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L’ISTITUTO DISCIPLINATO DALL’ART 35 TER

3. Il pregiudizio subito e il danno risarcibile

Una delle questioni interpretative più dibattute in dottrina a proposito del rimedio risarcitorio in commento, densa di importanti ricadute sul piano applicativo, si concentra sul dubbio che la praticabilità di tale rimedio sia influenzata – ed eventualmente in che termini – dal requisito dell’attualità del pregiudizio sofferto dal detenuto a causa di condizioni detentive contrarie alla all’art. 3 della Convenzione107

. Il problema nasce dalla peculiare struttura della norma, che al comma 1 prevede che «quando il pregiudizio di cui all’articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizione di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione .… il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare …». Il preciso richiamo alla situazione indicata dalla lett. b), co. 6, art. 69 o.p., e quindi, alla necessaria “attualità” ( oltre che alla “gravità” ) del pregiudizio sofferto dal soggetto detenuto e il termine al presente “dispone” hanno, infatti, dato luogo a due letture divergenti riguardo alla natura e alla portata di tale rinvio.

Secondo un primo orientamento – adottato anche dal C.S.M.108 – il richiamo in esame operato dall’art. 35 ter o.p. non comporta solo l’omologazione dei due istituti (“preventivo” e “compensativo”) sul piano procedurale, dato che entrambi sono definiti con la procedura

partecipata; bensì vale a identificare un vero e proprio presupposto

dell’azione risarcitoria, identificato appunto, nell’attualità del pregiudizio, che deve sussistere tanto al momento della proposizione del reclamo quanto al momento della decisione da parte del magistrato di sorveglianza. Il riferimento a tale norma rende in effetti manifesto

107Cfr. F. Fiorentin, I nuovi rimedi risarcitori della detenzione contraria all’ 3 CEDU,

cit.

108

Cfr. parere espresso dal C.S.M. sul testo del d.l. 26 giugno 2014, n. 92 oggetto di delibera consiliare del 30 luglio 2014

53 che, nell’intento legislativo, l’azione risarcitoria non è concepita come un rimedio autonomo, ma come ulteriore strumento di tutela da attivare contestualmente al rimedio preventivo nell’ambito del richiamo giurisdizionale109. Ne consegue che l’azione diretta ad ottenere il risarcimento in caso di pregiudizio non più attuale deve essere proposta davanti al giudice civile, così come appartengono alla competenza del giudice civile le domande risarcitorie avanzate da soggetti che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere secondo quanto espressamente previsto dal comma 3 dell’art. 35 ter o.p. e da coloro che hanno subito pregiudizi che, pur riferibili alla detenzione in corso di esecuzione, non siano tuttavia più attuali al momento della proposizione del ricorso o della decisione del giudice, poiché generati da una situazione medio tempore sanata dall’Amministrazione penitenziaria nell’esercizio della propria sfera di discrezionalità organizzativa o per altre circostanze ( ad es. per l’ammissione dell’interessato ad una misura alternativa alla detenzione)110.

La tesi favorevole a ritenere necessario il requisito dell’attualità del pregiudizio si fonda, oltre che sul dato letterale costituito dal rinvio all’art. 69, comma 6, lett. b) o.p. , anche su argomentazioni di carattere sistematico. In quest’ottica si è affermato111

che la soluzione incentrata sul requisito dell’attualità: a) è coerente con il ruolo istituzionale del magistrato di sorveglianza il quale non ha una competenza generale a provvedere su qualsivoglia lesione di qualsivoglia diritto soggettivo dei detenuti, ma è soltanto preposto a vigilare sull’organizzazione degli istituti penitenziari e sulla legalità dell’esecuzione della pena; b) è avvalorata dall’art. 35 ter, comma 3 o.p. e da l’art. 1, comma 2 del d.l. 92/2014 che attribuiscono alla competenza del giudice civile le

109Cfr. A. Della Bella, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento, cit. 110

Cfr. F. Fiorentin, I nuovi rimedi risarcitori della detenzione contraria all’ 3 CEDU, cit.

54 domande di risarcimento del danno proponibili da parte di persone che non sono più detenute in quanto hanno terminato di espiare la pena detentiva ovvero che alla data di entrata in vigore del decreto legge hanno cessato di espiare la pena detentiva o non si trovano più in stato di custodia cautelare in carcere, vale a dire domande avanzate da persone che non essendo sottoposte allo stato di custodia non possono, per definizione, lamentare un pregiudizio attuale112.

Sostenibile, quindi, anche se non priva di controindicazioni, la tesi che prefigura il nascere della competenza del giudice civile quando non è più attuale il trattamento inumano. Bisognerebbe innanzitutto stabilire se il giudice civile debba intervenire con le modalità ordinarie o con le forme e i limiti stabiliti dal comma 3 dell’art. 35 ter o.p. Nel primo caso sarebbe difficile capire per quale ragione il coinvolgimento della giurisdizione civile debba seguire regole diverse sulla medesima richiesta, a seconda che l’attore sia ancora in vinculis (regole ordinarie) o scarcerato (regole dettate nell’ultimo comma); nel secondo sarebbe facile obbiettare che l’art. 35 ter dedica una sola disposizione al giudice civile – contenuta nel co. 3 – presupponendone la competenza al momento della scarcerazione del detenuto113.

Infine, bisogna segnalare che la tesi favorevole a subordinare la concessione della tutela risarcitoria all’attualità del pregiudizio sembra essere stata accolta anche da una parte (seppur minoritaria) della Cassazione. La Corte Suprema ha infatti affermato che “ il primo requisito per poter richiedere la riduzione della pena è che in capo al detenuto sia configurabile una situazione di attuale e grave pregiudizio

all’esercizio dei diritti conseguente all’inosservanza, da parte

dell’Amministrazione, di disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento. Un pregiudizio che, peraltro, deve afferire ad una condizione detentiva tale «da violare l’art. 3 della Convenzione

112

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter ord.pen. e la

tutela dei diritti del detenuto, Giuffrè, 2017, cit., p.83 113Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, cit., p. 423

55 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo» e che, pertanto, configura una violazione del divieto di tortura ovvero di trattamenti inumani o

degradanti. Al di fuori di questa ipotesi viene meno la competenza del

magistrato di sorveglianza”114

.

Numerose argomentazioni sono state addotte anche a sostegno della tesi che ritiene irrilevante ai fini della concessione della tutela risarcitoria il requisito dell’attualità del pregiudizio.

Al riguardo si è osservato che se la competenza del magistrato di sorveglianza venisse meno nel momento in cui vengono rimosse le condizioni di carcerazione causa del pregiudizio risarcibile, sarebbe arduo in base alla lettera della norma individuare il giudice al quale il soggetto ancora detenuto dovrebbe rivolgersi per ottenere il rimedio compensativo del pregiudizio ormai cessato atteso che il comma 3 della norma attribuisce espressamente la competenza al giudice civile per le richieste di coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere: difficilmente sarebbe difendibile una soluzione che congeli eventualmente per anni la possibilità di risarcire chi ha subito un trattamento contrario al senso di umanità; oltretutto privandolo della possibilità di abbreviare la durata della pena115. In questa prospettiva si è fatto notare che subordinando l’esperibilità del reclamo al requisito della attualità del pregiudizio si finirebbe per determinare un vuoto di tutela giurisdizionale incompatibile col principio costituzionale di eguaglianza. Infatti i detenuti che in passato hanno subito un pregiudizio a causa di condizioni detentive disumane o degradanti poi venute meno e, pertanto, non più attuali al momento della presentazione della reclamo, da un lato non possono beneficiare del risarcimento del danno mediante la riduzione di pena nei limiti

114

Cfr. Cass. Pen., Sez I, Hrustic, sent. n. 43727 11 giugno 2015, reperibile in www.cortedicassazione.it

56 previsti dall’art. 35 ter o.p., dall’altro non possono neppure adire il giudice civile per ottenere il ristoro pecuniario in quanto ancora detenuti, secondo quanto stabilito dal comma 3 della norma in oggetto, che presuppone che il condannato abbia finito di scontare la pena detentiva in carcere116.

Per i sostenitori di tali argomentazioni, la tesi che postula l’attualità del pregiudizio appare, inoltre, in contrasto con esigenze di economia processuale: il detenuto che si è visto rigettare la domanda ex art. 35

ter o.p. dal magistrato di sorveglianza a causa della mancanza del

requisito dell’attualità dovrebbe poi rivolgersi al giudice civile per ottenere il risarcimento in forma pecuniaria del pregiudizio patito. Siffatta soluzione risulterebbe controproducente sia per il detenuto che per lo Stato. Infatti mentre il primo dovrebbe affrontare il più complesso e oneroso procedimento davanti al giudice civile, il secondo dovrebbe raddoppiare il dispendio di energie processuali sulla medesima richiesta ed erogare una somma di denaro, quando l’eventuale concessione della riduzione di pena da parte del magistrato di sorveglianza ai sensi del co. 1, art. 35 ter o.p. gli avrebbe consentito di evitare tale esborso a favore del detenuto che ha ottenuto l’accoglimento della domanda risarcitoria117

.

Si è inoltre fatto notare che l’individuare l’attualità del pregiudizio come linea di discriminazione tra la competenza del magistrato di sorveglianza e quella del giudice civile appare difficilmente conciliabile anche con precise indicazioni ricavabili dal tenore letterale della norma. In quest’ottica, in base a quanto prevede espressamente il comma 2 dell’art. 35 ter o.p. il magistrato di sorveglianza è competente a decidere nel caso in cui la situazione detentiva contraria all’art. 3 della Convenzione si è protratta per un tempo inferiore a quindici giorni e che in questo caso il pregiudizio non può essere più attuale al momento della decisione in quanto le cadenze procedimentali

116

Cfr. Mag. Sorv. Venezia, ord. Vecchina, cit.

57 inducono ad escludere che il magistrato di sorveglianza possa decidere prima di quindici giorni118; e ancora, che nel comma 3 del citato art. 35

ter il legislatore utilizza l’espressione «coloro che hanno subito il

pregiudizio di cui al comma 1» (ossia quello di cui all’art. 69, comma 6, lett.b) o.p.), espressione che appare idonea ad attribuire rilievo anche al pregiudizio non più attuale: in altri termini l’utilizzo del verbo subire al passato prossimo ( hanno subito ) “sta a indicare la possibilità che la magistratura di sorveglianza sia chiamata a verificare la lesione del diritto del detenuto a condizioni restrittive non inumane o degradanti anche non più sussistente, non solo all’atto della decisione, ma anche all’atto della proposizione del ricorso, purché riconducibile alla pena detentiva in attuale – questa si – esecuzione”119. Ancorando l’ammissibilità del reclamo al presupposto dell’attualità del pregiudizio il rimedio di cui all’art. 35 ter o.p. non potrebbe svolgere alcuna concreta funzione riparatoria: infatti, mentre per la rimozione delle lesioni attuali dei diritti del detenuto è prevista l’azione inibitoria di cui all’art. 35 bis o.p., l’art. 35 ter volge necessariamente lo sguardo al passato, disponendo un rimedio a titolo risarcitorio “indipendentemente dal fatto che esso persista nel presente”120

. Si è aggiunto, inoltre, che la forma di riparazione privilegiata dal legislatore (riduzione della pena ancora da espiare in ragione di un giorno ogni dieci di pregiudizio sofferto) presuppone soltanto la detenzione in atto, ma non anche l’attualità del pregiudizio121

.

Tale impostazione, adottata da dottrina e giurisprudenza di merito in ordine alla irrilevanza dell’attualità, riflette l’esigenza di definire nei termini più ampi possibili la competenza del giudice di sorveglianza al fine di rendere più agevole l’accesso al rimedio disciplinato dall’art. 35

ter o.p., e di evitare trattamenti di disparità tra detenuti.

118 Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, cit., p. 424

119Cfr. Mag. Sorv. Venezia, ord. 9 luglio 2015, Vecchina, cit. 120

Cfr. Mag. Sorv. Venezia, ord. 9 luglio 2015, Vecchina, cit.

121

Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 16 luglio 2015, sent. n. 876, Ruffolo, reperibile in www.cortedicassazione.it

58 Argomentazioni, queste, che hanno trovato riscontro anche nella giurisprudenza della Corte Suprema. Sembra infatti prevalere l’orientamento che ritiene errato incentrare la ripartizione della competenza tra giudice di sorveglianza e giudice civile sul requisito dell’attualità del pregiudizio, e che esclude che tale requisito costituisca condizione di accoglibilità della domanda di risarcimento diretta al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35 ter o.p.122

. Coerente con lo spirito e la ratio legis e con una lettura sistematica non avulsa dal contesto complessivo è quindi la conclusione che il richiamo contenuto all’art. 35 ter, comma 1 o.p. al pregiudizio di cui all’art. 69, coma 6, lett. b), individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto e il modello procedimentale applicabile, ma non può esser riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessaria attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione”123

.

La Cassazione, con recentissima pronuncia, prosegue su quest’ultimo filone ermeneutico. I giudici ritengono fondato il ricorso proposto avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza, basato sull’interpretazione degli artt. 35 ter e 69 o.p. tesa a escludere la possibilità di azionare la domanda di ristoro ex art. 35 ter in rapporto a condizioni di detenzione inumane e degradanti subite precedentemente all’introduzione della norma (avvenuta nel giugno del 2014) e non più attuali al momento della domanda medesima.

Dal canto suo, il ricorrente contesta “… il profilo di denegato accesso allo strumento risarcitorio in relazione alle condizioni detentive pregresse, vissute presso la casa di reclusione …”124

.

La Corte, rammenta come in diversi arresti, aveva già affermato che “l’attualità del pregiudizio non risulta condizione necessaria per

122Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 88 123

Cfr. Cass. Pen., sez. I, 16 luglio 2015, Ruffolo, cit.

124

Cfr. Cass. Pen., sez. I, Gambardella, sent. n. 834, 19 ottobre 2016, § 2, reperibile in www.cortedicassazione.it

59 l’ammissibilità della domanda risarcitoria rivolta, perdurando la detenzione, al Magistrato di Sorveglianza, di cui all’art. 35 ter ord. pen. (…) Da ciò deriva che la domanda risarcitoria, essendo slegata dal (solo apparente) presupposto dell’attualità del trattamento degradante, ben può estendersi a periodi detentivi antecedenti, sempre che il soggetto risulti in espiazione al momento dell’istanza”125.

Si deve pertanto concludere che tra l’interpretazione letterale e quella sistematica nella norma in esame, non v’è dubbio che, a parità di plausibilità ermeneutica, si dovrebbe privilegiare la lettura che crea meno scompensi al sistema, che evita disparità di trattamento e che rende più accessibile ed efficace l’intervento risarcitorio e che meglio corrisponde alle prescrizioni della Corte EDU; vale a dire, quella secondo cui il risarcimento per un trattamento inumano presofferto da soggetto ancora detenuto va disposto dal magistrato di sorveglianza, la cui competenza inizia e termina con lo stato detentivo del richiedente126.

125

Cfr. Cass. Pen., sez. I, 19 ottobre 2016, Gambardella, cit., § 3.1

60

4. I presupposti

Dobbiamo ora soffermare l’attenzione sul presupposto comune che consente l’attivazione dei rimedi contemplati dal d.l. 92/2014. Secondo quanto previsto nel comma 1 dell’art. 35 ter o.p., i rimedi operano nel caso di pregiudizio consistente in «condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione (…), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Appare innanzitutto degno di menzione che il legislatore, nell’individuare il parametro cui riferirsi per valutare la sussistenza del pregiudizio, abbia fatto esplicito riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU, dando così espresso riconoscimento al principio secondo cui il nostro ordinamento deve ritenersi vincolato dalle norme convenzionali, nell’interpretazione che di queste hanno dato i giudici di Strasburgo127. E’ oramai nota la giurisprudenza europea in materia di sovraffollamento carcerario e di come questa situazione possa generare una violazione dell’art. 3 CEDU. Pare però che il riferimento ampio che l’art. 35 ter fa alle «condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Convenzione» consenta di ritenere utilizzabili i rimedi risarcitori ogniqualvolta il detenuto abbia dovuto subire una detenzione che la Corte europea considera in contrasto con il divieto di trattamenti inumani e degradanti, indipendentemente dalla causa che abbia generato una tale situazione e a prescindere pertanto dalla condizione di sovraffollamento carcerario. Accogliendo tale lettura, il rimedio risarcitorio può essere attivato, a titolo di esempio, nel caso di mantenimento in carcere di soggetti in condizioni di salute incompatibili con la detenzione128; oppure il rimedio potrebbe essere utilizzato in caso di mancata predisposizione di cure mediche

127

Cfr. A. Della Bella, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento, cit.

128

Cfr. Corte EDU, sez. II, 11 febbraio 2014, Contrada c. Italia, ric. n. 7509/08, reperibile in www.echr.coe.int

61 all’interno del carcere129

. Appare dunque scontata la considerazione che, ai fini di una piena valorizzazione dello strumento di tutela in questione, diviene imprescindibile l’attento e costante monitoraggio delle sentenze della Corte europea da parte dell’interprete.

La violazione dell’art. 3 CEDU non sembrerebbe, dunque, suscettibile di libero apprezzamento da parte del giudice nazionale, dovendosi questi muovere all’interno della cornice delineata dalla Corte EDU. In dottrina si è osservato che il tal modo il legislatore nazionale ha richiamato un riferimento mobile e mutevole nel tempo che potrebbe creare qualche incertezza applicativa, sia perché richiede al giudice una interpretazione dell’interpretazione che la Corte da dell’art. 3 della Convenzione, sapendo che la giurisdizione di questa è una pronuncia sul caso concreto che tiene conto di tante variabili che non necessariamente ricorrono nei casi prospettati al giudice interno, sia perché costringe questo a seguire le evoluzioni e le involuzioni della Corte di Strasburgo130.

Ai fini della concessione della tutela risarcitoria il pregiudizio deve essere grave: sulla base di quanto dispone il comma 1 dell’art. 35 ter, deve considerarsi tale il pregiudizio derivante dall’espiazione della pena, «per un periodo non inferiore a quindici giorni, in condizione di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione …».

Con riferimento al periodo oggetto del pregiudizio occorre subito evidenziare come lo stesso debba essere inteso nella sua interezza e globalità rispetto all’intera espiazione in carcere valutabile, con la conseguenza che, diversamente da quanto talvolta sostenuto dall’Amministrazione penitenziaria, anche i periodi inferiori a quelli di quindici giorni potranno, ove sommati tra loro superino (o

129

Cfr. Corte EDU, sez. II, 22 aprile 2014, G.C. c. Italia, ric. n. 73869, reperibile in www.echr.coe.int

62 raggiungano) detto limite normativo, assumere rilievo sul piano risarcitorio specifico da ritenersi unico131.

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