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L’AZIONE RIPARATORIA

4. L’inammissibilità del reclamo

Come noto l’art. 666, comma 2 c.p.c. prevede due ipotesi di inammissibilità.

La prima riguarda la manifesta infondatezza dell’istanza per carenza delle condizioni di legge, la seconda si profila quando l’istanza costituisce mera riproposizione di una istanza già rigettata basata sui medesimi elementi. L’espressione utilizzata dal legislatore con riguarda alla prima ipotesi di inammissibilità, impone di limitare la pronuncia de plano alle sole ipotesi nelle quali la presa d’atto dell’assenza delle condizioni di legge non richiede ne accertamenti di tipo conoscitivo, ne valutazioni discrezionali, in fatto o in diritto189. Tale orientamento si fonda sulla necessità di salvaguardare il principio del contraddittorio, posto che l’anticipazione di una decisione in realtà di merito alla fase del vaglio preliminare di ammissibilità sull’istanza, con una pronuncia non corretta di inammissibilità, finisce con l’espropriare l’istante di tale garanzia di rilievo costituzionale, anche in quei procedimenti, come quelli di esecuzione e sorveglianza, nei quali il contraddittorio costituisce non tanto il metodo da seguire per la ricostruzione dei fatti, quanto piuttosto come lo strumento di attuazione del diritto di partecipazione all’iter di formazione della decisione mediante la prospettazione delle ragione di ciascuna parte in merito alla valutazione dei fatti ed alla interpretazione delle norme. In altri termini l’emissione del decreto di inammissibilità costituisce un’eccezione alla regola generale che impone l’attivazione del contraddittorio tra le parti, cosicché il decreto in questione può ritenersi legittimo soltanto nel caso in cui il presupposto giustificativo (assenza delle condizioni di legge), costituisce oggetto d’immediata constatazione, senza richiedere sforzi interpretativi o valutazioni discrezionali, esito di verifiche più o meno articolate ed approfondite

96 in ordine alla situazione di fatto posta a fondamento del reclamo, suscettibili di condurre a soluzioni decisorie opinabili190.

Con riguardo al reclamo di cui all’art. 35 ter o.p., la causa di inammissibilità destinata ad assumere maggior rilievo sul piano, è quella che deriva dalla violazione da parte del soggetto che propone reclamo dell’onere di indicare “i periodi detenzione, le strutture carcerarie e le ragioni, inerenti alle specifiche condizioni detentive in relazione ai quali si deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 CEDU”191

. La giurisprudenza, infatti, è concorde nel ritenere sussistente in capo al soggetto che invoca un provvedimento giurisdizionale favorevole, un onere di allegazione che si concreta nel dovere di prospettare e indicare al giudice i fatti sul quale si base la richiesta, incombendo poi all’autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti; mentre non sarebbe necessaria l’indicazione “precisa e completa degli elementi che si pongono a fondamento” della domanda in quanto “la sussistenza del pregiudizio per specifiche violazioni dell’art. 3 CEDU costituisce thema probandum”192. D’altra parte l’applicabilità al reclamo ex art.

35 ter o.p. delle norme dettate dal codice di rito in materia di procedimento di esecuzione (e sorveglianza) “implica che l’attività di accertamento è demandata, anche mediante l’esercizio di poteri officiosi, al magistrato di sorveglianza, che chiamato a pronunciarsi sul reclamo esercitando gli ampi poteri istruttori di cui è titolare ai sensi dell’art. 666, comma 5 c.p.c.193

. Come è stato puntualizzato dalla Corte Suprema, il reclamante non ha l’onere di “corredare l’atto introduttivo con la indicazione precisa e completa degli elementi che si pongono a fondamento” della domanda risarcitoria, ferma restando la necessità di

190Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 135 191

Cfr. Cass. Pen., sez. I, Bruzzese, n. 22164, 13 maggio 2015; Cass. Pen., sez. I,

Franciosi, n. 23219, 19 maggio 2015; Cass. Pen., sez. I, Sollazzo, n. 38055, 24 giugno

2016, reperibili in www.cortedicassazione.it

192

Cfr. Cass. Pen., sez. I, 16 luglio 2015, Ruffolo, cit.

193

Cfr. Cass. Pen., sez. I, Manfra, n. 47480, 16luglio 2015, reperibile in www.cortedicassazione.it

97 specificare i luoghi di detenzione, i periodi di permanenza nei vari istituti “e la natura del pregiudizio lamentato, fonte del diritto a conseguire la misura compensativa, consistente nella riduzione degli spazi vitali al di sotto dei livelli minimi ritenuti tollerabili in sede giurisdizionale sopranazionale”194.

In senso parzialmente difforme si è affermato che l’istanza prevista dall’art. 35 ter o.p. “non può che essere specifica e motivata, dovendo indicare quali sono le condizioni di detenzione tali da integrare la violazione della CEDU e quale sia il periodo interessato”195

e conseguentemente, “deve ritenersi inammissibile il reclamo proposto dal detenuto, ai sensi dell’art. 35 ter o.p., quando tale atto non indichi i periodi di detenzione, le strutture carcerarie e le precise ragioni inerenti alle specifiche condizioni detentive, in relazione alle quali si deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 CEDU”196

. Secondo tale orientamento, sarebbero proprio le caratteristiche del procedimento, quale strumento diretto ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla sottoposizione ad una carcerazione disumana, ad imporre la puntuale definizione della domanda mediante l’indicazione dei periodi di detenzione, dei penitenziari nei quali essa è avvenuta e della tipologia del pregiudizio lamentato, mentre il potere istruttorio di cui all’art. 666, comma 5 o.p. potrebbe essere esercitato soltanto “nell’ambito della verifica della fondatezza di una domanda già sufficientemente perimetrata”197.

Un ulteriore causa di inammissibilità potrebbe essere ravvisata nel caso di proposizione del reclamo da parte dell’imputato detenuto ove si

194

Cfr. Cass. Pen., sez. I, Del Giudice, n. 9920, 9 febbraio 2016, reperibile in www.cortedicassazione.it

195Cfr. Cass. Pen., sez. I, D’Amico, n. 1694, 8 ottobre 2015, reperibile in

www.cortedicassazione.it

196Cfr. Cass. Pen., sez. I, Lucido, n. 9096, 9 dicembre 2015, reperibile in

www.cortedicassazione.it

197

Cfr. Cass. Pen., sez. I, Baku, n. 20231, 17 settembre 2015, reperibile in www.cortedicassazione.it

98 ritenga di aderire alla tesi secondo la quale la decisione sul merito del reclamo è subordinata alla irrevocabilità della sentenza di condanna. Sicuramente da ritenersi inammissibile è, invece, il reclamo con il quale il detenuto chiede il risarcimento del danno con riguardo a periodi di detenzione non riferibili alla pena in espiazione ma riguardanti una pena inflitta da una precedente condanna ed ormai interamente espiata198.

Infine, una particolare causa di inammissibilità è prevista dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 2 del d.l. 26 giugno 2014, n. 92, con riguardo al caso di detenuti che avevano già presentato ricorso sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della Convenzione alla Corte EDU. In questo caso l’interessato può esperire il rimedio di cui all’art. 35 ter o.p., entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge istitutivo del rimedio, «qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della Corte».

Il comma 3 della norma testé citata dispone che se il condannato si avvale della facoltà di esperire il reclamo di cui all’art. 35 ter, la domanda «deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo». Detto onere è finalizzato a consentire la verifica dell’eventuale emissione da parte della Corte EDU di una decisione sulla ricevibilità del ricorso onde mettere in condizione il Governo di dedurre, nei procedimenti ancora pendenti al momento di entrata in vigore del decreto, l’eccezione del mancato esaurimento dei rimedi previsti dall’ordinamento interno199

.

In giurisprudenza si è precisato che al fine di escludere l’operatività della predetta causa di inammissibilità è sufficiente l’indicazione dell’anno nel quale è stato presentato ricorso alla Corte EDU, mentre non è necessaria l’indicazione del giorno e del mese posto che tale carenza giuridica non pregiudicherebbe la possibilità di individuare la

198

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 137

99 pratica pendente a nome del ricorrente, dal momento che “tale operazione è comunque consentita dalla specificazione del numero della sua protocollazione e del codice a barre”200

.

Occorre infine segnalare che il decreto di inammissibilità secondo quanto previsto dall’art. 666, comma 2 c.p.c., richiamato dall’art. 35

bis, comma 1 o.p., norma applicabile anche al rimedio risarcitorio

disciplinato dal successivo art. 35 ter, è impugnabile con ricorso per Cassazione e non con reclamo al Tribunale. In caso di illegittima dichiarazione di inammissibilità da parte del giudice di sorveglianza, infatti, la trasmissione degli atti al Tribunale determinerebbe l’indebita sottrazione di un grado di giudizio; d’altra parte l’illegittima emissione del decreto di inammissibilità si risolve in una nullità di ordine generale e di carattere assoluto rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con la conseguenza che il Tribunale, al quale la Cassazione ha rinviato gli atti, dovrebbe ex art. 604, comma 4 c.p.c. annullare l’ordinanza del monocratica e disporre, a sua volta, il rinvio degli atti al magistrato di sorveglianza. Diversamente opinando, ossia convertendo il ricorso per Cassazione proposto avverso il decreto di inammissibilità come reclamo al Tribunale ex artt. 35 bis e 35 ter o.p., si determinerebbe, in pregiudizio del condannato, la perdita di un grado di giudizio201.

200

Cfr. Cass. Pen., Sez. I, Manrique, n. 35840, 14 maggio 2015, reperibile in www.cortedicassazione.it

100

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