Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
Corso di Laurea Magistrale in Linguistica Teorica e Applicata
Tesi di Neurolinguistica
Late Talking: Indagine neurolinguistica sulla
“comunicazione”del ritardo
Candidata:
Emanuela Todisco
Relatore:
Prof.ssa Florida Nicolai
Co-relatore
Prof. Roberto Peroni
Esperto:
Dott.ssa Renata Salvadorini
Ringraziamenti
Sommario
Il presente lavoro propone un’analisi del ritardo linguistico in et`a precoce. Si parla di ritardo linguistico, o di bambini Late Talkers, (LT), per identificare soggetti che all’et`a di 24 mesi, in assenza di danni neuro-evolutivi, uditivi e di deprivazione ambientale, non hanno raggiunto un quantitativo minimo di 50 parole in produzione e non eseguono produzioni combinatorie. Il punto nodale attorno a cui si articola l’analisi `e un modello linguistico cognitivista e funzionale della costruzione del linguaggio, noto come Usage-Based. Sul-la base di tale approccio, ho cercato di evidenziare, nelSul-la Parte I, i tratti peculiari del profilo del soggetto LT, procedendo con un’indagine dei rischi putativi e degli indici predittivi del ritardo linguistico. Per quanto riguarda i rischi putativi, le variabili contestuali prese in considerazione sono: il sesso del soggetto, la familiarit`a con disturbo del linguaggio ed il contesto intera-zionale e socio-culturale. Per quanto riguarda gli indici predittivi, l’analisi considera il periodo che va dal babbling canonico alla produzione di atti comunicativi fino all’et`a di 36 mesi, cut-off tra ritardo linguistico e DSL. Nella Parte II, ho cercato di evidenziare le interferenze e le intersezioni che i suddetti indici e variabili contestuali possono determinare nell’evoluzione linguistica ritardata. A tale scopo ho effettuato, nello Studio 1, un’anali-si con modello lineare generalizzato a misure ripetute (ANOVA) al fine di valutare l’influenza dei rischi putativi (sesso, familiarit`a, et`a della prima os-servazione e et`a di inizio del trattamento) e degli indici predittivi (ampiezza del vocabolario, inventario fonetico, LME e Gals) sulla produzione verbale di 32 soggetti identificati come Late Talkers presso la Fondazione Stella Maris di Calambrone, nell’arco di 3 tempi di valutazione. Effetti significativi sono stati riscontrati per le variabili contestuali di familiarit`a ed et`a di inizio del trattamento. Due dei soggetti LT hanno partecipato anche alla valutazione presentata nello Studio 2, centrata su un’analisi della performance sia ver-bale che non verver-bale, con particolare riferimento alla componente gestuale e della sincronia dello sguardo con il tutore durante una seduta di gioco elicitato e spontaneo per 2/3 tempi di valutazione. Effetti significativi sono emersi relativamente alla congruenza sincronica sia dello sguardo che del gesto.
I dati del presente lavoro confermano, anche se solo a partire da una valutazione della produzione spontanea del soggetto LT, una progressione rallentata ma non atipica del linguaggio verbale e non verbale. La dimen-sione gestuale, nel dettaglio, assume una valenza paritaria e non sostituiva come sarebbe logico supporre. Tale interrelazione di step cognitivi giustifica, dunque, una funzione del gesto quale indice predittivo di eventuale ritardo.
Indice
I 1
1 Il Late Talker 2
1.1 Il bambino late talker, un’introduzione. . . 2 1.1.1 Late Talker vs. Late Bloomer : discrimine temporale
tra disturbo temporaneo e persistente . . . 4 1.1.2 Le competenze extralinguistiche del Late Talker: dalla
pragmatica al gesto . . . 9 2 Rischi putativi dell’identificazione del ritardo linguistico 18
2.1 Le differenze di genere nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio . . . 20 2.2 L’evoluzione del linguaggio tra genere e geni . . . 26
2.2.1 Influenze genetiche sul linguaggio: dal FoxP2 al di-sturbo del linguaggio . . . 27 2.2.2 Nature vs. Nurture: la familiarit`a linguistica . . . 32 2.3 Il contesto interazionale e socio-culturale nello sviluppo del
linguaggio . . . 35 2.3.1 Lo status socio-economico nello sviluppo linguistico . 40 2.3.2 L’et`a della madre nello sviluppo linguistico del bambino 43 2.3.3 L’influenza dell’ordine di nascita nello sviluppo
lingui-stico . . . 44 2.3.3.1 L’ordine di nascita e il ritardo linguistico . . 46 2.3.4 L’incidenza della nascita pre-termine sullo sviluppo
linguistico . . . 48 2.3.4.1 Competenze linguistiche e nascita pretermine 50 3 Indici predittivi dell’identificazione del ritardo linguistico 54 3.1 La fase pre-linguistica: il babbling . . . 55
3.1.1 Babbling: frequenza, feedback e pratica. . . 59
3.2 Le prime realizzazioni tra comunicazione verbale e non verbale 61 3.2.1 Il gesto . . . 64
3.2.2 Gesto e ritardo linguistico . . . 68
3.2.3 Lo sguardo . . . 71
3.2.4 Sguardo e ritardo linguistico . . . 74
3.2.5 La produzione vocale: foni, fonemi e fonotassi. . . 75
3.2.6 Competenza fonemica e ritardo linguistico . . . 81
3.2.7 Sviluppo sillabico e ritardo linguistico . . . 83
3.3 Lo sviluppo lessicale espressivo . . . 85
3.3.1 Lessico e ritardo linguistico . . . 88
3.4 Lo sviluppo morfo-sintattico . . . 93
3.4.1 Morfo-sintassi e ritardo linguistico . . . 97
3.5 Lo sviluppo pragmatico . . . 99
3.5.1 Competenza pragmatica e ritardo linguistico . . . 101
3.6 Aspetti di neurolinguistica . . . 105 II 108 4 Studio I 109 4.1 Soggetti . . . 110 4.2 Materiali e metodi . . . 111 4.2.1 Strumenti d’analisi . . . 111
4.2.2 Metodologia adottata per l’analisi . . . 119
4.3 Risultati . . . 120
4.3.1 Analisi delle frequenze . . . 120
4.3.2 Analisi del modello lineare generalizzato a misure ri-petute (Anova) . . . 131
4.4 Discussione . . . 137
5 Studio II 139 5.1 Soggetti . . . 140
5.2 Materiali e metodi . . . 140
5.3 Valutazioni singole per soggetto. . . 143
5.3.1 Campione di controllo . . . 143
5.3.2 Soggetti LT . . . 170
5.4 Risultati . . . 177
5.4.1 Valutazioni preliminari: gruppo di controllo. . . 177
5.4.2 Risultati quantitativi sulle frequenze di produzione. . 178
5.4.3 Valutazioni quantitative comparate. . . 180
5.4.4 Risultati e valutazioni qualitative. . . 184
6 Conclusioni 195
Bibliografia 198
Elenco delle figure
1.1 Communicative gestures in children with delayed onset of oral expressive vocabulary (Thal and Tobias, 1992) (pp. 1284;1287) 15 2.1 Mean onset age (in months) of combinations with two or
mo-re arguments (A), combinations with a pmo-redicate and at least one argument (B), or combinations with two predicates (C), in gesture+speech (G+S) and speech+speech (S+S) combi-nations produced by boys (white bars) and girls (black bars). Oz¸cali¸skan and Goldin-Meadow (2010)(p.756) . . . 21 3.1 Media di parole prodotte nelle diverse fasce d’et`a. . . 86 3.2 Crescita della LME in 5 bambini in relazione all’et`a.
(Deve-scovi and Pizzuto, 1995) p. 265 . . . 94 3.3 Three-group analysis for children: Topic, focus and utterance
function.(Rescorla et al., 2001)p. 247 . . . 103 3.4 Three-group analysis for mothers: Topic, focus and utterance
function.(Rescorla et al., 2001)p. 246. . . 104 3.5 Mean activations by group in response to speech and print
during fMRI task in selected functionally defined brain re-gions.(Preston et al., 2010)p. 2193 . . . 106 4.1 Percentuali di occorrenza dei tipi sillabici(Bonifacio and
Ste-fani, 2010)(pag.30). . . 115 4.2 Percentuali di occorrenza delle classi fonologiche naturali di
Modo e di Luogo(Bonifacio and Stefani, 2010)(pag.30). . . 115 4.3 Percentuali di occorrenza delle classi fonologiche naturali di
Modo e di Luogo(Bonifacio and Stefani, 2010)(pag.30). . . 116 4.4 Analisi delle frequenze del Voc T1 . . . 123 4.5 Analisi delle frequenze del Voc T2 . . . 123
4.6 Analisi delle frequenze del Voc T3 . . . 124
4.7 Analisi delle frequenze del Fon T1 . . . 125
4.8 Analisi delle frequenze del Fon T2 . . . 125
4.9 Analisi delle frequenze del Fon T3 . . . 126
4.10 Analisi delle frequenze della LME T1 . . . 127
4.11 Analisi delle frequenze della LME T2 . . . 127
4.12 Analisi delle frequenze della LME T3 . . . 128
4.13 Analisi delle frequenze della Gals T1 . . . 129
4.14 Analisi delle frequenze della Gals T2 . . . 129
4.15 Analisi delle frequenze della Gals T3 . . . 130
5.1 Media mobile delle performance deittiche GC Vs. LT. Nella figura sono presenti l’et`a dei soggetti in ascissa e la produzione dei gesti deittici dichiarativi in ordinata. . . 180
5.2 Media mobile delle performance simboliche GC Vs. LT. Nella figura sono presenti l’et`a dei soggetti in ascissa e la produzione dei gesti simbolici in ordinata. . . 181
5.3 Media mobile della sincronia dello sguardo con il tutore GC Vs. LT. Nella figura sono presenti l’et`a dei soggetti in ascissa e la sincronia con lo sguardo del tutore in ordinata. . . 182
5.4 Media mobile della sincronia dello sguardo con l’esamina-tore/sperimentatore GC Vs. LT. Nella figura sono presen-ti l’et`a dei soggetti in ascissa e la sincronia con lo sguardo dell’esaminatore/sperimentatore in ordinata. . . 183
Elenco delle tabelle
2.1 Heritable developmental disorders affecting speech and lan-guage in Decoding the genetics of speech and lanlan-guage
(Gra-ham and Fisher, 2012)(pag.2) . . . 30
4.1 Inventario fonetico in sede iniziale (IN) e mediana (IV) di parola a 18, 21, 24 e 27 mesi attestati in almeno il 50% dei bambini (*foni attestati in oltre il 90% degli inventari indivi-duali: 10/11 bambini a 18 mesi, 12/13 bambini per i restanti mesi)(Bonifacio and Stefani, 2010)(pag.30). . . 114
4.2 Statistica descrittiva delle frequenze: I fattori fissi . . . 121
4.3 Statistica descrittivo/evolutiva dei test valutativi: Ampiezza del vocabolario . . . 122
4.4 Statistica descrittivo/evolutiva dei test valutativi: Inventario fonetico . . . 124
4.5 Statistica descrittivo/evolutiva dei test valutativi: LME . . . 126
4.6 Statistica descrittivo/evolutiva dei test valutativi: Gals . . . . 128
5.1 Inventario fonetico Francesca T1 (20 mesi) . . . 146
5.2 Inventario fonetico aggiuntivo Francesca T2 (22 mesi) . . . . 147
5.3 Inventario fonetico Francesca T3 (25 mesi) . . . 149
5.4 Inventario fonetico Ivan T1 (22 mesi) . . . 151
5.5 Inventario fonetico Ivan T2 (24 mesi) . . . 153
5.6 Inventario fonetico Ivan T3 (27 mesi) . . . 153
5.7 Inventario fonetico Bobo T1 (24 mesi) . . . 156
5.8 Inventario fonetico Bobo T2 (26 mesi) . . . 157
5.9 Inventario fonetico Bobo T3 (29 mesi) . . . 158
5.10 Inventario fonetico Giuseppe T1 (27 mesi) . . . 161
5.11 Inventario fonetico Giuseppe T2 (29 mesi) . . . 163
5.13 Inventario fonetico Marco T1 (30 mesi) . . . 167
5.14 Inventario fonetico Marco T2 (32 mesi) . . . 168
5.15 Inventario fonetico Marco T3 (31 mesi) . . . 170
5.16 Inventario fonetico Nicola 1 (29 mesi) . . . 172
5.17 Inventario fonetico Nicola 2 (31 mesi) . . . 174
5.18 Inventario fonetico Maria 1 (36 mesi) . . . 176
5.19 Quantitativi della performance gestuale e sincronica dello sguar-do al T1 . . . 178
5.20 Quantitativi della performance gestuale e sincronica dello sguar-do al T2 . . . 179
5.21 Quantitativi della performance gestuale e sincronica dello sguar-do al T3 . . . 179
5.22 Funzione del gesto deittico al T1 . . . 186
5.23 Funzione del gesto deittico al T2 . . . 187
5.24 Funzione del gesto deittico al T3 . . . 187
5.25 Funzione del gesto simbolico al T1 . . . 188
5.26 Funzione del gesto simbolico al T2 . . . 189
5.27 Funzione del gesto simbolico al T3 . . . 189
5.28 Funzione della sincronia dello sguardo col tutore al T1 . . . . 190
5.29 Funzione della sincronia dello sguardo col tutore al T2 . . . . 191
5.30 Funzione della sincronia dello sguardo col tutore al T3 . . . . 191
5.31 Funzione della sincronia dello sguardo con l’esaminatore/ spe-rimentatore al T1 . . . 192
5.32 Funzione della sincronia dello sguardo con l’esaminatore/ spe-rimentatore al T2 . . . 192
5.33 Funzione della sincronia dello sguardo con l’esaminatore/ spe-rimentatore al T3 . . . 193
CAPITOLO
1
Il Late Talker
Ogni colore che noi vediamo nasce dall’influenza del suo vicino Claude Monet
1.1
Il bambino late talker, un’introduzione.
Per quanto ossimoriche possano risuonare, guardare senza vedere e senti-re senza ascoltasenti-re sono associazioni possibili in una qualunque interazione. Si pensi invece all’ipotesi stridente di parlare senza comunicare. Parlare e comunicare sono due domini che non possono non intersecarsi dando vita al nucleo di buona parte della pi`u scontata, e al contempo mastodontica, capacit`a dell’essere vivente. Sottolineare il legame tra parlare e comunicare non significa ridurre il linguaggio ad uno strumento, ma piuttosto evidenzia-re il suo tratto funzionale, sociale, per ripevidenzia-rendeevidenzia-re la posizione di Vygotskij, al fine di analizzarne tutte le sfaccettature che concorrono alla sua realiz-zazione, cos`ı come si fa con un quadro dell’impressionismo scientifico, una realizzazione puntinista, dove ogni parte risulta indispensabile per la totalit`a dell’opera.
La prospettiva evoluzionista biologica ed adattazionista, e la contropar-te proposta dal cosiddetto “creativismo chomskiano”si fanno portavoce del linguaggio quale capacit`a specie-specifica, ma la comunicazione racchiusa in un semplice atto linguistico `e molto pi`u di una stringa di sintagmi che si sus-seguono per dar vita ad un enunciato foneticamente e sintatticamente ben formato, frutto di un probabile adattamento, o meglio transadattamento biologico (Graffi, 2008). La comunicazione strettamente linguistica `e intrec-ciata in maniera imprescindibile alla sua interfaccia extralinguistica: passa attraverso il caleidoscopio del pensiero e si concretizza in una
realizzazio-ne che pu`o essere definita un prodotto finito di un processo complesso, in cui entrano in gioco, connettendosi, le competenze dell’individuo che vuole veicolare un’informazione. A tal proposito, la letteratura ha spesso scelto il bambino quale rappresentante del punto nodale su cui centrare un’analisi linguistica, specificamente acquisizionale. Egli presenta le tappe linguistiche che si possono a pieno titolo definire evoluzioniste e universaliste, etichet-te indipendenti dalla posizione generativista, e contribuisce a delineare un continuum reiterato in cui alle tappe ontogenetiche del singolo individuo corrispondono quelle filogenetiche della sua specie.
Per il bambino, imparare a parlare significa acquisire ed “usare il linguag-gio”, e tutto questo avviene in un tempo relativamente e sorprendentemente breve. Tale processo, che in base alle diverse competenze linguistiche prese in considerazione, come il noto scontro tra componente semantica e foneti-ca, pu`o o meno protrarsi per tutto l’arco della vita dell’individuo, potrebbe non presentare quel carattere “esplosivo” iniziale caratteristico del bambino intorno ai 18-20 mesi.
Il presente lavoro `e dedicato all’analisi di quei soggetti che in letteratura, a partire dalla met`a degli anni '70 e '80 del secolo scorso, vengono definiti come Late Talkers (LT, tradotto in italiano come Parlatori Tardivi, PT). Si tratta di bambini che, gi`a all’et`a di 18 mesi, presentano una fase di par-tenza linguistica rallentata, generalmente associata alla parte comunicativo-produttiva, in assenza di deficit uditivi, di ritardi neuro-evolutivi ed affet-tivi. E’ tuttavia possibile una compromissione della controparte recettiva. Gli studi di Fabrizi et al. (2003), e di Cipriani et al. (2002b) su bambini con Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) a 4 anni sottolineano come una comprensione carente e persistente presenti un carattere compromesso gi`a tra i 24 e i 30 mesi, con una progressione rallentata, nonch´e atipica1 gi`a nelle fasi pi`u precoci e con risvolti successivi pi`u gravi. Tuttavia, per`o, `e l’assenza del linguaggio espressivo ad essere il primo campanello d’allarme tanto per il genitore quanto per il clinico.
Nel dettaglio, tale ritardo si manifesta, esplicitamente a 24 mesi, come mancanza di una produzione stabile di parole con significato riconosciuto, uno sviluppo lento caratterizzato da un incremento mensile di poche paro-le, contestualmente all’assenza di forme comunicative di transizione, ovvero combinazione di gesti e parole, e successivamente della fase combinatoria o presintattica. Quest’ultima, tipica dello sviluppo tra 19 e 24 mesi, e caratte-rizzata da una lunghezza media d’enunciato (LME) pari a 1.2-1.7, dovrebbe presentare associazioni di 2 o pi`u parole in forma di “olofrasi in successione”o di combinazioni telegrafiche, ma ancora prive di predicato verbale. Ne sono un esempio realizzazioni quali “pappa pi`u”, oppure “bimbo d`a”, e ancora le
1Il carattere atipico non va inteso come diverso o deviante rispetto a quello tipico,
ma la sua accezione `e ben salda sul suo carattere di ritardo rispetto all’et`a cronologica, ovvero il LT percorre le stesse tappe del soggetto con sviluppo tipico, ma presenta tempi di comparsa successivi.
combinazioni cross-modali e transazionali. Nel primo caso si fa riferimento a successioni di parola e gesto, mentre nel secondo a costruzioni verticali in cui la singola parola del bambino `e agganciata ed estesa dalla produzione della madre. Un’interazione caratterizzata da estensione si presenta come segue:
Madre: andiamo Bambino: nonna
Madre: s`ı, andiamo da nonna Bambino: brumbrum
Madre: s`ı, andiamo con la macchina
Per quanto riguarda la diffusione del fenomeno, gli studi relativi al Late Language Emergence (LLE) propongono una stima di soggetti LT pari al 10% - 20%, tra i 24 ei 29 mesi (Henrichs et al., 2011). L’aspetto alquanto comune del fenomeno fa s`ı che tale condizione venga generalmente conside-rata temporanea e caratterizzata da una prognosi positiva. In effetti, diverse indagini mostrano che quasi la met`a dei soggetti LT recupera il ritardo, rag-giungendo i coetanei intorno ai 3 anni, con l’ingresso alla scuola materna. `E importante per`o far luce anche sull’altra faccia della medaglia, ovvero sul-l’altra met`a dei soggetti LT che continua a presentare problemi, non solo linguistici espressivi, ma recettivi, relativi all’ambito dell’apprendimento e a quello sociale, i futuri DSL e DSA, ovvero soggetti che presentano Disturbo Specifico del Linguaggio e dell’Apprendimento.
1.1.1 Late Talker vs. Late Bloomer : discrimine temporale tra disturbo temporaneo e persistente
All’interno del profilo del LT che si sta cercando di delineare confluirebbe-ro, quindi, non solo i soggetti che presentano un ritardo temporaneo, ma anche quelli il cui ritardo `e persistente, in quanto segno diagnostico di un disturbo pi`u consistente, che pu`o andare dalla disprassia all’autismo. L’am-piezza di tale spettro ha spesso reso problematica non solo la valutazione, ma anche la scelta di intervento. Ad oggi, l’intervento precoce, suggerito da neuropsichiatri dell’et`a evolutiva e logopedisti, si scontra con altre tipologie di “sorveglianza” pediatrica, ovvero il Wait-and-see Approach. Intervenire precocemente non significa essenzialmente sottoporre ad una terapia riabi-litativa un soggetto che evidenzia ritardo linguistico di tipo espressivo, ma significa inizialmente monitorare, portando avanti Watch-and-see Approach che con una cadenza bimestrale osserva l’andamento evolutivo del linguaggio in modo da valutare la necessit`a effettiva di un intervento. Tale posizione si scontra dunque con l’approccio tipicamente conosciuto come Wait-and-see Approach, caratterizzato da un’aspettativa positiva di emergenza del linguaggio entro i 3 anni, generalmente contestuale all’ingresso alla scuola
materna. Un approccio del genere potrebbe essere idoneo ad una valutazione comportamentale, ma di certo non focalizza l’obbiettivo su diverse compo-nenti linguistiche. Ora, nonostante la forte variabilit`a nella letteratura e nella pratica di intervento, tanto nei tempi quanto nei termini, `e tuttavia possibile tracciare delle linee di demarcazione che sottolineano peculiarit`a evolutive dei soggetti che presentano ritardo linguistico.
Lo studio di Henrichs et al. (2011), ad esempio, sottolinea come i soggetti con LLE si dividano in Late Bloomers (LB) e in Persistent Language Delayed Children (bambini con ritardo persistente). I LB presentano una fase di partenza rallentata, che pu`o essere descritta come un ritardo transitorio a 18 mesi, ma un ritmo di sviluppo adeguato e una sbocciatura linguistica intorno ai 30 mesi. I bambini con ritardo persistente, oltre al ritardo nella partenza, continuano, anche a 30 mesi, a progredire nel linguaggio con un incremento mensile di poche parole.
La consistenza di prove sulla possibile divisione tra soggetti LT e LB, prove che hanno evidenziato il caratterepositivo˝del ritardo linguistico, `e comunque caratterizzata da una forte variabilit`a dell’et`a del recupero spon-taneo. All’interno del macrogruppo dei soggetti analizzati con test sul voca-bolario espressivo, si presenta una situazione di recupero spontaneo, e quindi caratteristica dei soggetti LB, che varia da un minimo di 50% entro i 3 anni (Rescorla and Schwartz, 1990) fino ad un massimo dell’88% entro i 3;6 an-ni (Whitehurst et al., 1991a), con una proporzione decrescente di bambian-ni con ritardo nell’acquisizione del vocabolario espressivo in relazione all’et`a. Il recupero, per`o, come evidenzia l’utilizzo di test centrati sull’ampiezza del vocabolario, non `e predittivo di un ulteriore incremento delle capacit`a relative al Developmental Sentence Score (DSS)2, nonostante il contestua-le raggiungimento di un vocabolario recettivo e una LME appropriata per l’et`a. Nel dettaglio, Rescorla and Schwartz (1990) sostengono che il ritardo nell’acquisizione del vocabolario espressivo nei soggetti LT sia tipico dei pri-missimi anni, e che il loro recupero avvenga ancor prima di aver acquisito abilit`a sintattiche e morfologiche pari ai coetanei. Tale carenza sintattica si manifesterebbe nella tendenza a costruire enunciati lunghi in cui i sintagmi si susseguono senza una marca morfemica grammaticale. Traslata sul piano longitudinale, tale ipotesi sarebbe conforme con la possibilit`a di riscontrare un divario nel 40% dei soggetti anche all’et`a di 4 anni (Dale et al., 2003).
2Per Developmental Sentence Score (DSS) si intende la procedura clinica, centrata
sull’acquisizione sintattica, attraverso cui si valuta lo stato ed il progresso del training linguistico a cui `e sottoposto il soggetto. L’analisi si focalizza sulla video registrazione di una produzione spontanea, e d`a al clinico tanto la possibilit`a di individuare il limite massimo a cui il soggetto `e arrivato nella generalizzazione di regole grammaticali utiliz-zate nella costruzione dell’enunciato, quanto quella di creare una procedura di ulteriore incremento ad hoc e graduale per importanza sintattica. Si cercher`a di incrementare, nell’ordine, l’utilizzo di pronomi, verbi, forme negative, congiunzioni, domande polari e domande aperte.
Dunque, partendo dalla evidente relativit`a del recupero, `e importante, gi`a a 18 mesi, vigilare sull’eventuale assenza del linguaggio, contestualmente ad una focalizzazione dei fattori che possono tanto incidere quanto esserne concausa. Si ricordino, pertanto, fattori biologici, fattori di contesto qua-le l’interazione dei genitori nella stimolazione ambientaqua-le, e aspetti socio-demografici che possono combinarsi con una predisposizione genetica, come sembra segnalare la scoperta dell’incidenza della familiarit`a.
Sulla base di quanto detto finora, il discrimine temporale tra disturbo transitorio e disturbo persistente pu`o fissarsi, pi`u o meno all’unanimit`a, a 36 mesi. Il soggetto che a questa et`a ancora presenta ritardo nel linguaggio non viene pi`u definito LT, ma DSL, sulla base selettiva della componen-te linguistica deficitaria. Sebbene apparencomponen-temencomponen-te scontato, `e importancomponen-te sottolineare che un ritardo linguistico tra i 30 ed i 35 mesi ha un peso mag-giore rispetto ad un’individuazione precoce, soprattutto ai fini del recupero. Individuare ed intervenire precocemente significa tener conto della plasti-cit`a cerebrale del soggetto, in particolare del processo di mielinizzazione che, parallelamente al successivo pruning neuronale, comincia, gi`a intorno ai 21/24 mesi, ad avere una sempre maggiore incidenza sulla cristallizzazione dei processi evolutivi delle aree cerebrali deputate a funzioni specifiche, tra cui quelle linguistiche.
Per quanto riguarda l’identificazione del ritardo, la letteratura concorda nel fissare a 24 mesi il discrimine temporale con una divisione tra criteri linguistici e clinici. Nel primo caso, si fa riferimento ad un vocabolario espressivo ≤ alle 50 parole, parallelamente all’assenza di combinazione di due parole. Nel secondo caso, invece, il soggetto deve risultare nella norma agli esami neurologici, sensoriali, del quoziente cognitivo non verbale, nonch´e non presentare disturbi uditivi, relazionali e di deprivazione ambientale.
La produzione linguistica `e caratterizzata da un crescendo cognitivo ed esperienziale. Nello specifico, se il bambino con sviluppo tipico, nella fase plinguistica, tra gli 8 e i 10 mesi, presenta il babbling canonico o re-duplicato, indicatore predittivo dell’ampiezza del vocabolario e del successi-vo sviluppo linguistico, la sua assenza intorno al 10° mese pu`o essere predit-tivo di DSL, di disordini di tipo fonologico, di disprassia e di dislessia, il cui primo segno clinico sar`a, ovviamente, l’assenza del linguaggio espressivo. Il babbling, dunque, rappresenta il trampolino di lancio per la successiva pro-duzione delle prime parole. La cristallizzazione di sillabe specifiche, seguita dalla fase di astrazione e successiva concretizzazione contestuale in cui ad una facies sonora ne corrisponde una semantica, non pu`o prescindere dalla serie di vocalizzazioni sillabate che esplodono nei bambini che ancora non muovono i primi passi. La fase successiva di produzione cosciente `e un com-pito oltremodo complesso, condizionato da pi`u fattori di origine percettiva e cognitiva. Dietro la complessit`a semantica ed articolatoria di ogni parola si celano il significato sociale ed emotivo che essa riveste per ogni bambino, parallelamente al numero di volte in cui il soggetto vi `e esposto.
Creare una commistione tra dimensioni apparentemente a s´e stanti, ov-vero tra significante e significato, volendo riprendere una prospettiva saus-suriana del segno linguistico, e traslarla nella produzione delle prime parole del bambino, evidenzia un approccio linguistico-acquisizionale di tipo usage-based della costruzione del linguaggio (Tomasello, 2003). In altre parole, ci`o che il bambino produce oralmente passa attraverso un caleidoscopio di prismi cognitivi e sfumature contestuali degli input a cui viene esposto.
Le teorie linguistiche moderne ed i modelli linguistici di riferimento del-la linguistica acquisizionale muovono i primi passi all’interno del paradigma comportamentista, presentato negli anni ’50 del secolo scorso da Skinner. Secondo tale posizione teorica, il comportamento verbale si servirebbe de-gli stessi stimoli dell’apprendimento comportamentale. Da ci`o deriva che i bambini imparano parti del linguaggio attraverso condizionamenti strumen-tali, basati su principi di associazione, e poi generalizzano quanto acquisito a nuovi stimoli per il principio di induzione. A questo pattern di stimolo-risposta, la linguistica generativo-trasformazionale di Chomsky risponde, agli inizi degli anni ’60, presentando una serie di principi della grammatica tanto astratti ed arbitrari da non poter essere raggiunti dal bambino per mezzo di associazione o induzione. Partendo dal presupposto che il linguag-gio a cui i bambini vengono esposti non `e altro che una serie di enunciati individuali, egli attribuisce ad una Grammatica Universale innata il ruolo di guida tra i meandri dei principi astratti al fine del processo acquisitivo.
L’argomento principe del noto Principio della Povert`a dello Stimolo, in-fluenza la ricerca della linguistica acquisizionale tra gli anni ’60 e ’70, fino a quando si scontra con le costruzioni Pivot presentate da Braine negli stessi anni. Queste ultime, approccio finalmente concreto dell’analisi acquisiziona-le, potrebbero essere considerate l’anello mancante tra il tratto esperienziale nato dall’esposizione al contesto e la successiva concretizzazione e produzio-ne astratta simil-adulta. In altre parole, dall’analisi di frasi come “More juice”e “Doggie gone””emerge una costruzione astratta sottostante costitui-ta su elementi concreti interscambiabili: una volcostitui-ta acquisito lo scheletro della costruzione, al bambino toccher`a solo sostituire l’elemento gi`a esistente nella sua memoria con quello necessario alla situazione comunicativa contingen-te. Ora, ammettere un qualche grado di astrazione linguistica nel bambino determina un rapido cambio di prospettiva nei modelli di riferimento della linguistica acquisizionale, tanto da far pensare addirittura a delle congruenze tra le astrazioni del bambino e quelle dell’adulto, come riassume la continuity assumption di Pinker,
that basic linguistic rapresentations are the same throughout all stage of child language development - since they come ulti-mately from a single universal grammar (Pinker, 1984)
Molto `e cambiato nell’arco degli ultimi vent’anni. L’accostamento di discipline quali la psicologia e le scienze cognitive alla linguistica hanno
da-to un contribuda-to essenziale alla ri-valutazione del processo acquisizionale. Tale processo, infatti, pi`u che essere visto come selezionato da semplici pro-cessi di associazione ed induzione, sembra essere integrato ad altre abilit`a cognitive e socio-cognitive, tra le quali, ad esempio, la Teoria della Mente, presenti gi`a tra i 9 ed i 12 mesi d’et`a. Si tratta del raggiungimento gra-duale di step cognitivi e di abilit`a necessarie ai bambini per acquisire l’uso appropriato di un qualsiasi stimolo, linguistico o meno, che fornisce le basi per i pi`u complessi principi di astrazione e successiva concretizzazione dei pattern simil-adulti. Nel caso specifico, sono le basi per la costruzione della competenza linguistica.
L’interpretazione connessionista di alcuni dei recenti studi di neuroimma-gine (Preston et al., 2010) (Tettamanti et al., 2005) (Galaburda et al., 2006) non fa altro, a mio avviso, che confermare tale prospettiva, sottolineando il sempre maggior divario con un approccio pi`u squisitamente generativista e modularista, corrodendo il piedistallo su cui si erge il principio della Povert`a dello Stimolo. L’approccio costruzionista, talvolta contestualmente a quel-lo connessionista, presenta in termini concreti, sebbene dai confini ancora apparentemente sfumati, le fasi evolutive del linguaggio. La rete neurale, nodo del connessionismo, ripropone, ad esempio, la fase successiva all’esplo-sione delle parole in termini di interazione tra sistema fonologico e lessicale, modulandolo tanto sull’et`a quanto sulla “massa critica” di parole che com-prendono una gamma di fonemi e strutture sillabiche diverse. Una volta partita l’interazione, intorno ai 24 mesi, lo sviluppo e l’incremento lessica-le si accompagnano ad un cambio di target che ha un forte riscontro nella facies fonologica. Nel dettaglio e presupponendo un vocabolario superiore alle 50 parole, il target non `e pi`u la parola nella sua totalit`a, ma la parola nella sua forma fonetica relativamente stabile, caratterizzata da precise cor-rispondenze segmentali con la produzione adulta (cfr. Vihman et al. (2009); Pharr and Ratner (2000)).
Traslando il tutto sul piano di un’evoluzione linguistica rallentata ti-pica del LT, dall’interazione emergono aspetti peculiari atipici quali: un incremento minimo di parole rispetto all’et`a cronologica relativo alla com-ponente lessicale, e un’intelligibilit`a generalmente inferiore al 50% rispetto agli enunciati prodotti, nella controparte fonologica. Tale carenza potreb-be segnalare un’incapacit`a d’acquisizione del sistema fonologico della lingua; pertanto, diversi ricercatori hanno proposto di attribuire un ruolo centrale ai dati relativi alle diverse abilit`a fonologiche, tanto come indicatori prognostici dello sviluppo quanto come monitoraggio del recupero durante l’intervento (Orsolini, 2000).
Il quadro descrittivo del soggetto LT si chiude con l’ultimo discrimine temporale a 36 mesi, meglio definito come cut-off tra LT e DSL. A quest’et`a, infatti, il ritardo persistente risulta caratterizzato da una crescita del voca-bolario espressivo che si mantiene nei limiti inferiori della gamma rispetto all’et`a, parallelamente persistendo un nominal/verbal morpheme d´ecalage,
ovvero una bassa percentuale di predicati rispetto alla dimensione totale del vocabolario, un ridotto inventario consonantico, un’intelligibilit`a dell’eloquio pari al 70%, nonch´e una strutturazione sintattica e morfosintattica prema-tura3 caratterizzata dalla semplice giustapposizione di parole (Rescorla and Roberts, 2002).
1.1.2 Le competenze extralinguistiche del Late Talker: dalla pragmatica al gesto
Dal contrasto con un approccio prevalentemente linguistico di stampo ge-nerativista, non si pu`o escludere il ruolo fondamentale della componente pragmatica ed esperienziale, in accordo con il modello usage-based del pre-sente lavoro. Dall’analisi di studi trasversali emerge che, talvolta, anche le abilit`a socio-conversazionali assertive e responsive dei soggetti LT negli scambi conversazionali diadici quotidiani risultano immature rispetto all’et`a cronologica.
Per assertivit`a s’intende il fulcro dell’interazione nello scambio conver-sazionale caratterizzato da un’iniziativa spontanea da parte del bambino. L’adulto ha il compito di sintonizzarsi sui comportamenti comunicativi del bambino relativamente alla proposta di un argomento di interesse, al com-mento di oggetti, figure ed eventi, al formulare richieste di aiuto, di azione, di attenzione riguardo ad un oggetto o ad un evento, e al fare domande. Per quanto riguarda la controparte responsiva, il punto nodale dell’intera-zione nello scambio conversazionale si focalizza sull’iniziativa dell’adulto. In questa prospettiva `e il bambino che deve sintonizzarsi sull’input linguistico dell’adulto e comprendere il significato di quanto gli viene comunicato per prendere il proprio turno conversazionale, rispondere a richieste e a doman-de, mantenere la contingenza del discorso per uno o pi`u scambi consecutivi sull’argomento proposto. I comportamenti assertivi e responsivi possono es-sere esibiti dal bambino con modalit`a verbale o non verbale (Bonifacio et al., 2012).
Dallo studio di Bonifacio et al. (2012) effettuato su soggetti con svilup-po tipico del linguaggio, tra i 12 e i 24 mesi, emerge in primo luogo che le abilit`a socio-conversazionali verbali e non verbali incrementano col tempo in modo significativo, evidenziando aspetti peculiari di ogni fascia d’et`a presa in analisi, senza differenze statisticamente significative per sesso o per livello d’istruzione della madre. Evidenziare che a 24 mesi n´e l’assertivit`a n´e la re-sposivit`a raggiungono livelli tetto lascia intendere che ogni comportamento comunicativo richiede tempi di maturazione diversi. Una distinzione nel-lo sviluppo delle macro-categorie emerge dal successivo studio di Bonifacio
3Anche in questo contesto, termini quali prematuro e immaturo vanno collocati in una
dimensione semantica che si correla all’et`a cronologica. La produzione del bambino LT risulter`a prematura e/o immatura dal confronto con un gruppo di controllo, costituito da soggetti con sviluppo tipico del linguaggio, di pari et`a cronologica.
et al. (2013), in cui si sottolinea come le abilit`a socio-conversazionali di tipo assertivo si sviluppino pi`u lentamente rispetto a quelle responsive. Allar-gando il campione fino all’et`a di 36 mesi, gli autori dividono le competenze tra “acquisite”e “in fase di acquisizione”, in base alla frequenza con cui tali comportamenti vengono esibiti in soggetti a sviluppo tipico del linguaggio. Inoltre, dall’analisi delle scale di assertivit`a e di responsivit`a emerge che la competenza pi`u critica, ovvero quella acquisita pi`u lentamente, riguarda il “Fare Proposte”: competenza caratterizzata dall’interazione spontanea da parte del bambino che sembra stabilizzarsi solo dopo i 3 anni d’et`a. Per quanto riguarda la scala di responsivit`a, l’abilit`a pi`u critica, ma abbastanza stabile gi`a tra i 33 ed i 36 mesi, consiste nel “Mantenere la Contingenza”: ri-sposte contingenti evidenziano il grado di processazione dell’input linguistico da parte del bambino, ovvero l’attenzione agli aspetti prosodici, semantici e sintattici.
E’ alquanto chiaro che un livello alto di abilit`a pragmatiche pu`o soste-nere lo sviluppo di un linguaggio funzionale, mentre un livello basso delle stesse abilit`a, causato dalla scarsa variet`a di atti comunicativi, possa essere un problema per l’acquisizione del linguaggio verbale, diramazione che ap-pare particolarmente evidente in soggetti con ritardo linguistico. Uno studio precedente di Bonifacio et al. (2007) aveva riscontrato che soggetti LT ri-portavano punteggi significativamente pi`u bassi relativamente all’assertivit`a rispetto al gruppo di controllo di pari et`a cronologica e non significativamen-te dissimili al gruppo di controllo con uguale dimensione del vocabolario. Per quel che riguarda la responsivit`a, emergevano risultati significativamen-te pi`u bassi rispetto al gruppo di controllo con pari et`a cronologica. Anche nel caso del ritardo linguistico, la parte pi`u compromessa sembra relativa alla dimensione assertiva, dato che sottolinea ancora una volta un’insorgen-za del linguaggio di tipo rallentato pi`u che un disordine. Inoltre, nel 41% dei soggetti l’immaturit`a di tale componente socio-conversazionali tende a peggiorare con l’avanzare dell’et`a, preludendo a difficolt`a in ambito sociale e nel successivo apprendimento scolastico (Bonifacio and Girolametto, 2007). Le difficolt`a linguistiche e, nel caso specifico, il ritardo linguistico di tipo espressivo o espressivo-recettivo, non prevedono necessariamente un’i-nadeguatezza nella comunicazione e nell’uso del linguaggio. La letteratura presenta diverse prospettive di ricerca relative alla diretta corrispondenza tra livello linguistico e abilit`a comunicative/conversazionali, che valutano l’atteggiamento del parlante4. A tal proposito, emerge un aspetto peculiare
emblematico: il soggetto LT che, come ho gi`a sottolineato, presenta una lenta progressione linguistica, diventa man mano sempre pi`u cosciente della difficolt`a di condurre anche la pi`u banale delle interazioni. Studi
longitudina-4Per atteggiamento del parlante si intende l’insieme delle risorse linguistiche
(pa-role, espressioni, ma anche elementi morfologici, ecc.) che manifestano il modo, ov-vero la modalit`a con cui il parlante si approccia all’enunciato prodotto, o all’atto dell’enunciazione.
li, che si focalizzano su bambini con disturbo linguistico di tipo persistente, sottolineano l’adozione di tecniche alternative di comunicazione, dettate dal-la necessit`a di glissare sulla componente deficitaria. Gli studi di Fey (1986) e di Lahey (1988), ad esempio, avevano identificato soggetti con deficit lin-guistici come comunicatori carenti rispetto ad un gruppo di controllo per et`a cronologica, ma al pari di bambini con un’et`a cronologica inferiore. Tali ri-scontri, focalizzandosi sui successivi riscontri d’integrazione sociale, non solo sottolineano la necessit`a di una valutazione che tenga conto di ogni compo-nente, da quelle pi`u strettamente linguistiche a quelle extra-linguistiche, ma di un’analisi che prenda in considerazione gli aspetti comportamentali che possono incidere su una particolare attitudine linguistica. Infatti, nei lavori di Hazen and Black (1989, 1990) centrati sull’assertivit`a di tipo verbale, le abilit`a comunicative sono state associate allo status sociale, in particolare al successo sociale dei bambini in et`a prescolare. Nel primo studio, emergeva che soggetti con maggiore successo sociale non solo sono pi`u inclini ad ini-ziare una conversazione, ma anche tendono a rivolgersi a pi`u interlocutori coetanei. Nel follow-up dell’anno successivo, gli autori valutano gli stessi parametri, integrando i dati precedenti con i riscontri dati dalla valutazione dei bambini con minore successo sociale. Durante l’interazione con coeta-nei, questi ultimi, come era prevedibile, non solo offrivano delle performance meno responsive ed erano meno inclini ad intavolare scambi comunicativi, ma anche tendevano a proporre interventi irrilevanti rispetto al gruppo di controllo.
Continuando a mappare le componenti linguistiche ed extra-linguistiche, e la loro incidenza sulle capacit`a comunicative, emerge un altro punto inte-ressante su cui la letteratura `e pi`u o meno discorde: il gesto. Sono diverse le prospettive teoriche che fanno luce sull’importanza della comunicazio-ne non verbale, in particolare comunicazio-nella corrispondenza tra gestualit`a deitti-co/dichiarativa ed acquisizione del linguaggio, ipotizzando una continuit`a tra dimensione gestuale e verbale, che va dalla mano alla bocca (Corballis, 2008).
Alla conclamata correlazione positiva tra la produzione del gesto deitti-co/dichiarativo e la comprensione a 12 e 16 mesi (Bates et al., 1979), e tra il gesto e l’ampiezza del vocabolario a 20 mesi (Camaioni et al., 1991a), va aggiunto che i bambini che fanno maggior uso del gesto deittico/dichiarativo in et`a precoce, e quindi gi`a a 12 mesi, sono quelli che dopo pochi mesi ri-sulteranno pi`u avanti nello sviluppo linguistico. Il gesto, in un periodo in cui il vocabolario `e ancora limitato per una questione cronologica o di ritar-do, rappresenta la modalit`a preferenziale per dirigere e creare un’attenzione congiunta con l’interlocutore su cose e persone la cui etichetta non `e an-cora in possesso del futuro parlatore. Le basi socio-cognitive comuni tra gesto deittico/dichiarativo e linguaggio sottolineano il carattere predittivo del gesto relativamente al ritardo linguistico. Ci`o significa che, se l’intenzio-ne dichiarativa racchiusa l’intenzio-nel gesto deittico costituisce una tappa importante
del generale sviluppo comunicativo, la sua assenza va interpretata come cam-panello d’allarme, come indice di rischio per lo sviluppo, tanto comunicativo in generale, quanto linguistico in particolare.
Dal confronto clinico, presso la Fondazione “Stella Maris”, di soggetti che alla mancanza di linguaggio espressivo associano un lieve ritardo men-tale o disturbi all’apparato fono-articolatorio, ho potuto appurare l’emerge un uso del gesto co-verbale per sopperire alla difficolt`a di recupero lessicale. In particolare, in casi di lieve ritardo mentale associato ad aprassia o a di-sprassia, il soggetto tenderebbe ad adottare una strategia di comunicazione gestuale sostitutiva, o, quando possibile, ad apprendere la LIS. Contestual-mente, per quanto riguarda soggetti esclusivamente disprassici, la strategia comunicativa di tipo gestuale appare inizialmente molto pi`u vicina ad una sorta di homesign, in quanto il soggetto, sempre pi`u cosciente della propria difficolt`a, tende a chiudersi verbalmente, aprendosi ad una gestualit`a che si potrebbe definire alternativa 5. Ad esempio, sottoposto ad una scelta tra
due opzioni, T.(43 mesi, e con un punteggio al PVB6di produzione pari a 12 parole, di cui 2 onomatopee) propone, timidamente, una risposta gestuale in cui associa un valore numerico manuale alle due opzioni: scelta alter-nativa data dalla sempre maggiore consapevolezza della propria difficolt`a articolatoria.
L’adozione di strategie comunicative di tipo gestuale nei soggetti LT de-linea peculiarit`a di utilizzo diverse tanto da quelle dei soggetti che adottano la LIS per ritardo mentale, quanto da quella di soggetti disprassici. A rigore di logica, ci si potrebbe aspettare un maggiore ricorso alla comunicazione gestuale da parte dei soggetti LT rispetto a soggetti con sviluppo tipico del linguaggio, per sopperire, come sottolineato in precedenza, al mancato recu-pero lessicale. `E necessario per`o creare una distinzione, seppure inizialmente grossolana, tra gesti deittici e gesti simbolici, in termini di produzione paral-lela allo sviluppo cognitivo e astrazione simbolica alla base della produzione verbale. Il gesto deittico, di tipo dichiarativo, appare abbastanza precoce-mente nel bambino, e ovviaprecoce-mente prima della produzione verbale. La sua controparte propositiva presuppone un avanzamento cognitivo, in quanto il bambino deve avere la percezione che il suo gesto pu`o provocare una reazione
5L’utilizzo del termine alternativo non va qui confuso con la Comunicazione
Alterna-tiva e AumentaAlterna-tiva (C.A.A.). Nel primo caso si fa riferimento ad una gestualit`a di tipo sostitutivo, mentre nel secondo il termine viene utilizzato per descrivere l’insieme di tec-niche, conoscenze, strategie e tecnologie che facilitano e aumentano la comunicazione in soggetti con difficolt`a nel linguaggio orale e nella scrittura. Nel dettaglio, viene definita Aumentativa perch´e non si limita a sostituire o a proporre nuove modalit`a comunicative, ma analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per aumentare le stesse. La sua controparte Alternativa consiste nell’avvalersi di particolari ausili e di una tecnologia avanzata per stimolare l’apprendimento, anche a livello cooperativo.
6
Primo Vocabolario del Bambino, test di valutazione delle competenze linguistiche dai 18 ai 36 mesi tramite report genitoriale (Caselli and Casadio, 1995). Per un’attenta analisi rimando alla sezione Materiali e Metodi del Capitolo 4.
nel suo interlocutore (cfr. Teoria della Mente). Ora, per passare dal gesto deittico, dichiarativo o richiestivo, al gesto simbolico, iconico o metaforico, il bambino deve effettuare un’ulteriore progressione cognitiva. In altre parole, il soggetto deve estrarre i tratti significativi degli input a cui viene esposto al fine di cristallizzarli e ri-produrli in un’espressione gestuale simil-adulta coerente: si tratta di un’astrazione simbolica al pari di quella che avviene nel passaggio dal babbling canonico alla produzione sillabica, per arrivare alla parola arbitraria.
Qui la letteratura s’imbatte in una diramazione interessante. In parti-colare, lo studio di Fasolo and D’Odorico (2002) aveva indagato lo sviluppo della comunicazione gestuale di due gruppi di soggetti, di pari et`a crono-logica ma con diversa ampiezza di vocabolario espressivo, servendosi di un confronto di video registrazioni all’et`a di 20 e 24 mesi. I risultati evidenzia-vano una differenza nella comunicazione gestuale soltanto a 20 mesi, ma tale discrepanza spariva a 24 mesi. Inoltre, la frequenza del deittico dichiarativo e richiestivo e del deittico associato allo sguardo della madre risultavano correlate positivamente allo sviluppo del vocabolario a 30 mesi. Nel suc-cessivo lavoro (Fasolo and D’Odorico, 2005), gli autori hanno valutato l’uso del gesto deittico nella sua accezione propositiva e responsiva, in soggetti LT di 20 e 24 mesi. I risultati evidenziavano che i deittici richiestivi ve-nivano utilizzati in misura ridotta tanto dal gruppo LT quanto dal gruppo di controllo, mentre i deittici dichiarativi, contrariamente alle aspettative, apparivano maggiormente nel gruppo con sviluppo tipico. Per quanto ri-guarda i deittici responsivi, il loro impiego appariva uguale nei due grup-pi. Tale riscontro, probabilmente dato dalla valutazione del deittico nella sua accezione propositiva, ovvero dalla necessit`a del bambino di condividere il centro d’interesse con l’interlocutore, risulta in accordo con gli studi di Conti-Ramsdem and Friel-Patti (1983); Hazen and Black (1989, 1990); Re-scorla and Merrin (1998) che confermano un atteggiamento passivo dei LT nello stile comunicativo e scarsa propensione ad iniziare il dialogo rispetto a bambini con sviluppo linguistico tipico.
Contestualmente all’analisi delle competenze socio-conversazionali, risul-ta interessante una valurisul-tazione integrarisul-ta del gesto deittico propositivo e del common ground, ovvero della creazione del terreno comune data dalla pri-missima interazione che il bambino crea con la madre attraverso lo sguardo. In situazioni di elicitazione emerge che i soggetti LT, infatti, tenderebbero a controllare frequentemente il focus attentivo del partner interattivo per assicurarsi che si sia realmente stabilito un referente comune. Nel caso spe-cifico, ovvero nel suddetto studio del 2005, Fasolo e D’Odorico non avevano riscontrato tale frequenza, probabilmente per un’ormai avvenuta assuefazio-ne all’ambiente sperimentale. L’interpretazioassuefazio-ne dei dati precedenti potrebbe essere centrata su una difficolt`a da parte del soggetto LT di instaurare for-mati di attenzione condivisa con la madre proprio intorno ai 20 mesi, l’et`a caratterizzata dall’esplosione del vocabolario.
Le prospettive teoriche finora presentate sembrano scontrarsi con uno studio precedente di Thal et al. (1991) e col successivo follow-up (Thal and Tobias, 1992), in cui non solo emergeva come il vocabolario e la LME non risultavano predittivi di difficolt`a linguistiche dopo un anno, ma che test randomizzati evidenziavano livelli bassi sia di comprensione che di utilizzo del gesto simbolico solo in soggetti con ritardo persistente. Oltre che nella diversit`a dell’et`a presa in considerazione, 20-24 mesi in Fasolo and D’Odorico (2002) contro i 18-28 mesi in Thal and Tobias (1992), e nell’ampiezza del vocabolario dei gruppi, rispettivamente 0-64 parole prodotte nei soggetti del primo studio contro un vocabolario inferiore alle 50 parole prodotte nel secondo, la discrepanza, nonch´e il punto pi`u interessante del lavoro, consiste nel separare i LB dai cosiddetti Truly Late Talkers, ovvero soggetti con ritardo persistente. Il dato stridente per la letteratura consiste nella produzione significativamente maggiore di gesti da parte dei LB rispetto ai soggetti con ritardo persistente. Inoltre, dai risultati del Test U di Mann-Whitney7 emerge che la tendenza a ricorrere al gesto comunicativo da parte dei LB superava anche i gruppi di controllo per et`a cronologica e ampiezza di vocabolario, a differenza dei dati sovrapponibili tra LT e gruppi di controllo.
7Il test di Wilcoxon-Mann-Whitney, noto pure come test U di Mann-Whitney, `e uno dei
pi`u potenti test non parametrici per verificare, in presenza di valori ordinali provenienti da una distribuzione continua, se due campioni statistici provengono dalla stessa popolazione.
Late T alk ers C.P .P . C.F. 0 10 20 30 40 50 Numero medio di gesti pro dotti
Tipi di gesti comunicativi prodotti da tre gruppi Deittici Simb./Conv. Late Blo omers Ritardo C.P .P . C.F. 0 20 40 60 Numero medio di gesti pro dotti
Tipi di gesti comunicativi Deittici Simb./Conv.
Figura 1.1: Communicative gestures in children with delayed onset of oral expressive vocabulary (Thal and Tobias, 1992) (pp. 1284;1287)
Come emerge dai dati riportati nella Fig. 1.1, i soggetti LT con recupero spontaneo, ovvero i LB, si servirebbero del gesto comunicativo per sopperire alla mancanza di un recupero lessicale nella loro produzione orale, differendo in ci`o tanto dai gruppi di controllo quanto dal gruppo di soggetti LT con ritardo persistente: incongruenza che assume una valenza significativa se si presuppone che il LT presenta solo ed esclusivamente un ritardo nelle tappe evolutive del linguaggio rispetto al soggetto con sviluppo tipico.
Le linee che delineano il profilo del soggetto LT appaiono, ancora una volta, sfumate e l’immagine che ne deriva rischia talvolta di essere priva di concretezza del dettaglio. L’interesse nato dal tentativo di contribuire a tracciare queste linee di confine, evidenziandone in particolar modo gli indici predittivi e i rischi putativi, `e sfociato nell’esigenza di approfondire la questione relativa non solo al gesto comunicativo ma anche alla sua in-terfaccia neurolinguistica, e quindi il legame tra l’evoluzione linguistica e il periodo critico, contestualmente alla specializzazione emisferica e al pruning neuronale. A tal proposito, e anticipando quello che verr`a argomentato nello specifico in seguito, riporto un estratto dell’articolo di Locke, pubblicato nel 1994 sul Journal of Speech and Hearing Research:
Children with slowly developing brains have delays in the socially cognitive systems that store utterances, and a critical period for activation of experience-dependent grammatical mechani-sms declines without optimal result. Continuing efforts to speak induct species-atypical allocations of neural resources into linguistic service. It is speculated that this compensatory activity leads to compensatory growth, which may ultimate-ly be revealed as volumetric symmetry of perisylvian areas. (Locke, 1994)
Data la diversa organizzazione delle aree cerebrali, l’interrogativo risiede sulla possibilit`a di poter interpretare la progressione evolutiva linguistica dei LT come semplicemente ritardata rispetto ai soggetti con sviluppo tipico. In altre parole, dato che la possibilit`a di identificare un soggetto quale LT consiste nella perentoria assenza di danni cerebrali, sarebbe oltremodo in-teressante valutare la possibilit`a che il ritardo non abbia incidenza alcuna sulla cristallizzazione cerebrale delle funzioni linguistiche, qui evidenziata da Locke come “simmetria volumetrica delle aree perisilviane”. Inoltre, per quanto riguarda la progressione gesto-parola, se la naturale evoluzione del parlato non pu`o prescindere dalla fase combinatoria di gesto + gesto, o gesto + parola, e partendo dal presupposto che una mancanza del gesto metaforico si presenta parallelamente alla mancanza di una astrazione della sillaba successiva al babbling canonico, in quanto step cognitivo superiore, diventa legittimo chiedersi quanto possa effettivamente reggere un’ipotesi di congruenza tra fasi cognitive parallele tra gesto e parola.
Con lo scopo di risolvere tali quesiti, per quanto possibile, il presente lavoro propone un’analisi critica dei dati clinici raccolti durante il tirocinio presso la Fondazione “Stella Maris”al fine di evidenziare l’incidenza di in-dici predittivi e rischi putativi del ritardo linguistico, e un confronto della comunicazione non verbale tra un campione di soggetti LT ed un gruppo di controllo, pi`u “strettamente ”comunicativa. Con quest’ultima etichet-ta, quasi ossimorica, si propone una valutazione che tenga conto di tutti gli aspetti che sono spesso finiti sulla faccia extra-linguistica della comuni-cazione: partendo dallo sguardo per arrivare alla creazione di un terreno comune di interazione fino al gesto, all’interno del suo pi`u ampio dominio di competenza pragmatico-conversazionale.
CAPITOLO
2
Rischi putativi dell’identificazione del ritardo linguistico
Variabili contestuali: i rischi putativi Finora si `e cercato di trac-ciare i contorni del ritardo linguistico e di fornire le sfumature delle com-ponenti linguistiche ed extra-linguistiche da prendere in esame per riuscire ad avere un’immagine completa del suddetto segno diagnostico. Una volta definiti, pi`u o meno all’unanimit`a, gli orologi biologici che scandiscono la differenza tra ritardo linguistico temporaneo e persistente, nonch´e tra ritar-do linguistico e disturbo specifico del linguaggio, ci`o che resta nell’ombra `e l’aspetto, tanto problematico quanto risolutivo, relativo all’et`a della prima osservazione.
Individuare precocemente un qualsiasi tipo di deficit, sia esso linguistico o meno, significa aumentare le possibilit`a di raggiungimento di un risultato terapeutico quanto pi`u possibile ottimale. Il tratto essenziale della precocit`a, spesso evidenziato contestualmente alla finestra temporale conosciuta come periodo critico, continua a detenere un ruolo predominante anche nell’ambito del ritardo linguistico. Purtroppo, i soggetti che presentano ritardo nell’e-splosione del linguaggio raramente vengono monitorati prima dell’ingresso alla scuola materna, rimanendo intrappolati in un approccio conosciuto co-me Wait-and-See, atteggiaco-mento pediatrico a cui ho accennato nei diversi approcci relativi al trattamento del ritardo.
Allo scopo di evidenziare non solo l’importanza, ma concretamente di definire i campanelli d’allarme del ritardo linguistico, la presente analisi propone uno screening di quelli che vengono definiti come indici predittivi e rischi putativi. Tra gli indici predittivi rientrano i segnali di possibili distur-bi, riscontrabili attraverso test mirati. In genere, e come accade ad esempio in caso di diagnosi di DSA, questi vanno a verificare le abilit`a considerate pre-requisiti degli apprendimenti scolastici di base e dell’area della
letto-scrittura. Nel caso specifico di ritardo linguistico, gli indici predittivi sono focalizzati sull’individuazione dei comportamenti predittivi per il successivo sviluppo linguistico. Si fa pertanto riferimento alle caratteristiche fonetiche delle produzioni vocaliche prelinguistiche e alla loro relazione con l’ampiezza del primo vocabolario del soggetto, tanto per valutare l’eventuale continuit`a fonetica quanto per portare avanti una selezione delle stesse vocalizzazioni. Il secondo punto nodale dell’analisi riguarda i cosiddetti rischi putativi, identificati come fattori di rischio, considerati alla stregua di variabili che elevano la possibilit`a di insorgenza ma che non causano la malattia (Falzone, 2004). In altre parole, si tratta di componenti che, sebbene paradossalmente fungano da “contorno” nel linguaggio, non possono venire trascurate nel-l’indagine anamnestica, primo passo che il clinico compie nei meandri dello sviluppo o, in questo caso nell’assenza dell’esplosione linguistica. Tra questi fattori figurano il genere del bambino, il contesto di appartenenza, valutato sia dal punto di vista linguistico che sociale, la figura della madre, ed infine la componente genetica e la familiarit`a, il cui ruolo sta godendo di ampio respiro negli ultimi anni di analisi degli indici di rischio, e che sar`a uno dei perni su cui ruota l’analisi proposta per lo Studio I del presente lavoro.
In questa prima parte dell’elaborato verr`a presentata una pi`u ampia in-dagine dei rischi putativi, con lo scopo di delineare il contorno di componen-ti non strettamente linguiscomponen-tiche, ma ambientali. Si parcomponen-tir`a dalle differenze di genere nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio e si arriver`a al background linguistico circostante, passando attraverso una valutazione pi`u strettamente genetica in cui si annidano le questioni pi`u enigmatiche del fattore familiarit`a e la figura della madre che, come ci si aspetta, gioca un ruolo cardine nell’evoluzione sociolinguistica del bambino. Per quanto ri-guarda gli indici predittivi, che rientrano in un contesto pi`u specificamente linguistico, questi verranno analizzati successivamente in un confronto tra le tappe linguistiche dei bambini con sviluppo tipico e bambini late talker.
Come si vedr`a pi`u nel dettaglio nel paragrafo successivo, il primo fat-tore ad essere analizzato `e la differenza di genere nello sviluppo linguistico, analisi da cui emerge che un numero maggiore di soggetti di sesso maschile presenta ritardo linguistico rispetto a soggetti di pari et`a cronologica, ma di sesso opposto. `E tuttavia importante sottolineare l’aspetto non categori-co dell’influenza di questi fattori di “categori-contorno”e che spiega la stessa scelta terminologica, in quanto non `e detto che tutti i bambini di sesso maschile siano a rischio di ritardo o disturbo linguistico rispetto ai coetanei di ses-so femminile. Il rischio `e putativo, per l’appunto, in quanto si presenta in maniera sufficiente, ma non essenzialmente necessaria. Si potrebbe addi-rittura parlare di concomitanza tra i diversi fattori, evidenziando nel caso della differenza di genere un’influenza dovuta alla contestuale positivit`a per il fattore familiarit`a.
2.1
Le differenze di genere nell’acquisizione e nello
sviluppo del linguaggio
Per quanto aneddotici possano risuonare alla conoscenza comune, sono diver-si gli studi che comparano le performance linguistiche di soggetti di diverso sesso e che, tenendo ovviamente conto delle eventuali differenze individuali, sottolineano una maggiore efficienza nelle bambine che si riflette in una dif-ferenziazione a livello anatomo-cerebrale e nei correlati anatomo-funzionali. Sebbene in molti casi le differenze di genere non risultino significative ai fini statistici, nella review presentata da Markovi´c (2007), su 102 stu-di riportati, ben 61 evidenziano una migliore performance stu-di soggetti stu-di sesso femminile e solo 12 una superiorit`a maschile. Nel dettaglio, negli stu-di stu-di Nelson (1973) e stu-di Bloom et al. (1975) si riportava una stu-diramazione secondo cui le bambine presentano pi`u spesso uno stile nominale analiti-co/referenziale, caratteristico di soggetti con dominanza emisferica sx, men-tre la controparte maschile sarebbe caratterizzata da un maggior utilizzo di uno stile olistico/espressivo, tipico di soggetti con dominanza emisferica dx. Il lavoro di Moss and Robson (1970) aveva, inoltre, gi`a evidenziato tale di-screpanza in soggetti di sesso maschile che producevano un maggior numero di vocalizzazioni negative 1 rispetto al gruppo femminile all’et`a di 6 mesi.
Complessivamente, soggetti di sesso femminile non solo comincerebbero ad addentrarsi precocemente nei meandri della lingua rispetto ai coetanei di sesso opposto, ma presenterebbero una migliore articolazione e un pi`u ampio vocabolario tanto nella fase olofrastica che in quella combinatoria, nonch´e una maggiore fluenza, correttezza e complessit`a a livello gestuale e verbale (Eriksson et al., 2012)(cfr. Fig.2.1). Tale differenziazione, che potrebbe ri-sultare consistente non solo nell’infanzia ma anche in et`a adulta, tenderebbe talvolta a colmarsi, riducendosi tanto da non presentare differenze signifi-cative (Wallentin, 2009), o addirittura ad evidenziarsi in et`a adolescenziale (Hyde and Linn, 1988; Macaulay, 1978).
1Per vocalizzazione negativa si intende una produzione caratterizzata da un contorno
intonativo distintivo discendente e/o di qualit`a enfatica negativa. Contestualmente tale vocalizzazione `e caratterizzata da una bassa intensit`a e da una breve durata.
Figura 2.1: Mean onset age (in months) of combinations with two or more arguments (A), combinations with a predicate and at least one argument (B), or combinations with two predicates (C), in gesture+speech (G+S) and speech+speech (S+S) combinations produced by boys (white bars) and girls (black bars). Oz¸cali¸skan and Goldin-Meadow (2010)(p.756)
Focalizzando l’obbiettivo sulle prime fasi dello sviluppo linguistico, i di-versi fattori imputabili della differenza fanno riferimento a due cause ap-parentemente indipendenti: lo sviluppo cerebrale e l’interazione genitoriale. Per quanto riguarda il versante interattivo genitoriale, lo studio di Hutten-locher et al. (1991) aveva esaminato il ruolo dell’esposizione nella crescita del vocabolario di 22 soggetti analizzati tra i 14 e i 26 mesi. Tenendo
ovvia-mente conto delle varie differenze individuali, gli autori avevano riscontrato non solo una predominanza espressiva femminile, ma anche una relazione consistente tra le differenze nel vocabolario acquisito e le variazioni nella quantit`a del parlato materno. Questo dato sottolineerebbe, quindi, che la quantit`a d’esposizione riflette la crescita del vocabolario pi`u delle abilit`a del singolo soggetto. Inoltre, le figure genitoriali maschili tenderebbero a pro-porre maggiormente il gioco ai figli di sesso maschile, e a parlare di pi`u con quelli di sesso femminile. Tale aspetto contribuirebbe non solo a differenze d’et`a nella generale evoluzione e concretizzazione delle abilit`a linguistiche, ma nel dettaglio allo sviluppo di abilit`a fisiche nei soggetti di sesso maschile e verbali in quelli di sesso femminile.
Relativamente allo sviluppo cerebrale, studi di neuroimmagine affianca-tisi alle precedenti ricerche hanno sottolineato che soggetti di sesso femminile presentano evoluzioni anatomo-funzionali, che hanno effetto sull’acquisizione del linguaggio, tra i 14 ed i 20 mesi, mentre gli stessi cambiamenti appaiono nei soggetti di sesso maschile tra i 20 ed i 24 mesi. Inoltre, secondo Gurian and Stevens (2004), la corteccia prefrontale deputata al controllo espressivo, alle abilit`a verbali ed al comportamento cognitivo e sociale, si svilupperebbe non solo precocemente, ma anche in maniera pi`u ampia nei soggetti di sesso femminile rispetto ai coetanei di sesso opposto, determinando un incremento delle connessioni neuronali tra emisfero dx e sx, con un accrescimento del corpo calloso del 25%. Traslando questi dati sul piano dell’output, soggetti di sesso femminile presentano delle performance migliori dal punto di vista del mantenimento del focus, dell’abilit`a d’ascolto, di memoria e di multiproces-sualit`a, coinvolgendo maggiormente aree linguistiche che, successivamente, saranno reclutate per scrittura e lettura. Contestualmente al riferimento al ruolo della memoria dichiarativa/procedurale, lo studio di Hartshorne and Ullman (2006) ha evidenziato come soggetti di sesso opposto, con un’et`a pari a 2;5/3 anni, usano aree cerebrali diverse per la processazione di deter-minati aspetti della grammatica. Partendo dal presupposto che il modello dichiarativo/procedurale del linguaggio attribuisce alla memoria dichiarati-va l’immagazzinamento del lessico e a quella procedurale la composizione di forme grammaticali complesse, gli autori riscontrano una superiorit`a della controparte femminile in task che coinvolgono la memoria lessicale, il che porta ad una sovraregolarizzazione di forme verbali irregolari. La spiega-zione fornita alla diversa performance consiste nell’evidenziare che soggetti di sesso femminile usano principalmente un sistema di memorizzazione di parole e di associazione tra le stesse, recuperando e generalizzando forme complesse, mentre la controparte maschile si serve di un sistema che go-verna le regole del linguaggio, componendo i costrutti secondo un sistema grammaticale.
Una prova ulteriore della diversa, e talvolta superiore, performance lin-guistica di soggetti di sesso femminile viene presentata dai risultati dell’fMRI di un recente studio americano. I ricercatori dell’Universit`a Northwestern
insieme con l’Universit`a di Haifa (Burman et al., 2008) hanno misurato l’at-tivit`a cerebrale di soggetti di sesso opposto, con un range di et`a tra i 9 e i 15 anni, sottoponendoli a task linguistici di spelling e scrittura, presentati secondo due modalit`a sensoriali dissociate: visiva e uditiva. Nel dettaglio, gli item presentati in modalit`a visiva prevedevano la lettura di alcune parole senza l’input uditivo, parallelamente la modalit`a uditiva proponeva l’ascol-to di parole private dell’input visivo. I risultati sotl’ascol-tolineano un’attivazione bilaterale del giro temporale superiore e frontale inferiore, insieme ad un’at-tivazione del giro fusiforme sinistro significativamente maggiore da parte dei soggetti di sesso femminile. Inoltre, la maggiore attivazione delle suddette aree del linguaggio e del pensiero astratto correlava positivamente con il gra-do di accuratezza performata, indipendentemente dalla modalit`a di presen-tazione dello stimolo. Per quanto riguarda la controparte maschile, oltre alla minore attivazione delle stesse aree, il grado di accuratezza nel task di lettu-ra delle parole dipendeva dalla modalit`a di presentazione della parole. Nel dettaglio, gli stimoli presentati ai soggetti maschi tramite la modalit`a visi-va fornivisi-vano una performance accurata attivisi-vando la corteccia d’associazione visiva e le regioni parietali posteriori, lo stesso livello di accuratezza relativa alla modalit`a di somministrazione uditiva si serviva di aree uditive e depu-tate alla processazione fonologica. I risultati, che suggeriscono una modalit`a di processazione femminile centrata su una rete linguistica sopramodale di-versamente da quella maschile, caratterizzata da una diversa processazione per le parole sulla base della modalit`a di presentazione, concordano con i test di linguaggio standardizzati in cui `e presente un’attivazione del giro fusiforme sinistro maggiore nei soggetti di sesso femminile.
Al diverso approccio tra i soggetti, prevalentemente sensoriale nei maschi e maggiormente astratto nella controparte femminile, si potrebbero dare due possibili spiegazioni, in accordo col lavoro di Warastuti (2011). La prima, di stampo sensoriale e di richiamo antropologico, consiste nel far luce su una sorta di restrizione nei processi sensoriali dei soggetti di sesso maschi-le, che preclude all’informazione visiva o uditiva un’immediata attivazione delle aree cerebrali linguistiche. Tale restrizione tenderebbe a scomparire in et`a adulta, ma spiegherebbe il precoce sviluppo linguistico in soggetti di sesso femminile. Il richiamo antropologico consiste nel ritornare agli esordi della storia umana, spiegando la precocit`a linguistica femminile in termi-ni di civilizzazione. In altre parole, mentre gli uomitermi-ni si affidavano ad un segnale limitato ed istintivo per rispondere alla pressione fight-or-flight, le donne si servivano del pensiero astratto e del contesto per prendere deci-sioni: abilit`a e discrepanze che appaiono altamente rilevanti anche nella cultura contemporanea. La seconda spiegazione, di accezione categoriale e semantica, sottolinea invece che le suddette divergenze deriverebbero dalla creazione, sempre da parte dei soggetti di sesso maschile, di associazioni visive ed uditive atte a riportare alla mente del soggetto stesso i significati delle parole semplicemente vedendole o ascoltandole. Anche in questo caso,
la controparte antropologica trova il suo riscontro in uno spettro evolutivo a cui fa capo l’esigenza maschile di dover riconoscere suoni e segni associati al pericolo.
L’et`a dei soggetti presi in esame dagli studi finora presentati varia da un minimo di 24 mesi ad un massimo di 15 anni, differendo pertanto dalla finestra temporale su cui si focalizza la presente analisi. La congruenza nel numero significativamente maggiore di soggetti di sesso maschile con ritar-do linguistico, pari a circa l’80% dei soggetti presi in esame, non fa altro che avallare, presentando risconti positivi da una prospettiva longitudina-le, la tesi di un eventuale divario negli output e nel raggiungimento delle varie tappe evolutive linguistiche, relativamente al genere maschile o fem-minile del soggetto LT. Congruentemente alla presente analisi, lo studio di Bauer et al. (2002) esamina le differenze individuali nello sviluppo precoce del vocabolario in soggetti di sesso opposto gi`a all’et`a di 21 mesi. I sogget-ti, sottoposti ad uno scrutinio mensile basato sulla checklist del MacArthur CDI - Gesti e Parole, hanno tracciato con le loro performance due diverse traiettorie di sviluppo lessicale, tanto per la comprensione quanto per la produzione. Nel dettaglio, oltre all’ormai consolidato dato complessivo che fa luce su uno sviluppo pi`u veloce da parte dei soggetti di sesso femminile, i dati hanno evidenziato due tipologie di evoluzione linguistica: una veloce e una lenta, che non appaiono aliene n´e dal sesso del soggetto, n´e tanto-meno dal vocabolario recettivo o espressivo valutato. Infatti, nel gruppo a traiettoria veloce confluivano maggiormente i soggetti di sesso femminile, in opposizione a quanto avveniva nel gruppo caratterizzato da una traiettoria di sviluppo lenta, parallelamente ad una corrispondenza significativamente positiva anche tra comprensione e produzione femminili precoci.
Infine, ma non per importanza, un’altra componente linguistica che pre-senta differenza di genere sembra essere il gesto, interfaccia comunicativa purtroppo poco analizzata in questo ambito specifico. Precedentemente, ho accennato allo sviluppo della comunicazione non verbale definendola al con-tempo propedeutica per l’espressione verbale e compresente nella formazione delle prime produzioni combinatorie. Partendo dal presupposto che il ge-sto non `e essenzialmente un predecessore dell’esplosione verbale, ma riflette e ripercorre tappe cognitive che si concretizzano contestualmente a quelle verbali, `e lecito chiedersi se la differenza nei tempi di evoluzione linguistica verbale abbiano lo stesso riscontro anche nello sviluppo della gestualit`a. A tal proposito, lo studio di Oz¸cali¸skan and Goldin-Meadow (2010) prende in esame lo sviluppo linguistico, dai 14 ai 34 mesi, di 40 soggetti americani (22 bambine e 18 bambini) videoregistrati con i loro genitori in sessioni di gioco spontaneo nell’ambiente familiare, con una frequenza di 4 mesi.
Il nodo cruciale dello studio consisteva nell’evidenziare un pattern di progressione tra le costruzioni combinatorie gesto+parola e le successive co-struzioni multi-parola, riscontrando una differenziazione significativamente positiva relativa al genere del soggetto. Dai risultati, emerge che i soggetti di