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LE PRIME PRONUNCE INTERNE SUL VERSANTE DELLA TUTELA

2. Il “nuovo” reclamo giurisdizionale: l’art 35 bis o.p.

2.2. Il giudizio di ottemperanza.

La novità forse più interessante, riguarda la possibilità di aprire un nuovo ‘segmento processuale’, allorquando l’amministrazione non ottemperi le indicazioni giudiziali, in ossequio alle sollecitazioni della Corte EDU79. Pertanto, in caso di “mancata esecuzione del

77

Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, cit., p. 409

78

Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, cit., p. 410

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provvedimento” giudiziale divenuto inoppugnabile, al fine di

costringere all’obbedienza l’amministrazione penitenziaria, l’art. 35

bis prevede al co. 5 la possibilità, per l’interessato o per il suo

difensore munito di procura speciale, di attivare un giudizio di

ottemperanza presso lo stesso magistrato. Vi è chi ha notato l’assoluta

novità di detta previsione, sia riguardo allo schema tipico del giudizio di ottemperanza, tradizionalmente affidato al giudice amministrativo, sia riguardo alla tipologia di funzioni attribuite alla magistratura di sorveglianza80. Certamente ha giocato a favore della scelta tradottasi nel disposto normativo la considerazione che il magistrato di sorveglianza è il “giudice naturale” di tutte le questioni riguardanti i diritti del detenuto lesi da atti o comportamenti dell’amministrazione e dunque, solo questi può efficacemente adottare le disposizioni necessarie per assicurare l’effettività delle prescrizioni imposte con il proprio provvedimento anche in relazione al ruolo di vigilanza sugli istituti di pena. Si deve ritenere in ogni caso prevalente la considerazione dell’intrinseca debolezza del soggetto detenuto rispetto al quale l’ottemperanza allo stesso giudice è parsa più accessibile, anche in termini di costi della difesa tecnica, rispetto al giudizio davanti al giudice amministrativo.

Pur ricalcando quasi integralmente la disciplina dell’ottemperanza dal processo amministrativo, il legislatore non ha però previsto la possibilità di ottenere l’esecuzione coattiva del provvedimento anche prima della sua definitività. Nel giudizio amministrativo, invece, anche le sentenze del T.A.R. non ancora passate in giudicato, purchè non sospese dal Consiglio di Stato, possono essere oggetto di esecuzione con la procedura dell’ottemperanza. Nonostante il provvedimento del magistrato di sorveglianza sia già esecutivo ex lege ai sensi dell’art. 666, co. 7, c.p.p., per adire l’ottemperanza l’interessato sarà costretto ad attendere tutti i gradi di giudizio e cioè il formarsi del giudicato, con

80Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, p. 411

37 il rischio di una vanificazione della reale efficacia della tutela “preventiva”, che viceversa presuppone immediatezza e celerità degli interventi conformativi e ripristinatori81.

Il magistrato di sorveglianza, in esito all’accoglimento della richiesta ai sensi dell’art. 35 bis, co. 6, c.p.p., ha il potere di: ordinare all’amministrazione di ottemperare (lett.a)) indicando modalità e tempi di adempimento, nominando – se necessario – un commissario ad acta (lett. d)); dichiarare nulli gli eventuali atti dell’amministrazione che si pongano “in violazione o elusione del provvedimento rimasto

ineseguito” (lett. b)).

In primo luogo deve ritenersi la natura “perentoria” del termine assegnato dal giudice dell’ottemperanza all’amministrazione per l’esecuzione del provvedimento, costituendo esso l’ultimo tentativo per consentire all’amministrazione di adempiere al giudicato. Decorso il termine, il potere di concretare il giudicato, in maniera molto simile all’istituto dell’esecuzione forzata specifica, viene esercitato dal giudice direttamente o tramite il commissario ad acta, anche se ciò non significa che gli atti adottati dalla p.a. dopo la scadenza del termine siano irrimediabilmente nulli, in quanto il giudice può tener conto degli stessi modificandoli o integrandoli82.

Circa le “modalità”, il giudice deve tener conto «del programma

attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto». Questa formula rappresenta il tentativo di

realizzare un contemperamento tra l’esigenza di tutela del diritto della persona detenuta e l’altrettanto irrinunciabile esigenza di riservare all’apprezzamento dell’autorità amministrativa l’opzione preferibile per risolvere la criticità evidenziata nel reclamo. Detto programma non può avere alcuna efficacia vincolante per il giudice che anzi, può ritenerlo incompatibile con la tutela del diritto leso. Si pensi, a titolo di

81

Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, cit., p. 412

38 esempio, alla situazione che potrebbe crearsi laddove il giudice affermi il diritto per il detenuto reclamante ai sensi dell’art. 3 CEDU di esser trasferito presso una camera detentiva non sovraffollata e l’amministrazione, in esecuzione del piano attuativo, decida per far posto al primo, di trasferire altri detenuti in una cella ugualmente sovraffollata. Tale modalità esecutiva causerebbe una nuova situazione di lesione di un diritto, rendendo conforme al senso di umanità l’esecuzione penale nella cella in cui rimarrebbe collocato il ricorrente vittorioso, ma comportando inevitabilmente la disumanità

dell’esecuzione della pena nei confronti di altri detenuti83

. Nulla è previsto nel caso di omessa presentazione del piano, ma si deve ritenere che il giudice possa in questo caso ugualmente procedere all’ottemperanza dettando le modalità esecutive.

La previsione di un reclamo giurisdizionale in capo al magistrato di sorveglianza, che diviene così effettivamente il garante della legalità dell’esecuzione della pena, è da valutare sicuramente in modo positivo, rappresentando un indubbio passo in avanti nella tutela dei diritti del detenuto.

Come si è già avuto modo di osservare però, la ridistribuzione dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari, in parte sicuramente auspicabile, non può rappresentare di per sé la soluzione al problema del sovraffollamento carcerario. Da un lato, perché in una situazione di saturazione delle strutture, gli spazi di manovra dell’amministrazione penitenziaria sono inevitabilmente ridotti; dall’altro, perché il trasferimento non risulta praticabile nei casi in cui, determinando l’allontanamento del detenuto dalla sua famiglia o l’interruzione dell’attività di tipo lavorativo o formativo, comporti una compromissione del percorso risocializzativo in atto84.

83

Cfr. M. Bortolato, Sub art. 35 bis, cit., p. 413

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3. Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private