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MICROBIOTA INTESTINALE E OBESITA': RILEVANZA TERAPEUTICA E NUTRIZIONE PERSONALIZZATA

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA

MICROBIOTA INTESTINALE E OBESITA’: RILEVANZA

TERAPEUTICA E NUTRIZIONE PERSONALIZZATA

Relatrice

:

Dr.ssa Silvia Martina Ferrari

Candidata:

Roberta Ingallinera

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Sommario

Capitolo I ... 5

MICROBIOTA INTESTINALE ... 5

A. Stima del numero di cellule umane e batteriche nel corpo ... 6

1. Le cellule negli esseri umani ... 6

B. Caratteristiche generali del microbiota intestinale ... 8

1. Composizione ... 8

2. Il microbiota intestinale in gruppi di età specifici ... 20

3. Il microbiota intestinale in diverse regioni geografiche ... 22

ASSE INTESTINO-CERVELLO ... 24

A. Percorsi relativi all’umore, alla ricompensa e all’alimentazione ... 26

Capitolo II ... 29

ASSOCIAZIONE TRA MICROBIOTA INTESTINALE E MALATTIE UMANE ... 29

A. Malattie metaboliche: obesità ... 29

1. Indice di massa corporea ... 31

2. Composizione del microbiota intestinale nell’obesità ... 32

3. Microbiota intestinale e omeostasi energetica ... 34

4. Segnalazione di leptina ... 35

5. Ruolo potenziale del microbiota intestinale sullo sviluppo dell’obesità ... 37

COMPLICANZE GENERATE DALLA CONDIZIONE DI OBESITA’ ... 46

A. Diabete ... 46

1. Metaboliti derivati dal microbiota ... 46

2. La dieta modella il microbiota intestinale ... 49

3. Il microbiota intestinale modella l’obesità ... 52

4. Il sistema endocannabinoide e l’obesità ... 57

5. Il microbiota intestinale e il diabete mellito di tipo 1 ... 58

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B. Malattie cardiovascolari ... 61

1. Meccanismo patogeno del microbiota intestinale e metaboliti nelle malattie cardio-metaboliche ... 64

C. Steatosi epatica non alcolica (NAFLD) ... 75

1. Metaboliti microbici nella steatosi epatica non alcolica (NAFLD) ... 75

2. Etanolo, derivato microbico in NAFLD ... 76

3. Metaboliti proteolitici nel NAFLD ... 76

4. Dati umani in NAFLD ... 78

D. Neoplasie del tratto gastrointestinale ... 78

1. Obesità, cancro e infiammazione ... 79

2. Metaboliti microbici e cancro ... 85

E. Tiroidite di Hashimoto ... 92

1. Effetto del microbiota sullo sviluppo e sulle azioni del sistema immunitario ... 92

2. Disturbi autoimmuni della tiroide ... 94

3. Intestino, microbiota e funzione tiroidea ... 95

4. Microbiota e autoimmunità tiroidea ... 97

F. Depressione ... 99

1. Obesità e infiammazione ... 99

2. Infiammazione e depressione ... 102

3. HFD , infiammazione cerebrale e depressione ... 103

4. Un ruolo per il microbiota intestinale nella depressione indotta dall’obesità ... 105

Capitolo III ... 109

RILEVANZA TERAPEUTICA DEL MICROBIOTA INTESTINALE ... 109

A. Probiotici ... 109

B. Prebiotici ... 112

C. Trapianto di microbiota fecale ... 114

D. Chirurgia bariatrica ... 114

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1. Fibra alimentare ... 118

2. Approcci per modulare il microbiota intestinale e migliorare la patologia metabolica .... 125

MICROBIOTA INTESTINALE E NUTRIZIONE PERSONALIZZATA ... 127

A. Influenze dietetiche sul microbiota... 129

1. Risposte personalizzate del microbiota ai componenti dietetici ... 129

2. Risposta personalizzata dell’ospite alla dieta ... 133

B. Genetica e utilizzo dei nutrienti ... 135

C. Studi integrativi sull’obesità ... 139

Capitolo IV ... 142

CONCLUSIONI ... 142

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Capitolo I

MICROBIOTA INTESTINALE

Il corpo umano è colonizzato da trilioni di microbi, che contribuiscono alla nostra salute e al

nostro benessere. Diverse comunità di microbi abitano varie regioni anatomiche (Figura 1).

La variazione inter-individuale in ciascuno di questi siti del corpo è considerevole, ma la separazione tra i siti all’interno degli individui rimane evidente (Huttenhower et al., 2012). L’habitat più densamente popolato è l’intestino, con una stima di 0,15 kg di biomassa microbica (Sender et al., 2016). L’intestino ospita centinaia di specie batteriche e archei, con

Firmicutes e Bacteroidetes come phyla dominanti (Huttenhower et al., 2012, Qin et al., 2010,

Faith et al., 2016). Significa che il corpo umano nel suo essere un “superorganismo” è

costituito per il 10% da cellule e per il 90% da microbi (Zhao et al., 2013), anche se questo

dato oggi è ampiamente discusso da Sender et al., dimostrando che il numero di batteri nel

corpo è in realtà dello stesso ordine del numero di cellule umane (Sender et al., 2016). Inoltre, l’intero genoma dei microrganismi

intestinali, noto come

microbioma

intestinale,

comprende circa 150

volte più geni del

genoma umano (Qin

et al., 2010).

Figura 1. Varie regioni anatomiche abitate da microbi (https://www.microbiologiaitalia.it/didattica/il-microbiota-umano/).

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A. Stima del numero di cellule umane e batteriche nel corpo

1. Le cellule negli esseri umani

I microbi si trovano in tutto il corpo umano, principalmente sulle superfici esterne ed interne, tra cui il tratto gastrointestinale, la pelle, la saliva, la mucosa orale e congiuntiva. I batteri superano il numero degli eucarioti e archaea nel microbioma umano di 2-3 ordini di grandezza (Qin et al., 2010, Yatsunenko et al., 2012).

La maggior parte dei batteri risiede nel colon, con stime di circa 1014 CFU di batteri (Savage et al., 1977), seguito dalla pelle, con stime di circa 1012 CFU di batteri (Berg et al., 1996).

La Tabella 1 mostra le stime tipiche dell’ordine di grandezza per il numero di batteri che risiedono nei differenti organi nel corpo umano. Le stime si basano sulla moltiplicazione delle concentrazioni misurate di batteri per il volume di ciascun organo (Berg et al., 1996, Tannock et al., 1995).

Sebbene le concentrazioni batteriche nella saliva e nella placca dentale siano elevate, a causa del loro piccolo volume, il numero complessivo di batteri nella bocca è inferiore all’1% del numero di batteri nel colon. La concentrazione di batteri nello stomaco e nei 2/3 dell’intestino tenue (duodeno e digiuno) è solo 103-104 CFU di batteri/mL, a causa del pH relativamente basso dello stomaco e del flusso rapido del contenuto, attraverso lo stomaco e l’intestino tenue (Tannock et al., 1995). La Tabella 1 rivela che il contenuto batterico del colon supera tutti gli altri organi di due ordini di grandezza. È importante sottolineare che, all’interno del tratto alimentare, il colon è l’unico sostanziale donatore della popolazione batterica totale, mentre lo stomaco e l’intestino tenue sono donatori trascurabili.

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Tabella 1. Limiti del numero di batteri nei diversi organi, derivati dalle concentrazioni e

volume di batteri Localizzazione Tipica concentrazione batterica (numero/mL di contenuto) Volume (mL) Ordine di grandezza associato al numero di batteri Colon 1011 400 1014 Placca dentale 1011 <10 1012 Ileo 108 400 1011 Saliva 109 <100 1011

Pelle <1011 per m2 1,8 per m2 1012

Stomaco 103-104 250-900 107

Duodeno e digiuno 103-104 400 107

Una considerevole variazione nella composizione del microbiota è stata descritta tra gli individui, ad esempio nel progetto US NIH Human Microbiome (HMP) (Huttenhower et al., 2012), nel progetto europeo Metagenomics of the Human Intestinal Tract (MetaHIT) (Qin et al., 2010, Le Chatelier et al., 2013) e in altri studi sulla popolazione (Falony et al., 2016, Yatsunenko et al., 2012). L’ecosistema microbico intestinale mostra una successione di diversi stadi del microbiota: la composizione della comunità cambia rapidamente nella prima infanzia, si stabilizza negli adulti e si deteriora nella vecchiaia (Yatsunenko et al., 2012, Jeffery et al., 2012). Esiste una descrizione non semplice di questo complesso paesaggio in grandi popolazioni e aree geografiche, in parte perché alcuni taxa variano in modo monotonico tra gli individui, mentre la maggior parte mostra distribuzioni bimodali o più complesse (Lahti et al., 2014). Data l’importanza e la complessità dell’ecosistema intestinale, vi è un grande interesse nell’identificare i modelli compositivi e le loro regole di base, in quanto possono aiutarci a comprendere la salute umana e gli stati patologici. Una classifica basata su modelli compositivi potenzierebbe la diagnostica basata sul microbiota, le terapie o la prevenzione delle malattie, con implicazioni per il trattamento personalizzato attraverso interventi nutrizionali, microbici e farmaceutici.

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8 Nell’intestino umano adulto sono stati osservati modelli riproduttivi di variazione del microbiota, come le proporzioni di taxa maggiore Bacteroides e Prevotella. Separati in gruppi, sono stati definiti “enterotipi” (Arumugam et al., 2011) e proposti come metodo utile per stratificare i microbi intestinali umani.

La composizione e le funzioni del microbiota intestinale sono influenzate da molti fattori, tra questi le abitudini alimentari dell’ospite sembrano avere un effetto significativo. I cambiamenti dietetici nell’evoluzione della storia umana e nelle diverse fasi della vita dei soggetti umani sono responsabili della modifica qualitativa e funzionale del microbiota intestinale. Allo stesso tempo, i diversi modelli dietetici adottati nelle aree geografiche mondiali tengono conto delle differenze interindividuali relative alla composizione e alla funzione microbica. La stretta relazione tra dieta, microbiota intestinale e ospite sembra essere responsabile della protezione o della predisposizione allo sviluppo di diverse malattie metaboliche, immunologiche, neoplastiche e funzionali. Pertanto, diversi studi hanno valutato l’impatto delle strategie di modifica della dieta e dello stile di vita sulla composizione e sulle funzioni del microbiota intestinale che, a loro volta, sembrano influenzare l’efficacia di tali misure terapeutiche (Schiumerini et al., 2018).

Diversi studi hanno definito numerose caratteristiche funzionali del microbioma intestinale, come la fermentazione di polisaccaridi alimentari non digeribili, la sintesi di aminoacidi e vitamine essenziali e il metabolismo dei farmaci xenobiotici (Gill et al., 2006, Qin et al., 2010 , Yatsunenko et al., 2012, Cabreiro et al., 2013).

Inoltre, negli ultimi anni sono diventati oggetto di studio i dialoghi incrociati tra il microbiota intestinale e altre parti del corpo, incluso il sistema metabolico, immunitario e nervoso.

B. Caratteristiche generali del microbiota intestinale

1. Composizione

Il microbiota intestinale umano è una comunità ampia e diversificata, costituita da diverse tipologie di vita: batteri, archaea, eukarya, virus e parassiti (Lozupone et al., 2012 Reyes et al., 2010). Il numero totale di cellule microbiche nel tratto intestinale costituisce circa 1013

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-9 1014 CFU (Ley et al., 2006). Si stima che oltre 1000 specie batteriche abitano nel tratto intestinale umano (Qin et al., 2010). La maggior parte delle specie batteriche appartiene a due phyla batterici più comuni: Bacteroidetes e Firmicutes (Backhed et al., 2005, Eckburg et al., 2005). Con l’avanzamento delle moderne tecniche bioinformatiche, come il pirosequenziamento mirato dell’rRNA 16S e il sequenziamento metagenomico del genoma intero non mirato, vengono progressivamente rilevati numerosi nuovi microbi.

a) Diversità e dinamica

L’omeostasi delle comunità microbiche intestinali è caratterizzata dalla coesistenza di varie specie microbiche a bassa o alta abbondanza (Arumugam et al., 2011). Le persone sane hanno spesso un alto livello di ricchezza microbica intestinale, mentre le persone con problemi di salute come l’obesità e l’infiammazione di basso grado hanno inferiori specie microbiche nell’intestino (Le Chatelier et al., 2013, Cotillard et al., 2013). Considerando l’ecologia, maggiore è la biodiversità di un ecosistema, maggiore è la capacità di resistere alla perturbazione dell’ambiente esterno (Turnbaugh et al., 2009). Di fatto, le interazioni competitive delle specie microbiche aumentate possono aiutare a mantenere la stabilità del microbioma intestinale (Coyte et al., 2015).

L’ecologia microbica dell’intestino è dinamica, quindi non tutti i membri batterici possono colonizzare permanentemente l’intestino. La co-evoluzione tra i microbi commensali e il loro ospite li spinge a sviluppare numerosi meccanismi a favore della loro colonizzazione. Ad esempio, Lactobacillus rhamnosus GG aderisce efficacemente al muco intestinale umano codificando una proteina pili legante il muco (Kankainem et al., 2009); Bacteroides fragilis produce polisaccaridi capsulari a superficie multipla per colonizzare il tratto intestinale (Liu et al., 2008). Questi batteri commensali indigeni svolgono anche ruoli cruciali nella difesa contro l’invasione di agenti patogeni opportunistici esogeni attraverso il meccanismo di esclusione competitiva (Belzer e de Vos, 2012). Ad esempio, Bifidobacterium longum subsp.

longum JCM 1217T protegge da E. coli O157, un’infezione enteropatogena indotta da H7, promuovendo le funzioni di difesa mediate dall’acetato delle cellule epiteliali del colon ospite (Fukuda et al., 2011).

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b) Specificità di nicchia del microbioma

Attraverso l’applicazione di saggi ad alto rendimento, è diventato evidente che il sano superorganismo umano comprende una serie di microrganismi specifici di nicchia in habitat corporei distinti (Costello et al., 2009, Caporaso et al., 2011). Sulla pelle, per esempio, fattori come la disponibilità di substrato e acqua, oltre al pH fortemente correlato con la presenza di una composizione microbica habitat-specifici, sono relativamente costanti all’interno di individui sani (Oh et al., 2014). Questo vale anche per il tratto gastrointestinale (GI), in cui esistono gruppi di microbi distinti nei vari compartimenti intestinali (Donaldson et al., 2016). Secondo un recente studio sullo sviluppo del microbioma infantile in più siti corporei, la specificità di nicchia microbica è evidente già a 6 settimane di vita (Chu et al., 2017), implicando fattori precoci di vita nel plasmare l’assemblaggio microbico specifico di nicchia durante l’infanzia. Tra i fattori che influenzano l’assemblaggio del microbioma nella prima infanzia c’è il pioniere della colonizzazione microbica, che probabilmente influenza lo sviluppo del microbiota di nicchia specifica mediante l’utilizzo di nutrienti locali e/o la produzione di molecole che dettano compatibilità interspecie e colonizzazione competitiva (Livingstone t al., 2012, Verster et al., 2017, Ferretti et al., 2018).

I microbi sono specialisti nel rilevare e rispondere al loro ambiente; questo si ottiene attraverso la produzione di una vasta gamma di sostanze biochimiche, da piccole molecole quorum-sensibili, che facilitano la comunicazione microbo-microbo-ospite (Schaefer et al., 2008, Papenfort et al., 2016), a prodotti naturali complessi come macrolidi e policheti, molti dei quali hanno potenti attività antimicrobiche e immunomodulatorie (Donia et al., 2015). Questa riserva biochimica facilita la colonizzazione competitiva microbica, l’inclusione o l’esclusione selettiva, e la modificazione delle attività di altre specie nell’ambiente locale (Fan et al., 2015, Rangan et al., 2016, Thiemann et al., 2017). Questo concetto è stato dimostrato in un recente studio, in cui l’integrazione orale di topi trattati con antimicrobici con un consorzio di quattro specie batteriche (Bacteroides sartorii, Parabacteroide distasonis e Clostridium cluster XIVa membri Clostridium bolteae e Blautia producta) hanno impedito la colonizzazione di Enterococcus faecium resistente alla vancomicina (VRE) (Caballero et al., 2017). La cooperazione multilivello tra le specie batteriche all’interno di questo consorzio era necessaria per supportare la colonizzazione dell’intestino murino con B. producta, specie che hanno inibito direttamente la crescita di VRE patogenico. Negli esseri umani, relativamente stabili, sono stati descritti microbiomi di nicchia specifici (Oh et al., 2014, Donaldson et al.,

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11 2016, Proctor et al., 2017), rafforzando l’idea che le condizioni locali microambientali e forse un piccolo numero di organismi keystone, che inducono condizioni nutrizionali e/o immunologiche specifiche in siti corporei distinti, promuovano microbiomi di nicchia specifici.

c) Variabilità del microbioma intestinale

Sebbene a livelli più alti di classificazione le distribuzioni di organismi in luoghi specifici del corpo siano altamente conservati, rimane un alto grado di variabilità inter-individuale alla specie e al livello di deformazione. Diversi studi hanno riportato associazioni tra genetica ospite e microbioma (Blekhman et al., 2015, Bonder et al., 2016, Turpi net al., 2016). Nei topi le relazioni tra genotipo ospite e microbiota intestinale sono stati dimostrati in alcuni ceppi di topi distinti geneticamente, in cui l’analisi dei loci caratteristici quantitativi indipendenti ha rivelato 169 intervalli di loci caratteristici quantitativamente articolati, che erano significativamente associati con l’abbondanza di taxa microbici specifici nell’intestino (Snijders et al., 2016). Tuttavia, negli esseri umani la relazione tra genotipo ospite e microbiota appare meno forte. Mentre esiste una somiglianza relativamente maggiore nei membri della comunità microbica all’interno del microbiota intestinale tra i membri della famiglia (Schloss et al., 2014, Korpela et al., 2018) e gemelli monozigoti, rispetto ai dizigoti (Goodrich et al., 2014), questa somiglianza relativa può essere confusa dalle comuni esposizioni ambientali. In effetti, la divergenza di moduli funzionari microbici nel microbiota intestinale (Xie et al., 2016), parallelamente ai cambiamenti dello stato immunitario (Brodi net al., 2015), sono stati osservati quando i gemelli monozigoti risiedono in ambienti distinti. Un recente studio di oltre 1000 soggetti ha confermato questa osservazione, dimostrando che l’esposizione ambientale, includendo la dieta, domina i fattori genetici nel modellare il microbiota intestinale (Rothschild et al., 2018). Inoltre, l’inclusione di fattori microbici ha migliorato la previsione accurata per molti tratti dell’ospite, includendo le misure di glucosio e obesità, rispetto a modelli che utilizzavano esclusivamente dati di genetica e ambientali dell’ospite (Rothschild et al., 2018).

L’influenza della dieta sulla composizione e sulla funzione microbica è ben accertata (David et al., 2014, Desai et al., 2016, Sonnenburg et al., 2016, Wu et al., 2016, Kamiya et al., 2018). Oltre la dieta, numerosi altri fattori sono associati alla variabilità nella composizione o nella funzione microbica, includendo gli ormoni sessuali, i trattamenti con agenti antibatterici o antifungini (Reijnders et al., 2016, Wheeler et al., 2016), i prodotti farmaceutici come gli

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12 inibitori pompa protonica (Imhann et al., 2016), gli xenobiotici (Maurice et al., 2013), le sostanze tossiche ambientali (Lu et al., 2014, Allais et al., 2016) e il consumo di vari farmaci prescritti (Ticinesi et al., 2017). Prove emergenti suggeriscono che questi fattori modellano collettivamente il microbioma intestinale per tutta la vita di un individuo, risultando un'impronta microbica unica e personalizzata (Franzosa et al., 2015).

d) Sviluppo del microbioma intestinale umano

Vi sono prove crescenti che l’esposizione ai microbi inizia nell’utero. Alcuni studi, utilizzando test basati sul DNA, hanno rilevato batteri nel materiale placentare (Aagaard et al., 2014), nel liquido amniotico (Collado et al., 2016) e nel meconio, che si forma nell’utero (Gosalbes et al., 2013, Nagpal et al., 2016, Durack et al., 2018, Ferretti et al., 2018). Questi studi, nonostante siano basati su test di DNA, offrono le prime informazioni che uomo-microbi si incontrano durante la gestazione. Dopo la consegna, la riserva di batteri (Yatsunenko et al., 2012, Durack et al., 2018, Stokholm et al., 2018) e di virus sia procarioti che eucarioti si espande, incrementando la capacità funzionale genica del microbioma intestinale. Parallelamente, la diversità dei funghi si contrae, probabilmente a causa di sfavorevoli pressioni selettive nell’intestino in via di sviluppo (Fujimura et al., 2016). Una serie di fattori, compresa la modalità di consegna (Backled et al., 2015, Levi net al., 2016, Korpela et al., 2018), la dieta precoce (Backhed et al., 2015, Bokulich et al., 2016, Stokholm et al., 2016), l’uso di antibiotici (Bokulich et al., 2016), l’esposizione ad animali domestici (Fujimura et al., 2016, Levi net al., 2016, Durack et al., 2018), il sesso (Fujimura et al., 2016) e la salute materna (Chu et al., 2017, Durack et al., 2018, Stokholm et al., 2018) sono stati collegati a distinte composizioni del microbiota intestinale in punti temporali discreti e alla variazione di traiettorie microbiche successorie durante questa finestra critica di sviluppo (Figura 2). La prova è che questi modelli di colonizzazione microbica nella prima infanzia e nelle traiettorie successive sono rilevanti per i conseguenti esiti sanitari durante la crescita. Ad esempio, bambini di un mese di vita con alterata composizione microbica e funzione metabolica sono stati ritenuti essere ad un rischio significativamente più elevato nello sviluppo di malattia atopica (sensibilizzazione allergica) e asma nell’infanzia (Fujimura et al., 2016). Inoltre, la diversificazione del microbioma intestinale ritardata, durate il primo anno di vita, è stata collegata all’allergia, all’asma (Durack et al., 2018, Stokholm et al., 2018) e alla malnutrizione (Subramanian et al., 2014).

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13 La rapida espansione della diversità batterica, osservata nel primo anno di vita, rallenta considerevolmente dai 3 anni di età (Yatsunenko et al., 2012, Vatanen et al., 2016) e dai 5 anni la composizione del microbioma intestinale diventa più stabile, attribuibile, almeno in parte, ad una grande percentuale di Bacteroides mantenuti stabilmente. Tuttavia, il microbioma intestinale nei bambini è meno diversificato e funzionalmente distinto da quello degli adulti sani (Cheng et al., 2016). La complessità del microbiota intestinale (numero di taxa e geni funzionali) raggiunge in genere i livelli degli adulti dall’adolescenza (7-12 anni di età), ma le comunità microbiche rimangono a questa età tassonicamente e funzionalmente distinti da quelli degli adulti, con livelli relativamente più bassi di Bacteroides e livelli più alti di Bifidobacterium (Hollister et al., 2015).

In età adulta, nonostante l’unicità tassonomica e la personale natura del microbioma intestinale umano (Faith et

al., 2013), i suoi attributi

funzionali sono

relativamente coerenti tra le popolazioni di adulti sani (Turnbaugh et al., 2009). Alcuni dei principali percorsi funzionali nel microbioma intestinale dell’adulto includono quelli coinvolti nel metabolismo dei carboidrati e degli

aminoacidi, nella

fermentazione e nella fosforilazione ossidativa (Turnbaugh et al., 2009, Qin et al., 2010, Yatsunenko et al., 2012). Negli anziani, i microbi intestinali diventano instabili dal punto di vista compositivo e meno diversificati (Odamaki et al., 2016), un fenomeno che è stato legato con l’aumento della fragilità (Jackson et al., 2016) e il declino della funzione immunitaria (Claesson et al., 2012). Nelle popolazioni più anziane, la bassa ricchezza del microbiota intestinale, un proxy per la perdita di specie microbiche e il loro repertorio di geni funzionali, sembra essere un predittore di mortalità (Ticinesi et al., 2017), mentre l’arricchimento di alcuni batteri, tra cui Akkermansia e Bifidobacterium, è associato con la longevità (Biagi et al., 2016). Un legame diretto tra le alterazioni del microbiota intestinale, associate all’età, e

Figura 2. Il microbiota dei batteri intestinali infantili si è rapidamente

diversificato nel primo anno di vita nei neonati sani, ma è ritardato in coloro che sviluppano allergie o asma o che sono malnutriti (Durak et al., 2018).

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14 l’infiammazione sistemica, associata all’età, è stato stabilito in un recente studio, in cui topi GF co-housing con topi vecchi con un microbioma ricco aumentavano la permeabilità intestinale e l’infiammazione legata all’età (Thevaranjan et al., 2017). Quindi, le prove ad oggi indicano che i cambiamenti sono associati all’età nelle fluttuazioni parallele nello stato immunitario (Simon et al., 2015) e questo rappresenta una considerazione importante negli studi di valutazione della salute umana o quando si considera la manipolazione del microbiota per la prevenzione o il trattamento di malattie specifiche.

e) Il microbiota intestinale nell’immunità e nell’omeostasi

Negli esseri umani, il microbiota intestinale sviluppa uno stato di simbiosi con il suo ospite (Figura 3) e codifica una vasta gamma di geni funzionali, che sminuisce quella del genoma umano. Uno studio che cataloga i geni funzionali nel microbioma intestinale umano ha identificato fino a 9,9 milioni di geni unici microbici, attraverso 1200 soggetti sani su tre diversi continenti (Li et al., 2014). Tra le note funzioni microbiche affermate, espresse dai microbi intestinali umani, vi sono vie catalitiche per il metabolismo dei carboidrati complessi che producono acidi grassi a catena corta (SCFA) (Tabella 2), lipidi infiammatori e anti-proliferativi, che rappresentano una fonte energetica essenziale per le cellule epiteliali gastrointestinali (Kelly et al., 2015). Altri metaboliti bioattivi derivati da microbi comprendono vitamine essenziali, come la K (Karl et al., 2017) e quelle del gruppo B (Magnusdottir et al., 2015), ormoni (Yatsunenko et al., 2012, Yan et al., 2016), molecole di segnalazione neurologica, come la serotonina (Yano et al., 2015, Romano et al., 2017), che può derivare dal metabolismo microbico del triptofano (Tabella 2) e una grande serie di altri prodotti naturali, molti dei quali hanno funzioni non ancora definite (Donia et al., 2015, Guo et al., 2017).

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15 Di uguale importanza, per gli effetti del microbioma sulla fisiologia dell’ospite, vi è il suo ruolo nello sviluppo e nel mantenimento della funzione immunitaria innata e adattativa locale e sistemica (Hooper et al., 2001, Levy et al., 2015, Schirmer et al., 2016). La disfunzione immunitaria è sempre più identificata come un componente di una gamma di malattie croniche, inclusa obesità (Winer et al., 2016), sindrome metabolica (Richard et al., 2017), sclerosi multipla (Kallaur et al., 2017) e disturbi dello spettro autistico (Careaga et al., 2017). Specificamente, tutti questi disturbi hanno anche mostrato di essere associati con alterazioni del microbiota intestinale, generalmente associate alla perdita della diversità microbica e, in particolare, con l’esaurimento di batteri specifici, compresi Akkermansia e Faecalibacterium, che promuovono la tolleranza immunitaria (Sokol et al., 2008, Schneeberger et al., 2015, Rossi et al., 2016, Ottman et al., 2017). Prova del ruolo chiave di microbi, che modellano la funzione immunitaria, è stato mostrato in studi di topi GF, che hanno sottosviluppato un sistema immunitario innato e adattivo (Khosravi et al., 2014) e hanno ridotto l’espressione di peptidi antimicrobici (Natividad et al., 2013) e di IgA (Hapfelmeier et al., 2010), necessari per la clearance di microbi patogeni dal lume intestinale (Moore t al., 2017).

− Microbioma precoce e maturazione immunitaria

Recenti dati indicano che, il microbiota intestinale in via di sviluppo dei neonati umani influenza la progressione delle risposte IgA della mucosa intestinale (Planer et al., 2016) e le alterazioni di comunità microbiche nascenti causano disregolazione metabolica e immunologica nel lungo periodo (Ruiz et al., 2017, Lynn et al., 2018).

Figura 3. In adulti sani, il microbiota intestinale vive in uno stato di simbiosi reciproco con il suo ospite

(16)

16 Lo sviluppo del microbiota intestinale nella prima infanzia sembra aderire a principi ecologici di successione primaria, in cui gli organismi iniziali (pionieri) colonizzano un precedente incontaminato habitat, influenzano le condizioni dell’ecosistema e impongono un accumulo successivo di specie nella nicchia tramite colonizzazione competitiva. La colonizzazione iniziale, da parte di specie microbiche distinte nell’intestino umano nascente, può quindi indurre condizioni immunitarie e fisiologiche discrete (Figura 2), che incidono sugli esiti sanitari più avanti nella vita. Il supporto per questo concetto deriva da recenti studi che mostrano, ad esempio, come il rischio di malattia atopica e asma infantile sia legato alla composizione e all’attività metabolica del microbiota intestinale a 1 mese di vita (Fujimura et al., 2016). Altri studi hanno indicato che, bambini nati da parto cesareo e nutriti con formula nei primi anni di vita mostrano un caratteristico microbioma intestinale neonatale distinto, che persiste per tutto il primo anno di vita (Backhed et al., 2015) e riduce significativamente la trasmissione verticale (Korpela et al., 2018), rispetto ai bambini nati per via vaginale. Si osserva che, il taglio cesareo e la nutrizione con formula sviluppano nei bambini una traiettoria successoria microbica, suggerendo che il promotore delle popolazioni microbiche, che si sviluppano nell’utero, potrebbe essere sopraffatto da ceppi microbici più competitivi incontrati nella precoce vita postnatale, la cui colonizzazione è influenzata dagli effetti della dieta. Allo stesso modo, bambini ad alto rischio di sviluppare asma mostrano un microbiota batterico nel loro meconio e una diversificazione ritardata del loro microbiota intestinale durante il primo anno di vita (Durack et al., 2018). Questo ritardo della diversificazione è stata parzialmente risolta con la supplementazione giornaliera postpartum di Lactobacillus rhamnosus, che è stata associata con una composizione del microbiota intestinale ristrutturata e una produzione metabolica più coerente con quella dei neonati a basso rischio (Durack et al., 2018), fornendo prove che lo sviluppo e il metabolismo del microbiota intestinale possano essere ripristinati attraverso l’intervento microbico.

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17

Tabella 2. Esempi di metaboliti che derivano dal microbiota e i loro effetti benefici sulla

salute umana

Metabolita/pathway Microbial agent Health benefits

Butyrate (carbohydrate metabolism)

Clostridia (clusters IV and XIVa)

Increased intestinal barrier function (Kelly et al., 2015, Zheng et al., 2017)

F. prausnitzii Modulate intestinal macrophage function (Chang et al., 2014)

Eubacterium spp. Regulation of colonic T reg cell homeostasis (Furusawa et al., 2013, Smith et al., 2013)

Roseburia spp. Induction of tolerogenic DCs that polarize naïve CD4+ T cells toward IL-10-producing T reg cells (Kaisar et al., 2017)

Coprococcus catus Suppression of colonic inflammation (Singh et al., 2014, Simeoli et al., 2017)

Anaerostipes hardrus Improvements in insulin sensitivity (Khan and Jena, 2016)

Propionate (carbohydrate metabolism)

Bacteroides spp. Regulation of colonic T reg cell homeostasis (Furusawa et al., 2013, Smith et al., 2013

Blautia obeum Suppression o colonic inflammation (Tong et al., 2016)

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18 responses to microbial stimulation (Ciarlo et al., 2016)

Roseburia inulinivorans Protection from allergic airway inflammation (Trompette et al., 2014)

P. copri Improvements in insulin sensitivity and weigh control in obese mice (den Besten et al., 2015) Alistipes putredinis Dialister invisus A. muciniphila Eubacterium hallii Indole (Tryptophan metabolism)

A variety of bacteria possessing tryptophanase, including: Lactobacillus spp. Maintenance of host-microbe

homeostasis at mucosal surfaces via IL-22 (Zelante et al., 2013)

B. longum Increased barrier function (Bansal et al., 2010)

B. fragilis Modulation of host

metabolism (Chimerel et al., 2014)

P. distasonis

Clostridium bartlettii

(19)

19

E. coli

I3A (tryptophan

metabolism)

Lactobacillus spp. Maintenance of mucosal homeostasis and intestinal barrier function via increased IL-22 production (Zelante et al., 2013)

Protection against intestinal inflammation in mouse models of colitis (Lamas et al., 2016)

IPA (tryptophan metabolism)

Clostridium sporogenes Maintenance of intestinal barrier function and mucosal homeostasis (Venkatesh et al., 2014)

HYA (lipid metabolism) Lactobacillus spp. Maintenance of intestinal

barrier function (Miyamoto et al., 2015)

Decreased inflammation (Kaikiri et al., 2017)

a.III. Increased intestinal IgA production (Kaikiri et al., 2017)

CLA (lipid metabolism) Lactobacillus spp. Decreased inflammation

(Viladomiu et al., 2016)

Bifidobacterium spp. Reduced adiposity (Segovia et al., 2017)

F. prausnitzii Improbe insulin sensitivity (Garibay-Nieto et al., 2017)

(20)

20

2. Il microbiota intestinale in gruppi di età specifici

a) Il microbiota intestinale in fase iniziale

L’istituzione e la colonizzazione del microbiota intestinale è un processo complesso, in cui sono coinvolte una serie di interazioni tra microbo-microbo e microbo-ospite. Un’ecologia microbica dell’intestino sano si instaura nell’infanzia e nella prima infanzia, che è cruciale per il mantenimento della salute per tutta la vita. I fattori che influenzano l’istituzione precoce del microbiota intestinale durante l’infanzia sono elencati nella Tabella 3.

Tabella 3. Fattori che influenzano l’istituzione precoce del microbiota intestinale

FASI FATTORI

PRIMA DELLA NASCITA Condizioni materne (ambiente uterino, stress,

uso di antibiotici e periodo gestazionale)

DURANTE LA NASCITA Modalità di parto (taglio cesareo e parto

vaginale)

DOPO LA NASCITA Contatto con le madri (allattare, baciare e

accarezzare); esposizione ad agenti patogeni ambientali; modalità di alimentazione (allattamento al seno e alimentazione formula); eventi specifici della vita (malattia, cambiamenti nella dieta e trattamento antibiotico)

Si pensa che i bambini non ancora nati siano sterili nell’ambiente uterino. Tuttavia la presenza di alcuni batteri nel liquido amniotico (DiGiulio et al., 2008), nella placenta (Satokari et al., 2009), nel sangue del cordone ombelicale (Jiménez et al., 2005) e nel meconio (Jiménez et al., 2008) suggerisce l’esistenza di una trasmissione prenatale dalla madre al figlio di batteri commensali. Inoltre, fattori materni, come lo stress prenatale (Bailey et al., 2004), le terapie antibiotiche (Faa et al., 2013) e il periodo gestazionale prolungato (Azad et al., 2013) possono anche portare a una colonizzazione microbica intestinale alterata nei neonati.

(21)

21 La modalità del parto è un fattore importante, che influenza la colonizzazione del microbiota intestinale nelle prime fasi della vita (Dominguez-Bello et al., 2010). I nati con parto vaginale acquisiscono comunità batteriche simili al microbiota vaginale della madre, mentre i nati con parto cesareo ospitano comunità batteriche che sono più simili al microbiota cutaneo materno (Dominguez-Bello et al., 2010). Il microbiota intestinale dei bambini nati con taglio cesareo presenta una diversità microbica totale inferiore e una colonizzazione ritardata di Bacteroidetes, rispetto a quella dei bambini nati con parto vaginale (Jakobsson et al., 2014). L’aberrante colonizzazione microbica intestinale, causata dal taglio cesareo, può contribuire all’aumento dei rischi di contrarre diversi disturbi immunitari, come l’asma e il diabete in età avanzata (Cardwell et al., 2008, Thavagnanam et al., 2008).

I microbi orali e cutanei della madre possono essere trasferiti nel microbiota intestinale dei neonati (Dominguez-Bello et al., 2010, Backhed et al., 2015). Inoltre, l’esposizione precoce a una vasta gamma di microbi dall’ambiente circostante è cruciale per lo sviluppo di un sistema immunitario sano (Ege et al., 2011), poiché svolgono un ruolo critico nel normale stabilimento microbico intestinale (Hwang et al., 2012). La disregolazione della composizione del microbiota intestinale, durante l’infanzia, è stata associata alla crescente prevalenza di numerose malattie allergiche, come l’asma (Abrahamsson et al., 2014), l’eczema atopico (Abrahamsson et al., 2012) e la rinite allergica (Bisgaard et al., 2011).

La struttura e la composizione del microbiota intestinale infantile sono instabili nel primo anno di vita (Palmer et al., 2007). Durante questo periodo, la modalità di alimentazione è considerata un fattore chiave che influenza il microbiota intestinale (Backhed et al., 2015). I complessi oligosaccaridi nel latte materno potrebbero favorire la crescita e la colonizzazione di un microbiota benefico, come i bifidobatteri, nell’intestino infantile (Zivkovic et al., 2011). I bambini nutriti con formula sono spesso colonizzati da potenziali agenti patogeni, come

Escherichia coli e Clostridium difficile, rispetto ai bambini allattati al seno (Pender set al.,

2006). Nel complesso ciò indica che, i bambini allattati al seno possono avere un’ecologia microbica intestinale più sana, rispetto ai bambini allattati con latte artificiale.

È fino a circa tre anni dopo la nascita che viene stabilita una configurazione simile ad un microbiota intestinale adulto (Yatsunenko et al., 2012): durante questo periodo, le funzioni geniche del microbioma intestinale infantile cambiano dal primo utilizzo del lattato a un microbioma adulto, come la rottura del polisaccaride vegetale, la biosintesi delle vitamine e la

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22 degradazione degli xenobiotici (Koening et al., 2011). Tuttavia, eventi di vita specifici come malattie, cambiamenti nella dieta e trattamenti antibiotici possono causare brusche modifiche nella composizione dell’intestino infantile (Koening et al., 2011).

b) Il microbiota intestinale negli anziani

È noto che, la struttura del microbiota intestinale umano cambia con l’invecchiamento. La composizione batterica intestinale in soggetti anziani sani mostrava una significativa variazione interindividuale ed era caratterizzata da proporzioni più elevate di enterobatteri patogeni e proporzioni più basse di Bifidobatteri probiotici (Hopkins e Macfarlane, 2002, Woodmansey et al., 2004, Bartosch et al., 2004, Mueller et al., 2006, Claesson et al., 2011, Zwielehner et al., 2009, Mariat et al., 2009). È interessante notare che, centenari hanno anche mostrato una maggiore abbondanza di anaerobi facoltativi, come i Proteobacteria, e una minore abbondanza di Faecalibacterium prauznitzii antinfiammatori, rispetto ai soggetti giovani e anziani (Biagi et al., 2010). Un recente studio ha riportato che, la flora intestinale di soggetti anziani in cura per un lungo periodo ha avuto una percentuale elevata del phylum Bacteroidetes e del genere Parabacteroides, Eubacterium, Anaerotruncus, Lactonifactor e

Coprobacillus, mentre i soggetti anziani residenti in comunità ospitavano una percentuale

elevata del phylum Firmicutes e del genere Coprococco e Roseburia (Claesson et al., 2012).

I comportamenti nutrizionali e gli stili di vita possono essere fattori critici, che contribuiscono alla composizione microbica dell’intestino negli anziani. (Claesson et al., 2012).

3. Il microbiota intestinale in diverse regioni geografiche

Si sono osservate delle differenze significative sia nella composizione microbica intestinale che nelle funzioni tra le popolazioni degli Stati Uniti e del Malawi (Yatsunenko et al., 2012). Vi era un’abbondanza significativamente più elevata di Bacteroidetes e una minore presenza di Firmicutes nel microbiota fecale dei bambini di un villaggio dell’Africa rurale, rispetto a quelli dei bambini europei (Italia) (De Filippo et al., 2010). Nell’intestino dei bambini africani, l’abbondanza relativamente alta di specifici generi batterici (Xylanibacter,

Prevotella, Butyrivibrio e Treponema) potrebbe aiutare a massimizzare l’estrazione di energia

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23 dimostrato che, i bambini del Bangladesh hanno una maggiore diversità batterica intestinale, rispetto ai bambini statunitensi (Lin et al., 2013). Inoltre, il microbiota intestinale delle zone rurali della Papua Nuova Guinea aveva una maggiore diversità , ma una minore diversità , rispetto a quella dei residenti urbani negli Stati Uniti (Martìnez et al., 2015). La variazione delle strutture microbiche intestinali tra i cacciatori-raccoglitori Hadza rurali in Tanzania e gli italiani urbani potrebbe contribuire ai loro diversi profili metabolici fecali (Schnorr et al., 2014).

Sulla base degli impatti di diete a lungo termine, la composizione della flora intestinale potrebbe essere raggruppata in due enterotipi: l’enterotipo Bacteroides è stato correlato con la dieta ricca di proteine animali e grassi saturi, mentre l’enterotipo Prevotella è stato correlato con la dieta ricca di carboidrati e zuccheri semplici (Wu et al., 2011). Di conseguenza, le differenze dietetiche possono contribuire in larga misura alla variazione della composizione del microbioma intestinale tra le società urbane e le aree rurali (Wu et al., 2011, David et al., 2014). Inoltre, la dieta “occidentale” deve essere presa in considerazione, perché ha causato estinzioni di alcuni microbi intestinali nel corso delle generazioni (Sonnenburg et al., 2016).

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24

ASSE INTESTINO-CERVELLO

Ippocrate diceva “tutte le malattie iniziano nell’intestino”.

La composizione del microbiota intestinale si altera facilmente a causa di disturbi metabolici, disturbi alimentari, stress, disturbi neuropsichiatrici. I batteri intestinali possono influenzare direttamente il sistema nervoso centrale, attraverso la modulazione delle vie di segnalazione dell’asse microbiota-intestino-cervello, come il peptide-1 simile al glucagone (GLP-1) e il peptide YY (PYY) o l’attivazione di percorsi di ricompensa (Fetissov et al., 2016). Un microbiota intestinale sano è fondamentale per la corretta funzione metabolica e omeostasi, che sostanzialmente favorisce l’ospite in generale. Alterazioni della composizione microbica, soprattutto fin dalla tenera età, potrebbe causare sostanzialmente obesità e diabete, modificando e influenzando il metabolismo dell’ospite, l’omeostasi e il meccanismo centrale dell’appetito (Cox et al., 2014).

L’appetito, l’assunzione di cibo e il bilancio energetico sono regolati da una complessa rete di fattori neuroendocrini e dai loro rispettivi recettori, che mediano la comunicazione bidirezionale tra il tratto gastrointestinale e il cervello (Figura 4) (Sandhu et al., 2016). La presenza di nutrienti nel tratto gastrointestinale, dopo l’ingestione, provoca una complessa segnalazione neuronale e ormonale al cervello per informare del cambiamento in atto nello stato di nutrizione. Questa segnalazione è mediata da fibre nervose afferenti dal sistema nervoso autonomo, come il nervo vago, che proiettano le informazioni dall’intestino al nucleo del tratto solitario (NTS) e da fibre nervose efferenti, che si proiettano sui muscoli lisci dell’intestino. Le informazioni provenienti da NTS vengono distribuite all’ipotalamo, che regola il bilancio energetico, l’appetito e l’assunzione di cibo a livello dei neuroni del nucleo

arcuato (ARC) (Schellekens et al., 2010). L’ARC contiene il neuropeptide oressigeno Y (NPY), proteine correlate all’agouti (AgRP) e peptidi anoressigeni, come la (http://cerebroniad.blogspot.com/2017/05/microbiota-intestinal-y-salud.html).

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25 trascrizione regolata da cocaina e anfetamine (CART) e proopiomelanocortina (POMC) (Figura 4) (Schellekens et al., 2010). Questo ruolo centrale del nervo vago nella segnalazione dell’appetito è supportato da studi che dimostrano che, la vagotomia nei modelli animali causa una riduzione della segnalazione dell’ormone anoressigeno e successivi aumenti dell’assunzione di cibo e di peso (Abbott et al., 2005, Berthoud et al., 2014). Tuttavia, i risultati degli studi sull’uomo hanno maggiori contraddizioni e il meccanismo con cui la stimolazione del nervo vago influisce sul comportamento alimentare rimane poco chiaro (Bodenlos et al., 2014). Inoltre, la secrezione di peptidi intestinali da cellule enteroendocrine contribuisce a questa segnalazione dall’intestino al cervello, attraverso le fibre nervose afferenti e alla secrezione diretta nel sistema circolatorio (Sandhu et al., 2016). Alcuni ceppi batterici possono modificare la secrezione degli ormoni intestinali, inclusi PYY, GLP-1, leptina e grelina, quindi influenzano l’appetito e la sazietà, attraverso percorsi neuroendocrini ipotalamici (Figura 4) (Everard et al., 2014, Torres-Fuentes et al., 2015). I metaboliti derivati dal microbiota, come ad esempio gli acidi grassi a catena corta (SCFA), possono legarsi ai recettori delle cellule enteroendocrine, modificando il rilascio di ormoni enterici nella circolazione sistemica (Cani et al., 2013, Nohr et al., 2013). Quindi, la fermentazione di carboidrati non digeribili, da parte del microbiota intestinale, ha dimostrato in studi su animali e sull’uomo la capacità di aumentare la produzione di acidi grassi a catena corta e la secrezione di ormoni intestinali (Everard et al., 2014).

L’acetato, il principale acido grasso a catena corta secreto da batteri intestinali, sopprime direttamente l’appetito nel meccanismo della via centrale ipotalamica (Frost et al., 2014). Tuttavia, un aumento della concentrazione di acetato è causato dal microbiota alterato, che porta all’attivazione del sistema nervoso parasimpatico, promuove la secrezione dell’insulina, stimolata dal glucosio, aumenta la secrezione di grelina e il rischio di obesità (Perry et al., 2016). Inoltre, l’assenza di un microbiota in topi GF riduce sostanzialmente l’espressione di peptidi intestinali, che inducono sazietà (Duca et al., 2012). Questi topi GF hanno anche una maggiore espressione del recettore orale del gusto grasso, recettore degli acidi grassi, con conseguente aumento dell’apporto calorico dei grassi (Duca et al., 2012). Questi recettori orali trasmettono informazioni alle papille gustative attraverso fibre nervose al nucleo del tratto solitario (NTS) nel tronco cerebrale (Calvo et al., 2015). Inoltre, nelle cellule enteroendocrine sono espressi diversi recettori del gusto (ad esempio, i recettori del grasso, amaro e umani) e la loro attivazione porta alla secrezione di GLP-1, colecistochinina (CCK) e grelina (Calvo et al., 2015). Pertanto, la modulazione dei recettori del gusto potrebbe

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26 essere coinvolta nell’effetto del microbiota intestinale sul controllo dell’appetito dell’ospite. Un altro studio (Swartz et al., 2012) su topi GF ha dimostrato un’alterazione nella segnalazione proteica intestinale del dolce, T1R3, che ha portato ad un incremento del consumo di soluzioni nutritive dolci (Swartz et al., 2012).

I batteri intestinali producono metaboliti neuro-attivi, tra cui serotonina e acido -aminobutirrico (GABA) (Wall et al., 2014), che colpiscono il controllo centrale dell’appetito (Meng et al., 2016, Delgado et al., 2013). La serotonina media gli effetti soppressori dell’appetito, modulando i neuroni della melanocortina, che controllano l’omeostasi del peso corporeo (Heisler et al., 2006, Xu et al., 2008). GABA, il principale neurotrasmettitore inibitorio nel sistema nervoso centrale e uno dei principali neurotrasmettitori coinvolti nella trasmissione sinaptica ipotalamica, stimola l’appetito e il suo rilascio sinaptico, da parte di AgRP nel ARC ipotalamico, è necessario per la normale regolazione del bilancio energetico (Delgado et al., 2013).

A. Percorsi relativi all’umore, alla ricompensa e all’alimentazione

Oltre ai meccanismi menzionati in precedenza, il microbiota intestinale potrebbe anche influenzare il comportamento alimentare dell’ospite: dalla modulazione dei percorsi di

Figura 4. Meccanismi di metabolismo e regolazione dell’appetito guidati dal microbiota (Torres-Fuentes et al.,

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27 ricompensa all’alterazione dell’umore. Alcune specie batteriche potrebbero interagire con il metabolismo dell’ospite, attraverso la stimolazione di sistemi esterni al tratto gastrointestinale, come il sistema endocannabinoide, che influenza la funzione batterica intestinale, il metabolismo dell’ospite (Cani et al., 2016) e il controllo omeostatico ed edonico dell’appetito e dell’assunzione di cibo (Jager et al., 2014). La segnalazione della ricompensa cerebrale è mediata dal sistema mesolimbico dopaminergico ed esercita un ruolo importante nello sviluppo dell’obesità (Schellekens et al., 2012). Uno studio umano di imaging ha riscontrato che aumentava il propinato colico, uno dei principali acidi grassi a catena corta secreto dai batteri intestinali, che a sua volta riduce le risposte anticipatorie di ricompensa agli alimenti ad alta energia tramite vie striatali (Byrne et al., 2016). Anche i batteri intestinali potrebbero influenzare questo sistema di ricompensa, modulando la secrezione dell’ormone intestinale (Byrne et al., 2016).

Il microbiota intestinale influenza l’umore e il comportamento in modi diversi, come la stimolazione del nervo vago, l’attivazione immunitaria e la produzione di metaboliti microbici (Dinan et al., 2016). Comportamenti sostanzialmente simili alla depressione e all’ansia possono influire sull’assunzione di cibo ed esistono diverse associazioni tra

obesità e disturbi psichiatrici affettivi (Schellekens et al., 2012). L’aumento dello

stress psicologico aumenta il rischio di sviluppare ansia e depressione e attiva la segnalazione della via edonica, stimolando l’assunzione di alimenti ad elevato contenuto calorico, i cosiddetti alimenti confortanti (Schellekens et al., 2012). È interessante notare che, il trapianto fecale (FMT) da topi ansiosi oppure obesi, o da pazienti in depressione, produce un fenotipo ansioso nel roditore destinatario (Collins et al., 2013, Bruce-Keller et al., 2015). Inoltre, topi GF hanno un’elevata risposta allo stress (Sudo et al., 2004) e hanno alterazioni nel neurosviluppo e nel comportamento (Dinan et al., 2017). Tra l’altro, la modifica del microbiota intestinale, attraverso la somministrazione di prebiotici, ha effetti simili agli ansiolitici e agli antidepressivi (Burokas et al., 2016). Il nervo vago collega l’umore all’alimentazione e svolge un ruolo fondamentale nel coordinamento dei comportamenti

(https://neurobioblog.com/2019/01/16/microbiota-sempre-piu-evidenze-sullasse-intestino-cervello/).

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28 alimentari (Berthoud et al., 2008) e degli effetti comportamentali modulati dai batteri intestinali (Bravo et al., 2011). Complessivamente, il microbiota intestinale potrebbe influire chiaramente sull’umore e, in definitiva, influenzare i circuiti cerebrali collegati ai comportamenti alimentari.

(29)

29

Capitolo II

ASSOCIAZIONE TRA MICROBIOTA INTESTINALE E

MALATTIE UMANE

Il microbiota intestinale è considerato come un “organo” chiave che influenza la biologia dell’ospite. Si ritiene che, la disbiosi del microbiota intestinale sia associata allo sviluppo e alla progressione di diverse malattie umane metaboliche, immunologiche e neurologiche.

A. Malattie metaboliche: obesità

Una delle malattie metaboliche, che genera la disbiosi del microbiota intestinale, è l’obesità. L’obesità è causata da una disregolazione del bilancio energetico, in cui la quantità di energia assunta dagli alimenti supera il dispendio energetico nell’organismo (Turnbaugh et al., 2006), generando un aumento del grasso corporeo. L’obesità è un grave problema di salute.

L’obesità è stata riconosciuta dall’OMS come un’epidemia globale. È diventata un problema di salute in tutto il mondo (Stokes et al., 2016). La sua rapida crescita e i rischi di mortalità (Yang et al., 2016) stanno suscitando sempre più una consapevolezza pubblica, ma controllarla non è un compito facile, per questo è molto importante comprenderne le dinamiche.

L’obesità è il comune denominatore di disturbi cronici legati all’alimentazione, come le malattie cardiovascolari e il diabete, ma anche malattie cronico-infiammatorie e allergie. Sovrappeso e obesità appartengono alla famiglia delle malattie non trasmissibili, che condividono comuni fattori di rischio ambientali e caratteristiche immunologiche, che spesso coesistono e costituiscono una minaccia per il benessere dell’uomo.

L’ambiente sociale, in particolare le relazioni sociali, sono strettamente correlate alla salute delle persone. Una mancanza di connessioni sociali può aumentare il rischio di morte (Nowak et al., 2004). È stato scoperto che in una rete sociale molti fenomeni si diffondono a

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30 livello interpersonale, come giochi biologici (Nowak et al., 2005), reciprocità indiretta (Newman et al., 2003), disinformazione (Del Vicario et al., 2016, Brockmann et al., 2013) e malattie infettive (Liljeros et al., 2003, Christakis et al., 2007). L’obesità è una di queste ed è spesso vista come un’epidemia contagiosa (Stokes et al., 2016).

Tuttavia, la diffusione dell’obesità è molto diversa dai tradizionali contagi virali biologici. La caratteristica più distintiva è che non è guidata dal contatto interpersonale. L’elenco delle condizioni intrecciate si estende anche all’umore e al cervello, collegati all’intestino mediante uno scambio bidirezionale di segnali endocrini, immunitari e neurali. Diversi fattori mentali predispongono all’obesità, come la depressione, la bassa autostima, il senso di insicurezza (Tappe et al., 2013, Aziza et al., 2014). Poiché le emozioni possono essere trasferite direttamente da un individuo a un altro, tramite mimetismo o “contagio emotivo” (Fowler et al., 2008, Campbell et al., 2013), questi fattori mentali possono essere modellati in un processo di contagio sociale (Hill et al., 1998). In altre parole, le dinamiche di diffusione interpersonale dell’obesità sono guidate da un processo di contagio sociale.

L’obesità è una patologia complessa multifattoriale, che coinvolge una serie di comportamenti, fattori ambientali e genetici. Numerosi fattori genetici sono stati implicati in forme di obesità monogeniche e poligeniche, ma lo spettro genetico è molto complesso e questi spiegano solo una piccola frazione. I fattori non genetici, che possono contribuire alla sua progressione, includono la natura e la quantità di alimenti assunti, lo stile di vita, l’attività fisica e i fattori comportamentali. Inoltre, la disponibilità di alimenti trasformati, di alimenti arricchiti e di alimenti ipercalorici, ad un prezzo relativamente basso, sono i fattori chiave che contribuiscono alla pandemia dell’obesità.

La prevalenza mondiale dell’obesità è aumentata notevolmente negli ultimi decenni: è quasi raddoppiata tra il 1980 e il 2004 (Romieu et al., 2017). Se l’obesità continua ad aumentare allo stesso ritmo, il numero delle persone in sovrappeso e obese aumenterà fino a circa 2,16 e 1,12 miliardi rispettivamente entro il 2030 (Singh et al., 2017).

La progressione dell’obesità comporta molti cambiamenti nel corpo. I segni distintivi dell’obesità includono iperglicemia, aumento del livello di acidi grassi liberi (FFA) nel siero, infiammazione di basso grado con aumento della produzione di interleuchine TNF, omeostasi disturbata, resistenza-insulinica e stress ossidativo. Tutti questi sembrano essere influenzati, almeno in alcuni contesti, dai microbi intestinali (Naseer et al., 2014, Pérez et al., 2016).

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1. Indice di massa corporea

Esiste un sistema di valutazione del peso: l’indice di massa corporea (BMI o IMC). È uno strumento diagnostico di primo piano, che permette di valutare il peso di un soggetto e la sua posizione rispetto a quello normopeso, statisticamente associato al minor rischio di ammalarsi di patologie metaboliche e non solo. Tuttavia, a causa della scarsa precisione (non tiene in considerazione l’entità dello scheletro e della muscolatura) e dei limiti applicativi che comporta, oggi il BMI è parzialmente rimpiazzato da metodi di stima più accurati e innovativi, ma senz’altro meno pratici.

Il BMI si calcola mettendo in relazione il peso corporeo (espresso in kg) con il quadrato della statura (espressa in metri) dell’individuo:

BMI = peso corporeo (kg) / (altezza2) (m2)

In funzione del BMI, la popolazione viene generalmente divisa in classi di peso: normopeso, sottopeso, sovrappeso, obeso (Tabella 4).

I valori più indicati di BMI, riferiti all’aspetto metabolico-salutistico, si aggirano intorno a 21-22 kg/m2.

Tabella 4. Classificazione del peso

Categoria BMI range

Sottopeso severo <16,5

Sottopeso 16,5-18,4

Normopeso 18,5-24,9

Sovrappeso 25-29,9

Obesità primo grado 30-34,9

Obesità secondo grado 35-40

Obesità terzo grado >40

Nella misura in cui l’obesità è un prodotto di comportamenti volontari (Christakis et al., 2007), l’epidemia di obesità spesso deriva dalla diffusione di comportamenti indesiderati

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32 legati alla salute, come il binge eating, prevenendo contemporaneamente il contagio di comportamenti sani. Come definito dall’OMS (Stokes et al., 2016), i comportamenti che favoriscono l’aumento di peso, come guardare la televisione, lavorare al computer, ecc., sono classificabili come inattività fisica o comportamenti sedentari, e i comportamenti che hanno, invece, gli effetti opposti, come l’esercizio fisico e lo sport, sono chiamati attività fisica. Hill e Peters hanno affermato che “l’epidemia di obesità è causata in gran parte da un ambiente

che promuove un’eccessiva assunzione di cibo e scoraggia l’attività fisica” (Hill et al.,1998).

Uno stile di vita con attività fisica insufficiente e inattività eccessiva spesso fa ingrassare un individuo (Ebbeling et al., 2002). Impegnandosi in regolari attività fisiche, l’IMC degli uomini può essere ridotto (Rising et al, 1994, Westerterp et al., 1997) e l’obesità può essere prevenuta (Aziza et al., 2014). L’attività e l’inattività fisica possono spesso coesistere nello stile di vita delle persone, ma in concorrenza tra loro. Quando l’inattività fisica mantiene una posizione dominante, una persona sana può ingrassare gradualmente. Al contrario, quando l’attività fisica occupa la posizione di leader, una persona obesa può perdere peso e infine riguadagnare un peso sano.

La velocità di propagazione dell’epidemia è elevata in bambini e in giovani adulti in età riproduttiva con il potenziale di trasmettere questa propensione alla prossima generazione (Isolauri et al., 2016). Il rischio di escalation del problema dovrebbe avere la massima priorità nella politica sanitaria, dato che prevenire è meglio che curare.

2. Composizione del microbiota intestinale nell’obesità

Il microbiota intestinale popola il tratto gastrointestinale e la sua composizione varia da persona a persona. La composizione del microbiota intestinale influenza vari aspetti del metabolismo energetico, compresa la digestione, l’acquisizione di nutrienti dagli alimenti ingeriti, il metabolismo dei componenti alimentari e l’accumulo dei grassi in eccesso. Ciò dimostra che, la comunità microbica può contribuire in modo significativo alla progressione dell’obesità e alle sue complicanze (Everard et al., 2014).

Questo è stato effettivamente osservato dal confronto dei risultati del sequenziamento profondo del microbiota intestinale distale in topi wild-type, magri e obesi ob/ob, che hanno rilevato differenze significative nelle proporzioni di Firmicutes e Bacteroidetes (Ley et al., 2005). Le differenze tra il microbiota intestinale umano di un soggetto magro e di uno obeso sono simili a quelle riportate per i modelli di roditori.

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33 Uno studio ha esaminato soggetti sottoposti a perdita di peso, usando una dieta povera di grassi e povera di carboidrati, eseguita per un anno. I risultati hanno dimostrato che, il rapporto tra Firmicutes e Bacteroidetes era sostanzialmente più elevato in questi soggetti, rispetto ai soggetti con un peso corporeo nella norma; tuttavia, i soggetti che avevano perso peso avevano ripristinato il rapporto a livelli di normalità (Ley et al., 2006). Una riduzione significativa di Bacteroidetes in soggetti obesi, rispetto ai controlli magri e anoressici, è stata osservata da Armougon et al. (Armougon et al., 2009). Un altro studio ha dimostrato che, il microbiota di soggetti obesi era associato ad una riduzione del livello di diversità ed era composto da un numero significativamente inferiore di Bacteroidetes. Tuttavia, si è riscontrato un aumento significativo di Bacteroidetes nei gruppi obesi e in sovrappeso, rispetto ai controlli. Le donne in gravidanza, in sovrappeso prima del concepimento, che incrementano il loro peso, hanno un aumento delle proporzioni di Bacteroidetes. Tuttavia, una meta-analisi sull’obesità, associata all’alterazione del microbiota intestinale a livello del phylum, ha mostrato che l’unica alterazione riproducibile e significativa è la diminuzione del numero assoluto di sequenze di Firmicutes in soggetti obesi (Angelakis et al., 2012).

Uno studio ha confrontato la composizione microbica intestinale di 25 bambini in sovrappeso/obesi e 24 bambini normopeso. È stato osservato che, il gruppo controllo aveva una percentuale maggiore di bifidobatteri durante l’infanzia e all’età di 7 anni, mentre il gruppo sovrappeso/obeso aveva proporzioni più elevate di Stafilococcus durante l’infanzia (Kalliomaki et al., 2008). Un altro studio ha mostrato, in modo simile, percentuali più elevate di Stafilococcus nelle donne in gravidanza in sovrappeso, rispetto a donne in gravidanza normopeso, e dato che gli inoculi iniziali di microrganismi di un bambino derivano dalla madre, i numeri più elevati di Stafilococcus nei bambini in sovrappeso può essere dovuto a questa influenza materna (Collado et al., 2008). Il ruolo dei bifidobatteri e lattobacilli nell’obesità è stato ampiamente studiato, dimostrando che un aumento delle proporzioni di alcune specie di lattobacilli (ad esempio Lactobacillus reuteri) e le ridotte proporzioni di M.

smithii erano associati all’obesità, mentre alcuni bifidobatteri (ad esempio Bifidobacterium animalis) sono risultati associati a un peso normale (Million et al., 2012, Million et al., 2013).

Lo stesso gruppo di lavoro ha anche studiato l’obesità acquisita in pazienti trattati con vancomicina e ha mostrato che l’aumento era modulato dalla stessa tendenza di aumento di alcuni lattobacilli e diminuzione di M. smithii (Million et al., 2013). È stato esaminato il ruolo del microbiota nell’incremento del peso ed è stata confermata l’associazione dei bifidobatteri con un normopeso (Angelakis et al., 2012). Un recente studio ha rivelato che, la famiglia molto ereditabile di Christensenellaceae deve essere associata ad un BMI normopeso e a

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34 misure di adiposità, incluso il grasso viscerale. Il genere rappresentativo Christensenella è un anaerobio obbligato, produce butirrato nell’intestino e coincide con un archaea, che produce metanogeni (Beaumont et al., 2016). Lo stesso studio ha riportato l’associazione di

Christensenella con fenotipi multipli di adiposità nei gemelli, inclusa l’adiposità centrale, la

distribuzione del grasso corporeo e il grasso viscerale. Tutti questi studi suggeriscono un’associazione tra microbiota intestinale e obesità e nessuna casualità indica una complessa interazione tra età, genotipo, stile di vita e microbiota dell’ospite, che determinano la tendenza in generale all’aumento o alla perdita di peso.

Una prova piuttosto più diretta delle interazioni dei microbi intestinali è stata fornita da uno studio che esamina la composizione di microbi intestinali in soggetti patologicamente obesi prima e dopo bypass gastrico. Hanno dimostrato che, nei soggetti obesi e nel gruppo controllo predominavano i Firmicutes, ma dopo il bypass nei soggetti obesi si sono ridotti significativamente; inoltre, sono stati sostituiti da un numero più elevato di

Gammaproteobatteri (Zhang et al., 2009). I soggetti obesi hanno anche riportato un numero

maggiore di Methanobacteriales (archaea idrogeno-ossidante), rispetto ai controlli, e si è ipotizzato che il trasferimento di idrogeno tra specie batteriche e archaea può causare un maggiore assorbimento di energia nell’intestino di soggetti obesi senza la necessità di intermedi di fermentazione. Ciò suggerisce che, le limitazioni termodinamiche potrebbero essere superate da questo meccanismo, determinandone una maggiore produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), che possono essere prontamente assorbiti nell’intestino.

3. Microbiota intestinale e omeostasi energetica

Gli studi suggeriscono che, il microbiota intestinale può avere un ruolo nella raccolta e nello stoccaggio di energia, che deriva principalmente dalla frazione indigeribile del cibo ingerito. Sebbene siano stati proposti diversi meccanismi a tal fine, è importante considerarli nel contesto delle conoscenze già esistenti sull’omeostasi dell’energia umana. Il peso corporeo è relativamente costante in un ambiente stabile nel tempo, suggerendo che il corpo umano bilanci l’assunzione e il consumo di energia in modo da mantenere un livello relativamente costante di riserva energetica. La perdita/l’aumento di peso è il risultato dell’interruzione di questo equilibrio e questo è il punto in cui il microbiota in qualche modo interrompe l’accoppiamento tra i meccanismi di intake e consumo di energia. I probabili meccanismi con cui il microbiota può comportare un aumento di peso includono: (1)

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