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L’AZIONE RIPARATORIA

3. Profili procedimental

I procedimenti giurisdizionali per decidere sul risarcimento compensativo differiscono a seconda che la competenza spetti al magistrato di sorveglianza o del giudice civile.

Nel primo caso, la mancanza di una disciplina specifica nei commi 1 e 2 dell’art. 35 ter o.p. si spiega con la considerazione che, come si è già sottolineato in precedenza, il rimedio è strettamente connesso al reclamo giurisdizionale dell’art. 35 bis o.p., nel quale esso è destinato ad inserirsi, ed alla cui disciplina occorre rifarsi172. E’ del resto la norma in esame a rinviare, sin dal suo esordio, al comma 6 dell’art. 69 o.p., che disciplina appunto i casi in cui il detenuto che ritiene di patire un pregiudizio all’esercizio dei suoi diritti può far ricorso al magistrato di sorveglianza, che deve provvedere a norma dell’art. 35 bis o.p. Diversamente opinando, resterebbe senza un adeguato modello processuale di riferimento proprio il pregiudizio per inumano trattamento detentivo, quando uno dei prioritari obbiettivi imposti dalla Corte EDU e perseguiti dal legislatore italiano era proprio quello di introdurre un idoneo strumento processuale che consentisse di ottenere un congruo rimedio compensativo per la violazione dell’art. 3 CEDU, nessuno di quelli esistenti nel nostro ordinamento nazionale essendo stato ritenuto soddisfacente quanto ad accessibilità, tempestività ed efficacia173.

Rimandando alla parte in cui si è esaminato l’art. 35 bis per un analisi maggiormente dettagliata, possiamo limitarci in questa sede ad enunciare gli aspetti più significativi di quel procedimento che, come noto, segue le regole del procedimento di sorveglianza ex artt. 666-678 c.p.c., con alcuni profili di specialità.

A questo proposito, occorre innanzitutto evidenziare che il procedimento in esame prevede una fase preliminare di valutazione

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Cfr. A. Della Bella, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento, cit.

86 dell’ammissibilità dell’istanza, a seguito della quale dovranno essere dichiarati inammissibili, ad esempio, i reclami che siano proposti al magistrato di sorveglianza da soggetti in libertà.

Un altro profilo sul quale occorre soffermare l’attenzione è la previsione del diritto dell’Amministrazione penitenziaria a partecipare all’udienza: presenza quanto mai necessaria, essendo nella sua sola disponibilità la documentazione necessaria ad accertare le condizioni detentive oggetto del giudizio. La mancata indicazione di un termine di decadenza entro il quale proporre la domanda, si spiega in considerazione dell’attualità del pregiudizio al momento della domanda: fintanto che il pregiudizio perdura il detenuto è in termine per proporre il reclamo al magistrato (sempre salvo, però, il decorso del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.). Quanto poi ai mezzi di impugnazione, dall’art. 35 bis, comma 4 o.p. si evince la possibilità di proporre reclamo al tribunale di sorveglianza contro l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, nel termine di 15 giorni dalla notificazione del deposito della stessa. L’ordinanza del tribunale può poi essere oggetto di ricorso in Cassazione, sempre nel termine di 15 giorni. Sull’opportunità dei tre gradi di giudizio si ribadiscono le stesse perplessità già espresse analizzando la disciplina del rimedio preventivo: il timore è che la complessità e i tempi lunghi del procedimento possano compromettere l’effettività della tutela e più in generale possano portare al collasso il sistema già sovraccarico della giustizia di sorveglianza174.

Passando ora all’esame dell’altro rimedio introdotto con l’art. 35 ter o.p., disciplinato nel comma 3 e diretto a «coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1 in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere», va subito evidenziato come il legislatore abbia voluto disegnare una

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87 procedura ad hoc. Tale strumento è dunque diretto a coloro che hanno subito il pregiudizio durante un periodo di custodia cautelare a cui non è seguita la condanna a pena detentiva (ad esempio come nel caso di soggetti che all’esito del processo siano stati assolti), e a quei soggetti che abbiamo terminato il periodo di espiazione della pena detentiva o della misura di sicurezza e solo successivamente si siano attivati per chiedere il risarcimento per il danno patito o, ancora, a soggetti che sono ammessi ad espiare la pena in forma extramuraria (perché ad esempio beneficiari di una misura alternativa).

Al fine di delimitare l’area operativa della disposizione in esame occorre precisare che, secondo quanto si desume dal confronto con l’art. 2 del d.l. 92/2014, i destinatari del rimedio disciplinato nel comma 3 sono i soggetti che al momento dell’entrata in vigore del decreto legge non avevano ancora cessato di espiare la pena detentiva o la custodia cautelare, ma che abbiano esercitato l’azione risarcitoria solo una volta recuperato lo status di liberi. E’ bene però ricordare che, stando a tale lettura, si tratta comunque di un rimedio utilizzabile soltanto con pregiudizi verificatisi successivamente all’entrata in vigore della legge, ossia al 28 giugno 2014175.

Costoro possono adire il tribunale per ottenere il rimedio compensativo (residuale) di natura pecuniaria con un’azione che deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione della detenzione carceraria. Competente a pronunciarsi su tale richiesta è il tribunale del capoluogo del distretto ove il danneggiato ha la residenza Il giudizio si svolge nelle forme del rito camerale ex artt. 737 ss. c.p.c.: la domanda si propone quindi con ricorso (il cui deposito deve avvenire nel termine di decadenza) e su di essa provvede il giudice monocratico, che decide secondo le forme del rito semplificato che si svolge in camera di consiglio e si conclude con un decreto motivato non soggetto a impugnazione (ma pure sempre ricorribile in

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88 Cassazione ex art. 111 Cost.). Qualora la pretesa risulti fondata, il risarcimento del danno è liquidato, ai sensi del comma 2 art. 35 ter, nella misura di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in condizioni contrarie all’art. 3 CEDU176

.

Come detto, il decreto che definisce il procedimento a differenza di quello emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 35 bis o.p. non è soggetto a reclamo. Il diverso regime di impugnabilità nel merito di provvedimenti destinati ad incidere sulla medesima materia e che possono contenere identiche statuizioni di condanna al pagamento di una somma di denaro non risulta in alcun modo giustificabile. L’attribuzione della competenza territoriale al tribunale del capoluogo del distretto in cui il danneggiato ha la residenza sembra espressione della volontà di favorire l’accesso alla tutela risarcitoria, al pari della prevista facoltà di agire davanti al tribunale senza l’assistenza di un difensore, e parrebbe indirettamente rafforzare l’interpretazione secondo cui l’azione ai sensi del comma 3 dell’art. 35 ter davanti al giudice civile è sempre promossa da un soggetto che al momento del deposito del ricorso non è detenuto177.

Attesa la natura inderogabile della competenza territoriale nei procedimenti camerali, risulterebbe infatti scarsamente comprensibile l’aver previsto la competenza territoriale del giudice del capoluogo del distretto di residenza se ad adire il giudice civile dovesse, invece, essere un soggetto che al momento dell’introduzione dell’azione risulta detenuto. Inoltre, la scelta di un modello processuale deformalizzato, estraneo al regime delle preclusioni e con spiccati poteri istruttori officiosi, la non reclamabilità del decreto decisorio, nonostante l’indubbia natura contenziosa del procedimento, e l’esplicita previsione che in caso di accoglimento della domanda il risarcimento è liquidato nella misura di 8 euro al giorno, senza possibilità per il giudice di procedere ad una diversa liquidazione del danno risarcibile,

176

Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, cit., p. 425

89 inducono a ritenere che il giudizio ex art. 35 ter, comma 3 o.p. sia limitato al solo riconoscimento del diritto alla riparazione compensativa pecuniaria conseguente alla detenzione sofferta in condizioni non conformi ai precetti dell’art. 3 CEDU. Se a ciò si aggiunge che l’azione davanti al tribunale è soggetta ad un rigido termine di decadenza, pare chiaro che il legislatore ha inteso con l’ultimo comma dell’art. 35 ter introdurre un agile strumento processuale attraverso cui l’ex detenuto possa esclusivamente dal giudice civile, nel minor tempo possibile, la somma otto euro al giorno per il periodo di detenzione patita in violazione dell’art. 3 CEDU178

. Le marcate differenze del procedimento in esame rispetto ai comuni giudizi di cognizione (l’assenza di un termine minimo per comparire, di preclusioni e di un rimedio impugnatorio di merito, solo per citarne alcune) fanno ritenere, infatti, che esso possa essere utilmente impiegato soltanto per il riconoscimento della somma prevista nell’articolo in parola, mentre qualsiasi diversa pretesa risarcitoria derivante dalla condotta illecita dell’amministrazione pubblica (si pensi ad esempio al caso in cui dal periodo di detenzione in condizioni contrarie alla Convenzione sia derivato un danno alla salute) debba necessariamente costituire oggetto di un giudizio di cognizione. Non si ravvisano, invece, ostacoli a che il danneggiato possa far valere nel medesimo giudizio di cognizione nel quale aziona il diritto al risarcimento di ulteriori danni subiti per la violazione dell’art. 3 CEDU anche il diritto al pagamento della somma compensativa prevista dall’art. 35 ter (sempre che in relazione a quest’ultima pretesa risulti rispettato il termine semestrale di decadenza, se al momento di introdurre la causa l’attore si trova in libertà)179

.

178

Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, cit., p. 426

90

3.1. L’istruttoria

La sussistenza del pregiudizio costituisce oggetto del thema

probandum e l’accertamento dei suoi fatti integrativi è demandata

all’esercizio dei poteri istruttori di cui il giudice di sorveglianza dispone ai sensi dell’art. 666, comma 5 c.p.c.

Ferma restando la facoltà dell’interessato di produrre i documenti che ritiene utili ai fini della decisione, va rilevato che, in concreto, l’istruttoria consiste nell’acquisizione da parte delle direzioni degli istituti di pena nei quali il detenuto è stato ristretto, di una relazione descrittiva delle condizioni materiali nelle quali si è svolta la detenzione180.

Viene pertanto richiesto alle direzioni interessate di riferire in merito: a) alla superficie complessiva della cella, con la specifica indicazione della superficie del bagno e dello spazio occupato dai mobili, il numero degli altri soggetti ivi ristretti e conseguentemente lo spazio residuo per il detenuto reclamante;

b) alle caratteristiche della cella (areazione, illuminazione, presenza di servizi igienici, modalità di fruizione degli stessi e dell’acqua calda); c) alle ore che il detenuto può trascorrere fuori dalla cella;

d) alle attività tratta mentali alle quali il detenuto ha partecipato o alle quali è stato messo in condizione di partecipare.

Di fatto la decisione viene adottata dal magistrato di sorveglianza investito del reclamo sulla scorta degli elementi desumibili dalle relazioni trasmesse dai penitenziari nei quali il detenuto è stato ristretto. L’istruttoria risulterà tanto più complessa quanto più è stata lunga la carcerazione del detenuto (con conseguente oggettiva difficoltà per le direzioni interpellate di trasmettere la documentazione richiesta) e tanto maggiore è stato il numero degli istituti di pena nei quali l’interessato è stato ristretto.

91 L’esperienza dimostra infatti che spesso le direzioni non sono in grado di fornire le informazioni richieste per la data fissata per l’udienza, o, addirittura, in alcuni casi, relativi a detenzioni risalenti nel tempo, non sono in grado di reperire i dati e gli elementi necessari ai fini della decisione e adeguati riferimenti esterni sotto il profilo abitativo, familiare e lavorativo perché ad esempio l’istituto di pena è stato dismesso oppure perché la decisione non è più rintracciabile181.

Poiché la decisione in merito alla fondatezza del reclamo viene di norma adottata sulla scorta delle informazioni trasmesse dall’amministrazione, si potrebbe affermare che su quest’ultima, che nel reclamo ex art. 35 ter o.p. assume la veste processuale di convenuto, grava l’onere di dimostrare l’insussistenza dei fatti costitutivi della violazione dell’art. 3 della Convenzione. D’altra parte dall’accertamento della sussistenza della violazione della norma convenzionale discende la prova del danno (non patrimoniale) che tale violazione ha cagionato al detenuto reclamante.

Deve tuttavia ritenersi che il detenuto abbia il diritto di contestare quanto dedotto dall’amministrazione, salvo che si ritenga di attribuire alle relazioni trasmesse dalle direzioni degli istituti di pena interessate una efficacia probatoria vincolante per il giudice. Soluzione quest’ultima che sembra essere accolta dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, secondo cui “per quel che riguarda i dati forniti dall’amministrazione e relativi alla misurazione degli spazi, si osserva che tali informazioni, che provengono dall’amministrazione pubblica, devono ritenersi attendibili, salvo querela di falso, nella fattispecie non proposta”182

. Il detenuto potrebbe, per esempio, dedurre che quanto affermato dall’amministrazione penitenziaria circa la superficie della cella non risponde al vero in quanto la cella da lui occupata presenta dimensioni inferiori rispetto a quelle indicate da nella documentazione trasmessa dall’amministrazione. In casi di questo genere occorre

181

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 141

92 procedere alla puntuale misurazione della cella, operazione alla quale può direttamente provvedere il giudice accedendo alla cella ed effettuando un ispezione le cui risultanze dovranno esser contenute in apposito verbale; ovvero avvalendosi di un perito (o consulente tecnico). La perizia (o la consulenza) non costituisce soltanto uno strumento di valutazione tecnica di fatti già accertati, ma anche uno strumento di accertamento e di ricostruzione dei fatti prospettati dalle parti, suscettibili di essere rilevati unicamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche183.

In altri casi potrebbe essere assai difficile, se non addirittura impossibile risolvere il contrasto tra quanto dedotto dalle parti: si pensi al caso in cui, ad esempio, il detenuto sostenga che il numero delle persone ristrette nella cella è stato superiore a quello indicato dall’amministrazione, ovvero nel caso in cui il detenuto affermi di essere stato assegnato ad una cella nella quale, per alcuni periodi (magari lontani rispetto alla trattazione del procedimento) erano presenti ratti e insetti. Resterebbe in da comprendere, in ogni caso, attraverso quali mezzi di prova il giudice possa accertare l’effettiva sussistenza dei fatti allegati e oggetto di contestazione.

Non si può escludere che in alcune circostanze suscettibili di assumere rilievo ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 3 CEDU quali, per esempio, le condizioni igienico sanitarie delle celle, dei locali dove sono ubicate le docce o delle cucine, possano essere accertate mediante i verbali dei sopraluoghi effettuati dalla A.S.L. competente per territorio eventualmente prodotti in giudizio dal detenuto184.

Altra questione controversa riguarda l’applicazione del principio della non contestazione. E’ dubbio, infatti, se la mancata trasmissione da parte della direzione dell’istituto di pena delle informazioni richieste possa essere considerata dal giudice come una condotta idonea ad

183

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 142

93 integrare la non contestazione dei fatti allegati dal detenuto, fatti che pertanto dovrebbero ritenersi provati con il conseguente accoglimento, eventualmente parziale, del reclamo. D’altra parte l’amministrazione penitenziaria, unica parte processuale che dispone degli elementi necessari per consentire al giudice di decidere in merito alla fondatezza del reclamo, attraverso tale condotta omissiva, cioè non provvedendo a trasmettere le informazioni richieste, potrebbe procrastinare sine die la definizione del procedimento185.

Le decisioni che in applicazione del principio della non contestazione hanno ritenuto, in caso di mancata trasmissione da parte dell’amministrazione delle informazioni richieste, come dimostrati i fatti allegati dal detenuto-reclamante, non sono state condivise dall’Amministrazione penitenziaria. Possiamo segnalare in proposito come il Provveditorato regionale per la Toscana abbia impugnato tale tipo di decisioni, evidenziando che, seguendo questa impostazione si correrebbe il rischio di intervenire sulla durata della pena in assenza dei presupposti di legge, stante “la possibilità che i detenuti possano ottenere uno sconto di pena anche se non è assolutamente certo che abbiano avuto a disposizione uno spazio individuale inferiore a tre metri quadrati. Proprio la natura risarcitoria dell’istituto rende necessario l’accertamento del danno o della situazione dalla quale si presume la sua esistenza, potendo benissimo il detenuto dichiarare il falso giustificandosi solo con la difficoltà a ricordare, non potendo viceversa fare altrettanto l’amministrazione che, se non può ricostruire con esattezza le ubicazioni del detenuto, stante la fede privilegiata di cui godono le sue dichiarazioni, non può attestarle in via approssimativa rischiando magari di dire il falso”186

.

Occorre tuttavia, in ultimo, rammentare che una significativa apertura all’operatività del principio della non contestazione pare emergere

185

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p. 143

186

Cfr. atto di reclamo dell’amministrazione avverso l’ordinanza del mag. sorv. di Firenze, n. 954 del 14 marzo 2016, Truglio.

94 anche dalla giurisprudenza della Corte EDU: nella più volte citata sentenza Torreggiani si legge infatti che “ la Corte, sensibile alla particolare vulnerabilità della persone che si trovano sotto il controllo dello Stato, quali persone detenute, ribadisce che la procedura prevista dalla Convenzione non si presta sempre ad un’applicazione rigorosa del principio affermanti incubit probatio (…), in quanto, inevitabilmente, il Governo convenuto è talvolta l’unico ad avere accesso alle informazioni che possono confermare o infirmare le affermazioni del ricorrente”187

, cosicché in caso di atteggiamento passivo dell’amministrazione resistente “la Corte esaminerà la questione delle condizioni detentive dei ricorrenti sulla base delle affermazioni degli interessati e alla luce di tutte quante le informazioni in suo possesso”188

.

187

Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit. , § 72

95