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E. Alimentazione

1. Fibra alimentare

a) Definizioni, caratteristiche e origine

La definizione di fibra alimentare è stata oggetto di dibattito e si è evoluta nell’ultimo decennio (Jones et al., 2014). La maggior parte dei paesi ha adottato la definizione della commissione del Codex Alimentarius dal 2009, che definisce le fibre alimentari come polimeri di carboidrati commestibili con tre o più unità monometriche resistenti agli enzimi digestivi endogeni, quindi né idrolizzati né assorbiti nell’intestino tenue, e quello che appartiene alle seguenti categorie (1) polimeri di carboidrati commestibili presenti naturalmente in alimenti come frutta, verdura, legumi e cereali; (2) polimeri di carboidrati commestibili ottenuti da materie prime alimentari con mezzi fisici, enzimatici e chimici, che hanno un comprovato beneficio fisiologico; (3) polimeri di carboidrati sintetici con un comprovato beneficio fisiologico.

Sebbene la maggior parte delle autorità nazionali aderisca a questa definizione, sono state individuate alcune differenze tra le definizioni di fibra alimentare e riguardano principalmente (1) la considerazione di alcuni non carboidrati come la lignina e altre sostanze presenti nelle pareti cellulari legate a polisaccaridi come le fibre alimentari (Stephen et al., 2017) e (2) il numero minimo di monomeri di carboidrati da includere.

Le fibre alimentari sono classificate secondo diversi parametri, che includono la fonte alimentare primaria, la loro struttura chimica, la loro solubilità e viscosità in acqua e la loro fermentabilità. Le fibre alimentari sono suddivise in polisaccaridi (polisaccaridi non amidacei NSP, amido resistente RS e oligosaccaridi resistenti RO) o in forme insolubili e solubili (Deehan et al., 2017). Le forme più insolubili, come la cellulosa e l’emicellulosa, hanno un effetto di massa fecale, poiché raggiungono il colon e non vengono digeriti, o solo lentamente, dai batteri intestinali. La maggior parte delle fibre solubili non contribuisce al bulking fecale, ma sono fermentate dai batteri intestinali e, quindi, danno origine a metaboliti come SCFA. Contrariamente a RO, NSP sono più solubili, in particolare i polimeri ad elevato peso molecolare, come la gomma guar, alcune pectine, -glucani e psillo sono più viscosi, cioè sono in grado di formare una struttura a gel nel tratto intestinale, favorendone il ritardo dell’assorbimento di glucosio e lipidi, quindi, influenzano il metabolismo post-prandiale (Deehan et al., 2017).

119 Le fibre solubili e insolubili si trovano in diverse fonti alimentari, come legumi, verdure, noci, semi, frutta e cereali in proporzioni differenti. Tuttavia, non tutte le tipologie di fibra sono presenti nelle stesse categorie alimentari. RS può essere trovato solo in alimenti amidacei, come cereali, legumi, tuberi e frutti non maturi, le pectine sono più presenti nella frutta e in alcuni vegetali, invece i -glucani e gli arabinoxilani nei cereali (Lovegrove et al., 2017). Sebbene le fibre siano presenti in una vasta gamma di fonti alimentari vegetali, il loro consumo è basso nei paesi occidentali. La fortificazione di alimenti con carboidrati non digeribili estratti o sintetizzati o il loro uso negli integratori alimentari costituisce una strategia per aumentare l’intake di fibre. Una vasta gamma di questi polimeri e oligosaccaridi di carboidrati sono disponibili in commercio (Deehan et al., 2016). Alcuni di questi composti sono considerati “prebiotici”, sul presupposto che esercitino benefici per la salute, includendo selettivamente popolazioni batteriche benefiche nell’intestino.

b) Impatto della fibra dietetica sull’ecologia microbica nell’intestino

La dieta ha un importante impatto sulla composizione, diversità e ricchezza del microbiota intestinale. Diversi componenti della dieta danno forma alle comunità batteriche dell’intestino, in maniera dipendente dal tempo. Modelli dietetici a lungo termine, in particolare l’intake di proteine e grassi animali (Bacteroides), contro carboidrati o alimenti di origine vegetale (Prevotella), sono associati ai cosiddetti enterotipi (Wu et al., 2011). Questa dicotomia nel rapporto Prevotella/Bacteroides è stata osservata tra le popolazioni umane industrializzate e non industrializzate, suggerendo che le specie batteriche sono guidate dalle differenze dietetiche a lungo termine, ad esempio la carne favorisce i Bacteroides in occidente, la fibra alimentare le Prevotella nei paesi non occidentali.

c) La fibra forma le reti alimentari per i batteri

La somministrazione dietetica di fibre modifica l’ambiente di nicchia nell’intestino, fornendo substrati per la crescita microbica e consentendo alle specie microbiche, capaci di utilizzare questi substrati, di espandersi (Deehan et al., 2017). Il microbiota intestinale ospita 130 glicolisi idrolasi, 22 polisaccaridi liasi e 16 famiglie di carboidrati esterasi, che forniscono la flessibilità al microbioma di passare da una fonte energetica all’altra di fibre in base alla

120 disponibilità (Flint et al., 2012). Le specie appartenenti a Firmicutes e Actinobacteria sono le principali rispondenti alle fibre alimentari (Deehan et al., 2017), sebbene abbiano relativamente pochi enzimi, che metabolizzino la fibra. Tuttavia, hanno generalmente ruoli più specializzati, come l’avvio di una degradazione complessa di un substrato. Ad esempio, la somministrazione di RS ha dimostrato di arricchire Bifidobacterium adolescentis,

Ruminococcus bromii, Eubacterium rectale e Parabacteroides distasonis in un sottogruppo di

individui, dipendente da RS (Martinez et al., 2010, Walker et al., 2011). Al contrario, il consumo principalmente di galatto-oligosaccaridi induce le specie Bifidobacterium, poiché possiedono gli enzimi che utilizzano in modo efficiente questo substrato (Davis et al., 2011). Non è solo la capacità enzimatica (come un degradatore primario di fibra) che determina la capacità di un microbo a beneficiare dalla fibra alimentare, ma anche la sua capacità di “aderire” a un substrato, tollerare le condizioni ambientali, cambiate attraverso la fibra (ad esempio, l’aumento dell’acidità attraverso la fermentazione), e beneficiare dai prodotti di scomposizione dei carboidrati (degradatori secondari di fibra) e dai metaboliti (attraverso l’alimentazione incrociata) (Deehan et al., 2017). I degradatori primari di fibra possono, quindi, fungere da specie “chiave di volta”, avviando l’utilizzo di una fibra complessa, attraverso quella che può essere considerata una “corporazione” di specie (Zhao et al., 2018). Per esempio, R. bromii è una chiave di volta per il degrado di RS e contribuisce in modo significativo alla produzione di butirrato nel colon, sebbene la specie stessa non produca butirrato.

L’impatto della fibra alimentare sulla composizione del microbiota manifesta alcune caratteristiche coerenti. Innanzitutto, i cambiamenti osservati indotti dai carboidrati non- digeribili nell’uomo, indipendentemente dal fatto che siano prebiotici o meno, sono limitati a un numero ristretto di taxa (Davis et al., 2011, Martinez et al., 2010, Walker et al., 2011). In secondo luogo, l’entità dei cambiamenti indotti può essere sostanziale con specie specifiche, che rappresentano oltre il 30% delle sequenze totali ottenute dal sequenziamento amplicone del microbiota fecale (Davis et al., 2011, Martinez et al., 2010, Walker et al., 2011). Tuttavia, questi cambiamenti si mantengono, purchè il substrato sia consumato. In terzo luogo, la risposta microbica alla fibra alimentare è altamente individualizzata (Davis et al., 2011, Martinez et al., 2010, Walker et al., 2011). La ragione di questa individualità non è ancora nota. Gli individui potrebbero essere carenti della chiave di volta (Ze et al., 2012) o di ceppi, che possiedono la capacità enzimatica di utilizzare un substrato specifico (Zhao et al., 2018).

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d) Metabolismo microbico delle fibre alimentari e implicazioni funzionali

Le fibre alimentari sono importanti fonti energetiche per il microbiota, residente nel cieco e nel colon. Batteri anaerobici, sotto specifiche condizioni intestinali, attivano i loro macchinari, costituiti da enzimi chiave, e vie metaboliche, che possono metabolizzare carboidrati complessi, portando alla produzione di metaboliti, come gli SCFA.

Gli SCFA sono prodotti organici composti principalmente da acetato, propionato e butirrato. Gli SCFA hanno un ruolo chiave nella regolamentazione del metabolismo ospite e del sistema immunitario e nella proliferazione cellulare (Koh et al., 2016). Gli SCFA si trovano ad elevate concentrazioni nel cieco e nel colon prossimale, dove vengono utilizzati come fonti energetiche dai colonociti (specialmente il butirrato), ma possono anche essere trasportati nella circolazione periferica, attraverso la vena porta, per agire sul fegato e sui tessuti periferici. Sebbene i livelli di SCFA siano bassi nella circolazione sistemica, è accertato che agiscano come molecole di segnalazione e regolino diversi processi biologici nell’ospite (Koh et al., 2016).

Un basso apporto di fibre non solo porta alla riduzione della diversità microbica e alla bassa produzione di SCFA, ma sposta anche il metabolismo del microbiota intestinale verso l’utilizzo di substrati meno favorevoli, in particolare proteine dietetiche, fornite per via endogena (Cummings et al., 1991), e mucine ospiti (Desai et al., 2016, Schroeder et al., 2018, Zou et al., 2018), che possono essere dannose per l’ospite. Dato il compromesso tra la fermentazione saccarolitica e proteolitica, è probabile che, una dieta ricca di fibre inibisce la fermentazione proteica, contrastando molti degli effetti dannosi di carne e grassi, rendendo questi componenti alimentari meno dannosi.

e) Effetto delle fibre alimentari e SCFA sull’ospite

L’epitelio intestinale è ricoperto e protetto da uno strato di muco, mantenendo separati i batteri dalla mucosa (Johansson et al., 2008). Uno dei meccanismi utilizzati dall’ospite per prevenire le invasioni microbiche e la suscettibilità alle infezioni è mantenere uno strato di muco ben strutturato e intatto. Il microbiota intestinale e la dieta sono due importanti componenti per mantenere una struttura e una produzione normale del muco intestinale. Un microbiota intestinale alterato, derivante da una dieta povera di fibre, porta a un grave deterioramento dello strato di muco e può favorire la suscettibilità alle infezioni e allo

122 sviluppo di malattie croniche infiammatorie (Figura 18) (Desai et al., 2016, Johansson et al., 2008, Schroeder et al., 2018, Zou et al., 2018).

Le fibre alimentari e gli SCFA stimolano la produzione e la secrezione di muco. Sia l’acetato che il butirrato mantengono un equilibrio per la produzione e la secrezione di muco.

Bacteroides thetaiotaomicron, produttore di acetato e propionato, promuove la

differenziazione di cellule caliciformi e l’espressione di geni correlati alla mucina. Al contrario, Faecalibacterium prausnitzii, consumatore di acetato e produttore di butirrato, riduce l’effetto dell’acetato sul muco e previene la sovra-produzione di muco, mantenendo così una struttura e una composizione adeguata dell’epitelio intestinale (Wrzosek et al., 2013). Inoltre, le fibre alimentari possono anche stimolare meccanicamente l’epitelio intestinale a secretare muco (McRorie et al., 2017).

La prolungata mancanza di fibre alimentari danneggia la barriera del muco ed è associata ad una maggiore abbondanza di batteri, che degradano la mucina, come Akkermansia

muciniphila (Desai et al., 2016). Inoltre, quando la dieta è priva di fibre alimentari, alcuni

batteri intestinali cambiano il loro metabolismo per usare i glicani della mucina, inducendo l’espressione genica degli enzimi, che degradano mucina (Sonnenburg et al., 2005). Coerentemente con questo, l’alimentazione occidentale (a bassissimo contenuto di fibra) di topi aumenta la penetrabilità dello strato di muco interno e riduce il tasso di crescita, rendendo il muco penetrabile, e può aumentare la suscettibilità alle infezioni (Schroeder et al., 2018). È interessante notare che, una bassa quantità di inulina (1%), prebiotico con effetto bifidogenico, o la somministrazione di Bifidobacterium longum previene i difetti del muco. La supplementazione di inulina ha corretto la penetrabilità dello strato interno di muco, mentre la supplementazione di B. longum ha ripristinato il tasso di crescita dei difetti di muco, suggerendo che quei due parametri sono indipendenti e potrebbero essere regolati da diversi fattori. Né l’assunzione dell’1% di inulina né di B. longum ha migliorato le caratteristiche metaboliche di animali obesi. Al contrario, l’elevata adduzione di inulina (20%) ha impedito l’invasione del microbiota, migliorando la salute intestinale e portando a una risoluzione dell’infiammazione di basso grado, associata al miglioramento dei parametri metabolici dei topi obesi (Zou et al., 2018). Pertanto, sembra che siano sufficienti livelli bassi di inulina per ripristinare gli effetti locali nell’intestino, inclusa la protezione contro le infezioni enteriche (Desai et al., 2016), invece, le concentrazioni più elevate sono necessarie per ottenere benefici metabolici, suggerendo meccanismi separati e dose-dipendenti. Tuttavia, dosi elevate di inulina molto probabilmente non sarebbero tollerate dagli uomini (Figura 18). È stato dimostrato recentemente dal laboratorio Baumler che, la beta-ossidazione del butirrato, da

123 parte dei colonociti, consuma ossigeno e provoca un ambiente anaerobico nell’intestino (Byndloss et al., 2017). Dal momento che, i batteri, produttori di butirrato, sono molto sensibili all’ossigeno, la loro abbondanza si riduce ulteriormente, abbassando anche la produzione di butirrato. Questo circuito feedforward comporta un aumento dei livelli di ossigeno luminale, permettendo ai Proteobacteria, come Escherichia coli e S. enterica serva Typhimurium, di fiorire. Questo meccanismo fornisce non solo una spiegazione riguardo le patologie associate ad una dieta povera di fibre, ma anche il motivo della riduzione della diversità microbica, che avviene sia negli esseri umani che nei topi, che effettuano una dieta a basso contenuto di fibre.

Figura 18. Effetto di una dieta a basso e ad alto apporto di fibra sulla

composizione, diversità e funzione del microbiota intestinale nella fisiologia dell’ospite (Makki et al., 2018).

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f) Assunzione raccomandata giornaliera della fibra alimentare

La fibra alimentare è la principale fonte di prebiotici dalla dieta. Il Recommended Adequate Intake (RAI) è 25-38 g/die (14 g/1000 kcal/die) per gli adulti (Franz et al., 2003), corrispondenti alle 7-10 porzioni/die raccomandate dall’AACE di carboidrati salutari (Handelsman et al., 2011).

È raccomandato, inoltre, privilegiare le fibre contenute naturalmente negli alimenti. Le fibre devono essere assunte insieme ad una adeguata quantità di acqua, poiché le loro interessanti caratteristiche sono legate alla loro capacità di assorbire e trattenere liquidi; se questi scarseggiano, gli effetti benefici ricercati vengono notevolmente ridimensionati e, in alcuni casi, si rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato.

Di seguito viene mostrata la tabella LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti per la popolazione italiana) PER CARBOIDRATI E FIBRA ALIMENTARE elaborata dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU).

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