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L'utilizzo dell'informazione di costo a supporto delle decisioni aziendali: il caso GreenAsm s.r.l.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT Corso di laurea magistrale in Strategia, management e controllo

Curriculum: Costi-performance

Tesi di laurea

L’UTILIZZO DELL’INFORMAZIONE DI COSTO A SUPPORTO DELLE DECISIONI AZIENDALI: IL CASO GREENASM SRL

Relatore: Candidato:

Prof. Giannetti Riccardo Meloni Federico

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ABSTRACT

I costi e le potenzialità informative derivanti da essi e dal loro studio, rappresentano importanti elementi che possono essere impiegati in azienda per molteplici scopi: il presente lavoro si concentra sul ruolo che i costi possono rivestire nel supportare la valutazione delle decisioni aziendali.

È stato fatto un excursus storico su come nel corso del tempo le finalità e gli scopi conoscitivi che i costi (e più in generale anche le informazioni derivanti dalla contabilità analitica e direzionale, di cui i costi fanno appunto parte) hanno consentito e consentono di supportare, sottolineando come questi siano stati e siano tutt’oggi generalmente e in modo riduttivo, intesi ed impiegati come strumenti per valutazioni legate di decisioni che investono la dimensione operativa della gestione e riferite al breve periodo, trascurando le potenzialità di questi per valutazioni di decisioni impattanti anche su aspetti strategici e coinvolgenti periodi economici più estesi rispetto al singolo esercizio. Sono stati poi illustrate la funzione e l’importanza dei costi nell’ambito delle tecniche di valutazione impiegate tipicamente per l’analisi e la valutazione sia nel caso di decisioni classificate come operative (e di breve periodo), come l’analisi differenziale, che di decisioni definibili come strategiche (e pertanto di medio-lungo periodo), tramite le tecniche di analisi finanziaria degli investimenti e quelle dello Strategic Management Accounting, approfondendo fra queste ultime lo Strategic Cost Management, approccio di analisi proposto dagli studiosi americani Shank e Govindarajan, in base al quale l’utilizzo dei costi viene ampliato e si estende anche al profilo strategico delle decisioni. Il caso aziendale preso in esame, ha permesso di evidenziare come la valutazione effettuata tramite quest’ultima tecnica, permette di utilizzare i costi consentendo di ampliare l’analisi da un punto di vista quantitativo, di impiegare gli stessi anche per effettuare delle analisi qualitative particolarmente utili per valutare gli aspetti strategici di una decisione e di affiancare a queste anche altre valutazioni di tipo qualitativo che meglio aiutano a comprendere e giudicare la potenziale decisione.

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INDICE

ABSTRACT ...3

INTRODUZIONE ...7

CAPITOLO 1. L’INFORMAZIONE DI COSTO E LE DECISIONI AZIENDALI ...9

1.1 L’importanza dell’informazione di costo nel contesto aziendale: evoluzione e impieghi ...9

1.2 Le decisioni aziendali: caratteri e classificazioni ... 19

1.3 Le classificazioni dei costi e le logiche di calcolo dei costi utili per le decisioni aziendali ... 24

1.3.1 Classificazioni dei costi ... 25

1.3.2 Logiche di calcolo dei costi... 29

1.4 L’analisi dei costi per le decisioni di breve periodo ... 33

1.4.1 L’utilizzo del margine di contribuzione ... 33

1.4.2 L’analisi differenziale ... 34

1.5 L’analisi dei costi nelle decisioni di medio/lungo periodo ... 37

1.5.1 Il legame fra costi e le tecniche di analisi degli investimenti ... 37

1.5.2 Lo Strategic Management Accounting (SMA) ... 40

1.5.2.1 I vari approcci allo Strategic Management Accounting ... 42

1.5.2.2 Le tecniche e gli strumenti di SMA... 45

CAPITOLO 2. LO STRATEGIC COST MANAGEMENT E LA SUA UTILITÀ NELLE DECISIONI AZIENDALI ... 51

2.1 Lo Strategic Cost Management nell’ambito dello Strategic Management Accounting ... 51

2.2 La struttura e gli elementi dello Strategic Cost Management ... 55

2.2.1 L’analisi della Catena del Valore ... 55

2.2.2 L’analisi del posizionamento strategico ... 62

2.2.3 L’analisi delle determinanti di costo ... 63

2.3 L’impiego dell’SCM per il supporto delle decisioni: introduzione al caso esaminato ... 67

2.3.1 Caratterizzazione e inquadramento della decisione oggetto di valutazione . 67 2.3.2 Ragioni che giustificherebbero l’impiego dell’SCM ... 69

CAPITOLO 3. L’IMPIEGO DELLE INFORMAZIONI DI COSTO E LA LORO ANALISI PER LA VALUTAZIONE DELLA DECISIONE NEL CASO GREENASM ... ... 73

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3.1 L’azienda ... 73

3.1.1 Informazioni generali... 73

3.1.2 Descrizione del processo produttivo ... 74

3.2 Il settore e il mercato del compost ... 77

3.2.1 Il settore... 77

3.3.2 Il mercato ... 84

3.3 L’utilizzo dell’informazione di costo per l’analisi e la valutazione della decisione ... 89

3.3.1 Descrizione della decisione oggetto di valutazione ... 89

3.3.2 Il ruolo del costo nella valutazione tramite l’analisi differenziale ... 92

3.3.3 Il ruolo del costo nella valutazione tramite le tecniche di analisi degli investimenti ... 96

3.4 La valutazione tramite l’SCM ... 103

3.4.1 L’analisi della catena del valore, del posizionamento e delle determinanti di costo nella situazione attuale ... 103

3.4.2 L’analisi della catena del valore, del posizionamento e delle determinanti di costo a seguito della decisione... 108

3.4.3 L’alternativa individuata e la sua analisi secondo l’approccio dell’SCM ... 113

4. CONSIDERAZIONI FINALI ... 131

BIBLIOGRAFIA ... 135

SITOGRAFIA ... 138

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INTRODUZIONE

La tesi ha come obiettivo quello di analizzare il ruolo e l’importanza dell’informazione di costo e del loro studio per supportare le decisioni aziendali, cercando di capire se questi possono costituire una base idonea non solo nel caso di decisioni operative e di breve periodo, ma anche per decisioni strategiche e che investono più periodi economici. Si è presa in considerazione a tal fine, la potenziale decisione dell’azienda GreenAsm s.r.l. presso la quale è stato svolto un periodo di stage.

Il lavoro si sviluppa in quattro capitoli: nel primo capitolo si è analizzato in che modo il costo, in relazione ai mutamenti delle aziende e dei contesti in cui queste si muovono, è stato ed è utilizzato e quali sono i fini conoscitivi che questo consente oggi di soddisfare, evidenziando poi in che modo il costo può essere impiegato nelle tecniche di valutazione di decisioni operative di breve e quelle strategiche e medio lungo periodo. Il secondo capitolo si è focalizzato su una determinata tecnica di analisi dei costi nell’ambito del più ampio insieme dello Strategic Management Accounting, lo Strategic Cost Management, che enfatizza l’importanza del costo in tutte le fasi del processo di gestione strategica, e quindi anche nel momento della valutazione di eventuali scelte strategiche; è stato sottolineato come ai fini della valutazione della potenziale scelta di GreenAsm questa tecnica potesse dimostrarsi maggiormente idonea e in grado di fornire informazioni più complete.

Nel terzo capitolo si va dapprima a descrivere l’azienda, il suo processo produttivo, il settore e il mercato in cui questa opera e successivamente, una volta aver illustrato i caratteri e gli elementi della potenziale decisione oggetto di analisi, si riportano le valutazioni di quest’ultima tramite l’analisi differenziale, le tecniche di analisi degli investimenti e secondo la prospettiva dello Strategic Cost Management, evidenziando per ognuna la funzione e il contributo del costo.

Infine l’ultimo capitolo è dedicato alle riflessioni finali cui è stato possibile giungere in relazione alle tecniche adottate e ai risultati raggiunti.

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CAPITOLO 1. L’INFORMAZIONE DI COSTO E LE DECISIONI AZIENDALI 1.1 L’importanza dell’informazione di costo nel contesto aziendale: evoluzione e

impieghi

I costi costituiscono probabilmente una delle basi e fonti informative di maggiore rilevanza e utilità per la gestione in generale nelle realtà aziendali e in quanto tali, è divenuto sempre più importante individuare ed implementare tecniche, procedure e strumenti che consentano ai responsabili aziendali di sistematizzare, calcolare ed analizzare dati di costo “grezzi”, così da produrre delle informazioni che supportassero i loro scopi conoscitivi, sia per fini decisionali che di controllo.

Nell’ambito del sistema aziendale queste tecniche, procedure e strumenti per il calcolo e l’analisi dei costi costituiscono gli elementi della cosiddetta contabilità dei costi che Selleri (1999) definisce come «un sistema di determinazioni quantitative tramite le quali si procede alla misurazione dei costi elementari ed alla loro successiva elaborazione in vista di giungere alla composizione di sintesi di costo, di differente ampiezza e contenuto, necessarie per differenti scopi (…)»1; molto spesso tale contabilità è considerata come sinonimo di contabilità analitica, ma erroneamente in quanto ne costituisce solo una parte: lo stesso autore definisce appunto la contabilità analitica come «un sistema di determinazioni del quale la direzione di impresa si avvale per controllare analiticamente e con periodicità infra-annuale i risultati economici della gestione”, e che consente “ (…) la determinazione di risultati economici parziali, ossia riferiti a parti dell’intera gestione dell’impresa»2; quindi la contabilità analitica

comprende, oltre a quella dei costi, anche altre contabilità come quella ad esempio dei ricavi, che è necessaria appunto per determinare i risultati economici.

A sua volta la contabilità analitica è parte di un più ampio sistema, che è quello della contabilità direzionale (o management accounting), che Cinquini (2017) descrive appunto come «l’insieme degli strumenti finalizzati a rilevare, organizzare ed aiutare ad interpretare le informazioni di tipo economico-finanziario ed anche non monetario,

1 SELLERI L. (1999), Contabilità dei costi e contabilità analitica. Milano, Etas 2 SELLERI, op. cit., 1999

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a supporto dell’attività di governo svolta a diversi livelli decisionali»3, da non confondere come sottolinea Brunetti (1979)4 con il concetto di sistema di controllo direzionale (o di gestione), dato che la contabilità direzionale costituisce la struttura tecnico-contabile (o informativo-contabile), ovvero quelle tecniche di costruzione dei dati inglobate dal sistema di controllo stesso e in base al quale sono e devono essere progettate e gestite5.

Dopo queste brevi esposizioni di natura terminologica, che hanno però anche consentito di inquadrare i costi e il sistema di contabilità direzionale nell’ambito del sistema aziendale, si andrà ora nel resto del paragrafo ad analizzare come nel corso del tempo si sono modificati ed evoluti l’importanza e gli impieghi della contabilità direzionale in generale e del calcolo e analisi dei costi all’interno delle aziende in relazione alle loro diverse esigenze conoscitive e, parallelamente, quelle che sono state le attenzioni e le proposte del mondo accademico al riguardo, sia limitatamente al contesto occidentale in generale che in quello italiano.

Non vi è ancora un’opinione comune e condivisa in merito alle origini e allo sviluppo degli strumenti e le tecniche di cost e management accounting: Antonelli et al.6 hanno

evidenziato come, relativamente al contesto americano, alcuni autori sostenessero che la crescita delle grandi aziende sia stato l’elemento catalizzatore per la diffusione della contabilità direzionale, altri studiosi invece sostengono la tesi opposta, e cioè che sia stato lo sviluppo e l’ampliarsi del management accounting a costituire una delle leve

3 CINQUINI L. (2017), Cost management, Volume I, G.Giappichelli Editore, Torino

4 BRUNETTI G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Franco Angeli, Milano

5 BERGAMIN BARBATO (1991) sostiene infatti che “… l’evoluzione e l’affinamento delle tecniche di costruzione dei dati non vanno confuse e identificate con i sistemi di controllo anche se questi ultimi inglobano al loro interno la struttura tecnico-contabile che va però progettata e gestita in modo funzionale all’orientamento, allo spirito di fondo di questi”.

6 ANTONELLI V., BOYNS T., CERBIONI F., The development of accounting in the era of scientific

management: the italian engineering conglomerate, Ansaldo 1918-1940, Accounting Historians

Joumal,Vol. 35, No. 1, pp. 49-81, June 2008, p.50: «…While Chandler has suggested that it was the

growth of the former which gave rise to the latter, Johnson and Kaplan (1987, p. 21) argue that the link was possibly the other way around, that the development of these accounting techniques may have made possible the growth of the large, M-form corporation. In work relating to the Dowlais Iron Company in the mid-I9th century, Boyns and Edwards (1997) have suggested that the relationship between the emergence of large firms and the development of cost/management accounting may have been the result of a symbiotic rather than a causal, relationship (see also, Alford 1976).»

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che ha permesso l’ampliamento delle imprese, altri ancora sostengono che vi sia stata una relazione simbiotica piuttosto che causale fra i due aspetti; relativamente al contesto italiano, sono stati molto pochi i casi di studio su questa relazione, tanto che non è possibile delineare con certezza la natura e i caratteri della stessa7.

Il fatto che vi siano varie teorie in merito a questa tematica, fa capire come i sentieri evolutivi di tali sistemi siano stati molteplici e possano essere stati innescati con differenti modalità a seconda delle diverse tipologie di imprese e ai diversi momenti storici; il legame fra il processo di evoluzione delle aziende e quello dei sistemi di contabilità direzionale risulta tuttavia innegabile, e di conseguenza anche l’utilità di effettuare un’analisi che tenga simultaneamente in considerazione i due aspetti, in quanto per comprendere come e perché si siano ampliati e affinati tali sistemi, è opportuno capire come sono mutati nel tempo l’ambiente in cui le imprese si muovono, i caratteri, il modo di operare e le esigenze informative di queste ultime, esigenze che appunto la contabilità direzionale ha dovuto, deve e dovrà soddisfare.

Come suggerito da Tenucci, è possibile individuare dei criteri che consentono di selezionare un momento significativo dal quale abbia senso far partire questo tipo di analisi8:

- Una rilevazione dei costi e utilizzo degli strumenti tecnico-contabili di supporto al governo aziendale svolta in modo sistematico (Antonelli, 2000).

- La nascita dell’azienda industriale con la quale si comincia a far sentire il problema del controllo dell’efficienza produttiva e della formazione dei prezzi (Kaplan, 1984; Hopwood, 1987)9.

7 ANTONELLI V., BOYNS T., CERBIONI F., Multiple Origins of Accounting?An Early Italian

example of the Development of Accounting for Managerial Purposes, European Accounting Review,

Vol. 15, No. 3, pp. 367–401, 2006, p.369: «… the second half of the 19th century represents a period

of significant movement towards industrialisation in Italy, developments which might have been expected to be linked with changes in the use of accounting. However, as noted by Brambilla and Conti (2005, p. 2), the relationship between accounting and the development of industrial businesses in 19th- and early 20th-century Italy is still largely unknown. Indeed, only two works have previously examined such issues: Antonelli et al. (2002) have examined accounting issues in relation to the iron and steel manufacturer, La Magona d’Italia, at the end of the 19th/ beginning of the 20th century, while Antonelli et al. (2005) have considered developments at the engineering conglomerate Ansaldo in the first half of the 20th century.»

8 TENUCCI A., 2010, Strategic management accounting: modelli, strumenti e evidenze empiriche, Mc Graw-Hill, Milano, p.3

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Sulla base di quanto finora detto, i primi esempi significativi di utilizzo delle informazioni relative ai costi sono da ricondurre quindi all’avvento delle prime grandi aziende industriali, sorte inizialmente in Inghilterra, Francia e Stati Uniti.

Limitatamente al contesto italiano, dove il processo di industrializzazione aveva preso piede con qualche decennio di ritardo rispetto al contesto statunitense e ad altri paesi di quello europeo, si può riscontrare come nelle aziende di quel periodo, i costi venissero «prevalentemente impiegati per fissare i prezzi di vendita dei prodotti e per le valutazioni di magazzino»10.

Le aziende operavano in un ambiente dove la competizione era quasi del tutto assente e questo logicamente non le motivava a concentrare sforzi e risorse per un attento controllo dei costi e dell’efficienza e di conseguenza anche la dottrina, non aveva approfondito in modo concettualizzato e sistematico gli studi in materia di calcolo e analisi dei costi, la cui rilevazione avveniva in contabilità generale e utilizzata ai fini della valutazione del solo patrimonio aziendale (dato che in quel periodo le aziende utilizzavano principalmente il sistema patrimoniale di Besta11).

A partire dal prima dopoguerra, le aziende industriali italiane cominciano a crescere in termini dimensionali , il livello di complessità che queste si trovano ad affrontare e dover gestire aumenta, e parallelamente anche l’attenzione ai costi da parte degli studiosi, diveniva sempre maggiore: in questo periodo infatti nasce e si comincia ad affermare (non a caso forse) il paradigma economico-aziendalistico di Zappa, che, coerentemente con uno dei principi cardini della sua teoria ossia la globalità e unitarietà dell’attività aziendale, sottolinea come il costo sia una misura solo parziale di quella che è la realtà aziendale, e per essere utilizzato come valido strumento di supporto deve essere determinato in relazione ai particolari scopi conoscitivi e fabbisogni informativi che deve andare a soddisfare, pensiero in totale armonia con i concetti esposti già nel 1923 da J. Maurice Clark nei suoi “Studi sull’economia dei costi costanti”, che (non in

10 TENUCCI A. (2010), op. cit., p.4 11 TENUCCI A. (2010), op. cit., p.5

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senso riduttivo) possiamo riassumere con la sua celebre espressione «costi diversi per scopi diversi»12.

Numerosi studiosi italiani poi, iniziarono nel corso degli anni trenta ad interessarsi più intensamente e in modo più focalizzato alle tematiche e le problematiche relative ai costi, proponendo metodi di allocazione dei costi sottolineando come questi si dovessero iniziare a distaccare dal metodo di rilevazione della partita doppia dato che le loro potenzialità di impiego non erano circoscritte ad un unico scopo conoscitivo, ovvero la determinazione del reddito d’esercizio13, ma era un’informazione a cui si riconosceva una validità anche per fini gestionali.

Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, vede l’affermarsi del sistema della produzione di massa nella generalità delle imprese del mondo occidentale a causa di alcuni fattori che caratterizzavano l’ambiente socio-economico e i mercati14:

- una domanda di mercato generalmente superiore all’offerta

- una domanda orientata a prodotti di massa scarsamente differenziati, con la conseguenza di una limitata difficoltà nello smercio dei beni

In questo contesto l’attenzione ai costi e più precisamente ai costi variabili costituivano un oggetto di analisi e controllo cruciale per le aziende: gli elevati volumi di produzione permettevano di sfruttare economie di scala e ridurre i costi medi unitari grazie alla minore incidenza unitaria dei costi fissi, il perseguimento dell’efficienza nel breve periodo e quindi l’analisi e il governo dei costi variabili direttamente riferibili al prodotto (manodopera e materie prime) erano pertanto l’oggetto su cui si focalizzava l’attenzione delle aziende per garantire un aumento dei propri profitti.

Il fenomeno della produzione di massa caratterizzò principalmente le aziende delle realtà anglosassoni, fra le quali si svilupparono tecniche e strumenti che permettevano

12 CLARK J.M., Studies in the Economics of Overhead Costs, The University of Chicago Press, Chicago, 1923, Cap. IX, pp. 175-203; edizione italiana curata da G. De Maria e pubblicata col titolo “Studi sull’economia dei costi costanti”, Dinamica Economica, a cura di G. De Maria, Utet, Torino, 1932 13 TENUCCI A., 2010: «…fra le prime opere integralmente dedicate alla questione riteniamo utile

ricordare lo scritto di D’Ippolito (1935) il quale propone un sistema di allocazione dei costi generali nell’azienda industriale e ribadisce, coerentemente con la teoria zappiana, l’inadeguatezza delle rilevazioni dei costi in partita doppia in quanto non strettamente collegati allo scopo della determinazione del reddito d’esercizio.»

14 SANTINI F., Il costo di produzione tra cost accounting e strategic cost management, G. Giappichelli editore, Torino, 2010, p.53

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di controllare e di avere informazioni in merito ad efficienza e produttività, come ad esempio la determinazione e l’analisi dei costi standard e l’analisi delle varianze.

A causa della composizione del tessuto imprenditoriale italiano, composto principalmente da piccole imprese, gran parte delle quali a gestione familiare, queste tecniche cominciarono a diffondersi e ed essere conosciute nel contesto italiano solo quando le multinazionali straniere, soprattutto americane, iniziarono a localizzare proprie sedi nel Paese e, singolarmente furono proprio le aziende a far “ricredere” e adeguare il mondo accademico: infatti in un primo momento, la generalità degli studiosi che erano ampiamente influenzati e basati sul pensiero di Zappa, non accoglievano l’utilizzo di questi strumenti di contabilità dei costi, perché rei di far perdere di vista la concezione unitaria dell’azienda, tuttavia il sempre maggiore impiego presso le aziende, anche nel contesto italiano, li aveva portati ad apprezzarli e riconoscerli come strumenti di indubbia utilità ed efficacia nelle previsioni dell’equilibrio economico aziendale, per la programmazione e il controllo15.

Oltre che per giudizi di efficienza e produttività, le informazioni relative ai costi erano ormai impiegate a supporto di vari fini conoscitivi, definiti tradizionali16:

- giudizi di redditività

- formazione dei prezzi di vendita

- decisioni di convenienza economica comparata - valutazioni di bilancio

Dalla fine degli anni sessanta e negli anni settanta, una serie di fattori avevano contribuito a rendere più turbolento e mutevole l’ambiente in cui si muovevano le imprese, e a modificare inoltre la struttura dei mercati e della domanda: si susseguirono periodi di crisi economiche, legati principalmente agli shock petroliferi, a frangenti di ripresa che avevano contribuito ad instabilità, aumento dei prezzi e ad una riduzione dei volumi di produzione.

Il modello dell’azienda di produzione di massa nella maggior parte degli ambiti e settori non era più sostenibile, dato che la domanda di quegli anni si era modificata sia dal punto di vista quantitativo, dato che non era più ai livelli degli anni del periodo di

15 Cfr. TENUCCI A., 2010; BERGAMIN BARBATO, COLLINI, QUAGLI, 1996

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boom economico del secondo dopoguerra, che da un punto di vista qualitativo perché si stava orientando sempre più verso una produzione differenziata; tutto ciò, insieme alla crescita dimensionale delle aziende, aveva fatto crescere l’incidenza e il peso dei costi indiretti sulla struttura dei costi aziendali.

Le informazioni che fino a quel momento, aveva fornito la contabilità direzionale per come era stata impostata nelle aziende di produzione di massa, iniziavano a dimostrarsi insufficienti.

Nel contesto americano, dove sia la dottrina che le aziende si erano da sempre contraddistinti un po’ come pionieri sia negli studi che nelle applicazioni in azienda della contabilità direzionale, possiamo dire che, nonostante le esigenze informative per fini gestionali stessero inevitabilmente aumentando in quel periodo, si è assistito come è stato sottolineato da Johnson e Kaplan (1987) ad un’involuzione piuttosto che ad una evoluzione, da imputare a loro parere sia al management delle aziende sia agli autori del tempo: in quegli anni si sviluppò infatti la tendenza ad un utilizzo della contabilità direzionale principalmente a supporto della contabilità generale e quindi per finalità di informativa esterna, e non per fini gestionali, e conseguentemente c’era stata anche una perdita di importanza e un minore utilizzo delle informazioni di costo per orientare e supportare le decisioni da parte del management17.

Questa dinamica ha avuto un andamento opposto di quello che si era verificato nel contesto italiano dove l’informazione di costo, era stata inizialmente impiegata unicamente per la valutazione delle rimanenze e principalmente subordinata alla logica della contabilità generale, e poi il suo utilizzo esteso nel corso del tempo, anche per fini gestionali nell’ambito dei sistemi di pianificazione e controllo.

In questo periodo si era perciò assistito ad una sorta di blocco nel processo di evoluzione della contabilità direzionale, in quanto gli strumenti e le procedure che ne facevano parte e che venivano adottati erano ancora quelli che erano state proposti decenni e decenni prima.

17 In Tenucci op.cit., 2010, è riportato una parte di JOHNSON H.T., KAPLAN R.S., Relevance lost: the

rise and fall of management accountig, Harvard Business School Press, Boston, 1987, in cui gli

Autori avevano sottolineato come «Dagli anni’60 e ‘70, (…), il management iniziò a fondare le

proprie scelte unicamente sui valori contabili. Guidato sempre più nelle sue decisioni da dati rispondenti principalmente ad esigenze di informazione esterna, il management delle grandi imprese – la mano visibile – dal 1950 in poi ha diretto l’azienda ̒ con i numeri ̓.»

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Nel corso degli anni ottanta e novanta, l’impresa si è trovata ad operare in un ambiente caratterizzato da elevata turbolenza e mutevolezza, da incertezza, da un aumento della competizione e da molti fattori e variabili esogene che, ne avevano definitivamente modificato il modo di operare, i suoi processi e la sua struttura.

Anche la contabilità direzionale, rappresentando una risorsa critica per i fabbisogni informativi aziendali, non poteva più esimersi nell’adeguarsi a tali cambiamenti, tenendo in considerazione nuovi aspetti ed essere utilizzata in modo tale da fornire informazioni su variabili che divenivano sempre più critiche per la sopravvivenza e il successo aziendale: il cambiamento della struttura dei costi aziendali, che vedeva ormai la prevalenza dei costi indiretti, legati all’aumento della complessità dei processi e delle strutture aziendali e all’impatto dell’evoluzione tecnologica, richiedevano delle procedure e delle tecniche che consentissero non solo di avere un costo calcolato tenendo conto di questi caratteri, ma anche di fornire degli schemi e delle logiche che consentissero di governarli e gestirli al fine di un loro ottimale contenimento.

La dimensione strategica della gestione aziendale è stata a partire da quel periodo divenne un aspetto oggetto di centralità sia negli studi degli aziendalisti, che proprio da quegli anni cominciano ad intensificarsi, che nelle realtà aziendali: la sempre maggiore importanza e centralità del cliente e della sua soddisfazione e la presenza e attenzione ai competitor (attuali e potenziali) erano nuove variabili che iniziavano ad essere ritenute importanti in quanto potevano influire sul successo aziendale attuale e futuro, e quindi che dovevano essere iniziate a tenere in considerazione anche dalla contabilità direzionale.

Proposte di nuovi strumenti di calcolo e analisi dei costi e più in generale di contabilità direzionale innovativi che tenessero in considerazione tutte queste nuove sfide, sono state elaborate principalmente dagli autori della letteratura straniera, ne sono alcuni esempi l’Activity Based Costing, il modello di analisi dei costi della qualità, il Target Costing…

Fra le nuove potenzialità offerte da queste nuove tecniche e strumenti sono sicuramente da sottolineare: l’ampliamento degli oggetti di costo, che non si limitano

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più ai soli prodotti, ma anche ad attività, processi, clienti, unità di business18, capacità inutilizzata, caratteristiche di un prodotto19 e anche competitor; «un graduale passaggio dalle logiche di calcolo dei costi a logiche di gestione (anche in ottica strategica) dei costi »20, perché i nuovi strumenti consentono non solo la semplice misurazione dei costi, ma anche una migliore «comprensione e gestione dei consumi di risorse, soprattutto in fase preventiva, nel quadro di un processo di creazione del valore fondato sull’analisi del rapporto tra impiego di fattori e soddisfazioni delle esigenze della domanda»21; gli orizzonti di analisi dei costi e quindi il relativo controllo si espandono sia all’interno dell’impresa, dai soli costi di produzione ai costi di marketing, di vendita e di altre aree e attività aziendali, ma anche all’esterno, considerando aspetti e dinamiche relativi a clienti, fornitori e concorrenti; la predisposizione delle informazioni della contabilità direzionale, e quindi di quelle di costo che ne costituiscono una parte, ad essere impiegate per supportare le decisioni, si estende e si amplia da quelle operative e con effetti nel breve, a decisioni di carattere strategico e con riflessi nel medio lungo periodo.

Quindi, oltre ai tradizionali impeghi, che possiamo qui riassumere in22:

- misurazione del costo consuntivo di produzione e la valutazione dei prodotti in rimanenza, allo scopo, rispettivamente di valutare la redditività di lotti produttivi, singoli progetti, produzioni o specifici prodotti, e di apprezzare la misura del capitale e del reddito di periodo;

- supporto alle politiche di prezzo;

- supporto alle attività di programmazione aziendale e le valutazioni di efficienza economica così da orientare le future coordinazioni produttive verso gli obiettivi prefissati secondo logiche di efficienza valutando a posteriori la bontà della gestione intrapresa;

18 Cfr. MIOLO VITALI P., Strumenti per l’analisi dei costi. Percorsi di cost management, G. Giappichelli, Vol. III, Torino, 2009

19 TENUCCI A., 2010, op. cit. p.58 20 TENUCCI A., 2010, op. cit. p.9 21 SANTINI F. 2010, op. cit. p.196

22 Questa schematizzazione degli impieghi, che Bastia P. (1996) definisce “tradizionali”, è stata riportata da SANTINI F., op.cit. p. 117

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- assunzione di scelte operative di convenienza economica (…), relativi, in particolare, all’accettazione o meno di specifiche commesse, alle scelte di make or buy, o alla definizione del mix produttivo;

se ne possono riconoscere alle informazioni di costo fornite dagli strumenti di analisi dei costi più innovativi, anche di altri, come ad esempio:

- supporto per individuare percorsi che portano ad un utilizzo più efficiente delle risorse;

- valutazioni dell’incremento del valore offerto al cliente;

- scelte di posizionamento strategico del prodotto/servizio nel mercato23;

- supporto nella valutazione di decisioni strategiche o di eventuali riflessi strategici di alcune decisioni, e alle varie fasi del processo decisionale strategico.

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1.2 Le decisioni aziendali: caratteri e classificazioni

I caratteri che contraddistinguono tutti gli aspetti di un’azienda, sono la risultante dell’insieme di decisioni che i soggetti, ai vari livelli aziendali, hanno preso nel corso del tempo, decisioni che hanno contribuito a determinare le eventuali situazioni di successo o insuccesso dell’impresa.

La relazione fra il sistema umano aziendale e le decisioni è logica e chiara: nonostante l’impatto dell’evoluzione e, giustamente, della diffusione della tecnologia in azienda, che permette di impiegare i più sofisticati e innovativi strumenti e tecniche, non si può sostituire la centralità e l’importanza delle persone nella vita e nella gestione dell’azienda24, dato che comunque sono queste che alla fine, seppur con il supporto dei sopra menzionati strumenti, effettuano le scelte e prendono determinate decisioni.

La decisione costituisce il momento finale di quello che è appunto definito come processo decisionale: la componente umana dell’azienda dopo aver osservato, analizzato e valutato i differenti percorsi e alternative, in relazione ai suoi obiettivi e alle condizioni caratterizzanti l’ambiente esterno ed interno, formula ed esprime dei giudizi che portano a prendere una determinata decisione.

Herbert A. Simon nel 1960 col suo lavoro “The new science of management decision”, va a delineare le principali fasi del processo decisionale che possono essere riassumibili in:

1) Identificazione e analisi del problema

2) Definizione degli obiettivi che si intende perseguire

3) Raccolta delle informazioni necessarie e individuazione delle varie alternative 4) Valutazione (GIUDIZIO) e scelta dell’alternativa da attuare (DECISIONE)

Questo percorso logico-cognitivo non è da considerare un rigido schema da porre in essere in modo sequenziale, ma bensì secondo un approccio iterativo e circolare.

Alcuni dei tratti che caratterizzano il processo decisionale, e che contraddistinguono quindi le decisioni aziendali, sono rappresentati da25:

24 Cfr. BERTINI U., Scritti di politica aziendale, G. Giappichelli editore, Torino, 2013

25 Cfr. MIOLO VITALI P., Il sistema delle decisioni aziendali. Analisi introduttiva, G. Giappichelli editore, Torino, 1993, pp. 18-24, sono riportati solo alcuni dei caratteri individuati dall’Autrice che, oltre a quelli riportati nella trattazione, segnala anche la natura probabilistica delle decisioni e del processo decisionale.

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- Complessità: dato che ci si riferisce a situazioni future e pertanto caratterizzate da incertezza, non si possono conoscere gli effetti delle diverse alternative, perciò si rende necessario l’analisi e la valutazione delle stesse per arrivare ad individuare l’oggetto della scelta; se così non fosse «non si tratta di processo decisionale, ma di presa d’atto o constatazione della realtà»26.

- Sinteticità: come detto, prendere una decisione comporta l’analisi e la valutazione di situazioni particolarmente complesse, che necessariamente devono essere scisse e rappresentate tramite modelli e simboli che consentono di semplificarle e, per fare ciò è necessario subordinare la validità o meno di un determinato percorso a una serie di ipotesi.

Questo carattere dipende però non solo dal grado con cui le situazioni si prestano ad essere sintetizzate, ma anche dalle capacità dei soggetti nel saper porre in essere questo processo di sintesi, di individuare lo schema più idoneo per farlo e nel saper definire le condizioni a cui si subordina la validità o meno della decisione.

- Mutevolezza: questo carattere sta a sottolineare che il percorso che porta a prendere una decisione (e di conseguenza la decisione stessa) deve essere considerato «valido nelle circostanze di spazio e tempo in cui viene formulato e non in altre avente caratteristiche diverse»27, ricordando come appunto la scelta sia stata guidata da analisi e valutazioni basate su ipotesi semplificatrici, e facendo capire ancora meglio come il processo decisionale non abbia natura consequenziale ma circolare.

- Sistematicità: fra le decisioni aziendali ci sono dei legami, in quanto una decisione ne può innescare o permette di evitarne un’altra.

Nel classificare le decisioni aziendali, si intende richiamare l’attenzione alla distinzione tra decisioni strategiche e operative e tra decisioni di breve e medio lungo periodo.

Si possono andare a considerare come strategiche quelle decisioni che in genere sono assunte dagli organi di vertice, che riguardano i caratteri di fondo e influenzano la

26 MIOLO VITALI P., 1993, op. cit. 27 MIOLO VITALI P., 1993, op. cit.

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crescita e lo sviluppo dell’impresa, che sono inoltre caratterizzate da elevata complessità e che infine richiedono un impiego permanente di risorse, rendendole così delle scelte difficilmente reversibili, perlomeno in tempi brevi; tutti questi elementi fanno sì che tali decisioni, comportino delle modificazioni significative del rapporto fra l’azienda e l’ambiente esterno, e tutte le relative conseguenze rappresentano un vincolo, non ad uno solo, ma a più periodi economici.

Le decisioni operative invece sono quelle di norma assunte dalle unità e dai soggetti ai livelli operativi appunto, che hanno ad oggetto aspetti relativi a determinate e specifiche aree dell’azienda, e generalmente «riguardano, (…), la ricerca del miglior uso possibile dei fattori della produzione»28, sono caratterizzate da un basso livello di

incertezza e pertanto non presentano i stessi contenuti di complessità di quelle strategiche.

Si riferiscono ad un diverso impiego delle risorse e rispetto alle strategiche, generalmente sia da un punto di vista qualitativo, in quanto le tipologie di risorse in oggetto è diverso, sia da un punto di vista temporale nel senso che una scelta di natura operativa non comporta un impegno stabile e duraturo delle risorse in azienda, aspetti questi che le rendono modificabili in modo relativamente facile, in tempi abbastanza brevi e senza particolari oneri; gli effetti di tali decisioni sono prevalentemente riscontrabili, e vanno quindi ad investire, principalmente un unico periodo economico.

Le decisioni di medio/lungo periodo, sono quelle in cui, come afferma Spranzi, l’azienda va ad «esplicare un comportamento di lungo periodo, un comportamento cioè che si estrinseca in una variazione della capacità», decisioni che quindi comportano una modificazione della struttura dell’azienda, ed i cui effetti si ripercuotono in più esercizi; quelle di breve periodo invece possono essere definite come quelle relative a «ogni periodo di ampiezza inferiore a quello minimo di cui l’impresa deve disporre per attuare una modificazione della capacità» e in cui «può far fronte al mercato con la sola utilizzazione della capacità»29, circoscritte ad un unico periodo amministrativo.

Sulla base di queste definizioni non è errato considerare allora una decisione strategica come una decisione di medio/lungo periodo e una operativa come una

28 GATTI C., RENZI A., VAGNANI G., L’impresa. Fondamenti, Mc Graw-Hill Education, 2016 p.46 29 SPRANZI A., Calcolo dei costi e decisioni aziendali, Etas, 1976, p.6

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decisione di breve periodo e quindi essere rispettivamente utilizzati, come accade normalmente, come sinonimi.

Il resto del lavoro si baserà su queste classificazioni, ritenute significative principalmente per scopi pratici di trattazione ma che, anche nella realtà, non devono essere prese “alla lettera” nel senso che non devono portare ad interpretare i problemi oggetto di decisioni secondo uno schema rigido e con una logica a compartimenti stagni, ma dovrebbero costituire uno spunto, una base di partenza che permette di semplificare, rendere analizzabili e magari più comprensibili le situazioni per i soggetti decisori, che devono però sempre e comunque approcciarsi ad un problema, e prendere le conseguenti decisioni, con la consapevolezza che «(…) è impossibile delineare confini perfettamente definiti e stabilire graduazioni tra una decisione e l’altra»30 , valutando e ponderando tutte le possibili sfaccettature e implicazioni connesse ad una decisione.

Infatti non è detto che, ad esempio, decisioni che normalmente vengono considerate di natura e carattere operativo e perciò come da definizione influenzanti il solo breve periodo, possano non nascondere anche dei risvolti di carattere strategico che, se non attentamente e opportunamente considerati, possono portare i soggetti decisori ad elaborare dei giudizi errati e di conseguenza ad effettuare delle scelte che portano ad effetti negativi ed inattesi.

Un esempio di quanto appena detto, può essere rappresentato dal case study relativo alla “Baldwin Bicycle Company”31, dove si analizza appunto il caso in cui una decisione che sembrava potesse avere degli impatti solo sulla dimensione operativa, oltre a non comportare degli effetti in un solo periodo economico, sotto una chiave di lettura diversa e con un’analisi non solo attraverso tecniche e strumenti per la valutazione con un approccio orientato al breve periodo, presentava anche dei significativi impatti anche su alcuni connotati strategici dell’impresa.

Sta ai soggetti che si trovano ad analizzare i problemi e prendere le scelte saper interpretare al meglio ogni situazione e, avvalendosi degli strumenti che a loro parere

30 MIOLO VITALI P., 1993, op. cit.

31 Questo case study è riportato nel testo di GOVINDARAJAN S., SHANK J.K., Strategic cost

management. The new tool for competitive advantage, 1993, tradotto nell’edizione italiana col titolo La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo, Il Sole 24 ore Libri,

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possono dare maggiore supporto in relazione ad ogni caso, cercare di individuare e tenere in considerazione tutti i potenziali riflessi di una decisione.

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1.3 Le classificazioni dei costi e le logiche di calcolo dei costi utili per le decisioni aziendali

Nel precedente paragrafo si è detto che i soggetti che si trovano a prendere delle decisioni, devono formulare dei giudizi e fare delle scelte in situazioni di incertezza che possono rendere più difficile l’individuazione del percorso e alternativa più convenienti. I costi, il loro calcolo e la loro analisi, devono essere considerati quindi, come elementi che permettono ai soggetti decisori di raccogliere ed avere a disposizione delle informazioni che riescano a ridurre i connotati di incertezza connessi ad ogni decisione, in modo tale che questa risponda quanto più possibile a criteri di razionalità economica. Il costo in azienda rappresenta un elemento strumentale sostanzialmente per due tipologie di calcolo, quelle che Spranzi (1976) definisce come calcolo contabile e calcolo economico: il primo è quello tipico della contabilità generale, ed è quindi un calcolo consuntivo che ha come obiettivo quello di determinare il risultato conseguito dall’azienda al termine dell’esercizio e il relativo valore del capitale di funzionamento alla fine del medesimo periodo, in relazione a tutti gli eventi e i fatti, ordinari e non, che hanno contraddistinto la gestione.

Il calcolo economico, espletabile tramite la contabilità analitica, ha come finalità invece quella di fornire dei dati su cui basare scelte e giudizi di convenienza e di efficienza, e si delinea come «un complesso di determinazioni quantitative tipicamente preventive»32 (utili per quanto riguarda i giudizi di convenienza), ma anche consuntive (determinazioni idonee per i giudizi di efficienza relativamente ad una gestione che si è conclusa).

Appare quindi evidente come vi siano delle differenze nelle finalità dei due calcoli, per cui è legittimata anche una differente interpretazione del concetto di costo, che possiamo distinguere rispettivamente in costo contabile e costo economico33: nel primo caso infatti il costo viene inteso come costo di acquisto dei fattori produttivi34, che può essere definito come quella componente negativa di reddito misurata o da una variazione finanziaria passiva o da un’uscita monetaria, mentre invece nel secondo, si parla di costo

32 SPRANZI A., 1976, op.cit., p.20 33 SPRANZI A., 1976, op.cit. 34 CINQUINI L., 2017, op.cit.

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di produzione, che rappresenta il valore delle risorse impiegate e consumate per finalità produttive e per il funzionamento dei vari ambiti componenti l’intero sistema aziendale; con l’espressione costo di produzione non ci si riferisce solamente a quello che è l’oggetto di calcolo più emblematico ossia il costo di prodotto, ma anche il costo relativo a risorse impiegate in altri ambiti aziendali perché il prodotto, come è stato sottolineato anche in precedenza, oggi non è più l’unico oggetto di cui si può misurare il costo secondo questa accezione non contabile ma economica35.

I costi quindi, intesi secondo quest’ultima accezione, che è quella tenuta in considerazione nel prosieguo della trattazione, rappresentano delle misurazioni elementari che devono essere aggregate così da poter costruire delle sintesi di costo in grado di soddisfare i differenti bisogni dei soggetti che le elaborano e le utilizzano; le varie classificazioni dei costi permettono di suddividerli in categorie, così da facilitare l’individuazione di quei costi da tenere in considerazione e aggregare in relazione ai differenti scopi conoscitivi.

1.3.1 Classificazioni dei costi

L’oggetto di questo tesi è analizzare l’utilità e il supporto delle informazioni di costo per prendere delle decisioni e, pertanto si andranno ora ad elencare le classificazioni dei costi proposte che si possono ritenere utili in tale ambito.

Se consideriamo la decisione come una scelta che è presa dai soggetti al termine di un processo valutativo fra diverse alternative, è sicuramente importante avere delle informazioni relativamente a quali costi caratterizzano ogni alternativa: diviene importante cioè identificare e capire, in relazione ai vari percorsi che si può potenzialmente decidere di intraprendere, quali costi sostanzialmente dovranno essere sostenuti, quali cesseranno di essere sostenuti o quali varieranno nel loro ammontare.

Le classificazioni dei costi possono essere utili in tal senso, perché, ancora prima di essere aggregati in sintesi di costo, i vari elementi di costo possono essere distinti in

35 Cfr. MARASCA S., MARCHI L., RICCABONI A., Il controllo di gestione. Metodologie e strumenti, Knowità Editore, Arezzo, 2013, p.167.: «Gli ̒ambiti ̓ del sistema aziendale che possono richiedere una specifica misurazione dei costi, ossia una valorizzazione dei fattori produttivi impiegati per il loro ottenimento e funzionamento, possono essere, infatti, molto numerosi (…) rilevanti sono, ad esempio le informazioni sul costo di prodotto, (…) o, ancora sul costo di reparto/ufficio, cioè sul valore delle risorse impiegate, (…) per il funzionamento del reparto/ufficio.»

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modo tale da evidenziare dei tratti e delle peculiarità già di per sé valide ai fini decisionali, come ad esempio quello dell’eliminabilità.

Sulla scorta di tale carattere, una prima distinzione è quella fra costi cosiddetti rilevanti e irrilevanti: i primi sono quei costi che differiscono in relazione a percorsi e alternative d’azione diverse, e che devono essere individuati e considerati in quanto «influiscono (…) sul risultato finale del calcolo economico per un giudizio di convenienza»36 .

Nel prendere queste tipologie di decisioni diviene di primaria importanza capire quali costi possono essere considerati come rilevanti, in quanto sono quelli che in base alle diverse alternative, possono nascere, cessare o possono modificare il loro ammontare.

I secondi invece, sono quelli che a prescindere dalle alternative sono comunque sia presenti e non variano il loro ammontare, e che quindi ai fini della valutazione e del giudizio possono pertanto non essere tenuti in considerazione.

Sulla falsa riga di questi, per quanto concerne la logica di fondo con cui sono determinati, vi sono poi i costi differenziali, ottenuti dalla differenza tra costi di due alternative diverse prendendone una come riferimento; è chiaro quindi come alla fine «il costo differenziale non cambia se il confronto avviene tra costi totali o solamente costi rilevanti»37 .

Queste categorie di costo vengono principalmente tenute in considerazione ed impiegate per decisioni operative di breve periodo.

Altre classificazioni che si possono dimostrare utili per prendere le decisioni sono quelle che distinguono costi variabili e fissi, costi diretti e indiretti e costi specifici e comuni: nella prima il criterio discriminante fra le due categorie è il loro comportamento e andamento in relazione alla variazione di un driver di riferimento, ossia di un elemento che è considerato importante per la loro formazione38.

Si possono definire variabili quei costi che variano nel loro importo totale, generalmente in modo proporzionale, al variare del parametro inteso come driver, 36 CINQUINI L., 2017, op.cit.

37 CINQUINI L., 2017, op.cit.

38 Per effettuare un’analisi approfondita del comportamento di un costo è necessario definire:

1) il cost driver rispetto al quale studiare il comportamento

2) l’area di rilevanza del cost driver

(27)

mentre all’opposto quelli fissi, quelli che non vedono variare il loro ammontare totale a seguito di variazioni del driver di riferimento.

Come sottolinea Cinquini (2017), tale classificazione «è importante ai fini della presa di decisioni orientate al futuro in quanto consente di effettuare la stima di quale possa essere il volume dei costi in situazione alternative»39, tuttavia il driver rispetto al quale è stata tradizionalmente intesa questa distinzione è il volume di produzione: questo driver non consente di riflettere i reali caratteri dell’impresa nei moderni contesti più complessi, e di circoscrivere l’efficacia di queste categorie di costo (così interpretate e non analizzate e studiate in base ad altri driver) a supportare decisioni attraverso i modelli di break-even, nelle realtà e situazioni dove i costi aziendali dipendono principalmente dai volumi.

La classificazione fra costi diretti e indiretti, distingue i costi in base alla modalità con cui questi possono essere imputati e attribuiti all’oggetto di costo.

Si definiscono diretti «quei costi che sono direttamente imputabili all’oggetto secondo convenienti criteri di specialità»40, e quindi relativi a quei fattori produttivi e risorse impiegati esclusivamente per l’oggetto di analisi oppure per i quali «è possibile ed economicamente conveniente misurare la quantità consumata dall’oggetto di costo e moltiplicarla per il suo prezzo unitario»41; sono indiretti invece quei costi che vengono attribuiti all’oggetto non in modo diretto, ma attraverso allocazioni e ripartizioni, in quanto attengono a risorse e fattori produttivi che sono stati utilizzati per differenti oggetti di costo e per cui non è tecnicamente possibile determinare le quantità richieste da ognuno, o nel caso in cui tale determinazione sia tecnicamente possibile, ma non conveniente da un punto di vista economico.

Questa classificazione era stata proposta, si era diffusa ed era una distinzione che costituiva una buona base decisionale, in un periodo in cui nelle realtà aziendali l’oggetto di costo di maggiore interesse era esclusivamente il prodotto e i costi relativi ai fattori produttivi direttamente impiegati per quest’ultimo, ossia quelli relativi alle

39 CINQUINI L., 2017, op.cit., p.16 40 CINQUINI L., 2017, op.cit., p.40

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materie prime e alla manodopera diretta, rappresentavano la maggioranza dei costi aziendali.

Come è stato spiegato nel primo paragrafo, molti sono stati i cambiamenti sia all’interno che all’esterno dell’impresa, per cui sono state necessarie delle nuove prospettive di analisi ed esigenze, tra cui quella «di abbandonare la “tradizionale” distinzione di costi diretti e indiretti, legata al prodotto e a realtà produttive ormai superate per sostituirla con la ben più chiara distinzione tra cosi specifici e comuni»42. Questa distinzione si fonda sul criterio della riferibilità del costo all’oggetto di analisi e sulla base di questo, si considerano specifici (o definiti anche speciali) quelli che si riferiscono in modo oggettivo ed esclusivo all’oggetto, in quanto relativi ai fattori impiegati per ottenerlo, mentre si considerano comuni quelli relativi a quei fattori o risorse impiegati allo stesso tempo da più oggetti di costo per cui non è possibile stabilire per ognuno le quantità specifiche di risorse da questi impiegate e consumate.

La specificità o meno di un costo, non è assoluta ma dipende dall’oggetto di costo che si sta analizzando e dall’ampiezza di quest’ultimo all’interno del contesto aziendale; questi caratteri implicitamente ci permettono di considerare questa classificazione migliore per l’impiego a fini decisionali rispetto a quella fra costi diretti e indiretti, e anche di capire la differenza fra le due classificazioni, che potrebbero sembrare da un punto di vista definitorio, ma non corretto, identiche: i costi specifici ad un determinato oggetto sono anche eliminabili rispetto ad esso, in quanto l’eliminazione di quest’ultimo comporta anche l’eliminazione dei relativi costi definiti come specifici, peculiarità che, come si è detto in precedenza, può risultare particolarmente utile ai fini decisionali e che non è estendibile e anche ai costi diretti se non limitatamente ad un unico oggetto di costo, ovvero il prodotto; Bubbio (1996), sottolinea come questa classificazione abbia rappresentato una svolta sostanziale, egli sostiene infatti che «il vero elemento di rottura rispetto al passato, (…) che fece definitivamente saltare le tradizionali categorie di costo, fu l’ampliamento degli oggetti di calcolo»43, possibilità che non era contemplata nella distinzione fra costi diretti e indiretti, che come detto era unicamente incentrata sul 42 BUBBIO A., Contabilità dei costi: New Wine in New Bottles, in GOVINDARAJAN S., SHANK J.K.,

La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo, Il Sole 24 ore Libri,

1996

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prodotto, e che invece consentiva di ampliare lo spettro degli oggetti che potevano essere analizzati e conseguentemente anche le aree decisionali in cui il costo poteva fornire un supporto.

1.3.2 Logiche di calcolo dei costi

In questo paragrafo si vuole porre enfasi sui vari metodi di calcolo, non solo come metodi di aggregazione dei costi elementari e la loro capacità di fornire sintesi e configurazioni di costo che possono, in relazione a diversi contesti decisionali, costituire una base a supporto delle valutazioni, ma anche cercare di capire se eventuali elementi e caratteri insiti nelle logiche che ispirano tali metodi, possono rivelarsi utili per supportare il processo valutativo delle decisioni.

Le metodologie di calcolo dei costi si possono suddividere sulla base di due impostazioni: il direct costing e il full costing.

Per le decisioni di gestione operativa e di breve periodo, che riguardano generalmente scelte di convenienza fra varie alternative di sfruttamento della capacità produttiva predisposta e data in un determinato periodo, un ottimo supporto può essere offerto dai metodi di direct costing.

Il metodo del direct costing semplice si basa sulla separazione tra costi fissi e costi variabili in relazione al volume di produzione e nelle sue applicazioni considera come oggetto di analisi il prodotto il cui costo è determinato attribuendogli esclusivamente appunto i costi variabili.

La differenza fra i ricavi e il costo di prodotto (calcolato come detto considerando i soli costi variabili) consente di determinare il margine di contribuzione, che esprime la capacità di un determinato prodotto di contribuire alla copertura dei costi fissi una volta coperti i costi variabili, e dato che solo questi variano nel breve periodo, i calcoli in base a questo metodo sono particolarmente idonei ad analizzare problemi e scelte di breve.

La versione più progredita del direct costing, detto appunto direct costing evoluto (o anche Traceable costing), attribuisce al prodotto (e agli oggetti di costo in generale) tutti i costi che rispetto ad esso sono specifici, considerando perciò non solo i costi variabili ma anche quei costi fissi considerati specifici in quanto relativi a risorse impiegate esclusivamente per la realizzazione del prodotto.

(30)

Si possono determinare due margini di contribuzione, quello lordo calcolato sottraendo i costi variabili ai ricavi unitari, come avveniva nel direct costing semplice, e quello semi-lordo diminuendo il margine lordo dei costi fissi specifici che rappresenta il contributo della linea di prodotto alla copertura di quei costi fissi che invece sono comuni a tutte le produzioni; sottraendo i costi fissi comuni a questo margine si arriva al risultato netto.

Con questo schema si può tener conto delle diversità nelle strutture dei costi che caratterizzano le diverse linee di prodotto, aspetto importante nei contesti produttivi dove vi è maggiore complessità in termini di differenziazione negli impianti di produzione o nei mercati relativi alle diverse linee di prodotto.

In ambedue i metodi la grandezza che è di particolare rilievo ai fini decisionali è il margine di contribuzione, in quanto «la sua massimizzazione corrisponde a quella dell’utile netto di periodo»44, e pertanto costituisce una buona base sul quale orientare le scelte e le decisioni nel breve periodo, perché consente di effettuare un’analisi di convenienza economica fra le varie alternative per individuare quella in cui la combinazione tra prezzi, volumi e costi consente di realizzare l’utile più elevato.

Esempi di decisioni di breve periodo in cui tale informazione è comunemente utilizzata sono le decisioni di product mix, oppure le valutazioni riguardanti l’accettazione o meno ordini aggiuntivi.

Sempre secondo l’impostazione e le logiche dei metodi di direct costing, si può applicare l’analisi differenziale: è vero che questo tipo di analisi si fonda sulla distinzione fra costi rilevanti e irrilevanti, ma quest’ultima sembra particolarmente ancorata alla distinzione tra costi fissi e variabili; questo strumento di analisi per valutare diverse tipologie di scelte di convenienza è un modello in cui le sopra menzionate categorie di costo vengono analizzate e classificate in base alla loro “rilevanza” o “irrilevanza” nelle varie alternative.

La logica del full costing prevede che siano attribuiti all’oggetto di calcolo il costo di tutti i fattori e le risorse impiegate per ottenerlo; si rendono necessarie in questo caso idonee basi di riparto che consentono di allocare quei costi comuni a più oggetti e quei costi non economicamente attribuibili in via diretta all’oggetto di calcolo.

(31)

I sistemi di calcolo secondo questa logica, possono andare ad attribuire tutti questi costi secondo un’unica base di riparto (full costing a base unica), oppure, dopo aver suddiviso tali costi in più aggregazioni (cost pool), procedere ad individuare più basi di riparto differenziate, una per ogni aggregazione individuata (full costing a base multipla); in quest’ultimo caso vi possono essere più metodologie di calcolo, che si possono scegliere a seconda dell’oggetto e delle peculiarità del processo produttivo dell’azienda, come ad esempio quella basata sui centri di costo oppure il metodo dell’activity-based costing.

Tali metodi sono applicati per determinare il costo pieno di prodotto, informazione che può essere utile e che generalmente viene impiegata per le decisioni di fissazione del prezzo nel lungo periodo (per quelle di breve ci si può basare sul costo calcolato attraverso i sistemi di direct costing), prassi che è comune nelle aziende come sottolineano Horngren et al. (1998), che spiegano come, nonostante vi possano essere dei problemi e dei vizi di arbitrarietà nella ripartizione dei costi fissi fra i prodotti, vi siano comunque dei vantaggi nell’utilizzare il costo pieno ai fini delle decisioni di prezzo che superano il test dell’analisi costi-benefici45.

Le tecniche di determinazione del costo pieno si sono evolute per permettere di calcolarlo in modo sempre più accurato e in accordo alle caratteristiche, ai mutamenti e alla maggiore complessità dei contesti e delle strutture aziendali, arrivando a proposte di metodi sempre più sofisticati come ad esempio l’activity-based costing e la contabilità per centri di costo menzionate poc’anzi, che, oltre a consentire come detto di calcolare il costo pieno di prodotto in modo più corretto, sono atte a fornire una serie di informazioni sui costi di altri oggetti che possono rappresentare la base per supportare decisioni di differenti tipologie e caratteri: i costi delle attività determinati con l’ABC, costituiscono una base informativa per poter implementare delle tecniche (come ad esempio la process value analysis, o la customer profitability analisys) che permettono di determinare delle aggregazioni di costi strumentali a fornire un ottimo supporto per i soggetti decisori all’interno dell’azienda, nel prendere decisioni di carattere strategico come ad esempio quali segmenti di clientela servire, quali attività svolgere o meno.

45 Cfr. HORNGREN C.T., FOSTER G., DATAR S., Cost accounting. A managerial emphasis, 1998, Prentice-Hall I.E.

(32)

Inoltre, oltre a fornire dati quantitativi, la filosofia di fondo e la logica per attività secondo cui è impostato il sistema di calcolo dell’ABC, può offrire la possibilità di effettuare anche delle analisi da un punto di vista qualitativo, dimensione di indubbio valore per le valutazioni a fini strategici.

(33)

1.4 L’analisi dei costi per le decisioni di breve periodo

Questi ultimi due paragrafi del capitolo sono finalizzati ad illustrare come i costi, le loro tecniche di analisi e le informazioni derivanti sono e possono essere impiegati per supportare ed orientare la valutazione di scelte sia di breve (operative) che di medio/lungo termine (strategiche).

In questo paragrafo si evidenzieranno in particolare, le metodologie di analisi dei costi per produrre delle informazioni per poter valutare alcune tipiche decisioni di breve periodo, ricordando come per tale classe di decisioni si intendano quelle relative alla gestione operativa e alle modalità di sfruttamento della capacità predisposta.

1.4.1 L’utilizzo del margine di contribuzione

Questa grandezza è impiegata nelle decisioni di breve periodo principalmente per le cosiddette decisioni di product mix, ossia delle analisi di convenienza economica per decisioni relative ai prodotti al fine di massimizzare la redditività nel breve periodo; le valutazioni possono essere fatte in merito alla convenienza o meno di incrementare le vendite di un determinato prodotto all’interno del portafoglio di prodotti dell’impresa, valutazioni che possono anche essere effettuate considerando la presenza o meno di vincoli sia produttivi che commerciali.

Tale margine viene calcolato in queste valutazioni secondo la logica del direct costing, e in termini unitari è dato dalla differenza fra prezzo e costo variabile unitario; in assenza di vincoli, per scegliere il mix più conveniente ci si deve focalizzare sul margine di contribuzione unitario determinato dalla differenza fra prezzo di vendita e costo variabile unitario.

Se un prodotto presenta un margine di contribuzione maggiore, nel caso in cui si debba scegliere di quale prodotto incrementare le vendite (se ve ne è la possibilità) questa dovrà ricadere su tale prodotto.

Nel caso in cui vi fossero stati dei costi fissi specifici, la logica di analisi da seguire sarebbe stata la stessa solo che si sarebbe considerato il margine di contribuzione semi- lordo unitario.

In presenza di vincoli produttivi e commerciali, l’attenzione deve essere focalizzata non sul margine di contribuzione unitario, ma bensì su quello relativo: il primo tipo di

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vincolo si ha nel caso di un fattore produttivo disponibile in quantità limitata, e il margine di contribuzione relativo è calcolato come rapporto fra il margine unitario e la quantità unitaria di fattore scarso relativi ad ogni prodotto.

Attraverso il margine di contribuzione relativo, si vanno ad orientare le scelte relative all’utilizzo della capacità produttiva a disposizione per quei prodotti che, nonostante abbiano un margine di contribuzione unitario minore, presentino un margine di contribuzione relativo maggiore e conseguentemente di intraprendere dei percorsi maggiormente convenienti e redditizi.

La stessa logica deve essere seguita nel caso siano presenti dei vincoli di mercato; un esempio può essere il vincolo di fatturato che, rimanendo costante, fa sì che un aumento delle quantità di una tipologia di prodotto comporta obbligatoriamente una diminuzione delle quantità dell’altra.

Tenendo conto di ciò, si deve individuare il mix di vendite più conveniente, sempre sulla base del margine di contribuzione relativo, privilegiando i quantitativi del prodotto che presenta il margine relativo più elevato.

Pur riconoscendo la notevole utilità di queste tecniche, bisogna sottolineare come queste permettano di affrontare i problemi e orientare le scelte esclusivamente da un punto di vista quantitativo, senza considerare aspetti qualitativi e connessi a temi strategici relativamente ai prodotti, come ad esempio il «ruolo di certi prodotti per l’immagine aziendale, (…) la capacità di attrarre clientela anche a beneficio di altre linee di prodotto»46 o la percezione che i clienti hanno di determinati prodotti., ed inoltre le semplificazioni e le ipotesi a cui è subordinato il modello, lo rende esclusivamente valido per valutazioni e calcoli di convenienza in un orizzonte temporale di breve periodo.

1.4.2 L’analisi differenziale

L’analisi differenziale è uno strumento che permette di confrontare i costi e i ricavi relativamente a percorsi di azione alternativi evidenziando il risultato differenziale che deriverebbe se si prendesse una determinata decisione rispetto alla situazione iniziale.

(35)

All’interno di questa analisi diviene importante la distinzione fra costi rilevanti ossia eliminabili, e quelli irrilevanti ovvero ineliminabili, che come detto precedentemente sono legate ed intese secondo i concetti di costo variabile e fisso, perciò sia i costi fissi che quelli variabili possono essere considerati rilevanti o meno, in relazione alle peculiarità di ogni decisione e alla loro eliminabilità o meno al suo interno.

Tipicamente, i costi variabili risultano essere rilevanti, ossia sorgono se un determinato percorso d’azione viene intrapreso e, cessano nel caso opposto, tuttavia in altre circostanze dove nelle alternative oggetto di valutazione i volumi e i costi variabili unitari rimarrebbero gli stessi, tali costi risulterebbero irrilevanti.

All’opposto, i costi fissi e soprattutto quelli che si riferiscono agli impianti e ai macchinari, generalmente sono considerati irrilevanti in quanto già sostenuti e quindi presenti a prescindere dalle alternative; ma anche per tali costi vi possono essere delle situazioni in cui nelle varie alternative oggetto di valutazione, questi divengono una componente rilevante e, questi casi possono verificarsi quando:

1. le risorse connesse ai costi fissi, possono essere eliminate o necessitano di essere inserite, passando da un’alternativa ad un’altra;

2. le risorse relative ai costi fissi possono, in una situazione rispetto ad un’altra, essere riallocate e riutilizzate in altri contesti e posizioni all’interno dell’azienda, dove l’utilità che queste possono cedere è richiesta ed impiegata per realizzare altri output; in questo caso questi costi sono considerati rilevanti perché sarebbe stato allo stesso modo necessario acquistare tali risorse e sostenerne il relativo costo, che viene evitato con la riallocazione, e per tale ragione nell’alternativa dove si prevede tale dinamica, deve essere considerato come eliminabile.

È importante sottolineare poi, come sia opportuno includere nei calcoli secondo la logica differenziale non solo i costi operativi ma anche quelli finanziari, così da avere la situazione più chiara e ampia possibile per effettuare un’analisi della decisione.

Questo strumento è generalmente impiegato per supportare l’analisi di decisioni quali: l’eliminazione di una linea di prodotto in perdita, decisioni di make or buy, l’accettazione o meno di ordini aggiuntivi, la sostituzione di impianti e tutte quelle in cui può essere utile effettuare un’analisi sulla base della distinzione costi rilevanti e irrilevanti;

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