frequenza ascendente all'interno dell'opera, in quanto correlato alle capacità cognitive e morali delle anime dell'aldilà: le sentenze di carattere generale, infatti, richiedono, da un lato, capacità logiche di astrazione e, dall'altro, un animo degno di formulare giudizi morali universali. Di quest'ultimo requisito i dannati sono certamente carenti, ma anche rispetto alle abilità cognitive si può affermare che i dannati siano limitati rispetto ai penitenti e ai beati. Basti confrontare le seguenti affermazioni rispettivamente di Farinata e Dante:

«Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, le cose», disse, «che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce.

52Cfr. infra §§ 2.2 e 2.3.

53Brambilla Ageno, Franca. Indicativo, P. 223.

54È importante notare, per le considerazioni che seguiranno, che i pochi esempi di presente

gnomico nei discorsi infernali si riscontrano in personaggi “d'eccezione”, come il maestro Brunetto Latini o, come in questo caso, un diavolo loico, che mette in scacco il fraudolento Guido da Montefeltro.

(26)

Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta». (If X 100-108)

«O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi, così vedi le cose contingenti

anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; (Pd XVII 13-18)

Il passo paradisiaco, in cui Dante si rivolge a Cacciaguida, sembra essere una risposta a quello infernale: i dannati hanno una visione non lineare della storia, poiché hanno una chiara idea del passato, qualche parziale conoscenza del futuro, ma nessuna percezione del presente, dal momento che la pena impegna interamente le loro capacità sensoriali e intellettive. I beati, al contrario, hanno la straordinaria capacità di percepire tutti i tempi in un unico, denso, presente. Ne consegue che siano naturalmente portati a formulare giudizi universalmente validi, poiché il loro orizzonte è aldilà della storia.55

Per concludere la rassegna delle dichiarative al presente indicativo, sarà utile soffermarsi brevemente sui casi di presente per il futuro e presente per il passato che, seppur minoritari all'interno del corpus, forniscono materiale interessante per una valutazione.

Accanto a usi più normali del presente per il futuro, come il presente intenzionale di I persona (Più non ti dico e più non ti rispondo: If VI 90)56, se ne può osservare uno più

marcato, cioè l'uso del presente in profezia, in alternanza o meno con il futuro. Si osservino i seguenti esempi:

Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi. Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'è di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetüosa e agra sovra Campo Picen fia combattuto;

55Cfr. infra § 5.3.1.1.

(27)

(If XXIV 143-148)

Sanz'arme n'esce e solo con la lancia con la qual giostrò Giuda, e quella ponta sì ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia. (Pg XX 73-75)

Vende la carne loro essendo viva; poscia li ancide come antica belva; molti di vita e sé di pregio priva. (Pg XIV 61-63)

L'uso del presente in questi passi potrebbe essere giustificato dall'imminenza dei fatti profetizzati rispetto al momento dell'enunciazione;57 tuttavia profezie di avvenimenti

contemporanei a questi (come ad esempio quelle di Ciacco o di Brunetto Latini) sono caratterizzate dall'uso del futuro. Appare scarsa la possibilità che l'uso del presente pro futuro abbia lo scopo di riprodurre un tratto tipico dell'oralità:58 infatti, nonostante il

violento e crudo realismo e gli abbassamenti di registro che a tratti caratterizzano le profezie,59 questi passi ben poco hanno di colloquiale. Mi sembra piuttosto che in

questi casi l'uso del presente sia un espediente volto, da un lato, a sottolineare la certezza degli avvenimenti profetizzati, dall'altro, a dinamizzare il periodo, caratterizzando queste profezie come visioni che si svolgono rapidamente nella mente del parlante.60

Le uniche occorrenze di presente pro passato, per quanto riguarda il corpus analizzato, si riscontrano nel Paradiso61 e possono essere definite esempi di presente

drammatico. Esse compaiono nella narrazione, a opera di Tommaso d'Aquino, della vita di san Francesco:

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l'umile capestro.

57Vanni Fucci allude alla cacciata dei Neri da Pistoia (1301) e a quella dei Bianchi da Firenze

(1302); Ugo Capeto al tradimento di Carlo di Valois ai danni dei Bianchi (1303); Guido del Duca alla podesteria fiorentina di Fulcieri da Calboli (1303).

58Il presente per il futuro, infatti, è particolarmente diffuso nello stile colloquiale. Cfr. Bertinetto,

Pier Marco. Il verbo, P. 69.

59Ne sono un esempio la metonimia carne per uomini o la colorita espressione fa scoppiar la

pancia.

60Cfr. infra, § 2.1.1.3.

61Nella Commedia il presente per il passato ricorre soprattutto nelle parti diegetiche. Cfr.

(28)

(Pd XI 82-84)

Queste due terzine si inseriscono in una narrazione tutta al perfetto semplice, a segnare una cesura di particolare pregnanza drammatica: il momento in cui, quasi come in un miracolo fuori dal tempo e dalla storia, l'insegnamento di Francesco irrompe come un fiume in piena in un mondo che per più di mille anni aveva dimenticato la lezione di povertà di Cristo, creando un corto circuito temporale tra i due momenti.

2.1.1.2. Passato

Se, nei discorsi delle anime della Commedia, il presente indicativo è legato essenzialmente ai momenti di interazione con il pellegrino e alla descrizione della condizione oltremondana, il perfetto semplice è, quasi senza eccezione,62 il tempo con

cui nel poema le anime ricordano le vicende della loro vita terrena, perché in ogni richiamo ad essa è implicito il riferimento al termine conclusivo della vita stessa.63

Infatti il perfetto semplice designa un processo avvenuto nel passato, privo di legami col momento dell'enunciazione e non riattualizzabile.64

Mi sembra di capitale importanza che, per la narrazione delle vicende terrene dei defunti, sia utilizzato in via quasi esclusiva il perfetto semplice, che solo in rarissimi casi è sostituito dall'imperfetto o dal perfetto composto, che pure sarebbero adatti a questo scopo. Certamente, come sostiene Ageno nel passo citato, una ragione plausibile per questa caratteristica della lingua delle anime dell'oltretomba dantesco è il fatto che, tramite il perfetto semplice, è possibile rimarcare continuamente che gli avvenimenti narrati si collocano in una dimensione temporale che è separata dal momento dell'enunciazione da una cesura netta. Tuttavia credo che questa considerazione meriti di essere approfondita e ampliata. A proposito degli usi peculiari del perfetto semplice, Bertinetto osserva:

Possiamo avere il perfetto semplice anche con verbi che designano una condizione più o meno permanente, o perché indicanti un attributo stabile di un soggetto animato, oppure a causa della staticità del soggetto inanimato a cui si riferiscono.65

I ricordi delle anime hanno l'eccezionale particolarità di possedere entrambe le

62In rarissimi casi il perfetto semplice è utilizzato con riferimento a eventi oltremondani (cfr., ad

esempio, If XXI 112-114; Pg XXVIII 94-96; Pd XXIV 118-123) o come perfetto gnomico (cfr., ad esempio, Pg XXVIII 91-93).

63Brambilla Ageno, Franca. Indicativo, P. 226. 64Bertinetto, Pier Marco. Il verbo, P. 95. 65Ibidem.

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