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5. I TIPI DI FRASE SUBORDINATA

5.3. LA SUBORDINAZIONE CIRCOSTANZIALE

5.3.1. Le subordinate del gruppo causale

5.3.1.2. Finali

La frase finale è una subordinata che si caratterizza semanticamente come espressione del fine, dello scopo o dell'intenzione che motivano l'azione espressa dalla frase principale.311 All'interno dei costrutti finali, dunque, la causa è espressa nella

sovraordinata, mentre l'effetto nella subordinata. Generalmente la prima è posta sul piano della realtà, mentre il secondo su quello della virtualità, ma può accadere che entrambi i membri siano collocati in quest'ultimo ambito:

E s'io non fossi impedito dal sasso che la cervice mia superba doma, onde portar convienmi il viso basso, cotesti, ch'ancor vive e non si noma, guardere' io, per veder s'i' 'l conosco, e per farlo pietoso a questa soma. (Pg XI 52-57)

Quello che Agostini definisce come il tratto più tipico della finalità è la presenza di una volontà preordinata al verificarsi di entrambi i fatti espressi dai due membri del costrutto, che 'vuole' l'uno (quello enunciato nella sovraordinata) perché 'vuole' che si verifichi l'altro (quello enunciato nella subordinata). La volontà che caratterizza la nozione semantica di finalità, prosegue Agostini, può essere espressa esplicitamente nel discorso, mediante un imperativo o un verbo di volontà, o un'espressione di necessità o convenienza; oppure può essere implicita nel contenuto globale della sovraordinata, quando questa enunci un fatto dinamico e intenzionale e non una situazione statica e casuale.312

Nei discorsi diretti delle anime della Commedia, come si può immaginare, la componente di volontà centrale nei costrutti finali è esplicitata molto spesso, cioè in circa la metà delle occorrenze. Un modulo assai frequente è quello in cui la finale è

311Bertuccelli Papi, Marcella. Finali. In: GGIC, vol. 2, P. 818. 312Agostini, Francesco. Proposizioni subordinate, P. 378.

subordinata a un verbum sentiendi in forma iussiva (all'imperativo, al congiuntivo esortativo o in dipendenza di un verbo indicante volontà o convenienza):

E perché tu di me novella porti,

sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma' conforti. (If XXVIII 133-135)

E perché tu non creda ch'io t'inganni, odi s'i' fui, com' io ti dico, folle, già discendendo l'arco d'i miei anni. (Pg XIII 112-114)

E 'l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, vola con li occhi per questo giardino; (Pd XXXI 94-97)

La frequenza di costrutti analoghi agli esempi riportati, consente di affermare che è uno stilema tipico dei discorsi di tutte le anime dell'oltretomba dantesco, quello di accompagnare un invito rivolto a Dante ad apprendere qualcosa con l'esplicitazione del fine a cui è volta la conoscenza che egli sta per acquisire. È rilevante inoltre che, analogamente a quanto accade nei passi citati, quasi sempre, nei discorsi dei dannati, tale fine è egoistico, oppure va addirittura a svantaggio di Dante (Ma perché di tal vista tu non godi, // se mai sarai di fuor da' luoghi bui, // apri li orecchi al mio annunzio, e odi: If XXIV 140-142). Nei discorsi dei beati e dei penitenti, invece, il fine della richiesta di apprendere qualcosa, espressa nella principale, è sempre rivolto al bene di Dante.313 È

questa una conferma che le anime dei tre regni, come si è già avuto modo di notare,314

hanno diversi atteggiamenti di volizione nei confronti del pellegrino.

Accanto a questo stilema, è abbastanza frequente anche quello complementare per cui anche (o solo) il predicato della finale è un verbum sentiendi:

Ma perché sappi chi sì ti seconda contra i Sanesi, aguzza ver' me l'occhio, sì che la faccia mia ben ti risponda: (If XXIX 133-135)

313Mi preme sottolineare che questa affermazione è valida rispetto a quei costrutti finali in cui il

membro sovraordinato è costituito da un verbum sentiendi in forma iussiva. Infatti, anche i penitenti, come e più i dannati, spesso chiedono a Dante di portare notizia di loro nel mondo terreno. Tuttavia questo non è mai il fine che li spinge a interagire con il pellegrino e a informarlo della loro condizione e delle loro vicende.

In ragione della frequenza di moduli di questo tipo, si può affermare che nella maggior parte dei costrutti finali in cui il membro sovraordinato indica un fatto contemporaneo al momento dell'enunciazione, sia centrale il tema della conoscenza e della percezione. Nei discorsi delle anime dell'oltretomba dantesco è dunque spesso ricordato il fine ultimo dei dialoghi che esse intrattengono con Dante, cioè la comprensione, da parte del pellegrino, dell'ordinamento oltremondano in cui si concretizza il giudizio di Dio.

Per quanto riguarda invece i costrutti finali in cui la sovraordinata enuncia un evento passato, si possono riscontrate delle affinità con i costrutti causali in cui entrambi i membri sono al passato: nei discorsi dei dannati entrambi i componenti del costrutto finale enunciano quasi sempre fatti relativi alla vita terrena del parlante; in quelli dei penitenti e dei beati, il costrutto istituisce più spesso un legame causa-effetto tra eventi storici o fatti mitici e biblici.

Queta'mi allor per non farli più tristi; (If XXXIII 64)

«Maria corse con fretta a la montagna; e Cesare, per soggiogare Ilerda, punse Marsilia e poi corse in Ispagna». (Pg XVIII 100-102)

Sono molto meno numerose, rispetto a quanto accade per i costrutti causali, le strutture finali in cui il fatto enunciato nella sovraordinata è espresso al futuro o al presente intemporale. In entrambi i casi, può trattarsi sia di eventi terreni che di eventi oltremondani:

Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese, e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia, che donerà questo prete cortese per mostrarsi di parte; e cotai doni conformi fieno al viver del paese. (Pd IX 55-60)

Tremaci quando alcuna anima monda sentesi, sì che surga o che si mova per salir sù; e tal grido seconda. (Pd VIII 58-60)

5.3.1.2.2. Sintassi

Inferno Purgatorio Paradiso Commedia I M P L a 7 6 8 21 di 2 2 per 10 18 19 47 E S P L Acciò che 1 2 3 che 1 1 Ne (ut non) 1 1 perché 6 6 15 27 Però che 1 1 2 Pur che 1 1 TOT 25 34 46 105

Come si può notare la grande maggioranza delle finali assume la forma implicita (che conta 69 occorrenze, contro le 35 di quella esplicita). È necessario ricordare che questi dati non sono confrontabili in assoluto, in quanto le due forme sono concorrenti solo nel caso in cui il soggetto della 'volontà' (potremmo definirlo 'l'interessato') coincide con il soggetto di entrambe le proposizioni poste in relazione di finalità.315 La forma implicita,

infatti si dà, generalmente, solo in quest'ultimo caso.

La grande maggioranza dei costrutti in cui, dato il medesimo soggetto in entrambi i membri, la finale assume la forma esplicita, è caratterizzata da una II persona come soggetto della volontà e da una formula iussiva nella sovraordinata:

E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sole che si fa vino, giunto a l'omor che de la vite cola. (Pg XXV 76-78)

E 'l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t'acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. (Pd XXXI 94-99)

315Agostini, Francesco. Proposizioni subordinate, P. 378. Ho rilevato tuttavia degli sporadici

casi in cui la forma implicita è utilizzata anche nei casi in cui il soggetto delle due proposizioni in costrutto finale non sia lo stesso. Si osservi, ad esempio, il seguente passo: Domenico fu detto; e io ne parlo // sì come de l'agricola che Cristo // elesse a l'orto suo per aiutarlo (Pd XII 70-72), in cui la frase per aiutarlo deve essere parafrasata come perché (Domenico) lo aiutasse.

La preferenza della forma al congiuntivo in passi come questo, sembra dettata dall'esigenza espressiva di amplificare l'atteggiamento di volizione (già espresso dalla sovraordinata) del parlante nei confronti dell'interlocutore. Il medesimo intento, tra l'altro, si può individuare nella prolessi della finale, che ha la funzione di sottolineare l'intenzionalità, la 'volontà', per rendere più evidente il rapporto finale.316

Un altro elemento che mi preme rilevare a proposito della prolessi della finale, è che essa ricorre soprattutto in quei casi, esaminati nel precedente paragrafo, in cui nella sovraordinata compaia un verbum sentiendi: l'anteposizione del fine alla causa sembra un espediente per richiamare l'attenzione dell'interlocutore prima che sia espresso il contenuto comunicativo principale. Tale artificio retorico è significativamente più ricorrente nei discorsi dei beati e dei penitenti (in cui occorrono rispettivamente 18 e 19 finali prolettiche) rispetto a quelli dei dannati (6 occorrenze). Questa diversa distribuzione, ancora una volta, non andrà ricondotta soltanto a una differenza di registro tra i dialoghi dei tre tipi di personaggi, ma anche a due ulteriori fattori di differenziazione relativi, da un lato, alle abilità cognitive dei parlanti, dall'altro, a un loro diverso atteggiamento nei confronti dell'interlocutore. Quanto al primo fattore, è da notare che la prolessi della finale rompe l'ordine logico normale, anteponendo il fine e mettendo dunque in primo piano un fatto virtuale prima di esplicitare la causa (reale) che lo potrebbe generare. A proposito del secondo, nota Agostini come la prolessi della finale implichi un maggior grado di affettività e di coinvolgimento del parlante.317

Riguardo alle congiunzioni che introducono il modulo esplicito, andrà notata la netta prevalenza di perché rispetto ad acciò che, forma concorrente nella prosa. In mancanza di una differenziazione semantica tra i due introduttori, mi sembra che la preferenza del bisillabico perché sia da ricondurre a esigenze metriche.

Da rilevare, infine, il prezioso latinismo ne, che introduce una finale assai densa di significato; l'invito all'umiltà di san Bernardo, infatti, richiama alla mente, con voluta antitesi, le ali di colui che tentò da solo un folle volo verso il divino, proprio nel momento in cui il viaggio di Dante sta per raggiungere il suo fine ultimo:

Veramente, ne forse tu t'arretri movendo l'ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s'impetri (Pd XXXII 145-147)

316Agostini, Francesco. Proposizioni subordinate, P. 380-381. 317Ibidem.