• Non ci sono risultati.

Il microbiota intestinale modella l’obesità

A. Diabete

3. Il microbiota intestinale modella l’obesità

Turnbaugh et al. (Turnbaugh et al., 2006) hanno eseguito uno dei primi studi che ha definitivamente collegato il microbiota intestinale all’aumento di peso, causato dall’elevata capacità del “microbiota-obeso” di accumulare energia . Il microbioma intestinale possiede enzimi glicosidi idrolasi, non presenti nel genoma umano, coinvolti in modo cruciale nell’idrolizzare e fermentare una grande varietà di polisaccaridi dietetici, migliorando lo stato energetico dell’ospite (Xu et al., 2003, Sonnenburg et al., 2005). L’energia ottenuta dai complessi indigeribili è sottoforma di SCFA. Gli SCFA sono cruciali per la salute dell’ospite e sono la principale fonte di energia per i colonociti, oltre a svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nel trattamento di disturbi metabolici e intestinali e alcuni tipi di cancro (Hu et al., 2010, Tang et al., 2011). I topi GF sviluppano meno grasso, rispetto ai topi convenzionati, ma topi GF colonizzati con microbiota intestinale di topi convenzionali, nonostante aumentino l’assunzione di cibo, riducono il loro tasso metabolico (Backhed et al., 2004). Inoltre, topi GF colonizzati con un “microbiota-obeso”, isolato da topi geneticamente obesi

ob/ob, avevano una percentuale maggiore di incremento del grasso corporeo, rispetto a quelli

colonizzati con un “microbiota-magro”, nonostante non ci siano alcune differenze significative nel consumo di energia o nel rapporto grasso corporeo iniziale/peso corporeo tra i gruppi (Turnbaugh et al., 2006). Questa evidenza ha mostrato un legame tra il microbiota intestinale e l’accumulo di grasso corporeo nell’ospite.

Lo stato infiammatorio di basso grado, caratteristico dell’obesità, può essere ulteriormente esacerbato dai processi infiammatori associati al microbiota (Figura 8). Cani et al. (Cani et al., 2007, Cani et al., 2007) hanno descritto per la prima volta il concetto di “endotossiemia

53 scoperta è stata che, l’alimentazione grassa e HFD aumentano i livelli plasmatici di LPS di 2 e 5 volte, rispettivamente (Cani et al., 2007). In aggiunta, è stato scoperto che, le infusioni sottocutanee di LPS nei topi incrementano la resistenza insulinica e l’obesità, simile a ciò che era stato mostrato dopo un’alimentazione HFD (Cani et al., 2007). Questa correlazione positiva tra alimentazione HFD, obesità genetica (ob/ob), diabete mellito di tipo 2 (db/db) ed endotossiemia metabolica è stata confermata nei topi (Cani et al. 2008, Cani et al., 2009). Inoltre, le terapie probiotiche (Cani et al., 2007), prebiotiche (Neyrinck et al., 2012) e antibiotiche (Cani et al., 2008) hanno migliorato i parametri metabolici infiammatori in topi alimentati con HFD e ob/ob. In uno status di salute la traslocazione di LPS, attraverso l’epitelio intestinale, è limitata in quanto danneggia l’integrità della barriera intestinale. La disfunzione della barriera intestinale, osservata nello status obeso, può rappresentare un via libera per i

microbi e per

l’endotossina LPS di origine microbica per entrare nella circolazione sistemica,

incrementando la permeabilità intestinale (Cani et al., 2009, Brun

et al., 2007, Everard et al., 2011) e la permeabilità paracellulare dall’interruzione delle proteine tight junction, che legano le cellule epiteliali insieme (ad esempio, claudin, occludin e zonula occludens) (Turner et al., 2009). Meccanicamente, l’aumento della permeabilità intestinale nei topi obesi è stata associata con l’alterazione dell’espressione, localizzazione e distribuzione di due proteine tight junction (occludin e zonula occludens 1) nell’intestino tenue (Cani et al., 2008, Cani et al., 2009, Brun et al., 2007, Everard et al., 2011). Pertanto, l’endotossiemia metabolica, associata ai microbi, sembra rappresentare uno dei collegamenti più importanti tra microbiota intestinale, permeabilità intestinale e infiammazione di basso grado legata all’obesità.

Figura 8. Alterazioni compositive e funzionali nel microbiota intestinale di un

soggetto sano contro il microbiota di un soggetto obeso-diabetico (Patterson et al., 2016).

54 Ridaura et al. (Ridaura et al., 2013) hanno recentemente descritto un collegamento tra dieta, composizione del microbiota intestinale e obesità. La loro coorte di coppie di gemelle femmine, discordanti per l’obesità, ha fornito un’opportunità per esaminare interazioni tra obesità, disordini metabolici associati, dieta e microbiota intestinale. Il trapianto di microbiota intestinale umano da ciascun membro di coppie gemelle, discordanti per l’obesità, ha permesso alle comunità di donatrici di essere replicate in topi GF, cioè il trapianto di un “microbiota-obeso” umano da una co-gemella ha trasmesso un aumento della massa corporea e grassa, così come altri fenotipi metabolici associati all’obesità con corrispondenti culture batteriche fecali in topi GF (Ridaura et al., 2013). Inoltre, topi co-housing, trapiantati con un “microbiota-obeso” umano, con topi trapiantati con un “microbiota-magro” umano non hanno sviluppato obesità (Ridaura et al., 2013). L’invasione di membri specifici del phylum

Bacteroidetes, da topi trapiantati con un “microbiota-magro” ai loro compagni di lettiera con

un “microbiota-obeso” sono correlati con la prevenzione dello sviluppo dell’obesità (Ridaura et al., 2013). Inoltre, a seguito del consumo di una dieta povera di grassi e ricca di fibre, il “microbiota-obeso” non è riuscito a colonizzare il microbiota di topi magri allo stesso modo dei topi che consumavano una dieta HFD a basso contenuto di fibra, quando questi topi co- housing con topi trapiantati con un “microbiota-magro” umano (Ridaura et al., 2013). I risultati dimostrano che, la dieta e l’ambiente sono fattori cruciali coinvolti nella modifica del microbiota, per influenzare il fenotipo metabolico nell’ospite. Le differenze compositive sono evidenti nell’obeso, rispetto al magro (Le Chatelier et al., 2013). Individui obesi, che ospitano una ricchezza batterica inferiore, sono caratterizzati da una maggiore adiposità con aumento dell’insulino-resistenza, dislipidemia e tassi più alti di infiammazione sistemica (aumento della proteina C reattiva) (Le Chatelier et al., 2013). In questo studio, le differenze significative nella ricchezza batterica e, quindi, nella comunità microbica/capacità metaboliche, tra gruppi di obesi e magri, erano basate su 46 generi. Bacteroidetes,

Porphyromonas, Ruminococcus, Campylobacter, Dialister, Porphyromonas, Staphylococcus

e Anaerostipes erano più dominanti in soggetti con bassa ricchezza batterica e fenotipo obeso, mentre Faecalibacterium, Bifidobacterium, Lactobacillus, Butyrivibrio, Alistipes, Akkermansia, Coprococcus e Methanobrevibacter erano prevalenti in soggetti con elevata

ricchezza batterica e un fenotipo magro (Le Chatelier et al., 2013) (Figura 8).

Dalla grande quantità di dati si è concluso che, soggetti con bassa ricchezza batterica e fenotipo obeso hanno una riduzione di batteri produttori di butirrato, una riduzione della produzione di metano, un aumento della degradazione di muco e un aumento del potenziale di gestione dello stress ossidativo (Le Chatelier et al., 2013). Dunque, sembra che gli individui

55 obesi abbiano una ricchezza batterica inferiore e ospitano un microbiota, che li predispone ad ulteriore infiammazione. È chiaro che, l’obesità sia associata con un microbiota intestinale alterato, che peggiora ulteriormente questa malattia debilitante. La diversità è la chiave che aumenta le capacità metaboliche del microbiota intestinale, per prevenire il peggioramento dell’endotossiemia metabolica, la degradazione del muco e lo stress ossidativo.

Nel vasto ecosistema microbico intestinale, due residenti sono stati oggetto di approfondite ricerche, a causa della loro associazione negativa con il fenotipo obeso. Alcuni dati hanno supportato un movimento anti-obese di queste due specie, tanto da alleviare l’obesità e le malattie metaboliche associate, attraverso l’aumento delle loro quantità.

➢ Akkermansia muciniphila

Akkermansia muciniphila è un batterio Gram-negativo degradante la mucina, che risiede

nello strato di muco delle cellule epiteliali intestinali e costituisce circa il 3-5% della biomassa intestinale del microbiota intestinale (Derrien et al., 2008). Studi su murini (Everard et al., 2013) e sugli uomini (Karlsson et al., 2012) hanno dimostrato una correlazione inversa tra A.

muciniphila e sovrappeso, obesità e diabete. Everard et al. (Everard et al., 2013, Everard et al.,

2011) hanno riportato dati convincenti che descrivono una funzione protettiva potenziale di A.

muciniphila in modelli murini di obesità. Questi dimostrano una correlazione inversa tra

genetica e modelli dietetici di obesità e concentrazioni intestinali di A. muciniphila (Everard et al., 2013). Inoltre, la supplementazione prebiotica con oligofruttosio (fibra alimentare) ha aumentato drasticamente l’abbondanza di A. muciniphila in topi geneticamente obesi (Everard et al., 2011) e ha ripristinato la diminuzione dei livelli basali di A. muciniphila associati con l’obesità, migliorando la funzione e l’endotossiemia metabolica (Everard et al., 2013). Tali studi suggeriscono che, A. muciniphila gioca un ruolo nel controllo dell’accumulo di grasso, infiammazione del tessuto adiposo e metabolismo glucidico.

Un recente modello ex vivo, basato su organoidi ileali del topo, ha fornito alcuni nuovi dati che collegano il microbiota intestinale e l’ospite (Lukovac et al., 2014). Lukovac et al. (Lukovac et al., 2014) hanno riferito che, l’espressione organoide ileale del fattore adipocita indotto dal digiuno, il recettore accoppiato alla proteina G (Gpr)-43, l’istone deacetilasi e il recettore- proliferatore del perossisoma siano stati modulati da A. muciniphila e dal propionato (Derrien et al., 2004). È chiaro che, A. municiphila e il propionato regolino i fattori

56 di trascrizione e i geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare, lipolisi e sazietà (Lukovac et al., 2014).

Una terapia precoce di diabete con antibiotici nel modello di topo diabetico non-obeso (NOD) ha aumentato l’abbondanza relativa di A. municiphila, migliorando il fenotipo diabetico (Hansen et al., 2012). Inoltre, Dubourg et al. (Dubourg et al., 2013) hanno dimostrato una drammatica colonizzazione del microbiota intestinale umano da parte del phylum Verrucomicrobia dopo trattamento antibiotico ad ampio spettro. Tutti i phylotipi Verrucomicrobia erano rappresentati da A. muciniphila (Dubourg et al., 2013). Il cambiamento della composizione microbica intestinale evidenzia la suscettibilità di alcune popolazioni batteriche, dopo terapia antibiotica, e la suscettibilità di altri microrganismi più resistenti a prosperare sotto pressione antibiotica (Iapichino et al., 2008). Nonostante le evidenze confondenti suggeriscano gli effetti anti-infiammatori di A. muciniphila nell’obesità (Everard et al., 2013), nel diabete (Hansen et al., 2012) e nella colite (Kang et al., 2013), altri hanno fallito nel dimostrare tali benefici sulla salute. Uno studio cinese MGWAS ha riportato che, i geni correlati con A. muciniphila erano più abbondanti nei pazienti con DMT2, rispetto ai controlli sani (Qin et al., 2012). È stato anche suggerito che, A. muciniphila potrebbe facilitare l’infiammazione intestinale attraverso la degradazione della mucina (Ganesh et al., 2013).

➢ Faecalibacterium prausnitzii

Faecalibacterium prausnitzii è un abbondante microbo intestinale, che comprende circa il

4% del principale microbiota intestinale (Derrien et al., 2011). Pazienti con sintomi infiammatori di IBD, obesità e disfunzioni metaboliche affini hanno minore abbondanza di F.

prausnitzii (Qin et al., 2012, Zhang et al., 2013, Karlsson et al., 2012, Sokol et al., 2008,

Graham et al., 2004). Alcuni studi recenti hanno descritto un aumento di F. prausnitzii in soggetti in sovrappeso, che hanno prima eseguito un programma di digiuno per una settimana, poi hanno assunto un supplemento di formula prebiotica per 6 settimane (Remely et al., 2014). Un’integrazione dietetica con amido resistente di tipo 3, nel progetto SATIN, ha modificato la composizione del microbiota intestinale in soggetti in sovrappeso, arricchendosi di taxa coinvolti nella degradazione dell’amido (Ruminococcus bromii) e nella produzione di butirrato (Eubacterium rectale), dovuto all’incremento di F. prausnitzii (Bonnema et al., 2015). Questo studio descrive l’associazione tra fermentazione microbica di amido resistente e sazietà (Bonnema et al., 2015). Inoltre, F. prausnitzii ha mostrato effetti protettivi in

57 entrambe le risposte infiammatorie acute (Sokol et al., 2008) e croniche (Martin et al., 2014) in modelli che inducono infiammazione chimicamente. Considerato il tono infiammatorio a basso grado, sintomatico di IBD e spesso associato all’obesità, Martin et al. hanno recentemente investigato gli effetti protettivi di F. prausnitzii in un modello murino pre- clinico di colite (Martin et al., 2015). È importante sottolineare che, una ridotta permeabilità intestinale era una caratteristica che seguiva l’integrazione di F. prausnitzii in topi soggetti chimicamente a infiammazione cronica a basso grado e disfunzione intestinale, rispetto ai controlli (Martin et al., 2015). I risultati di questo studio hanno spinto gli autori a descrivere

F. prausnitzii come un potenziale nuovo probiotico, che può essere usato nel trattamento di

disfunzione e infiammazione intestinale. Sebbene gli autori propongano che, gli effetti protettivi di F. prausnitzii potrebbero essere dovuti, almeno in parte, al potenziamento delle proteine tight junction nelle cellule epiteliali, che ne promuovono la funzione di barriera, saranno necessari ulteriori studi per determinare il ruolo specifico di questo batterio nell’obesità e nelle malattie correlate all’infiammazione.