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2. I TIPI DI FRASE PRINCIPALE

2.3. IL TIPO IUSSIVO

2.3.1. Iussive dirette

2.3.1.2. Forme sintattiche di realizzazione

Se dal punto di vista del contenuto espresso le iussive dirette non presentano una grande varietà, dal punto di vista sintattico esse si realizzano in un'ampia varietà di modi, che potranno fornire materiale ad una valutazione stilistica.114

Particolarmente interessanti in quest'ottica mi sembrano le iussive al congiuntivo. Infatti il congiuntivo non compare in iussiva solamente nei casi in cui completa l'imperativo nelle persone mancanti: come rileva Ageno, può dipendere dalla scelta lessicale che una III persona del congiuntivo esortativo si sostituisca a una II persona dell'imperativo, cioè assuma una forma indiretta quello che è essenzialmente (e concettualmente) un ordine dato o un invito rivolto a un ascoltatore.115

L'opposizione stilistica tra congiuntivo e imperativo riguarda soprattutto l'incipit dei discorsi dei dannati. Si osservino, ad esempio, i seguenti passi:

Iussive al congiuntivo Iussive all'imperativo «O Tosco che per la città del foco

vivo ten vai così parlando onesto,

piacciati di restare in questo loco.

(If X 22-24)

«O tu che se' per questo 'nferno tratto», mi disse, «riconoscimi, se sai:

(If VI 40-42) E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia

se Brunetto Latino un poco teco

ritorna 'n dietro e lascia andar la traccia». (If XV 31-33)

Venian ver' noi, e ciascuna gridava: «Sòstati tu ch'a l'abito ne sembri essere alcun di nostra terra prava» (If XVI 7-9)

udimmo dire: «O tu a cu' io drizzo la voce e che parlavi mo lombardo, dicendo "Istra ten va, più non t'adizzo", perch' io sia giunto forse alquanto tardo,

non t'incresca restare a parlar meco;

(If XXVII 19-24)

e l'un gridò da lungi: «A qual martiro venite voi che scendete la costa?

Ditel costinci; se non, l'arco tiro».

(If XII 61-63)

E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi perch' ïo un poco a ragionar m'inveschi. (If XIII 55-57)

Mentre che tutto in lui veder m'attacco, guardommi e con le man s'aperse il petto, dicendo: «Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto! (If XXVIII 28-31)

Nei passi riportati nella colonna di sinistra, al posto di una II persona dell’imperativo, Dante preferisce usare una perifrasi costituita dal congiuntivo di un verbo indicante piacere o dispiacere, usato impersonalmente e seguito da una soggettiva. Il verbo

114Brambilla Ageno, Franca. Congiuntivo, P. 233. 115Ibidem.

impersonale compare sempre accompagnato da un pronome di II persona al dativo o all’accusativo e, nei primi tre passi, anche da un vocativo pleonastico che connota ulteriormente l’interlocutore a cui si riferisce la richiesta.116 Inoltre in tre casi su quattro il

verbo al congiuntivo produce una litote.

Mi sembra che l’uso di queste perifrasi possa essere giustificato dalla necessità espressiva di conferire una connotazione di cortesia e di compostezza alla richiesta che la frase esprime. Non casualmente, dunque, tali formule occorrono sempre in posizione incipitaria nei discorsi di personaggi dalla grande statura intellettuale.

L'uso dell'imperativo in incipit di discorso appare, se paragonato ai congiuntivi attenuativi precedenti, volto a conferire aggressività e rozzezza all'apostrofe. Accanto all'imperativo vi sono altri elementi lessicali e sintattici che contribuiscono a dare questa impressione: il soggetto espresso, che indica insistenza sulla persona a cui spetta l'agire;117 la protasi se sai, che crea un tono di sfida nelle parole di Ciacco; la

ripetizione dell'imperativo vedi nelle parole di Maometto; il verbo gridare come introduttore del discorso diretto.

L'imperativo tuttavia non ha necessariamente la sfumatura stilistica appena riscontrata. Si osservi ad esempio l'accorata apostrofe di un anonimo suicida:

Ed elli a noi: «O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c'ha le mie fronde sì da me disgiunte, raccoglietele al piè del tristo cesto. (If XIII 139-142)

Nei discorsi dei penitenti e dei beati l'imperativo è nettamente prevalente rispetto al congiuntivo, il cui raro uso sembra determinato da esigenze di variatio formae.118

Nel Purgatorio la richiesta d'azione all'imperativo è attenuata tramite diverse strategie: Poi disse un altro: «Deh, se quel disio

si compia che ti tragge a l'alto monte,

116Tra l’altro il vocativo è una spia interessante della caratteristica distintiva che il dannato

riconosce nel suo interlocutore e che lo spinge ad apostrofarlo: per Guido da Montefeltro, Virgilio, dato che non lo ha mai conosciuto in vita, è un generico “tu”, caratterizzato solo dalla parlata lombarda; per Brunetto Latini Dante è “figliuol mio”, poiché in lui vede il proprio giovane discepolo; per Farinata, invece, Dante è essenzialmente un “tosco”, perché con lui condivide la patria e la passione politica.

117Brambilla Ageno, Franca. Imperativo, P. 266. Sostiene Ageno: nella lingua antica come nella

moderna è normale che il soggetto dell'imperativo sia taciuto. Tuttavia esso può venire espresso per ragioni particolari.

118Cfr. ad esempio: Poscia non sia di qua vostra reddita; (Pg I 106-108); la voce tua sicura,

balda e lieta // suoni la volontà, suoni 'l disio, // a che la mia risposta è già decreta! (Pd XV 67-69).

con buona pïetate aiuta il mio! (Pg V 85-87)

«O tu che vai, non per esser più tardo, ma forse reverente, a li altri dopo, rispondi a me che 'n sete e 'n foco ardo. (Pg XXVI 16-18)

Ma va via, Tosco, omai; ch'or mi diletta troppo di pianger più che di parlare, sì m'ha nostra ragion la mente stretta». (Pg XIV 124-126)

Come si nota dal primo esempio, l'imperativo è spesso preceduto da un'espressione ottativa119 con la quale si augura a Dante di condurre a buon fine il proprio viaggio;

inoltre la formula con buona pietate rende esplicita la forza illocutoria richiestiva,120

connotando la richiesta come una cortese preghiera.

Nell'apostrofe di Guido Guinizelli, la richiesta rivolta a Dante è accompagnata da una captatio benevolentiae che sottolinea la disparità di condizione tra chi chiede, costretto all'immobilità e alla penitenza, e chi ascolta, dotato del privilegio del viaggio e accompagnato da due grandi maestri.

Nella terzina che chiude il discorso di Guido del Duca, la richiesta di andare via rivolta a Dante, che di per sé potrebbe qualificarsi come scortese, si caratterizza invece come dimessa e sconsolata per il contesto in cui appare: dopo un'accorata requisitoria sul degrado politico e morale della propria terra natale, questo congedo esprime tutto il turbamento e la frustrazione di Guido.

Nel Paradiso la netta prevalenza dell'imperativo mi sembra da attribuire all'autorevolezza che i beati hanno nei confronti di Dante. Anche in questo caso la richiesta d'azione espressa tramite la iussiva non è mai un ordine perentorio ed è sempre accompagnata dalla menzione della causa che la genera o del fine a cui è volta:

Se sì di tutti li altri esser vuo' certo, di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto. (Pd X 100-102)

«Leva la testa e fa che t'assicuri:

ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,

119L'uso di tali formule, anche se in maniera minore, ricorre anche nelle altre due cantiche. 120Cfr. Borgato, Gianluigi; Salvi, Giampaolo. Il tipo iussivo, P. 152.

convien ch'ai nostri raggi si maturi». Questo conforto del foco secondo mi venne; ond' io leväi li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. (Pd XXV 34-39)

Per quanto riguarda le iussive all'indicativo, esse si realizzano principalmente con il predicato illocutivo pregare e affini:

Così rispuose, e soggiunse: «I' ti prego che per me prieghi quando sù sarai». (Pg XVI 50-51)

E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, (Pd XXXIII 28-30)

Mentre nell'Inferno ho riscontrato una sola occorrenza della iussiva con il verbo pregare,121 essa è particolarmente frequente nel Purgatorio, in cui la preghiera è

dimensione fondante della condizione dei penitenti. Le occorrenze paradisiache si collocano tutte nella preghiera di San Bernardo alla Vergine.

Per concludere con la rassegna delle forme sintattiche con cui la iussiva si realizza, propongo alcuni esempi delle più frequenti perifrasi riscontrate.122

Una formula perifrastica iussiva si ha con il congiuntivo o l'indicativo del modale volere seguito da completiva. Può capitare che tale scelta formale abbia una rilevanza dal punto di vista stilistico, come nella celebre esortazione di Ulisse ai suoi compagni:

"O frati", dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. (If XXVI 112-117)

La perifrasi modale sostitutiva dell’imperativo utilizzata da Ulisse pone in evidenza il fatto che egli non vuole imporre alla sua compagna picciola il viaggio alla scoperta del mondo che si nasconde aldilà delle colonne d’Ercole, ma tenta invece, con la sua orazion picciola, di risvegliare nei suoi compagni la volontà di conoscenza che

121If VI 88-90.

122È da includere nell'elenco la perifrasi composta da verbi indicanti piacere o dispiacere al

dovrebbe essere caratteristica primaria degli uomini virtuosi. In questo caso, dunque, il modale volere assume un ruolo che va ben oltre quello servile, per divenire il protagonista della richiesta espressa da Ulisse: una scelta di conoscenza.

Un'altra perifrasi molto frequente si realizza con l'imperativo di fare seguito da una completiva che reca il contenuto della richiesta. L'uso di questo modulo, che accosta un imperativo e un congiuntivo volitivo, mi sembra spesso volto a incrementare la forza illocutiva richiestiva, rispetto al semplice imperativo:

Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso, sì ch'ogne sucidume quindi stinghe; (Pg I 94-96)

Particolarmente frequente è la perifrasi all'indicativo con il verbo convenire usato impersonalmente, seguito da una soggettiva:123

ma or convien espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s'offerse». (Pd XXIV 122-123)

Il verbo convenire non ha qui un significato, che si potrebbe definire debole, di essere appropriato, ma, con una maggiore aderenza al significato etimologico di cum-venire, sembra indicare la necessità che si realizzi quanto richiesto. Esso reca inoltre il significato morale di essere giusto. Non è un caso allora che questa perifrasi sia più frequente nel terzo regno, in cui il giusto e il necessario coincidono perfettamente.

Una perifrasi del tutto particolare, infine, è quella usata da Brunetto Latini in conclusione del suo dialogo con Dante (Sieti raccomandato il mio Tesoro: If XV 199). Essa infatti non sostituisce un imperativo, ma il semplice indicativo “ti raccomando”. Anche in questo caso, l’utilizzo del congiuntivo può essere attribuito a un’esigenza stilistica, ossia alla necessità di enfatizzare una richiesta che assume una sorta di valore sacrale in quanto riguarda la preservazione di un’opera letteraria, capace, secondo Brunetto e secondo Dante, di perpetuare la vita di chi l’ha scritta anche dopo la morte.