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5. I TIPI DI FRASE SUBORDINATA

5.2. LA SUBORDINAZIONE RELATIVA

5.2.1. Frasi relative con antecedente

5.2.1.2. Restrittive

5.2.1.2.2. Gli antecedenti dimostrativi e la deissi

Un elemento che mi sembra particolarmente rilevante riguardo alla classificazione degli antecedenti proposta all'inizio del paragrafo, è che più di ¼ di essi (circa duecento) contiene un pronome o un aggettivo dimostrativo: l'analisi di tale categoria di antecedenti mi sembra perciò, accanto a quella dei pronomi personali e degli avverbi locativo-temporali,252 un punto di vista privilegiato per comprendere alcuni procedimenti

deittici che costituiscono una delle maggiori componenti del realismo dei dialoghi della Commedia.253

Bisognerà ricordare preliminarmente che i dimostrativi possono avere una funzione deittica anaforica/cataforica o una funzione deittica ostensiva: nel primo caso il dimostrativo richiama o anticipa un elemento descritto nel testo; pertanto il centro deittico è il testo stesso e non il contesto situazionale del racconto.254 Quando il

dimostrativo ha funzione ostensiva, invece, l'entità a cui il deittico fa riferimento si colloca nel contesto extralinguistico: perciò il centro deittico sono le circostanze spazio- temporali in cui viene prodotto l'enunciato. In entrambi i casi la relativa restrittiva è una delle strategie con cui il parlante guida l'ascoltatore a individuare correttamente il referente dell'espressione deittica.255

251Si noti che di solito ciò non è possibile, poiché un nome proprio dovrebbe già di per sé

individuare un referente unico.

252Di cui si parlerà in § 5.2.1.2.3 e § 5.2.1.2.4.

253Cfr. De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia di Dante, § 4 (“La parola che si

fa gesto”).

254De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia di Dante, P.171.

255Su questo punto mi trovo in disaccordo con Laura Vanelli che afferma che può essere

seguita da relativa restrittiva solo l'indicazione deittica che rimandi a una conoscenza condivisa per l'individuazione corretta del referente (come ad esempio nella frase: Sei riuscito a parlare con quel professore che non voleva farti dare l'esame?). Invece, sostiene ancora Vanelli, quando l'individuazione del referente avviene mediante l'anafora o l'ostensione non sorgono ambiguità: quindi l'individuazione del referente è automatica e la relativa che ha il deittico come antecedente non può essere che appositiva (cfr. Renzi, Lorenzo; Vanelli, Laura. La deissi. In: GGIC, vol. 3, P. 335). Sebbene questo sia vero in molti casi, tuttavia ritengo eccessivo escludere ogni tipo di ambiguità nella deissi ostensiva e in quella anaforica: infatti, l'ostensione può non essere sufficiente a identificare il referente, in

La distinzione tra deissi ostensiva e deissi anaforica/cataforica è speculare a quella più generale, tra riferimento esoforico, per cui l'individuazione del referente è raggiunta mediante il rinvio a informazioni che si trovano nel contesto extralinguistico, e riferimento endoforico,256 in cui è il contesto linguistico a essere determinante per

l'individuazione del referente. Rispetto alla nozione di deissi ostensiva, quella di riferimento esoforico è più ampia, poiché include nel concetto di contesto extralinguistico non solo il contesto situazionale particolare in cui avviene l'atto comunicativo, ma anche l'insieme di conoscenze extralinguistiche generali condivise da parlante e ascoltatore.

Per classificare gli antecedenti dimostrativi (unitamente alle frasi restrittive indispensabili alla loro compiutezza semantica) presenti nel corpus, ci si servirà dunque di tre categorie: riferimento endoforico (END) per la deissi anaforica/cataforica; riferimento esoforico non contestuale (ESNC) e riferimento esoforico contestuale (ESC), rispettivamente per i casi in cui l'individuazione del referente dipende o meno dal contesto dell'enunciazione. Il discrimine fra i tre tipi non è sempre netto ed evidente. Si vedano, ad esempio, i seguenti passi:

Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzïan di Santa Zita! Mettetel sotto, ch'i' torno per anche a quella terra, che n'è ben fornita: ogn' uom v'è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar, vi si fa ita».

(If XXI 37-42)

Nel passo citato, la città di Lucca, che è il referente dell'espressione deittica quella terra, non è nominata direttamente, ed è denominata invece dalla santa alla quale il popolo lucchese era particolarmente devoto. A livello propriamente linguistico, dunque, il tipo di riferimento del deittico è esoforico, poiché nel contesto linguistico non è esplicitato il referente di questa espressione (quella terra non è Santa Zita, ma Lucca). quei contesti (particolarmente frequenti nel corpus in esame) in cui ci siano più referenti passibili di essere selezionati dal deittico. Ad esempio se, in un contesto un cui ci sono molti bambini che fanno merenda, il parlante dice all'interlocutore Guarda quel bambino, l'ostensione permetterà all'ascoltatore di ridurre l'insieme dei referenti, ma non di individuarne uno con sicurezza; dicendo Guarda quel bambino che mangia il gelato si potrà individuare con esattezza il referente o per lo meno ridurre ulteriormente la categoria dei possibili candidati. Anche per quanto riguarda la deissi anaforica possono sorgere delle ambiguità, ad esempio quando il pronome dimostrativo condividere genere e numero con più elementi nello stesso contesto linguistico. Credo che gli esempi proposti nel seguito di questo paragrafo saranno utili a confermare questa opinione.

Tuttavia, a ben guardare, è nel caso dell'espressione di Santa Zita che l'interlocutore è chiamato a mettere in gioco, per la corretta individuazione del referente, conoscenze condivise con il parlante, mentre l'espressione quella terra può essere considerata un esempio di un riferimento endoforico.

non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra con esso un colpo per la man d'Artù; non Focaccia; non questi che m'ingombra col capo sì, ch'i' non veggio oltre più, e fu nomato Sassol Mascheroni; (If XXXII 61-65)

Il primo dimostrativo, quelli, sembrerebbe offrire un esempio di riferimento esoforico non contestuale: infatti, per assegnare il corretto referente al deittico è necessario che l'ascoltatore (e il lettore) conoscano la leggenda del ciclo arturiano che narra di come Artù uccise il figlio Mordret. Tuttavia il successivo questi è nettamente ostensivo, e la correlazione questi/quelli fa immaginare che il parlante indichi all'ascoltatore Mordret (lontano rispetto a lui), così come Sassol Mascheroni (a lui vicino). In questo caso ho privilegiato la componente ostensiva del deittico quello, ponendolo tra i casi di riferimento esoforico contestuale.

I tre tipi di riferimento sono così distribuiti all'interno delle tre cantiche:

Inferno Purgatorio Paradiso

esnc esc end esnc esc end esnc esc end

colui/quello257 3 2 8 14 8 1 33 8 9 costui/questo 4 4 2 questo + sost 1 1 8 2 quello + sost 14 3 3 16 2 1 31 4 7 questo (pron) 1 1 quello (pron) 1 1 1 1 6 TOT 18 10 12 30 16 3 63 23 25

Come si può notare dai dati sopra esposti, il riferimento endoforico è il meno frequente. La maggior parte dei moduli 'antecedente dimostrativo + relativa restrittiva' che riprende o anticipa un elemento già citato nel testo, utilizza il pronome quello (o colui) o l'aggettivo quello, seguito dallo stesso elemento o da un sostantivo sinonimico

257Sotto questa dicitura ho inserito tutte le occorrenze del pronome colui e del pronome quello

quando è riferito a persona ed è parafrasabile con colui. La stessa cosa vale per la categoria successiva. Sotto le diciture questo (pron) e quello (pron) sono invece registrate le occorrenze dei due pronomi quando non sono riferite a persona.

rispetto ad esso. Si prendano in esame alcuni passi significativi: Ma ciò che 'l segno che parlar mi face

fatto avea prima e poi era fatturo per lo regno mortal ch'a lui soggiace, diventa in apparenza poco e scuro, se in mano al terzo Cesare si mira con occhio chiaro e con affetto puro; ché la viva giustizia che mi spira, li concedette, in mano a quel ch'i' dico, gloria di far vendetta a la sua ira. (Pd VI 82-90)

Non ho parlato sì, che tu non posse ben veder ch'el fu re, che chiese senno acciò che re sufficïente fosse;

non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote trïangol sì ch'un retto non avesse. Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, regal prudenza è quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote; (Pd XIII 94-105)

Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?»...

(Pd XXIV 88-91)

Nel primo esempio, l'allusione a una porzione precedente del testo è resa esplicita dalla restrittiva ch'i'dico, che crea un effetto parlato, dato anche presenza ravvicinata di due deittici anaforici coreferenziali e con la medesima funzione grammaticale (li...a quel). Nel secondo passo, invece, all'interno di un periodare complesso e altamente filosofico il riferimento anaforico si fa prezioso: il dimostrativo infatti è accompagnato da un sostantivo che riprende con un poliptoto (vedere verbo VS vedere sostantivo) l'antecedente che costituisce il suo riferimento. Il terzo esempio è stato invece riportato per dimostrare l'equivalenza di questo e quello nei casi di riferimento endoforico: essi vengono utilizzati indifferentemente dalla distanza del deittico dal suo referente

all'interno del testo. L'espressione questa cara gioia (che compare al v. 89), ha come riferimento il termine fede che compare al v. 53 nelle parole di Pietro; il termine viene poi ripreso da Dante al v. 64 e in seguito viene richiamato anaforicamente dalle espressioni alta spene (v. 74) e esta moneta (v. 84).

Per quanto riguarda il riferimento esoforico contestuale, esso è certamente quello che conferisce maggiore realismo al parlato rappresentato: attraverso il riferimento a oggetti collocati nel contesto dell'enunciazione, infatti, il lettore è indotto a immaginarsi gli ambienti e i personaggi che circondano i parlanti nel momento del dialogo. Ci si aspetterebbe per questo che la modalità ostensiva sia più frequente nell'Inferno, che è tradizionalmente riconosciuto come la cantica in cui l'effetto di reale si fa sentire con più forza, e che abbia invece una presenza più contenuta nel Paradiso, il regno della rarefazione e dell'astrazione, nel quale, come già si è avuto modo di notare nel corso di questo lavoro, i personaggi hanno un minor livello di interazione con il pellegrino rispetto alle prime due cantiche. Invece i deittici ostensivi, almeno per quanto riguarda quelli che fungono da antecedente di restrittiva relativa, hanno maggiore frequenza nei discorsi dei beati. La ragione di questo dato è da ricercare nel fatto che la maggior parte dei deittici ostensivi occorre nel momento in cui un personaggio presenta a Dante gli spiriti che lo circondano o lo invita a osservare l'ambiente circostante: come si è già dimostrato nel paragrafo relativo alle subordinate oggettive,258 tale atteggiamento è

tipico in particolare dei beati, che mostrano a Dante l'esemplarità degli spiriti del Paradiso e dell'ordinamento del terzo regno.

Si osservi nei seguenti esempi il realismo determinato dalla presenza dei deittici esoforici contestuali; per tutti e tre i passi si può immaginare che il personaggio, mentre parla, faccia l'atto di indicare il referente che si trova nel contesto in cui avviene l'atto comunicativo:259

Io vidi più di mille in su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente dicean: «Chi è costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?». (If VIII 82-85)

E quel nasetto che stretto a consiglio par con colui c'ha sì benigno aspetto ,

258Cfr. § 5.1.2.

259Tra l'altro non di rado la natura ostensiva del deittico viene esplicitata dallo stesso parlante o

dal narratore, come nella seguente terzina: «O frate», disse, «questi ch'io ti cerno // col dito», e additò un spirto innanzi, // «fu miglior fabbro del parlar materno.(Pg XXVI 115-117).

morì fuggendo e disfiorando il giglio: guardate là come si batte il petto! (Pg VII 103-106)

Tu vuo' saper chi è in questa lumera che qui appresso me così scintilla come raggio di sole in acqua mera. (Pd IX 112-114)

È da notare che, a differenza di quanto accade con il riferimento endoforico, la scelta del dimostrativo non è casuale, ma porta con sé dei significati ben precisi: in particolare quello esprime una relazione negativa (cioè di lontananza) tra il referente e il centro deittico, mentre questo esprime una relazione positiva (di vicinanza, inclusione o coincidenza) tra i due. Per quanto riguarda costui, indica sì vicinanza, ma ha anche una certa connotazione dispregiativa.260

Come si evince dai passi riportati, spesso il deittico ostensivo è accompagnato da brevi, ma vivide descrizioni che sopperiscono, per il lettore, alla vista diretta. Un principe dal naso piccolo, che si duole e si dispera, confabulando con un suo pari, per la condotta dei propri discendenti; una luce sfavillante come i riflessi del sole sull'acqua limpida: mediante poche parole, Dante riesce a far vivere ai suoi lettori ciò che ha visto con i propri occhi. In questo credo che consista il realismo connesso all'uso della deissi: nella sua capacità di costringere il lettore a immaginare ciò che sul piano propriamente linguistico rimane appena abbozzato.

Il riferimento esoforico non contestuale è il più diffuso in tutte e tre le cantiche e ha una frequenza ascendente all'interno dell'opera. Ciò accade perché questo modulo è il più delle volte utilizzato per creare ampie perifrasi con le quali i parlanti indicano luoghi, oggetti e, più frequentemente, persone, invece di designarli con il loro nome: mi sembra normale che tale stilema sia tanto più utilizzato quanto più aumenta la durata del discorso e quanto più aumentano le capacità cognitive dei parlanti.

Ci sono varie modalità con cui questo modulo sintattico si realizza, in relazione sia al tipo di conoscenza condivisa necessaria alla corretta individuazione del referente (che può riguardare l'attualità o la storia, un'esperienza percettiva o intellettiva), sia alla natura della condivisione, che può essere limitata al parlante e all'interlocutore oppure estendersi ad altri.

260Mentre in italiano questo uso stilistico di costui è normale, ciò non è sempre vero per

l'italiano antico, in cui costui può anche assolvere alla mera funzione di pronome personale neutro, indicando persona vicina a chi parla. (De Ventura, Paolo. Dramma e dialogo nella Commedia, P. 182, n. 32).

Nei seguenti passi la corretta individuazione del referente dipende da una conoscenza condivisa in primo luogo da parlante e ascoltatore, che condividono o hanno condiviso un particolare legame (di parentela nel primo caso, di cittadinanza e di amicizia nel secondo) che viene sottolineato dall'uso di queste formule deittiche:

Poscia mi disse: «Quel da cui si dice tua cognazione e che cent' anni e piùe girato ha 'l monte in la prima cornice, mio figlio fu e tuo bisavol fue:

(Pd XV 91-94)261

Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d'Accorso anche; e vedervi, s'avessi avuto di tal tigna brama,

colui potei che dal servo de' servi fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi. (If XV 109-114)

Più spesso, l'individuazione del referente è subordinata a conoscenze generali, condivise da un ampio numero di persone: in tutte le cantiche possono riguardare eventi storici o di attualità, competenze geografiche o relative alla vita quotidiana, ma soprattutto nei discorsi dei beati e dei penitenti si moltiplicano le perifrasi colte di ambito biblico e mitico o per indicare Dio:

Poi cominciò: «Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto, non poté suo valor sì fare impresso in tutto l'universo, che 'l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. (Pd XIX 40-45)

in obbrobrio di noi, per noi si legge, quando partinci, il nome di colei

che s'imbestiò ne le 'mbestiate schegge. (Pg XXVI 85-87)

Si noti come in molti casi la perifrasi mitica e biblica è occasione di un innalzamento stilistico e di una maggiore complessità concettuale e sintattica: nel passo paradisiaco, l'aquila dà inizio alla sua lunga disquisizione sulla giustizia divina con i toni solenni e il

261Nel discorso di Cacciaguida sono numerose le espressioni deittiche che rimandano sia alle

conoscenze che Dante e il trisavolo condividono in quanto parenti, sia, soprattutto, a quelle che condividono in quanto concittadini.

lessico specifico del discorso teologico;262 nel passo purgatoriale, il poliptoto imbestiò-

imbestiate innalza lo stile e, nel contempo, la carica polemica delle parole di Guinizelli, che, stigmatizzando la bestialità dell'amore di Pasifae, deplora la bassezza del proprio peccato.

A livello formale, si deve rilevare che quasi senza eccezione il dimostrativo che comporta un riferimento esoforico non contestuale è quello. Nei casi in cui sia accompagnato da un sostantivo esso sarebbe perfettamente sostituibile con l'articolo:

Ben sai come ne l'aere si raccoglie quell' umido vapor che in acqua riede, tosto che sale dove 'l freddo il coglie. (Pg V 109-111)

Il dimostrativo quello, tuttavia, ha la particolare proprietà semantica di avvicinare parlante e ascoltatore rispetto alla cosa designata, e inoltre mantiene una parte della sua natura ostensiva, additando nella memoria l'immagine da rendere presente alla mente. La preferenza del dimostrativo all'articolo ha dunque una rilevanza pragmatica e stilistica, poiché sottolinea il fatto che si sta alludendo a un'esperienza condivisa e ha il potere evocativo di richiamare un'immagine alla mente, come se fosse presente alla vista.

In conclusione di questo paragrafo dedicato ai dimostrativi e alla deissi, vorrei sottolineare l'importanza dei deittici nel determinare il realismo delle scene dialogiche della Commedia. La deissi mi sembra poter essere inserita a pieno in quella tecnica di sottrazione di informazione263 che Tavoni e Santagata individuano come una delle

componenti essenziali del realismo nel poema: attraverso l'allusione al contesto dell'enunciazione, ma anche attraverso l'allusione a conoscenze non contestuali che solo i parlanti condividono, infatti, si ha l'impressione di trovarsi di assistere ad una conversazione reale, nella quale il parlante, secondo un principio di economia, dice solo ciò che è strettamente necessario per farsi comprendere dall'interlocutore. In altre parole si ha l'impressione che la conversazione non si svolga per il lettore, ma davanti al lettore, il quale

percepisce l'universo fittizio del libro non diversamente da come percepisce la

262Si notino a questo proposito l'immagine biblica utilizzata per designare Dio come colui che

girò il suo compasso per segnare i limiti dell'universo, oppure l'utilizzo di termini filosofico- teologici specifici, come valor (riferito alla potenza creatrice di Dio) o verbo (cioè l'idea divina da cui il creato prende forma).

263Tavoni, Mirko. Il realismo della Commedia e i suoi fondamenti. In: Santagata, Marco e altri. I

tre libri di letteratura. Roma-Bari, Laterza, 2009, vol. 1, Antologia della Divina Commedia, P. 31-32.

realtà circostante: a volte, con piena cognizione di ciò che vede e ascolta; altre volte, con cognizioni solo parziali; spesso semplicemente per induzione o per intuizioni; non di rado senza comprendere ciò che vede e ascolta. Dante, dunque, non si è limitato a introdurre la realtà fisica e storica dentro il poema, si è spinto fino a costruire un poema che si presenta e vuol essere interpretato come parte della realtà.264