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L’AZIONE RIPARATORIA

1. I soggetti legittimat

1.2. I detenuti condannati all’ergastolo

Per concludere il discorso sui soggetti legittimati ad adire il magistrato di sorveglianza nelle ipotesi di cui all’articolo in commento, bisogna porre ora l’attenzione sulla situazione in cui versano coloro che sono stati condannati alla pena detentiva dell’ergastolo. Con riguardo a quest’ultima categoria di soggetti dovrebbe escludersi in caso di accoglimento del reclamo la sussistenza di un interesse ad ottenere la riduzione di pena prevista dal comma 1 dell’art. 35 ter. Infatti se si ritiene di aderire alla tesi, in merito alla natura giuridica dell’istituto (secondo cui la riduzione di pena conseguibile ai sensi dell’art. 35 ter non ha valenza trattamentale e non assume alcun rilievo ai fini di cui all’art. 54, ult. co. o.p.) è giocoforza affermare che la persona condannata alla pena dell’ergastolo non può trarre alcun beneficio concreto dalla concessione della detrazione di pena, con la conseguenza che per le persone condannate alla pena perpetua la concessione della riduzione di pena costituisce una modalità risarcitoria del tutto inadeguata. D’altra parte, anche se si ritenesse applicabile alla riduzione di pena conseguibile ai sensi dell’art. 35 ter o.p. la disciplina dettata dall’art. 54, ult. co. o.p., resterebbe sempre aperto il problema dell’ergastolano che avendo espiato almeno 26 anni di pena ha già maturato i requisiti di ammissibilità ai benefici penitenziari astrattamente concedibili e che pertanto non potrebbe in ogni caso trarre alcun beneficio dall’eventuale accoglimento del

77 reclamo ex art. 35ter o.p. E’ evidente che in questo caso la riduzione della pena non costituisce una forma di risarcimento adeguata ad attuare un ristoro effettivo del pregiudizi subito160.

Riguardo alla posizione dell’ergastolano, si profilano dalle pronunce della magistratura di sorveglianza e da quelle del Giudice delle leggi tre diverse soluzioni:

a) concedere al detenuto soltanto il risarcimento in forma pecuniaria con riguardo a tutto il periodo di carcerazione sofferto in condizioni tali da violare l’art. 3 della Convenzione. Tale soluzione non sembra consentita dal carattere eccezionale e straordinario della norma che attribuisce al giudice di sorveglianza tale potere con conseguente impossibilità di procedere ad un’applicazione in via analogica ai casi non espressamente regolati. E’ in quest’ottica che il magistrato di sorveglianza di Padova ha sollevato, con riguardo alla posizione della persona condannata all’ergastolo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 ter o.p. nella parte in cui la norma non prevede il ristoro economico stabilito dal comma 2 della norma, ipotizzando la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. La violazione al principio di eguaglianza e di ragionevolezza deriva dal fatto che l’art. 35 ter escluderebbe gli ergastolani dalla tutela risarcitoria senza alcuna ragionevole giustificazione, configurando un trattamento deteriore rispetto detenuti a pena temporanee, mentre l’art. 24 Cost. risulterebbe violato sotto il profilo dell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti in quanto il rimedio risarcitorio non assicurerebbe alcuna riparazione al danno subito dall’ergastolano a causa di condizioni detentive lesive della dignità umana161;

b) differire la proposizione del reclamo (davanti al giudice civile) al giorno nel quale il condannato avrà terminato di espiare la pena detentiva in carcere (ai sensi del comma 3 dell’art. 35 ter), vale a dire

160

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 113

161

Cfr. Mag. Sorv. Padova, ord. G.C, n. 176, 20 aprile 2015, reperibile in www.gazzettaufficiale.it

78 al giorno in cui il condannato sarà stato eventualmente ammesso alla liberazione condizionale;

c) consentire al detenuto di agire davanti al giudice civile per chiedere il risarcimento del danno secondo le regole generali162.

La Corte costituzionale, con un recente arresto, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal magistrato di sorveglianza di Padova cui si accennava poco sopra alla lettera a)163, perché basata su un erroneo presupposto interpretativo. Secondo la Corte “il giudice a quo muove dall’idea che, nel testo della disposizione impugnata, «[l]’uso dell’avverbio “altresì” e l’espressione “residuo periodo” dissolvano ogni dubbio sul ruolo solo “complementare” delle somme di denaro liquidabili dal magistrato di sorveglianza», sicché il rimedio pecuniario non sarebbe approdo consentito al magistrato di sorveglianza “per l’intero” ma solo per la parte “residua” non coperta da una pena che, per limiti oggettivi, si riveli “incapiente”». Tuttavia, l’ultimo periodo dell’art. 35 ter, comma 2, della legge n. 354 del 1975 stabilisce che il risarcimento del danno in forma pecuniaria spetta anche nel caso in cui non è ammessa la riduzione di pena, perché il periodo di detenzione trascorso in condizioni disumane è stato inferiore a quindici giorni, e perciò prevede espressamente la competenza del magistrato di sorveglianza ad adottare il provvedimento economico, pure in mancanza di qualsiasi collegamento con un’effettiva riduzione del periodo detentivo. E’ perciò direttamente nella lettera della disposizione impugnata che l’interprete rinviene il criterio logico per risolvere il caso sottoposto all’attenzione del giudice rimettente. Il legislatore, introducendo il ristoro economico, si è preoccupato di coordinarlo con il rimedio della riduzione di pena, specificando, quando e come al secondo subentra il primo. E’ a questo scopo che il comma 2 dell’art. 35 ter reca

162

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 114

163

Cfr. Corte Cost., sent. n. 204, 21 luglio 2016, Pres. Grossi, reperibile in www.giurcost.org

79 indicazioni linguistiche di mero appoggio al comma 1 la priorità del rimedio costitutivo dalla riduzione di pena. Priorità che non può significare però preclusione nel caso in cui non ci sia alcuna detrazione da operare”164

.

Infine, conclude la Corte, non sembra possibile “sostenere che la persona condannata all’ergastolo potrebbe comunque rivolgersi al giudice civile ai sensi del comma 3 della disposizione impugnata, posto che vi sono ipotesi in cui l’ergastolo va scontato interamente in carcere, ovvero casi nei quali di fatto l’azione civile sarebbe negata. I commi 2 e 3 dell’art. 35 ter impugnato distinguono la competenza a provvedere sulla richiesta di ristoro economico a seconda che l’interessato sia o no detenuto: nel primo caso è competente il magistrato di sorveglianza, nel secondo il tribunale civile. Diversamente da quanto ha affermato il giudice rimettente, infatti, non può considerarsi «eccezionale e straordinario» il potere del magistrato di sorveglianza di liquidare, «a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro» al detenuto che ha subito un trattamento disumano, e non c’è alcuna ragione per negarlo nei casi in cui non vi è prima una riduzione di pena da operare”165

.

Con questa sentenza la Corte costituzionale, riconducibile alla categoria delle decisioni interpretative di rigetto, ha dunque affermato il principio secondo cui nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 35

ter o.p., il risarcimento pecuniario costituisce una forma di tutela

pienamente autonoma rispetto al risarcimento attuato mediante la riduzione di pena e, in quanto tale, esperibile anche dai detenuti, come gli ergastolani, che non possono trarre alcun beneficio concreto dalla riduzione della pena. La Corte sembra dunque superare l’imposizione secondo la quale il risarcimento pecuniario si configura come una forma di tutela tendenzialmente residuale ed eccezionale, e sembra offrire argomenti a favore della tesi che sostiene la natura civilistica

164

V. Corte Cost., n.204/2016, cit., § 3 in diritto

80 del rimedio de quo con tutto ciò che ne consegue in ordine all’operatività di alcuni istituti quali la prescrizione (del diritto al risarcimento del danno fatto valere dal detenuto) ed il principio della non contestazione (ai fini della prova dei fatti allegati dal reclamante in caso di mancata trasmissione da parte dell’Istituto di Pena delle informazioni richieste in merito alle condizioni detentive)166.

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