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La nutrigenetica fornisce un supporto alla nozione di più raccomandazioni dietetiche precise nella pratica clinica e nella salute pubblica, che si basano sulla genetica unica dell’individuo (Ferguson et al., 2016). L’implemento di questa conoscenza consente una migliore comprensione delle risposte differenziali agli interventi dietetici e sta aiutando a determinare gruppi di popolazione con differenti fabbisogni nutrizionali (Kohlmeier et al., 2016). Screening e analisi sugli individui per specifiche varianti genetiche forniranno

136 informazioni più adatte sulla distribuzione di macronutrienti, che permetteranno ai ricercatori di comprendere le diverse risposte personalizzate all’assunzione di carboidrati, lipidi e proteine, consentendo agli operatori sanitari di fornire raccomandazioni per la consulenza nutrizionale (Martinez et al., 2014). Attualmente, il valore predittivo della maggior parte delle varianti genetiche, correlate all’obesità, è di per sé basso. Tuttavia, gli effetti sinergici tra geni e le loro interazioni con l’ambiente, come quelle dalle assunzioni nutrizionali, hanno dimostrato di mediare presumibilmente l’effetto sull’obesità e sui fenotipi correlati (El-Sayed Moustafa et al., 2013). Ulteriore ricerca e applicazione di nuove tecniche -omiche sono necessarie per migliorare la nostra conoscenza di reattività fenotipica ai nutrienti (Tessier et al., 2019) e, inoltre, consentono l’uso di valori genetici e combinatori (Goni et al., 2015) per selezionare e raggruppare gli individui, che sono a rischio di sviluppare obesità (Torkamani et al., 2018). Infatti, il background genetico di un individuo è riconosciuto come un driver per spiegare le differenze interindividuali riguardanti l’aumento di peso e la predisposizione all’obesità, nonché la perdita di peso e il riacquisto di peso dopo un intervento di restrizione calorica (CR). Pertanto, nonostante la necessità di ulteriori studi di convalida, ci sono pubblicazioni che descrivono l’interazione del consumo di macronutrienti in portatori di SNP (single-nucleotide polymorphisms) in geni che regolano processi, come la termogenesi dell’appetito e il metabolismo lipidico (Martinez et al., 2014). Le indagini, che hanno affrontato la relazione tra specifici polimorfismi e risposte all’appetito, che dipendono dall’assunzione di energia in uomini in sovrappeso, hanno trovato che le varianti genetiche di LEP e FTO sono associate con la sensazione di pienezza percepita dopo il consumo di grassi, zuccheri o proteine, quindi potrebbero avere un ruolo nel controllo dell’assunzione di cibo ed energia (Douglas et al., 2013). Questi risultati sono in linea con uno studio che ha dimostrato, rispetto ai partecipanti con nessun allele di rischio, che le persone che avevano l’allele di rischio per FTO variante rs9939609 riportavano un’inferiore pienezza soggettiva, un consumo maggiore di cibo altamente energetico e consumavano 350 kcal in più la quantità raccomandata, suggerendo che le persone con il rischio genetico avevano un’alterata elaborazione della sazietà nel sistema nervoso centrale (Melhorn et al., 2018). Nonostante ciò, questi dati sono in contrasto con i risultati di una meta-analisi, che ha riportato un valore statisticamente significativo della riduzione dell’apporto energetico totale per ogni copia dell’allele di rischio FTO (Livingstone et al., 2015).

In effetti, alcune differenze interpersonali nella risposta all’adiposità al consumo di carboidrati dipendono dal genotipo e potrebbero essere influenzate dal tipo e dalla qualità di

137 zuccheri consumati. Pertanto, un elevato apporto di carboidrati (<49% dell’assunzione giornaliera totale di cibo) nei portatori della variante rs1042714 è stato associato con l’aumento del BMI (Martinez et al., 2003). Un altro trial, che ha studiato il consumo di carboidrati, ha rilevato che il rischio di obesità era associato alla variazione Pro12Ala in PPARG (Marti et al., 2002). Inoltre, sono state riportate prove di conferma per un’interazione genotipo-nutriente tra l’assunzione di fibre e il polimorfismo rs1800588 del gene che codifica per la lipasi epatica (LIPC) (Santos et al., 2006). Un altro studio ha rivelato un’associazione tra una predisposizione genetica, calcolato da 32 loci correlati al BMI, e massa grassa corporea, per cui il rischio dell’aumento del BMI era associato con una maggiore assunzione di bevande zuccherate e un aumento del rischio genetico (Qi et al., 2012). Al contrario, uno studio ha riportato un’interazione tra AMY1 (che codifica per l’amilasi), numero di copie e assunzione di amido (Rukh et al., 2017), che si oppose ai risultati precedenti e i ricercatori hanno riferito che il numero di copie ridotte era associato con l’incremento del BMI (Falchi et al., 2014). Questi risultati evidenziano l’importanza della valutazione quali- e quantitativa dei carboidrati, soprattutto negli individui che sono geneticamente predisposti all’obesità per la quale il tipo di carboidrato consumato potrebbe esacerbare il rischio di obesità (Martinez et al., 2014).

Diverse indagini hanno segnalato un’associazione tra la percentuale di grasso totale e geni legati alla regolazione dell’assunzione di cibo, come FTO (Cyrus et al., 2018, Labayen et al., 2016), geni legati al metabolismo lipidico, come APOA5 (REFS Corella et al., 2007, Sanchez-Moreno et al., 2011) e geni associati con differenziazione degli adipociti, come PPARG (Memisoglu et al., 2003), in diverse popolazioni. Gli individui che hanno gli alleli di rischio per FTO e che consumano anche un’elevata proporzione di energia, come grasso, hanno mostrato un esacerbato aumento del rischio di obesità, rispetto a quelli senza gli alleli di rischio (Livingstone et al., 2015, Cyrus et al., 2018, Labayen et al., 2016).

Altri studi hanno riportato che, l’adiposità addominale si aggrava in individui con gli alleli di rischio per FTO variante rs9939609, che hanno un elevato apporto di grassi saturi (e un basso rapporto tra acidi grassi polinsaturi e acidi grassi saturi), soprattutto in coloro che hanno già la sindrome metabolica (Phillips et al., 2012). Ulteriori risultati supportano l’importanza degli acidi grassi saturi nella dieta sul rischio di obesità, dove la presenza di alleli di rischio per APOA2 aumenta il rischio di obesità in presenza di un elevato intake di acidi grassi saturi, modulando le vie coinvolte nel metabolismo degli aminoacidi a catena

138 ramificata e del triptofano (Lai et al., 2018, Corella et al., 2011). Inoltre, alcuni autori hanno segnalato interazioni tra l’assunzione di grassi e il background genetico, basato su un punteggio di rischio del profilo genetico sull’obesità. In particolare, gli autori hanno trovato variazioni nel rischio di obesità quando gli individui con alto e basso intake di grassi saturi sono stati confrontati (Celis-Morales et al., 2017), il che comprova la ricerca precedente (Casas-Agustench et al., 2014). Questi studi suggeriscono che, i grassi alimentari e il profilo nutrizionale associato interagiscono con i geni e le vie legate al metabolismo lipidico, per la loro densità energetica e il loro ruolo nell’appetibilità degli alimenti. Inoltre, geni potenzialmente associati alla regolazione della sazietà modulano l’influenza dell’assunzione di grassi sullo sviluppo dell’obesità (Celis-Morales et al., 2017, Casas-Agustench et al., 2014), ma quest’area necessita di ulteriori ricerche.

Interazioni tra gene-assunzione proteica per i tratti dell’obesità sono state segnalate da diversi ricercatori. Per esempio, un’analisi su larga scala con popolazioni multiple ha trovato un’associazione statisticamente significativa tra la variante FTO, correlata all’obesità, e l’aumentata assunzione di proteine; il rischio di obesità era aumentato negli individui con gli alleli di rischio (Qi et al., 2014). Gli autori hanno suggerito un legame tra la presenza di alleli di rischio di obesità in FTO e l’assunzione proteica per l’accumulo di tessuto adiposo (Qi et al., 2014). In altri studi, CTSS, che è associato con il grasso corporeo (Pei et al., 2014) e livelli di proteine nel sangue (Suhre et al., 2017), si è scoperto di interagire con la percentuale di assunzione proteica, per cui un’analisi di regressione ha mostrato che le persone con l’allele di rischio, che avevano un elevato apporto proteico, erano più esposte ad aumentare di peso (Hooton et al., 2012). Nel frattempo, in una coorte di individui dall’Asia orientale, portatori dell’allele di rischio FTO, hanno presentato un aumento di BMI e circonferenza vita quando hanno consumato una dieta con un apporto proteico inferiore (Merritt et al., 2018). Ciò nonostante, alcuni autori hanno evidenziato l’importanza delle fonti proteiche in associazione con il rischio di obesità e patrimonio genetico. Ad esempio, un gruppo ha mostrato differenti interazioni con tutte le proteine, animali e vegetali, quando gli autori hanno confrontato gli individui con i valori di punteggio ad elevato e basso rischio genetico per l’obesità (Goni et al., 2015). Quindi, proteine e aminoacidi specifici interagiscono con riguardo sulla regolazione del peso corporeo, dove il background genetico può spiegare i diversi risultati interindividuali relativi all’adiposità (Turcot et al., 2018).

139 Le informazioni genetiche potrebbero aiutare a determinare l’intervento dietetico più appropriato per la prevenzione e il trattamento dell’obesità, nonché lo sviluppo di comorbilità (Martinez et al., 2014). Dovrebbero essere condotte ulteriori ricerche per ottenere maggiori informazioni sulle interazioni gene-nutriente e sulle interconnessioni presentate in un diverso gruppo di popolazione. La conoscenza da questa ricerca potrebbe poi essere integrata nella pratica clinica e informare le prescrizioni in cui le distribuzioni dei diversi macronutrienti potrebbero essere somministrate a seconda del patrimonio genetico individuale (Celis- Morales et al., 2017, Fallaize et al., 2018).