• Non ci sono risultati.

L’AZIONE RIPARATORIA

1. I soggetti legittimat

1.1. I soggetti internat

Meno scontata appare la legittimazione dell’internato (soggetto in esecuzione di una misura di sicurezza), del quale si fa menzione solo nella rubrica dell’articolo, che si riferisce espressamente ai «soggetti

152

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 122

73 detenuti o internati», mentre nel testo della norma si utilizza solo il termine detenuto154. Non mancano tuttavia elementi che inducono a propendere per l’inclusione di questa figura nel novero dei soggetti aventi diritto al risarcimento in parola.

Sembrerebbe da respingere un interpretazione strettamente aderente al dato letterale, in quanto contrastante con la lettura normativa nel suo complesso. Occorre per taluni procedere pertanto ad un’interpretazione sistematica, prendendo in considerazione, da un lato, la rubrica dell’art. 35 ter o.p., che fa riferimento ai “soggetti detenuti ed internati” e, dall’altro, l’art. 2 del d.l. 92/2014, dedicato alle disposizioni transitorie, nel quale si legge che il rimedio è esperibile anche dai detenuti e dagli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea. Sembrerebbe dunque plausibile ritenere che la mancata menzione dell’internato nel comma 1 sia il frutto di una dimenticanza e che si possa giungere pacificamente alla conclusione per la quale i rimedi risarcitori siano diretti a tutti i soggetti che reclamino un danno derivante dall’essere stai detenuti in condizioni contrarie all’art. 3 CEDU, indipendentemente dalla posizione giuridica di imputati, condannati o internati155.

In senso contrario invece, cioè al fine di escludere la legittimazione dell’internato, vi è chi ha affermato che il tenore letterale dell’art. 35

ter o.p. prevede come forma ordinaria di risarcimento del danno

soltanto la riduzione della pena, che presuppone il richiedente sia detenuto in carcere in esecuzione di una condanna che ha inflitto la pena della reclusione o dell’arresto, presupposto non configurabile rispetto all’internato, soggetto ad una misura privativa della libertà personale diversa. Pertanto, tenuto conto del fatto che il potere del giudice di sorveglianza di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno in forma pecuniaria è stato concepito dal legislatore e configurato dalla norma come eccezionale e residuale,

154

Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, cit., p. 417

74 non resterebbe che indicare per l’internato quale unica soluzione concretamente perseguibile quella costituita dalla proposizione dell’azione di danno aquiliano davanti al giudice civile secondo le regole generali.

E’ questa la soluzione accolta da un ordinanza della Magistratura di sorveglianza fiorentina, nella cui motivazione si osserva che “trattandosi di persona internata in esecuzione di misura di sicurezza e non di soggetto detenuto in espiazione di pena” deve ritenersi che il giudice di sorveglianza “non abbia il potere di incidere sulla durata della privazione della libertà e di anticipare pertanto la remissione in libertà, trattandosi di evento subordinato al riesame e al venire meno della pericolosità sociale e non all’automatico spirare della data fissata per il riesame stesso”156

.

Con riguardo alla posizione dell’internato deve essere segnalata, infine, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal magistrato di sorveglianza di Padova nel maggio 2016 ( in data quindi anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 204/2016 della Corte costituzionale)157. Secondo il giudice remittente l’art. 35 ter escludendo, da un lato, gli internati dalla cerchia dei soggetti legittimati a proporre il reclamo – così come non menziona chi è stato condannato all’ergastolo – e prevedendo, dall’altro, quale forma ordinaria di risarcimento la riduzione di pena ancora da espiare, forma di risarcimento non applicabile alla misura di sicurezza, delinea una disciplina che si appalesa in contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione.

L’esclusione dell’internato dal novero dei soggetti legittimati a proporre reclamo costituirebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla posizione del detenuto che integrerebbe la violazione del principio di eguaglianza, tanto più evidente se si tiene conto del fatto che l’ordinamento penitenziario assicura “pari dignità”

156

Cfr. Mag. Sorv. Firenze, Manca, ord. 18 gennaio 2016

75 alla figura del detenuto e dell’internato sotto il profilo del diritto al trattamento, delle condizioni di vita intramuraria, del diritto alla salute ecc … L’impossibilità per l’internato di esperire il rimedio de quo comporta inoltre la violazione dell’art. 24 Cost. che assicura a ciascuno la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, non essendo previsto uno specifico rimedio compensativo nel caso di violazione dell’art. 3 CEDU subita dalla persona soggetta all’esecuzione di una misura di sicurezza detentiva.

Invero anche rispetto all’internato (così come accade per l’ergastolano) non è configurabile una pena residua da espiare riducibile in caso di accoglimento del reclamo “non potendosi in nessun modo in tal senso intendere la scadenza della misura di sicurezza, di per sé soggetta al buon esito del riesame periodico sull’attualità della pericolosità sociale. Di qui l’impossibilità di liquidare una somma a titolo di risarcimento del danno, liquidazione che presuppone … una pena detentiva da espiare inferiore a quella da ridurre”158

.

Secondo il parere della magistratura di sorveglianza, la mancata previsione per le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive di qualsiasi tutela giurisdizionale di fronte alla violazione dell’art. 3 della Convenzione, si risolve non solo nella violazione di tale norma, ma anche degli artt. 6 (diritto ad un equo processo) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione e, di riflesso, si traduce nella violazione dell’art. 117, comma 1 Cost. in forza del quale la funzione legislativa deve essere esercitata nel rispetto, anche, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Diventa quindi necessario un “intervento additivo della Corte volto ad inserire l’internato tra i legittimati ad esperire il reclamo ex art. 35 ter o.p., e quale conseguenza, nel caso di fondatezza della domanda, la riduzione della durata della misura di sicurezza e/o il ristoro pecuniario a titolo di rimedio risarcitorio. Tale soluzione è l’unica che consenta di

158

Cfr. Mag. Sorv. Padova, H. E., ord. n. 125, 2 maggio 2016, reperibile in www.gazzettaufficiale.it

76 ripristinare una condizione di legalità nell’ambito dell’esecuzione della misura di sicurezza detentiva nel caso di accertato trattamento inumano e degradante”159

.