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L’ISTITUTO DISCIPLINATO DALL’ART 35 TER

5. I criteri di calcolo dello spazio detentivo minimo

Una volta stabilito che la disponibilità di spazio individuale inferiore ai tre metri quadrati integra la violazione dell’art. 3 della Convenzione, si pone il problema dei criteri da utilizzare per determinare tale superficie minima inderogabile.

In concreto si tratta di stabilire la rilevanza della superficie del bagno e quella dello spazio occupato dai mobili e dagli arredi che sono presenti nella cella.

Occorre preliminarmente rammentare che nessuna norma della legge penitenziaria e del relativo regolamento stabilisce in modo preciso e puntuale quale deve essere la superficie minima della cella, né sono rintracciabili nella normativa che disciplina questa materia indicazioni circa il numero dei metri quadrati di cui ciascun detenuto ha diritto di fruire.

L’art. 6, comma 1 o.p. dispone che i locali di soggiorno e di pernottamento devono «essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; areati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale». Debbono, inoltre, essere approntati pulsanti per il funzionamento di apparecchi radio e televisivi, utilizzabili sia all’interno dai detenuti, che dall’esterno dal personale di polizia penitenziaria.

La norma in esame non contiene dunque alcun “parametro metrico” in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti né delle celle di pernottamento132.

L’art. 7 del regolamento n. 230/2000 dispone, a sua volta, che «i servizi igienici sono collocati in un vano annesso alla camera. I vani in cui sono collocati i servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, sono dotati di lavabo, di doccia e, in particolare negli istituti o

64 sezioni femminili, anche di bidet, per le esigenze igieniche dei detenuti e internati. Servizi igienici, lavabi e docce in numero adeguato devono essere, inoltre, collocati nelle adiacenze dei locali e delle aree si svolgono attività in comune».

Tale vuoto normativo ha portato, col tempo, dottrina e giurisprudenza a dar vita a differenti orientamenti interpretativi.

Secondo la circolare dell’Amministrazione penitenziaria, emessa nel dicembre 2014, lo spazio detentivo minimo deve essere determinato sulla base della base della superficie disponibile lorda del mobilio presente nella camera di pernottamento, tenendo conto dell’area del bagno. In questo senso, anche la Corte EDU nella sentenza Tellissi133ha incluso nella determinazione dello spazio minimo la superficie del bagno.

Parzialmente differente il criterio desumibile dalla già richiamata sentenza Sulejmanovic134, secondo la quale occorre tener conto della superficie della cella al lordo dello spazio occupato dai mobili escludendo, tuttavia, dal computo la superficie del servizio igienico annesso alla camera di detenzione.

Altro metodo ancora è quello adottato dalla magistratura di sorveglianza veneta, secondo il quale l’area minima di tre metri, deve essere misurata al netto del mobilio e senza tener conto della superficie del bagno135.

La questione si è posta in quanto il giudice di Venezia, interpretando l’art. 6 o.p. “alla luce” delle acquisizioni della giurisprudenza europea, non soltanto impartisce all’Amministrazione penitenziaria l’ordine - ex art. 69, comma 5 o.p. – di allocare il detenuto reclamante in una camera dove sia disponibile uno spazio pro capite di almeno tre metri quadri, ma ha precisato che tale area debba essere “calpestabile”, cioè

133Cfr. Corte EDU, 5 marzo 2013, Tellisi c. Italia, ric. n. 15434/11, reperibile in

www.echr.coe.int

134

Cfr. Corte EDU, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, cit.

65 calcolata al netto dell’area ricoperta dal mobilio. Inoltre il giudice ha mostrato, implicitamente di non tenere conto della superficie del bagno, annesso al locale di pernottamento, ai fini del calcolo in esame. E’ proprio il punto concernente i criteri in base ai quali andrebbero calcolati i tre metri a suscitare dubbi e interrogativi136. Il magistrato veneziano scomputa dallo spazio vivibile quello occupato dal mobilio ed in tale ottica ordina all’amministrazione di garantire all’interessato 3 mq di superficie “netta fruibile”.

Sul punto però, neanche dai provvedimenti della Corte EDU emerge un’univoca indicazione.

Infatti, quanto alle pronunce riguardanti il nostro Paese, sia in quelle più risalenti, sia in quelle più recenti, il calcolo dello spazio a disposizione dei ricorrenti è stato effettuato dividendo la superficie della cella per il numero dei suoi occupanti, dunque senza attribuire alcun rilievo negativo alla ovvia presenza di mobilio.

Al contrario, nella sentenza-pilota richiamata dal magistrato veneziano, la Corte EDU riferendosi ad una superficie di 3 mq, afferma che “questo spazio era peraltro ancora ridotto dalla presenza di mobilia nelle celle”137

.

In altri arresti, non concernenti il nostro Paese, si afferma che dallo spazio personale deve essere detratto l’ingombro degli arredi138

e, in altri ancora, al criterio dei 3 mq viene affiancato il requisito per cui “la superficie complessiva della cella deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra gli arredi”139

.

Infine, va dato conto del criterio che propone di verificare il rispetto dello spazio detentivo minimo distinguendo tra lo spazio occupato dagli “arredi fissi” (armadio), che deve essere scomputato, e quello

136Cfr. A. Albano e F. Picozzi, Considerazioni sui criteri di calcolo dello spazio detentivo minimo, in Cassazione Penale, n. 07/08 2014, p. 2677

137Cfr. Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, cit. , § 75

138Cfr. Corte EDU, sent. 26 novembre 2013, Cojoaca c. Romania, n. 19548/04, § 33,

reperibile in www.echr.coe.int

139

Cfr. Corte EDU, 12 gennaio 2012, Ananyev e altri c. Russia, cit., §§ 145, 146, 147, 148

66 occupato dai letti e dagli “arredi rimuovibili” che, viceversa, non deve essere dedotto dalla superficie della cella140.

Tanto premesso la soluzione preferibile sembrerebbe, per alcuni, quella che ai fini della determinazione dello spazio detentivo minimo, da un lato, esclude la rilevanza del bagno annesso alla camera di detenzione e ciò in ragione della “funzione naturale” del locale destinato a servizio igienico, e dall’altro, considera la superficie della camera di detenzione al lordo dello spazio occupato dai mobili e dagli arredi141.

Ed infatti come osservato in giurisprudenza “nelle sentenze Tellisi e Sulejmanovic il calcolo dello spazio è stato effettuato dividendo la superficie della cella per il numero dei suoi occupanti, senza attribuire rilievo negativo alla presenza di mobili nella cella. Si osserva comunque che gli arredi, nel loro ingombro minimo ragionevole, sono comunque oggetti funzionali a garantire una detenzione umana.

Peggio sarebbe se la cella non contenesse sgabelli, tavoli o armadietti, così che il detenuto non avrebbe dove sedersi e trascorrere il tempo, atteso che la camera detentiva è utilizzata per lo svolgimento della vita quotidiana e non deve essere quindi uno spazio vuoto, non arredato o arredato solo in parte, poiché davvero in tal caso la detenzione sarebbe disumana e degradante, non offrendosi al detenuto i minimi supporti per una vita dignitosa in un ambiente destinato al pernottamento e a trascorrere parte della giornata e quindi in quanto tale completo di arredamento congruo e funzionale proprio a garantire l’umanità della detenzione”142

.

Sul punto è di recente intervenuta la Corte di Cassazione che ha affermato il principio secondo cui, lo spazio intramurario minimo di tre metri quadrati deve essere computato al netto delle superfici occupate

140Cfr. Cass. Pen., sez. I, Borelli, n. 3202 del 18 novembre 2015, reperibile in

www.cortedicassazione.it

141

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p.102

67 dal letto e dagli altri arredi e mobili presenti nella camera di detenzione143. Nella pronuncia in questione la Corte non condivide né le modalità di calcolo, né la motivazione che correda l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia, il quale sottolineava che il reclamante aveva avuto a disposizione, in due periodi diversi, 4,64 e 3,75 mq. Il giudice di secondo grado precisava che dal computo della superficie utile era stato escluso lo spazio dedicato al bagno e ai mobili che costituivano un ingombro nella cella. Al contrario, non era stata sottratta l’area del letto, considerato non idoneo a limitare lo spazio vitale, e ritenuto un’utile “superficie di appoggio”, funzionale allo svolgimento delle attività prevalentemente sedentarie che impegnano i detenuti in cella.

La Cassazione, tuttavia, non condivide tale modalità di calcolo, né la motivazione che la correda. Richiamando la sentenza Torreggiani, i giudici di legittimità sottolineano come la Corte EDU non avrebbe calcolato la metratura netta solo perché sarebbe stato inutile, in quanto la superficie lorda già coincideva con la soglia minima indicata dalla giurisprudenza convenzionale. Pertanto – proseguono i giudici – la superficie a cui si applicano i parametri minimi individuati dalla Corte EDU deve essere intesa come “spazio utile al fine di garantire il ‘movimento’ del soggetto recluso nello spazio detentivo, il che esclude di poter inglobare nel computo gli arredi fissi, in ragione dell’ingombro che ne deriva”144

.

Da ciò la necessità dei giudici di affermare il seguente principio: “per

spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non

143

Cfr. Cass. Pen., sez. I, sent. 9 settembre 2016, n. 52819, Pres. Vecchio, reperibile in www.cortedicassazione.it

68

solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi, ma anche quello occupato dal letto”145.

Ecco allora il punto veramente innovativo della pronuncia: i giudici italiani ritengono che il letto non possa essere considerato come una superficie utile allo svolgimento delle attività sedentarie del detenuto (come il riposo o il semplice appoggiare alcuni oggetti), ma che costituisca, al contrario, una limitazione della possibilità di muoversi. La conclusione della Cassazione è quindi nel senso dell’annullamento con rinvio al Tribunale di sorveglianza competente in quanto la valutazione della sussistenza di un trattamento inumano e degradante a causa del sovraffollamento è stata fondata su un criterio di calcolo della metratura erroneo146.

Tale soluzione sembra essere destinata ad essere rimessa in discussione alla luce della più recente giurisprudenza della Corte europea.

I giudici di Strasburgo, infatti, con sentenza dello scorso ottobre hanno affermato il principio secondo cui: “la superficie totale della cella non deve comprendere quella dei sanitari. Al contrario, il calcolo della superficie disponibile della cella deve includere lo spazio occupato dai mobili. L’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella”147

.

A prescindere da come verrà risolto il contrasto che sembra profilarsi tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e quello della Corte EDU, appare fin d’ora possibile affermare che, alla luce delle decisioni sopra richiamate, sembra destinato ad essere superato l’orientamento intermedio secondo il quale lo spazio detentivo minimo di tre metri

145Cfr. Cass. Pen., sez. I, 9 settembre 2016, cit., § 3.8 146

Cfr. M. Mariotti, Ancora sul sovraffollamento carcerario: nel calcolo della

superficie della cella è compreso lo spazio del letto? La Cassazione interpreta la giurisprudenza di Strasburgo in modo particolarmente favorevole ai detenuti,

reperibile in www.penalecontemporaneo.it , visitato il 30 marzo 2017

147

Cfr. Corte Edu, Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia, ric. n. 7334/13, § 114, reperibile in www.echr.coe.int

69 quadrati deve essere calcolato escludendo soltanto la superficie occupata dai c.d. “arredi fissi”148

.

A fronte di un quadro tanto complesso, è evidente che la modalità di calcolo della superficie a disposizione gioca un ruolo centrale: includere o escludere lo spazio occupato dai servizi igienici, dagli armadi e dal letto può determinare un diverso tipo di presunzione; può fondare o escludere la violazione dell’art. 3 CEDU. Evidenti sono poi le conseguenze in punto di risarcimenti che possono essere chiesti all’autorità statale, nonché le ricadute pratiche sul problema dell’edilizia carceraria149

.

148

Cfr. L. Degl' Innocenti e F. Faldi, Il rimedio risarcitorio ex art.35 ter, cit., p.103

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CAPITOLO V