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Corporate Governance ed Enti Locali: analisi delle relazioni tra governo ed economicità delle partecipate

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione 3

1. Società partecipate dagli enti locali: origine ed evoluzione

1.1. L’azienda pubblica 7

1.2. Origine ed evoluzione normativa delle società partecipate da enti locali 8 1.2.1. L’iter giuridico dei servizi di pubblica utilità locali 9

1.2.2. La nomina degli amministratori 19

1.3. Controlli sulle società partecipate non quotate 22

2. La Corporate Governance

2.1. Definizione 24

2.2. I diversi modelli di capitalismo 27

2.2.1. Il modello anglosassone 27

2.2.2. Il modello capitalistico in Germania e Giappone 30 2.2.3. Il modello capitalistico italiano 33

2.2.4. Le prospettive di convergenza o divergenza dei modelli di capitalismo 35

2.3. Gli attori coinvolti nel governo societario 36 2.3.1. Gli azionisti: principali responsabili del governo economico d’impresa

36 2.3.2. Il top management: artefice della gestione aziendale 37

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2 2.3.3. Il consiglio di amministrazione: strategia, controllo e governo delle

relazioni 38

2.3.4. Il sistema di controllo interno 41

2.4. La Corporate Governance nelle società partecipate dagli enti locali 43

3. Corporate Governance e società partecipate dagli enti locali: analisi sui meccanismi implementati da diversi Comuni e loro effetto sull’economicità delle aziende

3.1. Le premesse 48

3.1.1. L’oggetto del lavoro 49

3.1.2. La metodologia adottata 50

3.2. Gli enti locali scelti come campione 51

3.2.1. Il Comune di Udine 51 3.2.2. Il Comune di Firenze 60 3.2.3. Il Comune di Potenza 69 3.2.4. Il Comune di Trento 76 3.2.5. Il Comune di Napoli 80 3.2.6. Il Comune di Palermo 84

3.3. Le principali evidenze empiriche 88

3.4. Riflessioni conclusive 91

Bibliografia 95

(3)

3

INTRODUZIONE

L’economia del nostro paese è caratterizzata da una presenza diffusa di società partecipate da soggetti pubblici. Per tali società, il quadro giuridico di riferimento è composto da una serie di disposizioni speciali che si intrecciano con la disciplina del Codice Civile di carattere generale. Sempre più spesso vi sono soggetti che - pur avendo una veste giuridica privatistica - perseguono interessi generali, svolgendo compiti e funzioni di natura pubblicistica tali da configurarli come veri e propri apparati pubblici - enti pubblici in forma societaria - o “organismi di diritto pubblico”, secondo la definizione della direttiva 2004/18/CE, sottoposti a particolari e penetranti regole di gestione e controllo pubblico. Tali soggetti rientrano dunque in un concetto di Pubblica Amministrazione flessibile e si affiancano alle società partecipate da enti pubblici che producono beni e servizi operanti in regime di mercato ed aventi forma e sostanza privatistica1.

A partire dall’inizio del nuovo millennio, si è registrato un sensibile aumento del numero delle società partecipate da amministrazioni locali. Queste società sono diventate sempre più oggetto di discussione e di interventi legislativi affinché si potessero rendere più efficienti e virtuose le loro gestioni. La diffusione di queste società ed il loro peso sul bilancio della Pubblica Amministrazione, hanno portato la Corte dei Conti ad effettuare indagini e relazioni sul mondo delle partecipate dagli enti locali, province e regioni. Dall’ultima indagine della Corte dei Conti2, viene evidenziata una situazione difficile di queste società partecipate, che possono essere definite come un vero e proprio peso3 per gli enti locali. Incapacità di riscuotere quanto dovuto e mala gestio delle società partecipate, sono state indicate come le cause che hanno portato ad una situazione insostenibile in cui una partecipata su tre è in perdita. Dall’indagine emergono i seguenti dati: di 3.949 società rilevate dalla Corte dei Conti nel 2012, 469 hanno

1

Fonte: Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione, Le società a partecipazione

pubblica, 2012 - Dipartimento Bilancio. 2

Corte dei Conti, sezioni riunite in sede di controllo, Attuazione e prospettive del federalismo fiscale, audizione presso la commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (2014).

3

Si fa metaforicamente riferimento all’effetto negativo dei risultati economici delle partecipate sul bilancio consolidato dell’ente locale socio.

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4 chiuso con un segno negativo consecutivamente nel triennio, con un valore complessivo medio di 652,6 milioni di perdita4. Nella stragrande maggioranza dei casi (77%), le società che più frequentemente chiudono in perdita sono di tipo strumentale, cioè svolgono servizi di interesse pubblico che il Comune ha preferito esternalizzare. Per i magistrati, inoltre, ci sono limiti di controllo: la Corte dei Conti ha "le armi spuntate" su quei bilanci, in quanto enti di diritto privato. Poi, gli stessi magistrati, rilevano quanto possa essere difficile procedere con la loro cessione a privati, considerato che sono "società con perdite croniche, sovradimensionate nel personale e con un debito insostenibile” che "non troverebbero acquirenti sul mercato". Da queste analisi, sembrerebbe da bocciare completamente questa forma di erogazione del servizio pubblico locale; in realtà bisogna concentrarsi sull’uso che viene fatto dello strumento delle partecipate e soprattutto su quali potrebbero essere i meccanismi di Corporate Governance che porterebbero al miglioramento della gestione di queste aziende massimizzandone l’efficienza. Bisogna quindi considerare che la privatizzazione delle partecipate non è l’unica strada percorribile per rimuovere “le criticità” delle partecipate dagli enti locali, ma bisogna guardare anche ad un’altra strada da percorrere, quella dell’ottimizzazione delle modalità con cui vengono governate le partecipate. Questa strada potrebbe garantire risultati di bilancio positivi, che migliorerebbero il bilancio consolidato dell’ente locale proprietario delle partecipazioni societarie.

Partendo da queste premesse, il presente lavoro si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo si delinea il quadro giuridico di riferimento del “mondo delle partecipate pubbliche”, evidenziando i principali interventi legislativi ed i loro riflessi sulle modalità di governo delle partecipate. In particolare, si evidenziano le novità introdotte dalla legge di stabilità 2014, che incidono non poco sul ruolo di proprietario dell’ente locale socio e che rientrano nell’ambito dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica. E’ riservato uno specifico “focus giuridico” alla disciplina in tema di nomina degli amministratori, ponendo

4

La mina dei mancati incassi dei Comuni. Una società su tre è in perdita, “La Repubblica”. Raffaele Ricciardi, 6 Marzo 2014.

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5 l’attenzione soprattutto sulla legge del 7 agosto 2012 n. 135 (la legge di conversione del decreto legge n.95 del 2012) firmata dal governo tecnico Monti. Il capitolo si conclude con un paragrafo che descrive la situazione attuale circa i controlli sulle società partecipate non quotate, dedicando spazio all’analisi dell’articolo 147-quater del TUEL5.

Nel secondo capitolo si approfondisce il tema della Corporate Governance, evidenziandone gli aspetti generali nei primi paragrafi per poi passare ad analizzarne le specificità che riguardano il “sistema dei servizi pubblici locali”. Si presentano le principali definizioni che la dottrina nel corso degli anni ha elaborato sul tema, e poi vengono posti in rilievo i diversi modelli di Corporate Governance, prevedendo un breve “excursus” sulle ipotesi di divergenza o di convergenza dei diversi modelli di capitalismo. Nella seconda parte del capitolo, si descrivono gli “attori” chiave del governo dell’impresa; in particolare si individuano le responsabilità ed i poteri degli azionisti (la proprietà), definendoli il fulcro dell’azione di governo in quanto “primaria fonte di potere aziendale”(Bertini6). Dallo studio della Corporate Governance si passa, nell’ultimo paragrafo, all’analisi delle società partecipate dagli enti locali soci, mostrando che le riflessioni generali sul tema riguardano anche le pubbliche amministrazioni locali. Inoltre vengono descritte anche le problematiche straordinarie di governo delle aziende di servizi pubblici, che attengono all’identificazione della proprietà ed ai rapporti che intercorrono tra proprietà e detentore della partecipazione.

Nel terzo capitolo, quello conclusivo, viene presentata la ricerca empirica effettuata su un campione di sei Comuni italiani, che ha lo scopo di verificare il grado di correlazione tra i meccanismi di Corporate Governance implementati dall’ente locale socio e le performance delle aziende controllate dagli stessi enti. Le evidenze empiriche che emergono dal campione statistico, permettono di giungere a riflessioni interessanti e consentono di individuare gli strumenti su cui bisogna lavorare per poter rimuovere il “peso” delle partecipate dal bilancio della

5

Testo Unico degli Enti Locali, Decreto Legislativo n. 267 del 18 Agosto 2000, aggiornato alle modifiche apportate dalla Legge del 2 Maggio 2014, n. 68.

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6 Pubblica Amministrazione, sottolineando il ruolo centrale dell’assetto proprietario (l’azionista diventa “attore protagonista”) nella definizione di un governo d’impresa efficace.

In conclusione del lavoro svolto desidero ringraziare la mia famiglia per l’immancabile incoraggiamento ed entusiasmo oltreché per l’inesauribile pazienza. Un particolare ringraziamento va al Prof. Daniele Baroni, per essere stato una guida scientifica ed un grande consigliere a livello umano. Con tutti loro intendo, ove mai ce ne siano, condividere i meriti del presente lavoro; resto invece l’unico responsabile degli eventuali errori e delle imprecisioni.

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7

1. SOCIETA’ PARTECIPATE DAGLI ENTI LOCALI: ORIGINE ED EVOLUZIONE

1.1. L’azienda pubblica

Per “azienda pubblica”, si fa riferimento ad un’organizzazione in cui chi ha il potere di decidere è una persona giuridica pubblica. Nella nozione di aziende pubbliche si devono includere gli enti pubblici tradizionali (Stato, Provincia, Comune, Regione) e, indirettamente, le aziende che hanno come soggetto economico uno o più enti pubblici tradizionali (aziende speciali, consorzi, società partecipate). Si è sempre discusso sul tema dell’unicità del finalismo aziendale (identificabile nel conseguimento dell’equilibrio economico-finanziario a valere nel tempo) e secondo alcune teorie classiche sulle aziende pubbliche7, il fine sociale di queste aziende è prevalente sul fine economico-aziendale8. Alle teorie classiche, hanno fatto seguito altre teorie di aziendalisti che avevano una visione differente sul fenomeno di azienda pubblica. Ad esempio, vi è stata proposta la “teoria degli oneri impropri” di Giannessi9, che definisce il recupero dell’aziendalità delle attività controllate da enti pubblici attraverso una conduzione dell’erogazione dei servizi pubblici locali con criteri economici. Giannessi definisce che l’onere di perseguire finalità sociali da ottenere a qualsiasi costo, deve essere isolato nel bilancio dell’unità pubblica affinché si possano evidenziare i costi dell’interferenza sociale sull’economicità aziendale. La dottrina aziendale presenta ancora posizioni divergenti in merito al concetto di azienda pubblica; ma vi sono molti aziendalisti come Cassandro, Saraceno e anche lo stesso Giannessi, che reputano strettamente collegato al concetto di azienda (indipendentemente dalla natura del soggetto economico) il conseguimento di una redditività a valere nel tempo che consenta la

7

Per approfondimenti si veda: Luca Anselmi, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, pagina 38 e seguenti. Giappichelli,Torino, 2003.

8 “Il fine assegnato all’azienda consiste nella creazione di ricchezza”. Rossella Ferraris Franceschi, Enrico

Cavalieri, L’azienda: forme, aspetti, caratteri e criteri discriminanti. Edizioni Kappa, Roma, 1995, pag. 79.

9

Si veda Giannessi, Interpretazione del concetto di azienda pubblica, in Saggi in memoria di Gino

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8 remunerazione di tutti i fattori della produzione, anche del capitale di rischio investito10.

Negli ultimi anni la crescente affermazione delle aziende che erogano servizi locali di pubblica utilità a rilevanza economica e il loro maggior peso sui bilanci delle pubbliche amministrazioni, ha reso imprescindibile la ricerca dell’equilibrio economico a valere nel tempo, considerato che la mancata condotta manageriale nella gestione e nella direzione di tali realtà, ha rilevanti impatti negativi sul bilancio degli enti pubblici che ne detengono la proprietà.

1.2. Origine ed evoluzione normativa delle società partecipate da enti locali

Alla base della nascita delle aziende pubbliche che si occupano dell’erogazione di servizi pubblici locali, vi è il concetto stesso di servizio pubblico11. La dottrina classica definisce “pubblico” qualsiasi servizio che presenti le seguenti caratteristiche: servizi di base, che consentono di raggiungere un livello soddisfacente di civiltà e di far progredire la società; servizi che mirano a soddisfare bisogni collettivi essenziali; servizi aventi spiccati caratteri di socialità; servizi di “pubblica utilità”, cioè funzionali in maniera estesa all’intera comunità. Tra le teorie economiche che si pongono alla base della nascita dell’azienda pubblica, vi sono la teoria del fallimento del mercato e la teoria della distribuzione del reddito12. In estrema sintesi, secondo la teoria del fallimento del mercato, vi sono delle frizioni nel mercato che non permettono di raggiungere posizioni di massimizzazione del benessere collettivo, e quindi si ritiene che l’intervento pubblico nell’erogazione o nella regolazione dei servizi pubblici locali possa garantire il raggiungimento di posizioni di mercato più efficienti in termini di benessere collettivo. La diffusione della gestione diretta dei servizi pubblici locali è funzionale anche alla redistribuzione del reddito, questo perché le amministrazioni pubbliche che gestiscono l’erogazione possono definire delle politiche tariffarie in modo tale da ridurre le disuguaglianze sociali esistenti. I servizi pubblici locali, gestiti dai Comuni, hanno avuto effetti positivi nella prima

11

Si veda Richard Musgrave, Finanza pubblica, equità, democrazia. Il Mulino, Bologna, 1995.

12

Per approfondimenti si rimanda alla lettura di: Lezioni di scienza delle finanze, G.Campa. UTET Università, 2013.

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9 metà del secolo scorso, in quanto l’intervento pubblico ha impattato positivamente sul benessere sociale. Infatti è riconosciuto che la diffusione e lo sviluppo dei servizi pubblici locali sia stata favorita dalla condizione del monopolio pubblico nella quale essi sono gestiti, anche perché nel caso fossero stati gestiti da soggetti privati, questi non avrebbero anteposto i fini sociali ai moventi di natura economico-finanziaria. I problemi sorgono a partire dagli anni sessanta del ventesimo secolo, in quanto vi è una crisi del settore pubblico locale e nazionale causata per lo più dall’immobilismo amministrativo, dall’inadeguatezza professionale degli amministratori locali e dagli elevati condizionamenti della politica sulla gestione dei servizi pubblici locali. Questa situazione di crisi del settore pubblico è sfociata nel percorso di privatizzazione che ha cambiato sostanzialmente l’intero sistema dei servizi pubblici locali e nazionali.

1.2.1. L’iter giuridico dei servizi di pubblica utilità locali

La cosiddetta “legge Giolitti” o “legge sulla municipalizzazione” (legge n. 103 del 29/03/1903), può essere vista come una norma che segna profondamente la gestione dei servizi pubblici locali per quasi tutto il Novecento. Prima della promulgazione della legge Giolitti, i servizi pubblici locali venivano affidati in concessione ai privati, i quali sostenevano gli investimenti necessari per svolgere l’attività di erogazione ma nello stesso tempo beneficiavano dei ritorni economici derivanti dall’applicazione dei prezzi di mercato all’utenza. Con la legge Giolitti si capovolge completamente la disciplina e la modalità di gestione dei servizi pubblici locali, infatti si prevede la gestione diretta delle amministrazioni locali attraverso la nascita delle aziende municipalizzate, per aumentare il benessere sociale grazie alla diminuzione dei profitti del monopolista privato, alla riduzione dei prezzi dei servizi, ed al miglioramento della qualità dei servizi erogati e delle condizioni dei lavoratori. Con questa riforma gli utili derivanti dall’erogazione dei servizi pubblici locali confluivano nelle casse comunali, mentre le perdite venivano coperte con la parte straordinaria del bilancio. Altri aspetti positivi della legge Giolitti erano legati al coinvolgimento dei cittadini-elettori, i quali venivano chiamati in causa ad esprimere il loro parere sulla delibera del Comune

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10 ad assumere la gestione diretta del servizio pubblico. La legge sulla municipalizzazione prevedeva anche la possibilità di poter costituire dei Consorzi tra Comuni per risolvere il problema del dimensionamento territoriale. Inoltre questa legge, prevedeva anche delle agevolazioni finanziarie per i Comuni che avessero deciso di gestire direttamente alcuni servizi pubblici locali. Con il decreto regio n. 2578 del 1925, cosiddetto Testo unico sui pubblici servizi, viene confermata e rafforzata la presenza delle municipalizzate, ribadendone l’autonomia amministrativa,contabile e gestionale. L’impianto di gestione dei servizi pubblici locali delineato dalla Legge Giolitti e dal Testo unico sui servizi pubblici, resta in vigore fino agli anni 90’. Le motivazioni che portano ad una nuova normativa sono: la maggiore complessità dei servizi, legata all’ampliamento dei centri urbani, all’abbassamento della qualità percepita, all’innalzamento del livello culturale medio; la situazione cronica di inefficienza ed inefficacia delle imprese pubbliche. La legge n.142 del 08/06/1990 segna il cambiamento nella disciplina delle municipalizzate. Questa legge introduce cambiamenti notevoli in tema di assetto gestionale dei servizi pubblici locali, infatti cerca di separare il ruolo politico da quello della gestione aziendale della municipalizzata. L’aspetto più importante del cambiamento apportato dalla disciplina è l’introduzione, per i casi in cui si renda opportuno, della forma della Società per Azioni a prevalente capitale pubblico. La caratteristica principale delle società di capitali, è rappresentata dalla sua “apertura” nei confronti anche dei soggetti privati, dai quali gli enti locali possono reperire risorse finanziarie, capacità imprenditoriali, competenze gestionali e tecniche manageriali. La possibilità di dare vita ad una società dotata di propria personalità giuridica prevedendo la forma della S.p.A. è sicuramente una svolta verso la gestione aziendale rispettosa del criterio dell’economicità. La legge 142 del 1990 è stata integrata da disposizioni legislative (la legge 427 del 1993 e la legge 127 del 1997) che prevedevano agevolazioni fiscali alle S.p.A. e alle Aziende Speciali costituite ai sensi della legge 142 del 1990. Un’altra disposizione di legge che sancisce il cambiamento nella disciplina dei servizi pubblici locali è la legge 498 del 1992, attuata praticamente con decreto del presidente della repubblica n. 533

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11 del 1996, con questo decreto si stabilisce che è possibile creare S.p.A. con partecipazione pubblica minoritaria, specificando che la partecipazione pubblica non può essere inferiore al 20% e che la scelta del partner privato deve avvenire mediante la gara d’appalto. Le novità introdotte da queste leggi, affermano il nuovo ruolo che il Legislatore intende dare all’Ente Locale, ovvero un ruolo di guida e di indirizzo che si sostituisce a quello di gestore diretto. Vi sono altre norme che sanciscono il nuovo ruolo dell’ente locale: la legge n. 481 del 1995, che istituisce le Autorità di regolamentazione dei servizi pubblici; la legge n. 273 del 1995, che introduce l’obbligo della “Carta dei Servizi”, che è l’atto con cui l’ente pubblico definisce i servizi erogati, gli obiettivi dell’ente, gli organi che deliberano, e le modalità con cui possono essere effettuati i reclami da parte dei cittadini; La legge n. 95 del 1995, che introduce il “Contratto di Servizio”, strumento giuridico che disciplina il rapporto tra ente locale ed il soggetto gestore del servizio pubblico.

L’impostazione normativa fino al 2001 delinea una situazione in cui l’erogazione dei servizi avviene in regime di monopolio e quindi vi sono ridotte forme di competizione che possono condurre al miglioramento della qualità e dell’efficienza; inoltre è presente una situazione in cui vi sono bacini d’utenza molto ristretti che non permettono ai Comuni di poter raggiungere gli effetti benefici delle economia di scala. Grandi novità in tema di servizi pubblici, sono state apportate anche dalla legge finanziaria del 2002, che introduce una serie di principi innovativi (articolo 113 del Testo Unico degli enti locali):

- l’erogazione del servizio deve avvenire in regime di concorrenza;

- gli enti locali possono cedere parzialmente o totalmente le proprie partecipazioni nelle società erogatrici di servizi pubblici;

- l’aggiudicazione dell’affidamento della gestione dei servizi avviene sulla base di una procedura ad evidenza pubblica;

- l’ente proprietario delle reti e degli impianti non può cedere la proprietà degli stessi: è possibile però conferire in una società di capitali con partecipazione di maggioranza pubblica le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali;

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12 - i rapporti tra enti locali e le società che gestiscono le reti e gli impianti, e quelle che erogano i servizi pubblici, sono regolati dal contratto di servizio;

- lo scorporo, con conferimento in apposita società, di impianti e reti dalle società degli enti locali che ne hanno la proprietà contestualmente all’attività di erogazione;

- si stabilisce il principio secondo il quale gli enti locali individuano gli standard di qualità e determinano le modalità di vigilanza e di controllo delle aziende erogatrici, in un quadro di tutela prioritaria degli utenti e dei consumatori.

Nel Testo Unico degli enti locali (TUEL), all’articolo 113-bis, si prevede che i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a:

- istituzioni;

- aziende speciali, anche consortili;

- società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano (affidamento in house) Inoltre, sempre all’articolo 113-bis, viene definita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.

Negli anni successivi alla legge finanziaria del 2002, si può osservare come le società pubbliche siano state oggetto di una serie di disposizioni normative che hanno accentuato i profili di specialità della disciplina rispetto a quella generale applicabile alle società commerciali (contenuta principalmente nel codice civile). Sulla base degli interventi legislativi più recenti si è in particolare assistito ad una tendenziale assimilazione delle società pubbliche alle “P.A.” e, conseguentemente, alla loro sottoposizione a misure di contenimento della spesa

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13 pubblica, a regole di trasparenza, a vincoli sull’organizzazione. In questa prospettiva, con la legge finanziaria per il 2008 è stato introdotto il divieto di costituire società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero di assumere o mantenere, direttamente, partecipazioni anche di minoranza in tali società (articolo 3, comma 27, legge n. 244/2007). Inoltre, l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento dei pacchetti azionari detenuti devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti sopra richiamati, la quale deve essere trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti (articolo 3, comma 28, legge n. 244/2007). Nell’ipotesi di costituzione di società “autorizzate” ovvero di assunzione di partecipazioni (“autorizzate”) da parte delle amministrazioni pubbliche, anche in virtù di processi di riorganizzazione e trasformazione, sono previsti specifici obblighi di rideterminazione delle dotazioni organiche da parte delle amministrazioni coinvolte (articolo 3, commi 30-32, legge n. 244/2007). La disciplina descritta non si applica per le partecipazioni in società quotate nei mercati regolamentati. Sempre in merito ai vincoli organizzativi, il decreto legge n. 207/2008, prevede che le società interamente pubbliche o miste, costituite o partecipate da amministrazioni pubbliche regionali e locali non per l’esercizio dell’attività di impresa, bensì per lo svolgimento di attività strumentale all’ente ovvero per lo svolgimento esternalizzato delle funzioni amministrative dell’ente, a decorrere dal 4 gennaio 2010: devono operare esclusivamente a favore degli enti costituenti o partecipanti o affidanti; non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati; non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. A decorrere dalla data del 4 gennaio 2010, le società sono infatti obbligate a cessare le attività non consentite, le quali possono essere cedute a terzi (nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica) ovvero scorporate, anche costituendo una separata società; i contratti relativi alle attività vietate non cedute o scorporate sono nulli. Le ultime novità in materia di partecipate dagli enti locali arrivano dalla Legge di Stabilità 2014 (Legge del 27 dicembre 2013, n. 147) entrata in vigore l’01/01/2014. Questa Legge di Stabilità,

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14 essendo stata approvata con il voto di fiducia richiesto dal Governo, è formata da un solo articolo e da 749 commi; quelli rilevanti ai fini del presente lavoro sono quelli compresi fra il 550 ed il 569. Il comma 550 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2014 stabilisce che “le disposizioni del presente comma e dei commi da 551 a 562 si applicano alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196”. Il comma 551 prevede che qualora le aziende speciali, le istituzioni o le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali “presentino un risultato d’esercizio o un saldo finanziario negativo, gli enti locali soci sono obbligati ad accantonare nell’anno successivo, in apposito fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla loro quota di partecipazione”. Lo stesso comma continua stabilendo che “limitatamente alle società che svolgono servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresa la gestione dei rifiuti, si dovrà invece fare riferimento alla differenza tra valore e costi della produzione, così come definiti dall’art. 2425 del Codice Civile”, evitando dunque di prendere in considerazione il risultato della gestione finanziaria, della gestione straordinaria e dell’area tributaria. Con questa previsione il legislatore ha voluto favorire questa particolare tipologia di società, caratterizzata dalla presenza di elevati oneri finanziari conseguenti al ricorso all’indebitamento per il finanziamento degli investimenti.

“Gli accantonamenti di cui al comma 551 si applicano a decorrere dall’anno 2015” (comma 552), quindi riguardano il risultato d’esercizio o il saldo finanziario del 2014. Inoltre, si prevede che il meccanismo di accantonamento sia graduale per il triennio 2015-2017. Il comma 553 rappresenta un segno di discontinuità sul tema della partecipazione delle società pubbliche al conseguimento degli obiettivi del Patto di Stabilità. Infatti, se nel disegno di Legge di Stabilità iniziale si prevedeva un contributo da parte delle società partecipate in termini di riduzione del loro livello d’indebitamento, l’attuale testo di legge prevede che “a decorrere dall’esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche

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15 amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza. Per i servizi pubblici locali sono individuati appositi parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati delle Amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, utilizzando le informazioni disponibili presso le Amministrazioni pubbliche. Per i servizi strumentali i parametri standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato”. In virtù di questa previsione normativa, le società strumentali dovranno verificare preventivamente se i prezzi praticati agli enti soci sono più competitivi rispetto a quelli di mercato.

Il comma 554 prevede che “a decorrere dall’esercizio 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30 per cento del compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Quanto previsto dal presente comma non si applica ai soggetti il cui risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall'ente controllante”. Si evince chiaramente che la norma è indirizzata agli enti impegnati prevalentemente nella produzione di beni e servizi strumentali all’attività degli enti locali soci o allo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di competenza dei Comuni. La norma non si riferisce alle società che svolgono servizi pubblici locali a rilevanza economica, né a quelle che svolgono altre attività d’interesse pubblico, in virtù del fatto che queste tipologie di società conseguono la maggior parte del valore della produzione attraverso la prestazione dei servizi a soggetti terzi rispetto ai propri soci pubblici.

La legge di Stabilità 2014 (comma 557) ha apportato un’altra importante modifica in quanto ha sostituito totalmente il comma 2-bis dell’art. 18 del D.L.

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16 112/2008, relativo all’estensione alle società pubbliche dei divieti e delle limitazioni all’assunzione del personale previste per le Amministrazioni controllanti, delle politiche per il contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per le consulenze. Il nuovo comma 2 bis presenta diverse novità. In primis prevede che “le disposizioni, che stabiliscono a carico delle Amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del D.Lgs. 165/2001 dei divieti o delle limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive Amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti medesimi della normativa vigente in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria. A tal fine, su atto d’indirizzo dell’ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo. Per queste società, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, dovrà stabilire le modalità e l’applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno adottate

(17)

17 con propri provvedimenti”. E’ stato inoltre previsto che “gli enti locali di riferimento possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi, scolastici, per l’infanzia, culturali e alla persona e le farmacie, fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale”. La possibilità per gli enti locali di definire con propri atti d’indirizzo le modalità di applicazione dei vincoli assunzionali e di contenimento della spesa per il personale delle società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica e delle aziende speciali ed istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi, scolastici, per l’infanzia, culturali e alla persona, nonché le farmacie, deve comunque tenere conto dei limiti previsti all’art. 76 comma 7 del D.L. 112/2008:

- divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale qualora l’incidenza della spesa per il personale sia pari o superiore al 50% delle spese correnti;

- possibilità di effettuare assunzioni entro il limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Un’altra importante novità (comma 561 della recente Legge di Stabilità) è rappresentata dall’abrogazione dell’art. 14 comma 32 del D.L. 78/2010, cioè di quella norma che aveva procurato diversi malumori agli amministratori locali di Comuni di piccole dimensioni. Tale norma prevedeva che:

- i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non potevano costituire società ed entro il 31/12/2011 dovevano provvedere a mettere in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto (termine che però è stato di fatto ignorato dalla maggioranza dei Comuni interessati);

- i Comuni con popolazione compresa fra 30.000 e 50.000 abitanti potevano mantenere la partecipazione al massimo in una sola società.

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18 La Legge di Stabilità 2014 prevede anche l’abrogazione di alcune norme del decreto legge n.95 del 2012. Infatti, il comma 562, ha abrogato i commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell’art. 4 del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla legge del 7 agosto 2012, n. 135, che prevedevano lo scioglimento o la privatizzazione entro il 31/12/2013 delle società che nel 2011 avevano conseguito un fatturato da prestazioni di servizi nei confronti di pubbliche amministrazioni superiore al 90% del volume complessivo dei ricavi. In virtù dell’abrogazione di buona parte dell’art. 4 della “spending review”, le società strumentali “in house” dei Comuni tornano ad avere piena legittimità ed il nostro ordinamento giuridico si riallinea ai principi affermati dalle norme comunitarie, secondo le quali l’in house providing è un modello organizzativo che può essere legittimamente utilizzato dalle Amministrazioni pubbliche. In merito al concetto dell’in house providing, la normativa comunitaria definisce che devono essere soddisfatte tre condizioni specifiche affinché il rapporto tra Ente Locale e società sia di tipo in house providing:

- il capitale sociale deve essere di proprietà dell’ente locale al 100%;

- la società deve svolgere prevalentemente la propria attività con l’ente pubblico;

- alla società deve essere applicato il controllo analogo da parte degli enti pubblici soci, cioè si deve effettuare un controllo analogo a quello che l’ente locale svolge sui propri servizi interni.

La legge del 27 dicembre 2013, n. 147, ai commi 563-569, introduce la possibilità di attivare processi di mobilità del personale fra società pubbliche. Quindi dal primo Gennaio 2014, “le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, o dai loro enti strumentali, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 31 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, possono, sulla base di un accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del

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19 consenso del lavoratore, processi di mobilità di personale anche in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, in relazione al proprio fabbisogno e per le finalità dei commi 564 e 565, previa informativa alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato, in coerenza con il rispettivo ordinamento professionale e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Si applicano i commi primo e terzo dell'articolo 2112 del codice civile. La mobilità non può comunque avvenire tra le società di cui al presente comma e le pubbliche amministrazioni”.

Al comma 564, si prevede che “gli enti che controllano le società di cui al comma 563 adottano, in relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento economico-finanziario secondo appositi piani industriali, atti di indirizzo volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione di personale mediante le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 563”.

La legge n. 147 del 27 dicembre 2013, interviene anche in materia di cessione delle partecipazioni vietate agli enti locali (comma 569), prevedendo che le partecipazioni non compatibili con le finalità istituzionali dell’ente pubblico devono essere cedute attraverso procedura ad evidenza pubblica entro il 30/04/2014, decorso tale termine, se la partecipazione non sarà stata alienata, essa cesserà di avere alcun effetto. Nel caso in cui tale termine non sia stato rispettato, entro i successivi 12 mesi la società dovrà provvedere a liquidare la quota di partecipazione al capitale del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del Codice Civile.

1.2.2. La nomina degli amministratori

I poteri di nomina degli amministratori delle società partecipate dagli enti pubblici sono disciplinati – a livello generale – dal Codice Civile, modificato con legge n. 46 del 6 aprile 2007, che ha abrogato l’intero testo dell’art. 2450 del Codice Civile, e con la legge comunitaria 2008 che riformula l’art. 2449 del Codice Civile ai fini di un suo adeguamento alla normativa europea; nonché da

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20 una serie di ulteriori norme che integrano o derogano al Codice Civile. In primo luogo, la disciplina generale (art. 2449 C.C.) prevede che se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi attribuire la facoltà di nominare amministratori, sindaci, o componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale. Gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati dallo Stato e dagli enti pubblici possono essere revocati solo dagli enti che li hanno nominati ed hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica. I sindaci, ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza, restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica.

Alle società che fanno ricorso al mercato azionario è prevista la possibilità di riservare allo Stato o agli enti partecipanti azioni fornite di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, ma non del voto nell'assemblea generale degli azionisti (cioè si applica quanto previsto dall’ultimo comma dell'articolo 2346 C.C., in materia di emissione di azioni). La legge n.296 del 2006 al comma 729 disciplina, per le società partecipate totalmente dagli enti locali e a partecipazione mista con enti locali, limitazioni sul numero dei componenti del consiglio di amministrazione nominati dagli enti stessi (articolo 3, comma 17, legge n. 244/2007, che conferma il limite contenuto nell’articolo 1, comma 729, della legge n. 296/2006). Per ciò che specificamente riguarda le società totalmente partecipate, anche in via diretta, dagli enti locali, vi è il limite numerico di tre componenti per i relativi consigli di amministrazione. Tale limite sale a cinque per le società il cui capitale, interamente versato, raggiunga o superi un determinato importo, il cui ammontare – 2 milioni di € - è stato fissato con D.P.C.M. 26 giugno 2007. Si ricorda, infine, che non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a

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21 totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, ha chiuso in perdita tre esercizi consecutivi (articolo 1, comma 734, legge n. 296/2006). Per “perdita” si deve intendere un “progressivo peggioramento dei conti” registrato per tre esercizi consecutivi per ragioni riferibili a scelte gestionali “non necessitate” (articolo 3, comma 32-bis, introdotto dall’articolo 71, comma 1, lett. f), della legge n. 69/2009). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 159/2008, ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale di questo divieto nella parte in cui esso si riferisce alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano; resta valido per gli enti locali. Il decreto-legge n. 95 del 2012 (convertito con legge del 7 agosto 2012 n. 135), firmato dal governo tecnico Monti in tema di revisione della spesa pubblica, disciplina anche il tema della composizione dei consigli di amministrazione delle società partecipate dagli enti locali. Al comma 4 dell’articolo 4 della legge n.135 del 2012 si prevede che “i consigli di amministrazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni devono essere composti da non più di tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. Il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato. I dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico, ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all'amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza. E’ comunque consentita la nomina di un amministratore unico. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei

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22 consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Al comma 5 dello stesso articolo 4, si prevede che “fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge, i consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte. Nel caso di consigli di amministrazione composti da tre membri, la composizione è determinata sulla base dei criteri del precedente comma. Nel caso di consigli di amministrazione composti da cinque membri, la composizione dovrà assicurare la presenza di almeno tre dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero almeno tre membri scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. In tale ultimo caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio di amministrazione deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e istituzionali e supervisione delle attività di controllo interno. Resta fermo l'obbligo di riversamento dei compensi assembleari di cui al comma precedente. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Nel rispetto di queste norme in tema di componenti del consiglio di amministrazione, la nomina è affidata all’azionista pubblico che detiene partecipazioni di maggioranza nelle società che erogano i servizi di pubblica utilità locale.

1.3. Controlli sulle società partecipate non quotate

Con riferimento ai controlli che vengono esercitati sulle società partecipate non quotate, come prevede l’articolo 147-quater del TUEL13, viene lasciata la facoltà agli enti locali di organizzarsi autonomamente per creare un sistema di controlli

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23 adeguato ed efficace, tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili. Al secondo comma dello stesso art. 147-quater, si chiarisce che per l’attuazione dei controlli sulle partecipate non quotate “l’amministrazione definisce preventivamente gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica”. L’ente locale, sulla base delle informazioni ricevute dalla società partecipata “effettua il monitoraggio periodico sull’andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche con riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente”. I risultati delle società partecipate trovano riflesso nel bilancio consolidato dell’ente locale che detiene la partecipazione, secondo la competenza economica. La libertà di scegliere autonomamente il modo più efficace ed efficiente con cui viene effettuato il controllo sulle società partecipate può essere visto per un certo verso come un aspetto positivo, in quanto ciascun ente locale può implementare un sistema di controllo che si adatti bene alle proprie caratteristiche e alle proprie risorse, magari usando meccanismi di controllo e sistemi informativi già presenti nell’amministrazione comunale; ma da un altro punto di vista, la libertà lasciata alle singole amministrazioni pubbliche può essere giudicata negativamente, in quanto potrebbero essere definite procedure di controllo snelle, non dettagliate ed inefficaci, che inciderebbero negativamente sulla gestione delle società partecipate.

(24)

24

2. LA CORPORATE GOVERNANCE 2.1. Definizione

Agli inizi del ventesimo secolo nel mondo anglosassone vi è la diffusione delle public company, caratterizzate da una struttura azionaria frammentata fra un elevato numero di piccoli risparmiatori, la cui conseguenza è una situazione in cui vi è separazione tra proprietà e controllo, dove l’impresa è gestita da managers professionisti che non possiedono azioni e che pertanto possono mettere in atto comportamenti opportunistici in contrasto con gli interessi degli azionisti; da questi presupposti prende avvio la discussione sulla “Corporate Governance”. Il dibattito si è molto accentuato negli ultimi decenni, e nonostante i numerosi studi e contributi prodotti sul tema nel corso del tempo, bisogna prendere atto che non si è ancora giunti ad una definizione condivisa riguardo a che cosa si debba intendere per “Corporate Governance”. La traduzione letteraria della locuzione può essere la seguente: per governance si fa riferimento al governo, inteso come modalità di esercizio dell’attività di pianificazione e controllo; mentre per corporate si intende la società come forma collettiva di esercizio dell’attività d’impresa. Gli autori che hanno studiato approfonditamente questo tema, hanno adottato definizioni che differiscono tra loro sia per l’ampiezza e la varietà degli stakeholders che sono considerati nel processo di governo economico (gli azionisti, i manager, i fornitori, i prestatori di lavoro ecc.), sia per l’ampiezza e la varietà degli organi societari o dei meccanismi che sono ritenuti responsabili della funzione di governo dell’impresa (il consiglio di amministrazione, la società di revisione, il collegio sindacale ecc)14. Secondo l’impostazione di matrice anglosassone, per Corporate Governance si intende la ricerca dei giusti equilibri con riferimento al rapporto tra amministrazione e supervisione (monitoraggio,controllo: possono essere di carattere interno o esterno). Quindi secondo l’accezione anglosassone, si indica il rapporto tra chi gestisce (amministratori) e chi controlla la gestione (organi di supervisione che può essere anche pubblico). Secondo una definizione più rigorosa, per Corporate

14

A riguardo si rimanda alla lettura di: Alessandro Zattoni, Assetti proprietari e corporate governance, pagina 34 e seguenti. EGEA, 2006.

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25 Governance si intende una serie di regole, istituzioni e tradizioni culturali dirette a regolare il rapporto fra gli interessi dell’imprenditore e gli interessi degli investitori. Altri contributi, hanno definito la Corporate Governance come “un articolato complesso di regole, relazioni, ruoli e funzioni che lega i soci, le strutture di vertice e gli altri attori aziendali, concorrendo a determinare i caratteri di struttura e di funzionamento delle aziende. Essa è il risultato di norme e tradizioni, di comportamenti e consuetudini, generati nei singoli sistemi industriali nell’ambito delle tradizioni giuridiche e culturali sviluppate nei diversi paesi e che hanno giustificato, sinora, il mantenimento di alcune sostanziali diversità nei modelli di governo e controllo aziendale di fatto adottati”15. Sono nati, nei diversi sistemi economici, modelli di Corporate Governance che presentano caratteristiche differenti tra loro. Questo vuol dire che ogni legislazione può risolvere i problemi di Corporate Governance in modo differente e pertanto si può cogliere quella più efficiente in un ordinamento giuridico rispetto ad un altro. Le ragioni che hanno indotto i legislatori a dettare delle regole di Corporate Governance sono diverse da paese a paese. In Italia, ad esempio, la disciplina in tema di governo societario è stata dettata per rendere appetibile l’investimento straniero sul mercato finanziario italiano; invece, in Germania, le regole di Corporate Governance sono conseguenti allo sviluppo dei mercati finanziari.

In generale, le norme sul governo societario cercano di garantire l’equilibrio tra autonomia statutaria ed inderogabilità normativa; in altre parole, sono finalizzate a garantire il soddisfacimento degli interessi privati e ad evitare comportamenti lesivi ai danni degli investitori o a danno dei soci di minoranza. Esse mutano in relazione agli assetti proprietari. Infatti nelle società a proprietà diffusa devono tutelare gli azionisti dai comportamenti opportunistici del management; mentre nelle società a proprietà concentrata devono tutelare gli azionisti di minoranza dai possibili abusi dei soci di maggioranza. Inoltre le regole di governo societario sono il riflesso del grado di sviluppo economico del paese. Da qui si spiega la

15

Si veda S. Bianchi Martini, G. Di Stefano, G. Romano (2006), La governance delle società quotate, F. Angeli, Milano.

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26 differenza tra capitalismo europeo (ad eccezione dell’Inghilterra) e statunitense. Il capitalismo dell’Europa continentale è caratterizzato da imprese familiari e concentrazione proprietaria, da uno scarso sviluppo dei mercati finanziari e da una grande funzione delle banche. Il capitalismo statunitense (come quello inglese) è strutturato in modo diverso, in quanto le imprese trovano risorse nei mercati e fanno meno ricorso alle banche.

Per analizzare meglio la Corporate Governance è opportuno considerare la storicità del diritto; infatti per comprendere uno specifico modello bisogna tener conto delle condizioni economiche, sociali e culturali del paese nel quale il sistema di Corporate Governance viene applicato. Ogni scelta è la conseguenza di una determinata situazione economico-sociale. Quindi prima di importare un modello di amministrazione e controllo bisogna valutare l’adeguatezza e la compatibilità dello stesso con la situazione economica, sociale e culturale dello Stato nel quale si introduce. In Italia, per esempio, l’efficacia del modello monistico, dove i controllati nominano i controllori, può risultare compromessa. Teoricamente se due sistemi presentano caratteristiche affini o identiche possono poi avere risultati differenti in due diversi ordinamenti in relazione alla variabili economica, sociale e politica.

Gli studi sulle diverse forme di capitalismo si accentuano agli inizi degli anni 90’ del secolo scorso, in concomitanza con alcuni avvenimenti che hanno avuto luogo a livello di singoli paesi o a livello internazionale. Ad esempio, la perdita di competitività del sistema economico americano tra gli anni 80’ e 90’ ha portato alla nascita di un dibattito molto acceso sulla validità dei meccanismi di Corporate Governance, in particolar modo è stata focalizzata l’attenzione sulle modalità con cui venivano disciplinati i comportamenti dei managers. Con riferimento agli avvenimenti verificatisi a livello internazionale, basta pensare al crescente peso degli investitori istituzionali anglosassoni nel capitale delle grandi imprese di ogni paese o al processo di armonizzazione delle norme in tema di governo societario che è in atto da diversi decenni a livello comunitario ed internazionale.

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27 - l’analisi delle caratteristiche principali dei sistemi economici e delle grandi realtà societarie che operano in essi, affinché si comprenda il funzionamento del mercato economico e si verifichi l’ipotesi di convergenza o divergenza dei diversi modelli.

- l’esame della relazione che si pone tra le caratteristiche specifiche di ogni modello e la performance delle imprese che operano in quel mercato, affinché si possa verificare l’esistenza di un modello in grado di produrre delle performance superiori rispetto a quelle degli altri.

Studiando i differenti modelli di capitalismo, si evidenziano come le diversità, che ogni sistema economico presenta rispetto ad un altro, sono causate dalla forte influenza che la normativa, le istituzioni e le consuetudini sociali, sviluppatesi e consolidatesi con il tempo, esercitano sulle caratteristiche e sul funzionamento dei meccanismi di Corporate Governance delle imprese.

2.2. I diversi modelli di capitalismo

Sulla base degli studi effettuati nel corso degli ultimi decenni, in dottrina si distinguono:

- il modello capitalistico anglosassone; - il modello capitalistico tedesco-nipponico;

- il modello capitalistico italiano (che si colloca nell’ambito del c.d. “sistema latino”).

Nei successivi paragrafi, si evidenziano le caratteristiche distintive di ciascun modello.

2.2.1 Il modello anglosassone

Il modello anglosassone16 è definito anche “market oriented” o “outsider system” per il fatto che il filtro alle inefficienze aziendale è il mercato, in quanto è l’istituzione che riesce a disciplinare e limitare la discrezionalità del comportamento del management. Le imprese anglosassoni sono caratterizzate da

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28 una struttura azionaria fortemente frammentata tra un elevato numero di risparmiatori. La dispersione della struttura azionaria comporta due problemi:

- la separazione tra proprietà e controllo porta ad una situazione in cui il potere di controllo dell’impresa passa dalle mani degli azionisti alla classe di manager professionisti.

- indebolisce l’incentivo degli azionisti a svolgere un ruolo di controllo sull’operato del management, poiché chi svolge tale attività ne sopporta interamente i costi ma gode solo di una piccola percentuale di benefici in proporzione alla quota di capitale sociale posseduta.

Negli ultimi anni il ruolo degli investitori istituzionali sta evolvendo, considerato che hanno aumentato il loro peso in termini di capitale sociale posseduto delle imprese, favorendo un aumento della concentrazione azionaria. Gli investitori istituzionali hanno quindi il potere di indirizzare o di influenzare il comportamento dei managers verso la creazione di valore. In passato i fondi comuni d’investimento ed i fondi pensione, che sono gli investitori istituzionali per eccellenza, effettuavano acquisti di titoli di società sottostimate sul mercato e cedevano i titoli delle imprese sovrastimate, senza alcuna forma di ingerenza sulla gestione aziendale (strategia di “exit”). Oggi, invece, il crescente volume amministrato ha spinto gli investitori istituzionali ad avere quote di capitale sociale molto significative da impedire loro la possibilità di penalizzare il management attraverso la cessione delle azioni sul mercato, infatti un comportamento del genere potrebbe deprimere il valore delle azioni, e quindi il potenziale profitto dell’investitore. Così i gestori dei fondi, in relazione all’aumento della partecipazione al capitale sociale, hanno adottato una strategia di tipo “voice”, che prevede una forte pressione sui vertici aziendali delle imprese controllate al fine di collaborare con il management per ricercare il miglior modello di gestione.

Un’altra caratteristica del modello anglosassone è l’elevata integrazione verticale delle grandi imprese e la presenza di relazioni di breve durata con i fornitori. Infatti le relazioni con i fornitori sono disciplinate da contratti molto dettagliati e

(29)

29 di breve durata, ed il fornitore viene scelto sulla base dell’aspetto economico. La tradizionale frammentazione del modello anglosassone ha inciso anche sulla composizione del consiglio di amministrazione e sugli interessi in esso rappresentati. L’assenza dell’azionista di riferimento, ha determinato un consiglio di amministrazione di influenza ed espressione del management; infatti in molte public company, il consiglio di amministrazione è sotto l’influenza dell’amministratore delegato in quanto spesso vi è la vasta presenza di consiglieri di amministrazione interni (cioè i managers sono consiglieri), vi è la sovrapposizione nella stessa persona del ruolo di amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione. Nel sistema capitalistico anglosassone un elevato numero di imprese decide di quotarsi in borsa per reperire risorse finanziarie al fine di poter sostenere la crescita aziendale nel medio-lungo periodo. Il mercato gioca un ruolo fondamentale nel funzionamento dell’economia del paese, in quanto nella cultura anglosassone il mercato è identificabile come l’istituzione che valuta oggettivamente le strategie aziendali poste in essere dal management, premiando o sanzionando le diverse imprese in relazione alla gestione che viene effettuata. Il motivo per cui vi è un grande sviluppo della borsa valori va ricercato nell’elevata protezione legale che l’ordinamento giuridico accorda agli azionisti. Le minoranze azionarie sono fortemente tutelate negli Stati Uniti, e questo è stato un elemento importante alla base dello sviluppo e del funzionamento del sistema economico statunitense. Nel sistema anglosassone, caratterizzato dalla struttura azionaria frammentata, il principale strumento per sostituire il management quando l’impresa non ottiene una performance soddisfacente è rappresentato dal “mercato per il controllo societario”, che assegna la proprietà dell’impresa a coloro che gli attribuiscono un maggiore valore perché ritengono di poterla gestire in modo più efficiente. Tale mercato si attiva solitamente quando l’impresa non riesce a realizzare una performance azionaria soddisfacente, e un soggetto, interno o esterno a essa, ritiene sia opportuno cambiare gli alti vertici aziendali. La riallocazione del controllo dell’impresa può avvenire attraverso tre diversi meccanismi:

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30 - le fusioni amichevoli

- le scalate ostili

La battaglia per le deleghe si materializza quando uno degli azionisti della società, non contento delle performance aziendali, presenta una lista di candidati diversa da quella proposta dal management e cerca di convincere gli altri azionisti a votare per la sua lista. Questo metodo viene ritenuto poco efficace perché l’azionista diffidente deve sopportare a sue spese il costo iniziale per identificare i risultati aziendali negativi e per la gestione della battaglia per le deleghe, mentre se la sua battaglia sarà vinta e le performance aziendali migliorano, tutti gli azionisti beneficiano pro-quota dell’aumento del valore della società. Questo rende le battaglie per le deleghe poco diffuse. Le fusioni amichevoli e le scalate ostili, a differenza delle battaglie per le deleghe, attribuiscono a coloro che sostengono i costi per migliorare la gestione aziendale una percentuale elevata dei benefici che ne conseguono. Tali meccanismi sono molto costosi e radicali. Il meccanismo della scalata ostile prevede che lo scalatore realizzi un’offerta pubblica di acquisto su tutto il capitale dell’impresa o su una frazione del capitale significativa, a un prezzo prefissato. Quando l’operazione va a buon fine, lo scalatore acquista il controllo dell’impresa e ha la possibilità di influenzare la gestione in quanto nomina la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione.

2.2.2. Il modello capitalistico in Germania e Giappone

Il modello tedesco-giapponese17 è definito “network oriented” o “insider system”, per l’elevato peso che si pone alle relazioni tra imprese industriali e finanziarie e per la presenza di una struttura azionaria caratterizzata dalla presenza di azionisti di controllo. Le grandi imprese che operano in Germania e in Giappone si caratterizzano per una struttura azionaria che si differenzia da quella delle imprese anglosassoni in quanto vi è un maggiore grado di concentrazione azionaria. I principali azionisti delle grandi imprese tedesche e giapponesi sono in molti casi altre imprese industriali o le banche. Queste ultime

17

Per approfondimenti sul tema si veda Alessandro Zattoni, Assetti proprietari e corporate governance, capitolo 5. EGEA, 2006.

(31)

31 sono spesso in grado di esercitare un potere molto elevato perché, oltre alla quantità di azioni possedute, ricevono la delega del diritto di voto dai piccoli azionisti. La presenza di questa struttura azionaria concentrata e la determinazione dell’azionista di riferimento ad esercitare un forte condizionamento sulle decisioni strategiche dell’impresa riduce la possibilità che si crei quella separazione tra proprietà e controllo tipica del modello anglosassone.

In Germania e in Giappone i rapporti tra imprese industriali che operano nello stesso settore sono più orientati alla cooperazione rispetto al mondo anglosassone. Le imprese tendono ad instaurare rapporti di tipo collaborativo che sono rafforzati da partecipazioni azionarie, relazioni contrattuali continuative e regoli sociali condivise. Ad esempio in Giappone si sono diffusi i grandi gruppi aziendali: il gruppo conglomerato, chiamato “keiretsu”, che è rappresentato da un vasto numero di imprese che ruotano attorno a una banca; e si è diffuso altresì il gruppo integrato verticale che è costituito da vari imprese che operano lungo fasi sequenziali della filiera controllate dalla capogruppo. Nel rapporto tra imprese e banche vi è una forte collusione soprattutto in Germania; infatti nelle imprese tedesche tutti i servizi finanziari vengono forniti dal medesimo istituto finanziario, che spesso possiede anche ingenti pacchetti azionari. Quindi le banche esercitano un ruolo fondamentale, in quanto sono partner e consulenti finanziari. Il loro ruolo nel sistema economico tedesco è molto discusso, in quanto la loro presenza in qualità di soci e finanziatori a titolo di capitale di prestito può generare conflitti d’interessi. Vi è il rischio che il management delle grandi banche possa governare le imprese controllate nel suo interesse personale. Secondo coloro che sostengono il ruolo delle banca universale, viceversa, gli istituti di credito tedeschi essendo grandi azionisti sono concentrati a migliorare le performance aziendali e quindi hanno un orientamento a perseguire la crescita e lo sviluppo dell’impresa nel medio-lungo periodo.

Con riferimento alla composizione dei consigli di amministrazione, in Germania e Giappone la situazione è molto diversa rispetto al modello anglosassone. Nel modello tedesco vi è il sistema dualistico per le società di capitali, che si

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