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I rimedi compensativi a fronte del fenomeno del sovraffollamento carcerario (profili di criticità e lacune normative)

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

I RIMEDI COMPENSATIVI A FRONTE

DEL FENOMENO DEL SOVRAFFOLLAMENTO

CARCERARIO

(Profili di criticità e lacune normative)

CANDIDATO RELATORE

Andrea Matta Chiar.mo Prof. Luca Bresciani

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(3)

«Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione» Voltaire

«In carcere non si va da nessuna parte. Non si cammina: si fa del moto, un moto senza luogo, un moto perpetuo ed astratto, una ginnastica per il giorno in cui si ricomincerà a camminare, liberi di andare in un posto o in un altro, o di star fermi» Adriano Sofri

(4)

I

INDICE

INTRODUZIONE………..p.IV

CAPITOLO I

LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: LA SENTENZA TORREGGIANI E I SUOI SVILUPPI

1. Sulejmanovic c. Italia : accertata per la prima volta la violazione dell’art.3 CEDU. Il criterio geometrico………...………p. 1

2. La “sentenza pilota” Torreggiani e i doveri dello Stato italiano………..p. 5

3. Il revirement del caso Mursic..………...….…p. 11

CAPITOLO II

LE PRIME PRONUNCE INTERNE SUL VERSANTE DELLA TUTELA

1. La Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza………....p. 15

(5)

II

2. L’Amministrazione penitenziaria è obbligata a eseguire i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza: la sentenza n. 135/2013 della Corte costituzionale………p. 19

3. I tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art.147 c.p.: la sentenza n.279 del 2013 della Corte costituzionale e il monito rivolto al legislatore...p. 22

CAPITOLO III

LA TUTELA GIURISDIZIONALE E I RIMEDI

PREVENTIVI

1. Il decreto svuota carceri 146/2013………..p. 26

2. Il “nuovo” reclamo giurisdizionale: l’art. 35 bis o.p…………..p. 29 2.1. Il regime delle impugnazioni………...p. 34 2.2. Il giudizio di ottemperanza………..…………p. 35

3. Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale………..p. 39

CAPITOLO IV

L’ISTITUTO DISCIPLINATO DALL’ART. 35 TER

1. Il decreto legge n. 92 del 2014 e i rimedi compensativi all’art. 35 ter ord. pen. ………..p. 40

(6)

III

1.1. Disciplina transitoria………...p. 43

2. Qualificazione giuridica dell’istituto e profili di specialità..….p. 45 2.1. Prescrizione del diritto………..……..p. 49

3. Il pregiudizio subito e il danno risarcibile ………....p. 52

4. I presupposti………...p. 60

5. I criteri di calcolo dello spazio detentivo minimo..………p. 63

CAPITOLO V

L’AZIONE RIPARATORIA

1. I soggetti legittimati ……….…..…p. 70 1.1. I soggetti internati…..………..…p. 72 1.2. I detenuti condannati all’ergastolo……….……..…p. 76

2. Le tipologie di rimedi………..p. 81

3. Profili procedimentali………...…..p. 85 3.1. L’istruttoria.………….………p. 90

4. L’inammissibilità del reclamo………p. 95

BIBLIOGRAFIA……….p. 100

(7)

IV

INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha a oggetto l’analisi della disciplina inerente ai rimedi compensativi di cui all’articolo 35 ter ord. pen, introdotta dal nostro legislatore nel cercare di attendere alle indicazioni provenienti dai giudici europei.

La disamina della materia non potrà prescindere, nella sua fase preliminare, dall’affrontare la questione messa in luce dalla celebre sentenza Torreggiani, con la quale il nostro Paese veniva condannato dalla Corte di Strasburgo causa condizioni detentive tali da integrare la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, a porre rimedio al risalente problema del sovraffollamento che, da decenni ormai, affligge il nostro sistema carcerario. Dopo un breve excursus sull’impatto che tale arresto ha avuto nel panorama dell’ordinamento penitenziario italiano nelle sue principali applicazioni interne (fondamentalmente inerenti la competenza a decidere sui reclami proposti e in merito a cogenza, tempestività ed efficacia dei provvedimenti della Magistratura di sorveglianza) e sul «reclamo giurisdizionale» all’articolo 35 bis ord. pen., l’attenzione verrà posta quindi sui rimedi risarcitori, introdotti dal d.l. n. 92 del 2014. Tale analisi verterà sia sui profili inerenti la qualificazione dell’istituto di cui all’ articolo 35 ter ord. pen. – soffermandoci in particolare per chiarire quali siano i presupposti di attivazione del reclamo e i criteri seguiti dal legislatore – sia sugli aspetti che riguardano più propriamente l’azione risarcitoria introdotta.

Il discorso verrà portato avanti con uno sguardo tanto alla giurisprudenza sia precedente sia successiva all’introduzione della disciplina, quanto ai vari orientamenti che hanno diviso la dottrina, cosicché si possano individuare le diverse insidie presenti nella lettera di una norma, per vari aspetti, non sempre chiara.

(8)

V v

(9)

1

CAPITOLO I

LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: LA SENTENZA TORREGGIANI E I SUOI SVILUPPI

SOMMARIO: 1. Sulejmanovic c. Italia : accertata per la prima volta la violazione dell’ art. 3 CEDU. Il criterio geometrico; 2. La “sentenza pilota” Torreggiani e i doveri dello Stato italiano; 3. Il revirement del caso Mursic.

1. Sulejmanovic c. Italia : accertata per la prima volta la violazione dell’ art. 3 CEDU. Il criterio geometrico.

Il 16 luglio 2009 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (d’ora in poi Corte Edu) ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art.3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo1 (d’ora in avanti CEDU), secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né

a pene o trattamenti inumani e degradanti”. A lungo i commentatori

hanno tentato di individuare i caratteri distintivi di ciascuna categoria indicata dalla norma (tortura/pene, pene/trattamenti inumani, pene/trattamenti degradanti), ma con risultati che hanno valenza meramente indicativa. In relazione alle pene e ai trattamenti degradanti la Corte metterebbe a fuoco essenzialmente elementi di natura emotiva quali l’umiliazione e la privazione della dignità della vittima, mentre il tratto distintivo delle pene e trattamenti inumani andrebbe individuato nella sofferenza fisica più intensa, che pone in pericolo la sua stessa salute fisica appunto (malattie, contagi, infezioni) e psichica (i casi di

1

Corte Edu, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, ric. N. 22635/03, reperibile in www.echr.coe.int

(10)

2 suicidio sono una delle più tristi conseguenze). E lo stesso si può dire per la definizione di tortura imperniata sulla rilevante gravità delle sofferenze subite dalla vittima allo scopo di ottenere informazioni, intimidire o esercitare pressione su qualcuno. Ma più che la distinzione fra le varie categorie, il vero nodo interpretativo è l’individuazione di una soglia minima di gravità che consenta di distinguere quali siano le condotte e i casi vietati dalla disposizione in esame2. La trasposizione dell’art. 3 CEDU in ambito penitenziario impone agli stati di garantire che la detenzione intramuraria rispetti la dignità umana, senza procurare sofferenze superiori a quelle inevitabilmente connaturate alla privazione della libertà personale e alla finalità della pena. Il sacrificio imposto non deve eccedere quello minimo necessario.

La sentenza del 2009 è stato il primo segnale d’allarme lanciato dalla Corte Edu sulle condizioni dei detenuti all’interno delle carceri italiane. All’origine della causa vi fu il ricorso presentato dal sig. Izet Sulejmanovic, cittadino bosniaco condannato per rapina aggravata, falso in atti, evasione e altri reati a 2 anni e 5 mesi di reclusione. Il soggetto trascorse parte della pena nel carcere di Rebibbia (dal 30 novembre 2002 al 20 ottobre 2003), durante la quale fu costretto a dividere una cella di 16 mq con altri 5 detenuti per 4 mesi e mezzo (fino al 15 aprile 2003) per una media di 2,70 mq di spazio per ciascun soggetto in quel periodo.

E’ stato osservato, innanzitutto, che seppure lo spazio riservato nella cella al singolo detenuto non costituisce l’unico elemento per ritenere che sia integrato un trattamento inumano e degradante, tuttavia in determinate situazioni uno spazio marcatamente ridotto può giustificare da solo l’accertamento della violazione. La Corte nella sentenza ha ricordato la raccomandazione del Comitato europeo per la prevenzione alla tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) auspicante uno spazio vitale di 7 mq per ciascun

2

Cfr. A Colella, C’è un giudice a Strasburgo, in Riv.it.dir.proc.pen. , 2009, fasc. 4, pag.1801

(11)

3 detenuto 3, non inferiore comunque ai 4mq, pur precisando di non essere in grado di indicare la superficie individuale che deve essere assicurata affinché non vi sia contrasto con la Convenzione perche devono essere considerati altri elementi. Nel caso di specie fu proprio la rilevantissima mancanza di spazio individuale (considerando che parte della detenzione era stata scontata avendo a disposizione una superficie di soli 2,7 mq pro capite, diversamente dall’ultimo periodo in cui il ricorrente aveva avuto a disposizione fino a 5,40 mq) a condurre da sola alla constatazione della violazione4. E’ stato proprio questo il nodo centrale del provvedimento col quale la Corte EDU ha riconosciuto la violazione della Convenzione nel periodo in cui lo spazio a disposizione per ogni soggetto all’interno della cella era al di sotto dei 3mq, considerato lo spazio vitale minimo, accordando ai sensi dell’ art. 41 CEDU un risarcimento di 1000 euro per danni morali (ben al di sotto comunque dei 15000 richiesti dal ricorrente ed esclusivamente inerenti al periodo in cui la situazione di restrizione era più grave), avendo accertato che la situazione in quel penitenziario era migliorata nei mesi successivi, considerate le condizioni detentive del Sulejmanovic a partire dal 15 aprile fino al termine della pena, essendo durante tale periodo sensibilmente accresciuto lo spazio a disposizione dato il minor numero di soggetti ristretti all’interno della stessa cella. La Corte ha tracciato quindi una linea di demarcazione tra il periodo in cui il soggetto aveva a disposizione meno di 3 mq, dato di per se sufficiente a integrare la violazione dell’art. 3, e il lasso di tempo successivo, dove lo spazio medio era al di sopra di questa soglia, venendo in considerazione altri elementi come la possibilità di utilizzare toilette in modo privato, un’adeguata areazione, l’accesso

3

Cfr. CPT/Inf(92)3,§43, reperibile in www.cpt.coe.int

4 Cfr. N. Plastina, L’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’insufficienza temporanea dello spazio individuale nella cella assegnata a un detenuto nel carcere di Rebibbia nel 2003, ma assolta per la gestione, in quel contesto, della sovrappopolazione carceraria, in Cassazione penale, 2009, fasc. 12,

(12)

4 alla luce e all’aria naturale, qualità del riscaldamento e il rispetto delle regole sanitarie di base, unitamente all’età del ricorrente (36).

Ad avviso dei giudici europei l’eccesso di detenuti presenti all’interno del carcere in data 30 luglio 2003 (1560 invece che 1271) non era tale da far si che il problema del sovraffollamento assumesse, nel periodo in causa, un livello di proporzioni drammatiche.

Di particolare interesse risulta l’opinione contraria rispetto al resto dei componenti della Corte del Dr. Zagrebelsky, giudice rappresentante l’Italia, il quale ha sottolineato che quando il CPT prevede per una cella una grandezza “auspicabile” - e non minima - di 7 mq, si riferisce alle celle dei Comandi di polizia e non alle celle di reclusione dei penitenziari, dove soggiornano normalmente più persone, escludendosi qualunque automatismo tra cella e detenuti ristretti. Ha ricordato poi alla Corte – richiamando la pregressa giurisprudenza di quello stesso organo - che nei casi in cui essa si è pronunciata sulla violazione dell’art.3, il numero eccessivo di detenuti rispetto alla dimensione della cella non è stato mai un criterio esclusivo. Nei casi precedenti, infatti, furono presi in considerazione altri fattori come quelli sopra menzionati, ma che nella fattispecie non sono stati denunciati dal ricorrente, eccetto la mancanza di spazio. Va di certo condivisa la conclusione dello stesso Zagrebelsky quando dice che questo affare avrebbe dovuto trovare una conclusione differente e che il problema che pone va ben al di là del singolo caso di specie, come infatti dimostrerà l’esperienza degli anni successivi5

.

5

Corte EDU, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, cit., opinione dissenziente del giudice Zagrelbesky

(13)

5

2. La “sentenza pilota” Torreggiani e i doveri dello Stato italiano.

Come largamente atteso, la Corte EDU dopo la sentenza Sulejmanovic venne investita di centinaia di ricorsi da parte di detenuti italiani che lamentavano il proprio diritto a non subire pene o trattamenti inumani e degradanti6. Con la celebre sentenza Torreggiani dell’ 8 gennaio 20137, divenuta definitiva il 27 maggio 2013 a seguito di rigetto della domanda del Governo di rinvio del caso alla Grande Camera, la Corte Edu ha rilevato ancora una volta a carico del nostro paese una violazione, ritenuta sistemica, dell’art. 3 CEDU a causa delle condizioni di detenzione nelle carceri italiane, con particolare riferimento al problema del sovraffollamento carcerario.

La sentenza di seguito descritta trova origine nei ricorsi introdotti da sette ricorrenti ristretti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza per periodi oscillanti fra i quattordici e i cinquantaquattro mesi. Questi “invocando l’art. 3 della Convenzione sostenevano che le

loro rispettive condizioni detentive si potevano qualificare come trattamenti inumani e degradanti”8, lamentavano in particolare la mancanza di spazio vitale nelle celle. Ciascun ricorrente aveva condiviso delle celle di 9mq con altri due detenuti, avendo pertanto a disposizione uno spazio personale di 3 mq ulteriormente ridotto a causa della presenza del mobilio. Essi denunciavano, altresì, problemi concernenti la distribuzione di acqua calda e che, limitatamente al carcere di Piacenza, l’apposizione di sbarre di metallo di consistenti dimensioni avessero impedito il passaggio dell’aria e della luce diurna. Il Governo al contrario sosteneva che le condizioni cui i ricorrenti erano stati sottoposti non raggiungevano la soglia minima di gravità

6 Cfr. F. Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, in www.penalecontemporaneo.it , visitato il 9 gennaio 2017

7 Corte EDU, II sezione , 8 gennaio 2013 , Torreggiani e altri c. Italia ric. nn.

43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/09, 35315/10 37818/10, reperibile in www.echr.coe.int

(14)

6 necessaria e che comunque i ricorrenti non avevano sufficientemente provato le loro doglianze. Dopo aver richiamato la propria giurisprudenza in materia, la Corte sottolineava come il principio dell’onere della prova in capo al ricorrente, che caratterizza la procedura prevista dalla Convenzione, sia soggetto a eccezioni quando l’interessato versi in condizioni di particolare vulnerabilità in quanto soggetto al controllo esclusivo degli agenti dello Stato. Conseguentemente, quando il Governo convenuto è il solo ad avere accesso alle informazioni che possono corroborare o smentire le affermazioni del ricorrente spetta al Governo stesso produrle.

Non avendo questi prodotto alcun elemento a sostegno della propria tesi, la Corte EDU ha proceduto ad analizzare la questione solo sulla base delle affermazioni dei ricorrenti e di tutti gli elementi in suo possesso9, concludendo all’unanimità che le condizioni detentive in questione violavano i criteri minimi di spazio indicati dal CPT, e che le ulteriori doglianze dei ricorrenti avessero contribuito ad aggravare una situazione che già di per se costituiva trattamento contrario alla Convenzione10.

A differenza della sentenza Sulejmanovic, la sentenza Torreggiani si è premurata di indicare ulteriori fattori che sembrano aver aggravato il trattamento inumano costituito dall’assenza di spazio.

Ma è anche innegabile, tuttavia, la sostanziale continuità rispetto all’approccio seguito dalla maggioranza della Camera giudicante nel caso del 2009 e dalla giurisprudenza successiva: vi è una soglia minima – 3 mq – al di sotto della quale la detenzione pone di per sé un problema rispetto all’art. 3 CEDU. In questo senso, la particolarità dell’intervento dei Giudici di Strasburgo è stata quella di aver fissato un parametro quantitativo certo e misurabile in concreto, al di la del quale la detenzione finisce col determinare una non accettabile, non

9

Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit. , § 72-73

(15)

7 giustificata, per non dire inutile, compromissione e degradazione dei diritti della persona11.

Particolarmente interessanti ai nostri fini le eccezioni sollevate dal Governo, forse ancor più che quelle riguardanti il merito stesso della causa, in relazione alla ricevibilità dei ricorsi, non avendo i ricorrenti (eccetto uno) presentato reclamo al magistrato di sorveglianza e di conseguenza, non potendosi dire esaurite le vie di ricorso interne12. Solo il sig. Ghisoni aveva presentato, nell’aprile del 2010, reclamo al magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia per dolersi delle precarie condizioni della propria detenzione a causa del sovraffollamento all’interno dell’istituto. Nell’agosto 2010 il magistrato accoglieva il ricorso riscontrando che, a causa del sovraffollamento nel carcere di Piacenza, il ricorrente condivideva con altri due detenuti una cella concepita per ospitare una sola persona. Il magistrato concluse che il ricorrente era esposto a trattamenti inumani nonché discriminato in relazione a quei detenuti che condividevano lo stesso tipo di cella con una sola persona. La decisione venne trasmessa al Ministero della Giustizia e alla direzione del carcere di Piacenza e nel febbraio 2011 il Ghisoni venne trasferito in una cella concepita per ospitare due persone, a diversi mesi di distanza dall’accoglimento del reclamo. La Corte, nel rigettare le eccezioni del Governo in relazione al previo esaurimento delle vie interne, ribadì come un rimedio esclusivamente riparatorio non potesse di per sé considerarsi sufficiente in relazione a condizioni di detenzione contrarie all’art.3 CEDU in quanto mancante di un effetto preventivo volto a impedire il protrarsi della violazione dedotta o a consentire ai detenuti di ottenere un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione, sottolineando anche come

11 M. Maffei, Gli interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di sovraffollamento penitenziario. Rimedi per una esecuzione conforme al dettato costituzionale, in Rassegna Penitenziaria e Criminologica, 2013, n.1, p.119

(16)

8 l’ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia fosse rimasta per lungo tempo non eseguita.

I giudici, hanno evidenziato infine, come il malfunzionamento dei rimedi preventivi in situazioni di sovraffollamento carcerario dipendesse in larga parte dalla natura strutturale del fenomeno, che in Italia aveva assunto le dimensioni di un problema non limitato ai casi dei ricorrenti. Pertanto il rimedio indicato dal Governo non appariva effettivo in quanto le autorità penitenziarie non erano in grado di eseguire i provvedimenti dei magistrati di sorveglianza13.

Questa volta la Corte, a differenza dei casi precedenti, ha utilizzato lo strumento della “ sentenza pilota 14” fondata sull’articolo 46 CEDU, in quanto riscontrava in base ai dati in suo possesso il carattere strutturale e sistemico del problema del sovraffollamento carcerario in Italia, e sottolineando come la violazione dei diritti dei ricorrenti non fosse un episodio sporadico ma una conseguenza del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano. Conclusione altresì confermata dall’alto numero, peraltro in continuo aumento, dei ricorsi contro l’Italia pendenti davanti alla Corte ed aventi per oggetto l’inadeguatezza delle condizioni detentive in numerosi istituti carcerari e la loro asserita incompatibilità con l’art. 3 CEDU15

. In base alla procedura-pilota quanto riscontrato dai giudici nella sentenza troverà applicazione in futuro in relazione alla generalità dei ricorsi pendenti davanti alla Corte riguardanti l’Italia e avente ad oggetto analoghe questioni di sovraffollamento carcerario. L’obbligo dello Stato non si esaurisce nella riparazione del pregiudizio sofferto dal ricorrente, ma comprende anche l’adozione di misure idonee a salvaguardare gli interessi di persone che si trovino in situazioni comparabili. In questo

13

Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit., § 47-56

14 La procedura della sentenza pilota si è affermata nella prassi a partire dal caso Broniowsky c. Polonia (Grande Camera, ric. n. 31443/96) ed è disciplinata dal

regolamento della Corte EDU art. 61: Procedura della sentenza pilota, reperibile in www.echr.coe.int

(17)

9 senso la sentenza Torreggiani può essere letta come lo sviluppo del caso Sulejmanovic, visto che la Corte ha dovuto prendere atto che la prima decisione non si è rivelata sufficiente ad evitare il reiterarsi di casi analoghi16.

Analizzando la questione delle vie di ricorso interne necessarie per fronteggiare il problema i giudici rilevano come, in materia di condizioni detentive, i rimedi di natura preventiva e quelli di natura

compensativa debbano coesistere in quanto complementari tra loro17. In tal modo, un ricorrente detenuto in condizioni incompatibili con la Convenzione potrà ottenere la migliore riparazione possibile attraverso la rapida cessazione della violazione del diritto, essendo poi nella posizione di ottenere una riparazione di natura economica per la detenzione subita.

E cosi la Corte invitava le autorità nazionali a creare, entro un anno dalla data in cui la sentenza sarebbe divenuta definitiva, uno o più ricorsi, tali da permettere una riparazione effettiva della violazione derivante dal sovraffollamento. Essa disponeva inoltre, sempre per il periodo di un anno, la sospensione dell’esame dei ricorsi pendenti aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario18.

Infine la Corte riconosceva in via equitativa ai ricorrenti, ex art. 41 CEDU, a titolo di danno morale, somme che oscillavano tra 10.600 e 23.500 euro oltre al ristoro delle spese legali.

Una pronuncia, dunque, che non stupisce dal punto di vista della decisione finale adottata, ma che acquista estrema importanza laddove la Corte lancia allo Stato italiano una sorta di ultimatum19: in caso di mancato rispetto, riprenderà ad esaminare tutti i ricorsi, presumibilmente condannando lo Stato al risarcimento dei danni per le

16 M. Dova, La protezione diretta e indiretta dei diritti del detenuto, reperibile in

www.penalecontemporaneo.it , visitato il 15 febbraio 2017

17 Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit. , §96 18 Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit. , §99-101 19

Cfr. M. Alfieri, Sovraffollamento carcerario e ultimatum di Strasburgo: l’Italia

chiamata all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, in Rassegna

(18)

10 condizione patite dai ricorrenti. In considerazione di ciò, e del fatto che al momento della pronuncia risultavano pendenti davanti alla Corte altri 550 ricorsi analoghi a causa del problema endemico, l’esigenza di adeguarsi alla Convenzione diventa per l’Italia non solo un imperativo giuridico-morale ma anche e soprattutto economico-finanziario. Secondo le soluzioni proposte da autorevoli fonti20 occorrerebbe adeguare il patrimonio edilizio carcerario, intervenire per l’ampliamento delle misure alternative al carcere e ridurre il ricorso alla custodia cautelare intramuraria. Ma, inoltre, sarebbe opportuno che il nostro sistema si dotasse di una clausola di salvaguardia, finalizzata a impedire in ogni caso che l’esecuzione della pena detentiva potesse assumere connotati di ingiustizia e di illegalità.

Diventava necessario, pertanto, un rimedio di natura giurisdizionale che implicasse la possibilità di ottenere un congruo risarcimento del danno e consentisse di far valere le decisioni adottate dall’autorità giudiziaria nei confronti dell’amministrazione penitenziaria.

Il ricorso doveva possedere le caratteristiche di effettività, disponibilità, sufficienza, adeguatezza e accessibilità, come desumibili dall’art. 13 della CEDU e dalla Giurisprudenza della Corte, e comprendere tanto strumenti di natura preventiva quanto di natura compensativa, in un sistema complementare che consenta, in via prioritaria, l’adozione di provvedimenti efficaci a far cessare le condizioni contrarie alla Convenzione; e preveda, a ‘chiusura del

sistema’, un’adeguata riparazione per il pregiudizio subito, mediante

un risarcimento di natura economica21.

20 Cfr. G.Tamburino, La sentenza Torreggiani e altri della Corte di Strasburgo, in

Cassazione Penale, 2013, n. 1, p. 11

21

v. F. Fiorentin, Sullo stato della tutela dei diritti fondamentali all’interno delle

carceri italiane, reperibile in www.penalecontemporaneo.it , visitato il l’11 gennaio

(19)

11

3. Il revirement del caso Mursic.

A distanza di poco più di due anni, la sentenza Torreggiani è stata smentita da una “paradossale” pronuncia della Corte EDU 22

. Con un arresto certamente destinato ad accrescere la complessità dei procedimenti in materia di risarcimento del danno da detenzione inumana e degradante, i giudici di Strasburgo, occupandosi del caso di un detenuto ristretto in un istituto di pena croato, hanno stabilito che non vi è stata violazione dell’art. 3 CEDU anche se il ricorrente soggiornava – benché per un periodo non prolungato di tempo – in spazi tali da non consentire agli occupanti della cella la disponibilità di almeno 3mq di spazio personali23.

Il provvedimento ha creato un certo disorientamento tra gli operatori del settore, che iniziavano a consolidare l’assunto per cui, accertato nella fattispecie concreta che la persona detenuta avesse fruito di una superficie vivibile (dedotto cioè dell’ingombro degli arredi) inferiore a 3 mq, si riteneva per ciò stesso una compressione dei diritti fondamentali del detenuto, di tale gravità da integrare ‘automaticamente’ la violazione dell’art. 3 della Convenzione24

. Tale assunto, generalmente condiviso, guarda infatti alle indicazioni fornite dal CPT, nonché all’orientamento espresso dalla stessa Corte che ha, in via di massima, sempre considerato la disponibilità di spazio personale inferiore ai 3 mq un trattamento talmente grave da costituire ex se una violazione comunitaria, mentre, nel caso di spazi detentivi compresi fra i 3 e i 4 mq, ha ritenuto necessario ponderare il fattore geometrico con altri elementi rilevanti nel caso di specie. Seguendo questa prospettiva

22

v. G.M. Jacobuzzi, Giustizia: la Corte di Strasburgo rettifica “ai detenuti bastano

meno di 3 metri quadri”, in Il Garantista, 29 aprile 2015, reperibile su

www.ristretti.org

23 Corte EDU, I sezione, 12 marzo 2015, Mursic c. Croazia, ric. n. 7334/13, reperibile

in www.echr.coe.int

24

Cfr. F. Fiorentin, La mancanza di spazio sufficiente all’interno delle celle dei

detenuti non integra automaticamente trattamenti inumani e degradanti, in Guida

(20)

12 interpretativa, la Corte europea, al di là dei casi presi in considerazione nei paragrafi che precedono, ha ritenuto violato l’art. 3 CEDU anche in presenza di spazi superiori ai 3 mq, in mancanza di ventilazione e di luce naturale, qualora il detenuto avesse limitata possibilità di permanenza all’aria aperta, o in presenza di altri elementi quali condizioni igieniche carenti, il rischio di propagazione di malattie, l’assenza di acqua potabile o corrente, l’assenza di riservatezza nell’utilizzo di servizi igienici.

Tale quadro sembra ora rimesso in discussione dalla sentenza in commento, che revoca in dubbio la decisività del fattore geometrico: la Corte afferma che l’estrema mancanza di spazio in una cella di un carcere ha un grosso peso fra gli aspetti da prendere in considerazione per stabilire se le condizioni detentive impugnate fossero degradanti dal punto di vista dell’art. 3, ma precisa anche che la violazione in oggetto si produce per il complessivo sommarsi di una molteplicità di fattori concomitanti25 (durata della detenzione, possibilità di attività all’aperto, condizioni mentali e fisiche del detenuto) e che tali elementi debbano essere accertati e valutati nel caso concreto. Il ragionamento seguito nella sentenza Mursic prende le mosse da un leading case in cui sono stabiliti i criteri per valutare la sussistenza della violazione26:

a) ogni detenuto deve avere un posto individuale per dormire in cella; b) ognuno deve disporre di almeno 3 metri quadrati di superficie; c) la superficie totale della cella deve essere tale da permettere ai detenuti di muoversi liberamente fra gli elementi di arredo. Ma il giudice

precisa che – qui il punto di scostamento rispetto all’arresto Torreggiani – l’assenza di uno fra i suddetti elementi crei solo una

strong presumption che le condizioni detentive costituiscano un

trattamento degradante e, conseguentemente, integrino un’infrazione della Convenzione. Traducendo nel linguaggio giuridico italiano, non

25

Cfr. Corte EDU, 12 marzo 2015, Mursic c. Croazia, cit. , §52-53

26

v. Corte EDU, 10 gennaio 2012, Ananyev e altri c. Russia, ric. n. 42525/007 e 60800/08, reperibile in www.echr.coe.int

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13 una prova decisiva della violazione, ma soltanto una presunzione relativa, fortemente indiziante di una situazione di illiceità, ma non da sola sufficiente a sostenere una condanna dello Stato convenuto27. Al proposito la Corte richiama alcuni precedenti (tra i quali i già ricordati Sulejmanovic e Torreggiani) nei quali la mancanza di spazi detentivi minimi è stata ritenuta di per sé sufficiente a giustificare l’accoglimento del ricorso, ma ricorda anche numerosi casi in cui si è, invece, tenuto conto dell’effetto cumulativo dei diversi aspetti deteriori delle condizioni di detenzione. Il criterio esclusivo dei 3 mq, al di sotto del quale si riteneva accertato il pregiudizio di cui all’art. 3 CEDU è definitivamente superato, dal momento che la strong presumption associata a spazi detentivi inferiori alla detta soglia può essere vinta da elementi di controbilanciamento, soprattutto in caso di brevi e occasionali piccole restrizioni dello spazio personale necessario, unite alla sufficiente libertà di movimento, a sufficienti attività svolte al di fuori della cella e all’assegnazione a una struttura detentiva adeguata. Da una corrispondenza biunivoca tra l’accertamento di uno spazio inferiore ai 3 mq a disposizione del ricorrente e la sussistenza della violazione, si è passati ad una presunzione relativa da valutare con i molteplici fattori rilevanti nella fattispecie, relativi alle condizioni del trattamento penitenziario effettivamente praticato. Sono queste ultime, dunque, a dover essere valutate non più quali mere circostanze aggravanti di una violazione comunque già riscontrata, bensì quali veri e propri elementi costitutivi della medesima.

Tale mutamento d’opinione – soprattutto se dovesse consolidarsi in una serie di precedenti conformi – determina inevitabilmente alcune non trascurabili conseguenze. Priva anzitutto il contesto giuridico di riferimento di ogni criterio oggettivo, e accresce l’incertezza di una

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14 cornice interpretativa che, a oggi, annovera già diversi orientamenti28. Non è inoltre da sottovalutare il duplice rischio di una diminuzione in concreto del livello di tutela accordato a molte situazioni potenzialmente borderline, alle quali, pur in presenza di spazi detentivi di poco inferiori ai 3 mq, potrebbe negarsi una tutela risarcitoria per la valutazione di altri concomitanti elementi portati dall’amministrazione penitenziaria; e dello sviluppo di una giurisprudenza fortemente connotata da un elevato tasso di discrezionalità, con la non mera ipotetica possibilità che si ingenerino disparità di trattamento pur a fronte di situazioni assimilabili sotto il profilo del degrado e del sovraffollamento29.

L’incertezza sui parametri relativi alle condizioni detentive rischia, inoltre, di ingenerare gravi conseguenze sul piano organizzativo a danno dei governi degli Stati e delle competenti amministrazioni penitenziarie, posto che il dubbio sulle dimensioni delle camere di pernottamento, sui criteri di computo del mobilio di arredo e sul rilievo che le condizioni di manutenzione dei locali assumono ai fini della violazione della Convenzione, comporta inevitabili ricadute sulla programmazione degli interventi di edilizia penitenziaria, di ristrutturazione e recupero degli stabilimenti esistenti, dal momento che l’art.3 CEDU, ad avviso del giudice a quo, può essere violato anche sulla base delle riscontrate condizioni di fatiscenza e degrado dell’istituto30

.

28 V. F. Fiorentin, La mancanza di spazio sufficiente all’interno delle celle, cit. 29 Cfr. F. Fiorentin, Il vaso di Pandora scoperchiato: la violazione dell’art. 3 CEDU per (mal)trattamenti detentivi tra accertamento “multifattoriale” e giurisprudenza europea, in Archivio Penale, 2015, n. 3

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15

CAPITOLO II

LE PRIME PRONUNCE INTERNE SUL VERSANTE DELLA TUTELA

SOMMARIO: 1. La Cassazione esclude la competenza del magistrato di

sorveglianza; 2. L’Amministrazione penitenziaria è obbligata a eseguire i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza: la sentenza n. 135/2013 della Corte costituzionale; 3. I tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art.147 c.p.: la sentenza n.279 del 2013 della Corte costituzionale e il monito rivolto al legislatore.

1. La Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza

Le ricadute delle pronunce dei giudici di Strasburgo sul ‘contenzioso carcerario’ interno non si sono fatte attendere, anche se per alcuni sarebbe giustificato parlare di impatto graduale31. In un primo tempo, infatti, i reclami dei detenuti al magistrato di sorveglianza hanno avuto come unico obbiettivo quello di ottenere un provvedimento giudiziale idoneo a produrre un miglioramento delle condizioni detentive, mediante diversa e più adeguata riallocazione all’interno del carcere. Solo successivamente i reclami hanno avuto come obbiettivo anche quello di ottenere una riparazione pecuniaria, anche in considerazione del fatto che, essendo la situazione di sovraffollamento generalizzata e quindi difficile da aggirare, un miglioramento delle condizioni

31

Cfr. F. Della Casa, Il risarcimento del danno da sovraffollamento carcerario: la

competenza appartiene al giudice civile (e non al magistrato di sorveglianza), in

(24)

16 detentive risultava problematico. A questo proposito sono emerse, però, due differenti posizioni giurisprudenziali: da un lato, si è ritenuto che il magistrato si sorveglianza, davanti una condizione detentiva caratterizzata dai connotati negativi individuati dalle pronunce europee, fosse legittimato ad accordare al ricorrente un risarcimento in considerazione del danno morale da lui subito32; per altro verso invece, si è statuito che la richiesta di risarcimento legata al reclamo, fosse da dichiarare inammissibile, dovendosi ritenere che la pronuncia su tale richiesta sia una questione di esclusiva competenza del giudice civile33. Proprio pochi giorni dopo la più volte evocata sentenza Torreggiani, la Corte di Cassazione, aderendo al secondo orientamento giurisprudenziale, rigettò il ricorso di un condannato che aveva impugnato l’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza di Catanzaro dichiarava inammissibile un ricorso ai sensi degli art. 35 e 69 ord. penit., posta la pretesa del detenuto di ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in suo favore, deducendo che durante la carcerazione da lui sofferta erano stati lesi i suoi diritti soggettivi34. La Suprema Corte convalidava quindi l’opinione del giudice di primo grado, secondo il quale, pur dovendosi ammettere che da una situazione di accentuato sovraffollamento carcerario possa derivare al detenuto un danno risarcibile, il relativo accertamento spetterebbe esclusivamente al giudice civile.

Volendo sintetizzare il ragionamento dei giudici, si possono indicare i passaggi fondamentali nei quali è articolata la motivazione della sentenza: a) “in materia risarcitoria e indennitaria il sistema

normativo prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile”, ne consegue che le attribuzioni al giudice penale

in questa materia si pongono come eccezioni e, come tali, devono

32 Cfr. Mag. Sorv. Lecce, Slimani, ord. 9 giugno 2011, reperibile in www.ristretti.it 33 Cfr. Mag. Sorv. Vercelli, Rollo, ord. 18 aprile 2012, reperibile in

www.personaedanno.it

34

Cfr. Cass. Penale, I sez. , Vizzarri , n.4772, 15 gennaio 2013, reperibile in www.cortedicassazione.it

(25)

17 essere specificamente previste dalla normativa35; b) nella legge penitenziaria – e nel relativo regolamento di esecuzione – non è rintracciabile alcuna disposizione, dalla quale desumere la competenza del magistrato di sorveglianza in materia risarcitoria; c) l’art 69, comma 5, ord. pen. prevede che il magistrato di sorveglianza impartisca “ disposizioni dirette a eliminare violazioni dei diritti dei

condannati e degli internati”, così delimitando in modo preciso il

campo d’intervento a una proiezione ripristinatoria volta al futuro, e dunque in funzione preventiva, ma non possono contenere, per limite concettuale, un ristoro risarcitorio per il passato36.

In definitiva lo stato attuale della pertinente normativa deve far escludere che alla magistratura di sorveglianza sia attribuita la competenza a pronunce su domande di carattere risarcitorio pur derivante da pretese violazioni di diritti soggetti di detenuti, anche se connessi allo stato di detenzione. Deve affermarsi quindi che “la

magistratura non ha competenza esclusiva sui diritti dei detenuti, ma attribuzioni specifiche legate all’esecuzione penale”37

.

Restava il problema, al quale la Cassazione dedica le osservazioni finali, di come assicurare l’adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi imposti da Strasburgo, e segnatamente quello di assicurare un rimedio compensativo al detenuto in concreto vittima di una lesione dei suoi diritti38. Nonostante il quadro fin qui delineato non andasse in contrasto coi principi della CEDU, restava, a parere dei giudici di legittimità, l’indiscutibile insufficienza del sistema della normativa vigente, dato che la ben nota lunghezza dell’azione risarcitoria in sede civile ha condotto la Corte EDU ad impartire all’Italia di predisporre rimedi appropriati, e cioè di modificare i ricorsi esistenti o di crearne di

35

Cfr. Cass. Pen., sez. I, 15 gennaio 2013, Vizzarri, cit., § 3

36 Cfr. Cass. Pen., sez. I, 15 gennaio 2013, Vizzarri, cit., § 4 37 Cfr. Cass. Pen., sez. I, 15 gennaio 2013, Vizzarri, cit., § 6 38

Cfr. F. Viganò, Alla ricerca di un rimedio risarcitorio per il danno da

sovraffollamento carcerario: la Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza, reperibile in www.penalecontemporaneo.it, visitato il 3 febbraio 2017

(26)

18 nuovi. Pertanto la Cassazione auspicava un sollecito intervento legislativo che introducesse un rimedio ad hoc, conscia, delle ricadute disfunzionali che discendevano dalla tesi da essa stessa propugnata. Infatti, il magistrato di sorveglianza, che avrebbe tutte le competenze per decidere su un’eventuale azione risarcitoria, viene tagliato fuori, e invece, viene investito il giudice civile, che dovrebbe provvedere a un autonoma ricostruzione dei fatti, od operare la sua valutazione sulla base della documentazione che quello stesso magistrato è in grado di fornirgli. Sembrerebbe di ravvisare – come osservato da alcuni – “le

conseguenze negative che derivano dall’interpretare la garanzia di cui all’art. 25, comma 2, Cost., nella esclusiva chiave della precostituzione, senza tenere in alcun conto i più ampi contorni rientranti nella ‘idoneità’ del giudice naturale”39

.

39

Cfr. E. Somma, Tutela giudiziaria e precedenti che non precedono, in Diritto Penale e Processo, 2013, n. 9, p. 1069

(27)

19

2. L’Amministrazione penitenziaria è obbligata a eseguire i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza: la sentenza n. 135/2013 della Corte costituzionale.

L’Amministrazione penitenziaria non può rifiutarsi di ottemperare ad una decisione del Magistrato di sorveglianza che abbia rilevato, in via definitiva, la lesione di un diritto del detenuto. È quanto affermò la Corte costituzionale con la sentenza n.135 del 2013, con la quale risolse il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato40, promosso dal Magistrato di sorveglianza di Roma nei confronti del Governo, in seguito al provvedimento del Ministro della giustizia con il quale si era disposto di non dare esecuzione all’ordinanza del magistrato, il quale, adito da un detenuto con reclamo ai sensi degli artt. 14 ter, 35 e 69 ord. pen., aveva accertato la violazione di un diritto fondamentale della persona – nella fattispecie il diritto all’informazione -, ed aveva conseguentemente impartito all’Amministrazione penitenziaria disposizioni idonee a far cessare l’abuso41.

Nel sollevare il conflitto, il ricorrente prospettava che il provvedimento dell’Esecutivo avesse leso le attribuzioni costituzionalmente riconosciute del potere giudiziario, e segnatamente, della Magistratura di sorveglianza “quale titolare della giurisdizione in materia di diritti

dei detenuti e di eventuali loro violazioni ad opera

dell’Amministrazione penitenziaria”42

. Condividendo l’interpretazione prospettata nel ricorso, la Consulta ha fondato la propria decisione sulle pregresse pronunce, che sancivano la natura giurisdizionale del procedimento per la tutela dei diritti delle persone detenute attivabile davanti al magistrato di sorveglianza, e detta tutela deve essere

40

v. Corte Costituzionale, sent. n. 135, 7 giugno 2013, Pres. Gallo, reperibile in www.giurcost.org

41 Cfr. F. Fiorentin, Tutela effettiva per i diritti delle persone detenute: l’ennesimo ritocco della campana, l’assordante silenzio del legislatore, l’ultimatum della Corte Edu, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2013, n. 4

(28)

20 “effettiva e non condizionata a valutazioni discrezionali di alcuna

autorità43 ”.

Il tasto forse più dolente della vicenda, e sicuramente non tollerabile44, è che il Governo (peraltro nella specie la medesima compagine governativa) da un lato abbia ritenuto tramite il suo Ministro della Giustizia che sia possibile non ottemperare al provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, dall'altro abbia affermato innanzi alla Corte di Strasburgo che « il procedimento davanti al Magistrato di Sorveglianza costituisce un rimedio pienamente giudiziario, all'esito del quale l'autorità adita può prescrivere all'Amministrazione penitenziaria misure obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona interessata 45».

Il riferimento alla sentenza Torreggiani, contenuto nella presente pronuncia, evoca con tutta evidenza il problema dell’effettività del sistema di tutela dei diritti del detenuto46: la progressiva valorizzazione del ruolo del Magistrato di sorveglianza quale garante della legalità della detenzione operata dalla Corte costituzionale, cui contribuisce anche la sentenza 135/2013, è da valutare sicuramente in chiave positiva, anche in considerazione dell’obbligo imposto al nostro Stato dalla Corte EDU di introdurre “ un ricorso o un insieme di ricorsi

interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario47”. Tuttavia, per la soluzione del problema

sollevato dall’arresto-pilota, dell’effettività dei rimedi compensativi e preventivi, occorreva affiancare alla pur necessaria affermazione del

43 Cfr. Corte Costituzionale, sent. n.266 del 8 ottobre 2009, Pres. Almirante,

reperibile in www.giurcost.org

44

M. Ruotolo, The domestic remedies must be effective: sul principio di effettività

della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, in Giurisprudenza costituzionale,

2013, fasc. 3, p. 2084

45

Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit., § 41

46Cfr. A. Della Bella, La Corte costituzionale stabilisce che l’Amministrazione penitenziaria è obbligata ad eseguire i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti, reperibile in www.penalecontemporaneo.it, visitato

il visitato il 28 gennaio 2017

(29)

21 carattere vincolante dei poteri della magistratura di sorveglianza la previsione di strumenti che consentissero l’interruzione della detenzione in ragione del sovraffollamento48.

La sentenza n.135 suonava quindi come “l’ennesimo rintocco di una

campana49” all’indirizzo di un legislatore che fino ad allora si era

mostrato sordo ai sempre più numerosi inviti provenienti dagli organi di garanzia, affinché si introducesse nel sistema penitenziario un sistema di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute pienamente effettivo sul piano giurisdizionale.

48

Cfr. A .Della Bella, La Corte costituzionale stabilisce, cit.

49

V. F. Fiorentin, Tutela effettiva per i diritti delle persone detenute, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., cit.

(30)

22

3. I tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art.147 c.p.: la sentenza n.279 del 2013 della Corte costituzionale e il monito rivolto al legislatore.

A seguito della condanna da parte dei giudici di Strasburgo, ed essendo ormai prossimo lo scadere dell’ultimatum dato all’Italia, davanti alle iniziali e ancora insufficienti risposte del Parlamento, toccava ai giudici tentare soluzioni inedite50.

Con l’ennesimo monito rivolto al Parlamento, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 147 c.p.51

, sollevate con due ordinanze di analogo tenore dai tribunali di sorveglianza di Venezia e di Milano52.Nelle ordinanze in questione veniva prospettata, con riferimento agli artt. 2, 3, 27, comma 3, e 117, comma 1, Cost. – quest’ultimo “quale anello di

collegamento” con l’art. 3 CEDU, come interpretato dalla

giurisprudenza della Corte EDU – l’incostituzionalità della disposizione del codice penale in tema rinvio/sospensione facoltativo dell’esecuzione della pena. Nella sostanza veniva richiesta una sentenza additiva, in quanto, secondo la corretta interpretazione dei giudici rimettenti, l’art. 147 c.p. contiene un elenco tassativo di situazioni (presentazione di domanda di grazia, grave infermità fisica o madre di prole di età inferiore ai 3 anni) che giustificano il provvisorio differimento della pretesa punitiva, senza menzionare – e quindi escludendo – l’ipotesi in cui a causa di un grave e diffuso sovraffollamento del sistema carcerario, l’esecuzione della pena si ponga in contrasto con il divieto di pene inumane. Si tratta di una

50

Cfr. A. Puggiotto, L’urlo di Munch della Magistratura di sorveglianza, in Diritto Penale Contemporaneo, 2014, n. 1, p.129 ss.

51 v. Corte Costituzionale, sent. n. 279 , 22 novembre 2013, Pres. Silvestri, reperibile

in www.giurcost.org

52

Trib. di Sorv. di Venezia, ord n. 2013/179 SIUS, 13 febbraio 2013; Trib. Sorv. di Milano, ord. n. 2013/928 SIUS, 12 marzo 2013, reperibili su www.ristretti.it

(31)

23 inammissibilità però sui generis poiché53, la Corte condivide in larga misura la diagnosi dei giudici rimettenti: se ne allontana infatti solo perché ritiene esorbitante dai suoi poteri, data la pluralità di soluzioni normative che potrebbero essere adottate per scongiurare il protrarsi di una detenzione disumana, nonché poco opportuno l’intervento additivo invocato nelle ordinanze di rimessione.

Difficile non condividere la scelta a favore della declaratoria di inammissibilità54, che si giustifica in base al duplice ordine di ragioni evidenziato nella sua motivazione. Infatti, da un lato, pur dovendosi ammettere, per non violare l’art.27, comma 3, Cost. nonché l’art. 3 CEDU,l’esigenza di una norma di chiusura che consenta la fuoriuscita dal carcere del detenuto vittima di sovraffollamento non altrimenti rimediabile, non è detto che l’unica strada percorribile sia quella della sospensione della pena, potendo il risultato essere raggiunto allargando, ad esempio, il cerchio applicativo delle misure alternative o con un ampio ricorso alla detenzione domiciliare; dall’altro, una sentenza additiva sarebbe inadeguata per difetto perché, senza un intervento del legislatore che stabilisca i criteri per la sospensione dell’esecuzione di una pena inumana, le scarcerazioni avverrebbero in modo del tutto casuale.

A conferma di quanto si sostiene è bene ricordare il monito finale rivolto al legislatore nella parte finale della sentenza, dove la Corte afferma che “l’attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa

apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare55”, per avvertirlo che “non sarebbe tollerabile”

una sua prolungata inerzia riguardo al grave problema del quale si è occupata la pronuncia in esame56. I giudici hanno specificato che “il

53

Cfr. F. Della Casa, Il monito della Consulta circa il rimedio estremo della

scarcerazione per il condannato vittima di un grave e diffuso sovraffollamento, in

Giurisprudenza Costituzionale, 2013, n. 6, pp. 4533 ss.

54

v. F. Della Casa, Il monito della Consulta, in Giur. Cost., 2013, n. 6, cit.

55

Cfr. Corte Cost., n.279/2013, cit., §6 in diritto

(32)

24

legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile” al

problema sollevato dai rimettenti, riservandosi “in un eventuale

successivo procedimento, di adottare le misure necessarie a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.

La pronuncia in parola non è stata comunque esente dall’essere oggetto di biasimo da parte di alcuni autori57. Sembrerebbe che il “rispetto della priorità di valutazione del legislatore” possa spingersi fino al punto di permettere la perpetuazione di una situazione che determina la lesione della dignità innata della persona, ossia dell’unico valore che per definizione si sottrae alla logica del bilanciamento, in quanto essa stessa è la bilancia58. Ed è qui che la sentenza sembra esporsi a maggiori critiche, nei termini di un occasione mancata per garantire una tutela effettiva a quel diritto a un’esecuzione della pena non

disumana. L’integrazione del disposto di cui all’art. 147 c.p. come

indicato dai rimettenti, avrebbe contribuito, infatti, a perseguire l’obbiettivo di assicurare il rispetto della dignità della persona. Obbiettivo che avrebbe potuto probabilmente giustificare, da subito, una deroga al rispetto del principio del rispetto della discrezionalità del legislatore, in nome dell’esigenza costituzionalmente imposta di assicurare la legalità all’esecuzione della pena. Peraltro, pure non dubitando che le esigenze di difesa sociale, le quali hanno senz’altro rilievo costituzionale, non possano essere ragioni sufficienti per giustificare la lesione della dignità umana, occorre sottolineare che queste non sarebbero state comunque pregiudicate dalla pronuncia additiva richiesta, in quanto l’estensione del rinvio facoltativo della pena non avrebbe determinato alcun automatismo, essendo rimessa al

57 Cfr. M. Ruotolo, Quale tutela per il diritto a un’esecuzione della pena non disumana? Un’occasione mancata o forse soltanto rinviata, in Giur. Cost., 2013, n. 6,

pp. 4549 ss.

58

Cfr. G. Silvestri, La dignità umana come criterio di bilanciamento dei valori

(33)

25 giudice la valutazione circa la sua concessione, con conseguente, probabile, applicazione della detenzione domiciliare in alternativa59. A questo punto la parola passava necessariamente al legislatore, che avrebbe dovuto provvedere in tempi molto stretti avvalendosi, se condivise, delle indicazioni desumibili dalla sentenza in esame.

59

(34)

26

CAPITOLO III

LA TUTELA GIURISDIZIONALE E RIMEDI

PREVENTIVI

SOMMARIO: 1. Il decreto svuota carceri 146/2013; 2. Il “nuovo” reclamo giurisdizionale: l’art. 35 bis o.p.; 2.1. Il regime delle impugnazioni; 2.2. Il giudizio di ottemperanza; 3. Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

1. Il decreto svuota carceri 146/2013

Dopo un decennio di legislazione carcerocentrica non mitigata dall’indulto del 200660

, e a seguito delle condanne europee e degli ammonimenti interni, le linee guida seguite sul piano legislativo si sono sostanzialmente articolate in estrema sintesi su 3 fronti: il primo, volto a potenziare l’edilizia penitenziaria (c.d. piano carceri); il secondo, diretto a soddisfare le esigenze deflattive anche attraverso il ricorso progressivo a forme di carcerazione “domestica” ed al potenziamento delle alternative alla detenzione e dei benefici penitenziari61; l’ultimo tendente a ridurre gli ingressi in carcere62. Sotto la pressione della sempre più imminente scadenza del termine imposto dalla Corte EDU con la sentenza Torreggiani, il Governo, con il d.l. 23 dicembre 2013, n.146 (Misure urgenti in tema di tutela dei

60

Cfr. C. Fiorio, Diritto penitenziario e giurisprudenza di Strasburgo, in Processo Penale e Giustizia, , 2014, n. 4, p. 119

61V. L. 26 novembre 2010 , n. 199, Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, in G.U. n. 281 del 1‐12‐2010 62

V. d.l. 1 luglio 2013, n.78, Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena, conv. con mod. dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, in G.U. n. 193 del 19-8-2013

(35)

27

diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria) convertito con modificazioni dalla l. 21

febbraio 2014, n.10, tornò a fronteggiare l’emergenza carceri, nel dichiarato intento di “ridurre con effetti immediati il sovraffollamento

carcerario” altresì rafforzando “la tutela dei diritti delle persone detenute”.

Occorre subito evidenziare come il provvedimento, recependo in larga misura le soluzioni elaborate dalla c.d. Commissione Giostra, si muova su una duplice linea di azione63: su di un primo piano, si collocano gli interventi funzionali a ridurre il numero delle presenze in carcere, attraverso la riduzione del flusso di detenuti in ingesso e l’ampliamento di quello dei detenuti in uscita; su di un secondo piano, invece, si collocano gli interventi diretti a rafforzare la tutela dei detenuti, e in particolare, a garantire la giustiziabilità dei diritti violati dal sovraffollamento, così come richiesto dai giudici di Strasburgo. Sotto il primo profilo, vengono innanzitutto in considerazione le disposizioni dirette ad ampliare l’ambito di operatività delle misure alternative e dei benefici penitenziari. In questo senso, la novità più significativa è rappresentata dall’introduzione, ai sensi dell’art. 4 del decreto,della “liberazione anticipata speciale”, caratterizzata da una detrazione di 75 giorni ogni sei mesi di pena scontata, anziché di 45 giorni, come nella liberazione anticipata ordinaria, di cui all’art. 54 o.p. Quanto al potenziamento delle misure alternative, occorre accennare alle modifiche apportate all’art. 47 o.p. in materia di affidamento in prova, che per effetto della novella la misura risulta ora applicabile ai condannati con pene, anche residue, fino a 4 anni, anziché 3.

Sempre nella stessa ottica, il Governo ha previsto, inoltre, la stabilizzazione della misura dell’esecuzione presso il domicilio delle

63 Cfr. A. Della Bella, Un nuovo decreto-legge sull’emergenza carceri: un secondo passo, non ancora risolutivo, per sconfiggere il sovraffollamento, reperibile in

(36)

28 pene detentive non superiori a 18 mesi, di cui all’art.1 della l. 199/2010, introdotta nell’ordinamento in forma d’emergenza (il termine della sua vigenza era infatti stabilito per il 31 dicembre 2013). Altri interventi deflattivi sono poi specificamente indirizzati alle categorie di detenuti più rappresentate all’interno degli istituti penitenziari: ossia ai tossicodipendenti e agli stranieri.

Infine, e senza dilungarci ulteriormente, sempre tra le misure dirette a ridurre il numero dei detenuti in carcere, vanno menzionate le disposizioni relative alle procedure di controllo elettronico (il c.d.

braccialetto elettronico), nei confronti dei soggetti sottoposti agli

arresti e alla detenzione domiciliale.

Degli interventi in materia di diritti delle persone detenute, riguardanti il secondo profilo innovativo del decreto, si tratterà nel sottoparagrafo che segue, vista l’importanza dell’argomento ai fini della nostra indagine.

(37)

29

2. Il “nuovo” reclamo giurisdizionale: l’art. 35 bis o.p.

Il decreto 146/2013 ha innanzitutto messo ordine nella materia del reclamo del detenuto al magistrato di sorveglianza, distinguendo chiaramente tra il reclamo c.d. generico, disciplinato dall’art. 35 o.p. , e reclamo giurisdizionale, di cui all’art. 35 bis o.p.64

Quanto al reclamo generico – consistente, come noto, nella possibilità per il detenuto di rivolgere istanze al magistrato di sorveglianza e alle altre Autorità indicate dalla norma, attivando un procedimento de

plano (senza formalità processuali e senza contraddittorio) – il decreto

ha apportato alcune piccole modifiche, di cui la più significativa è rappresentata dall’inserimento, tra i destinatari del reclamo, del Garante nazionale dei detenuti, di nuova istituzione.

Ben più rilevanti le innovazioni in materia di reclamo giurisdizionale, sin’ora privo di riconoscimento normativo, che colmano quel vuoto di tutela da tempo denunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 26/1999, la quale aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 35 o.p. nella parte in cui non prevedeva una tutela giurisdizionale contro gli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti dei detenuti, e dell’art. 69 o.p., nella parte in cui non consentiva l’applicazione del procedimento giurisdizionale ivi previsto anche alle predette ipotesi. Di tale reclamo si occupa ora l’art. 35 bis o.p., che rinvia all’art. 69 o.p., anch’esso modificato, ove sono stabiliti i casi in cui questo può essere attivato.

La norma in esame segna una tappa decisiva nel lungo cammino verso il riconoscimento di una piena ed effettiva tutela dei diritti del detenuto65. Il suo fondamento teorico poggia sul concetto secondo cui è estranea al nostro ordinamento costituzionale, l’idea che la restrizione della libertà personale possa comportare il disconoscimento

64

Cfr. A. Della Bella, Un nuovo decreto-legge sull’emergenza carceri, cit.

65

Cfr. M. Bortolato, sub art. 35 bis, in Ordinamento penitenziario comm., a cura di Giostra e Della Casa, Cedam, Padova 2015, p.395

(38)

30 delle posizioni soggettive attraverso un generale assoggettamento all’amministrazione penitenziaria. Il principio di assolutezza, inviolabilità e universalità della tutela giurisdizionale dei diritti esclude infatti che possano esservi posizioni giuridiche di diritto sostanziale senza che vi sia una giurisdizione innanzi alla quale possano esser fatte valere; tale diritto non può essere ridotto alla mera possibilità di proporre istanze o sollecitazioni destinate a essere trattate fuori dalle garanzie processuali minime costituzionalmente dovute, quali la possibilità del contraddittorio, la stabilità della decisione e l’impugnabilità con ricorso per cassazione. La precarietà che contraddistingue la posizione giuridica del detenuto, derivante proprio dalla mancanza di libertà e da condizioni ambientali per loro natura sfavorevoli, impone il riconoscimento della titolarità dei diritti cui deve accompagnarsi l’attribuzione del potere di farli valere innanzi a un giudice in un provvedimento di natura giurisdizionale66.

Secondo la nuova disciplina il detenuto può proporre reclamo al magistrato di sorveglianza in due ipotesi67: la prima è rappresentata dai

provvedimenti di natura disciplinare adottati dall’amministrazione penitenziaria (art. 69, co. 6 lett. a), la seconda dall’inosservanza da parte dell’amministrazione penitenziaria di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti (art. 69, co. 6 lett. b). Chiaro che la seconda ipotesi intendesse

far fronte principalmente ai casi di pregiudizio dei diritti dei detenuti derivanti dalla situazione di sovraffollamento. Se il richiamo alla “gravità” evidenzia l’intento del legislatore di evitare di gravare il magistrato di sorveglianza di questioni di natura bagatellare e di limitare la tutela solo a questioni di maggior rilievo, il riferimento all’ ”attualità” ripete la dicotomia evidenziata dalla giurisprudenza di Strasburgo, tra rimedi preventivi e compensativi, escludendo dalla

66

Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, cit., p. 396

(39)

31 sfera del reclamo giurisdizionale i pregiudizi verificatisi in passato e non più sussistenti al momento della presentazione della domanda68. In stretta correlazione con l’istituzione del nuovo reclamo, va detto che il d.l., sopprimendo la locuzione «nel corso del trattamento» al comma 5, art. 69, o.p., evidenzia la volontà del legislatore di estendere a tutto campo i poteri del magistrato di sorveglianza con riguardo alla tutela delle posizioni giuridiche dei condannati69.

E’ questa dunque la disposizione con cui il Governo ha inteso rispondere alla sentenza Torreggiani con la quale, come più volte sottolineato, la Corte EDU ha chiesto al nostro ordinamento di introdurre dei rimedi atti a garantire la immediata cessazione e la riparazione delle violazioni in atto ai diritti dei detenuti a causa del sovraffollamento.

Secondo quanto stabilito all’art. 35 bis o.p., il reclamo deve essere

trattato dal magistrato di sorveglianza con la procedura ex art.666-678 c.p.p., ossia con il c.d. procedimento di sorveglianza (che

rappresenta, tra i vari procedimenti utilizzabili dalla magistratura di sorveglianza, quello più articolato e caratterizzato dalla maggior garanzia dei diritti della difesa), con in aggiunta però alcuni profili di specialità. Tra questi va menzionato, innanzitutto, il diritto per l’amministrazione interessata (esclusa invece dal procedimento ex art. 666-678 c.p.p.) a comparire in udienza ovvero di trasmettere osservazioni e richieste, e dalla conseguente necessità di avvisarla della fissazione dell’udienza. Per amministrazione interessata deve intendersi innanzitutto il Dap, facente capo al Ministero della giustizia quale suo dipartimento. Allorché invece si controverta sulla violazione di diritti attinenti alla salute dei detenuti dovrà necessariamente

68Cfr. M. Bortolato, Torreggiani e rimedi “preventivi”: il nuovo reclamo giurisdizionale, in Archivio Penale, n.2 del 2014

69

v. C. Fiorio, Diritto penitenziario e giurisprudenza di Strasburgo, in Proc. Pen. Giust. , cit. , p. 125

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