• Non ci sono risultati.

L’AZIONE RIPARATORIA

2. Le tipologie di rimed

Si è già avuto modo di accennare al fatto che, per come strutturata, la disposizione in commento sembra inequivocabilmente esprimere la volontà del legislatore di concepire come prioritaria la modalità di risarcimento per riduzione di pena da parte del magistrato di sorveglianza (se il danneggiato è detenuto sia al momento della proposizione della domanda di tutela compensativa, sia al momento della decisione) e soltanto in via aggiuntiva o sussidiaria quella pecuniaria (da parte dello stesso magistrato di sorveglianza ovvero da parte del giudice civile se il danneggiato non è più ristretto nel momento in cui invoca la tutela compensativa), senza che lo stesso interessato abbia alcun potere di scelta al riguardo.

In dottrina si è ritenuto opportuno suddividere i casi in cui si deve far ricorso al ristoro economico, da solo o congiuntamente a quello “riduttivo”, in cinque tipi167

. Per comodità e chiarezza espositiva conviene distinguere due gruppi, a seconda che il risarcimento in denaro sia esclusivo o congiunto, e, all’interno di essi, le situazioni disciplinate dalla legge e quelle che vanno risolte in via interpretativa. Appartengono al primo gruppo tre fattispecie:

A) anzitutto, è previsto il solo risarcimento economico quando il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 CEDU «sia stato inferiore ai quindici giorni». Così statuisce espressamente il comma 2, per altro non perfettamente in linea con il primo, che esclude il rimedio della riduzione di pena quando il pregiudizio si protrae «per un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni». A causa di una delle tante sbavature tecniche della norma il trattamento inumano della durata di quindici giorni sarebbe suscettibile solo di riparazione pecuniaria, in base al comma 1, mentre sarebbe risarcibile con un giorno di riduzione di pena e quaranta euro,

167Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, p. 419

82 in base al comma 2. Soluzione quest’ultima, forse da preferire perché viene indicata laddove la norma si occupa espressamente della fattispecie in questione.

B) L’altro caso di rimedio compensativo soltanto di tipo economico è quello previsto per coloro che hanno subito il pregiudizio «in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere». Qualche incertezza potrebbe derivare all’interprete dalla locuzione «non computabile». Teoricamente, la custodia cautelare è sempre computabile in una futura pena da eseguire, se questa riguarda un reato commesso anteriormente alla custodia sofferta. Così ragionando, il disposto normativo resterebbe inoperante. La locuzione «non computabile» deve quindi essere letta, in linea col favor legislativo per la riduzione di pena, nel senso di «non computabile al momento della decisione»168.

C) Se si ritiene, come sopra convenuto, che anche l’internato abbia diritto ad essere risarcito per il trattamento disumano patito nel corso dell’esecuzione di una misura di sicurezza detentiva, resta da stabilire con quale forma riparatoria ciò debba avvenire. Essendo la misura di sicurezza, al pari della custodia cautelare, indeterminabile nella durata, non è possibile un rimedio “riduttivo”. Salvo dunque che la misura di sicurezza detentiva sofferta non sia computabile, come accade per la custodia cautelare. Nella determinazione della pena, l’unica forma di ristoro per il pregiudizio patito durante la sua applicazione deve ritenersi di carattere monetario. D’altra parte, il legislatore ha previsto la medesima soluzione per l’inumano trattamento subito durante la custodia cautelare in carcere, che con la misura di sicurezza detentiva condivide, appunto, il carattere indeterminato della durata.

168Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, p. 419

83 Il concorso del rimedio in forma specifica con quello pecuniario si ha, invece, in due casi169:

A) la norma lo prevede esplicitamente al comma 2, quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire l’intera detrazione che gli spetterebbe a titolo risarcitorio (ad esempio al detenuto restano da scontare cento giorni di pena, mentre avrebbe diritto ad una detrazione di centoventi giorni). In tal caso, per il periodo di detrazione eccedente, il magistrato liquida una somma di otto euro moltiplicata per il numero dei giorni di cui consta tale periodo (nell’esempio precedente, il detenuto andrebbe liberato e gli dovrebbe essere liquidata una somma pari a centosessanta euro, essendo di venti giorni il periodo eccedente);

B) la norma non prevede, invece, come il magistrato di sorveglianza debba regolarsi nel caso in cui il periodo di pena ancora da espiare è in grado si, di contenere la detrazione risarcitoria, ma questa sia superiore ad un multiplo di dieci (ad esempio al detenuto restano da scontare cento giorni di pena e ha subito una detenzione contraria all’art. 3 CEDU per trentasei giorni).

Si deve ritenere che in tal caso vada operata la riduzione di pena massima consentita e liquidata una somma per il numero di giorni eccedenti il multiplo (nell’esempio precedente, la pena va ridotta di tre giorni, per trenta dei giorni di trattamento inumano, e deve essere liquidata una somma di quarantotto euro per i restanti sei ). Questa soluzione espressamente prevista, sembrerebbe essere l’unica sistematicamente plausibile, non potendosi né disporre riduzioni di pena per frazioni di giorno, né lasciare senza risarcimento giorni di trattamento inumano soltanto perché non raggiungono il numero di dieci che consentirebbe di ridurre un giorno di pena. D’altra parte se il periodo di trattamento detentivo inumano è inferiore a quindici giorni è previsto un risarcimento economico (comma 2), che va altresì disposto

169Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, p. 420

84 per i giorni di detrazione eccedenti quelli ancora da espiare (comma 3): non sarebbe costituzionalmente ammissibile una soluzione diversa per la situazione de qua170.

La legge, infine, non specifica se al rimedio “riduttivo” si possa far ricorso anche per risarcire un regime detentivo inumano sofferto per un titolo diverso da quello in esecuzione. L’assenza di qualunque ostacolo testuale e il favor legislativo per il rimedio compensativo che incide sulla durata della pena fanno propendere per la soluzione affermativa. Il condannato può dunque scomputare dalla pena che sta espiando un decimo della durata del trattamento disumano sofferto durante la detenzione per un reato diverso, a titolo di custodia cautelare, di misura di sicurezza o di esecuzione di pena. Si deve ritenere tuttavia, che una tale possibilità di scomputo, in analogia con quanto previsto dall’art. 657, comma 4 c.p.p., soltanto a condizione che il trattamento lesivo dell’art. 3 CEDU sia stato patito «dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire». Infatti, la ratio della richiamata norma, cioè quella di evitare che l’istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a commettere reati, dovrebbe estendersi in linea di principio anche alla materia de qua171.

170

Cfr. G. Giostra, Sub art. 35 ter, p. 420

85