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Il riconoscimento dei diritti sociali agli stranieri: modelli di integrazione e impatto della crisi

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni

Classe LM – 63

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

Tesi di Laurea in

Costituzione economica e Stato Sociale

Il riconoscimento dei diritti sociali agli stranieri: modelli di

integrazione e impatto della crisi

Relatrice

Chiar.ma Prof.ssa Elettra Stradella

Candidata

Antonella Barletta

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Indice

Parte prima

I DIRITTI NEGLI ORDINAMENTI

CAPITOLO I

DAI “DIRITTI FONDAMENTALI” AI DIRITTI SOCIALI...1

1. Premessa...1

2. L'evoluzione dei diritti...2

3. I livelli di proclamazione dei diritti...8

3.1 La tutela nazionale dei diritti fondamentali ...8

3.2 La tutela internazionale dei diritti fondamentali ...15

3.3 La tutela nazionale dei diritti sociali...20

3.4 La tutela internazionale dei diritti sociali...29

CAPITOLO II I DIRITTI AL TEMPO DEL MULTICULTURALISMO...35

1. Verso il multiculturalismo...35

2. Multiculturalismo e integrazione...41

2.1 I diritti nel sistema di integrazione...42

2.1.1 L'ordinamento italiano alla prova del multiculturalismo...44

3. L'integrazione degli stranieri...47

Parte seconda

IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI SOCIALI AGLI STRANIERI

CAPITOLO III IMMIGRAZIONE E DIRITTI SOCIALI...52

1. Premessa...52

2. Diritti, tra accoglienza e respingimento...57

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3.1 La tutela del diritto al lavoro...65

3.1.2 La tutela del diritto all'assistenza ed alla previdenza sociale...69

3.2 La tutela del diritto alla salute...73

3.3 La tutela del diritto all'istruzione...79

3.4 La tutela del diritto all'abitazione...85

4. La tutela dei diritti sociali degli stranieri nel dialogo tra le Corti...91

4.1 La giurisprudenza costituzionale...91

4.2 La Corte europea dei diritti dell'uomo...94

CAPITOLO IV L'IMPATTO DELLA CRISI ECONOMICA SULLA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI ...96

1. Premessa...96

2. La crisi economica e l'impatto sui diritti sociali...98

3. L'incidenza dell'articolo 81 della Costituzione sul welfare...106

4. Il ruolo del Comitato europeo dei diritti sociali...111

5. Per “un'Europa sociale”: il Pilastro europeo dei diritti sociali...116

CONCLUSIONI...120

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Parte prima

I DIRITTI NEGLI ORDINAMENTI

“La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo si applica ai popoli di ogni Paese, quale che sia il loro retaggio culturale, perché tutti gli esseri umani hanno una comune aspirazione alla libertà, all'uguaglianza e alla dignità.”

(Tenzin Gyatso)

CAPITOLO I

DAI “DIRITTI FONDAMENTALI” AI DIRITTI SOCIALI

Sommario: 1. Premessa. - 2. L'evoluzione dei diritti. - 3. I livelli di proclamazione dei diritti. - 3.1 La tutela nazionale dei diritti fondamentali. - 3.2 La tutela internazionale dei diritti fondamentali. - 3.3 La tutela nazionale dei diritti sociali. - 3.4 La tutela internazionale dei diritti sociali.

1. Premessa

Un'analisi sulla situazione attuale del riconoscimento dei diritti della persona deve prendere le mosse da considerazioni preliminari, necessarie al fine di poter comprendere meglio come questi siano arrivati sino ad oggi e quali ostacoli sono stati affrontati nel tempo per renderli effettivi. In considerazione di ciò, la base da cui muove il presente lavoro viene ad essere anzitutto un'analisi sulle origini dei

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diritti e delle libertà, partendo dal contesto storico, sociale e politico da cui essi nascono e che li accompagna nello sviluppo e nei mutamenti necessari per la loro continua restaurazione. Questa prima, sommaria, riflessione, avrà come obiettivo quello di introdurre il lettore nella comprensione dell'obiettivo centrale del testo, ovvero, come si vedrà, il riconoscimento nell'ordinamento italiano, attraverso spunti comunitari, dei diritti sociali agli stranieri.

Lo scopo ultimo di questo primo capitolo è, di fatti, quello di inquadrare il contesto storico e, di conseguenza, giuridico in cui si sono inseriti i diritti fondamentali dapprima e, in secondo luogo, i diritti sociali. La prima parte attraverserà, mediante approccio storico, i diversi momenti che hanno portato all'identificazione dei diritti umani ed al loro inserimento nel contesto giuridico, con riferimento all'elaborazione di testi e normative, sia di livello nazionale che di livello sovranazionale, nati proprio con l'intento di riconoscere l'importanza e la portata di tali diritti e libertà. La seconda parte del presente capitolo si concentrerà, come sopra anticipato, sull'affermazione degli stessi diritti umani e sociali, nei diversi livelli di proclamazione, prendendo in analisi non solo il livello giuridico nazionale, attraverso la Costituzione italiana, la normativa che da essa deriva e le forme di tutela, ma anche il livello sovranazionale ed internazionale.

2. L'evoluzione dei diritti

Il riconoscimento, lo sviluppo e l'affermazione dei diritti dell'uomo è un argomento di grande complessità, non solo nei meccanismi dell'attuale società, in cui rileva la ritornata attualità del tema, ma nell'intero percorso storico ed evolutivo delle società moderne. La storia, infatti, riporta alla luce il carattere mutevole di detti diritti in considerazione del contesto sociale, politico ed economico in cui ci si trova a vivere. Per questo motivo, non bisogna anzitutto considerare i diritti come elementi statici, ben strutturati all'interno di un sistema o di un contesto, bensì dinamici, flessibili in considerazione dei mutamenti sociali e politici e delle differenti relazioni che questi apportano nei diversi contesti.

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A questo proposito, grande influenza nel percorso storico che ha portato allo sviluppo dei diritti fondamentali è da attribuire alle esperienze costituzionali americana e francese.

Nell'esperienza americana, attraversata, come noto, da un grande sconvolgimento sociale che ha dato origine agli Stati Uniti d'America, il punto di svolta è segnato dalla Costituzione del 1787, nella quale viene inserito un catalogo di diritti ritenuti fondamentali dal popolo, affermando una volontà di rottura con il passato. In questo contesto da rilevare è anche l'importanza affidata al giudice che diviene garante della tutela dei diritti contro qualsiasi violazione, legando il potere costituente alla rigidità costituzionale ed il riconoscimento della Costituzione come fonte primaria del diritto interno a garanzia della supremazia popolare1.

L'esperienza francese, invece, anch'essa segnata da una rivoluzione interna che ha portato al completo diniego dell'assetto istituzionale precedente, dà origine al passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale, con caratteri di democrazia rappresentativa, per cui il popolo diviene parte attiva del sistema politico.

Lo Stato diventa ora, non solo garante dei diritti fondamentali, ma anche il primo soggetto che deve riscrivere il catalogo degli stessi diritti, con la garanzia di non escludere nessun soggetto dal godimento degli stessi2. Qui la Costituzione che si

afferma diventa un atto che deve tracciare nuovi orizzonti ed un nuovo programma politico, attuati dal corpo politico e dal legislatore, che diviene garante della sovranità popolare e la rappresentanza del popolo deve, inoltre, avvenire senza distinzione di ceto. Il modello francese è quello che poi influenzerà le esperienze costituzionali dell'Europa dell'Ottocento, e in merito al riconoscimento dei diritti, è in questo contesto che si sviluppa il primo testo in materia, ovvero la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e del cittadino. In essa sono stati introdotti i “diritti fondamentali” della persona, che per la prima volta pongono al centro la libertà e la dignità umana, affermando l'idea individualistica della società, per cui lo Stato ha il compito di garantire il riconoscimento dei diritti al singolo e tutelare tutti coloro che appartengono ad una comunità politica3.

1 P. Caretti, I diritti fondamentali-Libertà e diritti sociali. Torino, Giappichelli, Terza edizione, 2011 2 P. Caretti, op. cit.

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Il problema che si è posto in essere con l'affermazione di tale Dichiarazione, alla fine del XVIII secolo riguarda i soggetti titolari dei diritti, in quanto di fatto si affermano diritti proclamati come universali, ma che sin da subito denotano come gli stessi enunciati vadano nella direzione del riconoscimento al maschio, bianco e borghese, ribadendo l'idea che anche nell'affermazione di diritti intesi come validi per tutti gli individui, in realtà sono ancora i “gruppi dominanti” a indirizzarne le sorti. Viene così a mancare il fondamento universalistico, in senso pieno e nel rispetto di tutti gli esseri umani, che si voleva attuare e che porterà nel corso del tempo a nutriti movimenti sociali che continueranno a rivendicare i propri diritti, andando oltre l'attribuzione dei diritti ad un soggetto universale che genera un modello di individuo, chiedendo a tutti gli altri di adeguarsi4. Questo problema di

inclusione di tutti i soggetti appartenenti ad una comunità al godimento dei diritti verrà poi ripreso nel corso del lavoro, nell'ottica di comprendere quanto della società settecentesca è ancora presente nell'attuale società “multiculturale”.

Questo meccanismo porta a una seconda fase che permette la protezione di questi diritti, seppur limitata agli Stati che li riconoscono5. Questa Rivoluzione rimase per

due secoli il perno per coloro che volevano lottare per la propria emancipazione e per la liberazione del proprio popolo, una vera e propria trasformazione del catalogo dei diritti, così come confermato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, nata sulla scia della Dichiarazione del Settecento, come si vedrà, soprattutto nel passaggio allo Stato democratico, dove tutti gli individui possono rivendicare le proprie libertà, ed infine, allo Stato Sociale, ove, oltre alle libertà si rivendicano anche i diritti sociali6, in quanto necessari alla dignità dell'individuo e al

suo sviluppo non solo personale, ma anche all'interno della società in cui esso svolge la sua personalità. Diritti sociali che assumeranno un ruolo all'interno del panorama politico degli Stati soprattutto nel secolo successivo alla Dichiarazione del 1789, con l'affermazione della Rivoluzione industriale e di conseguenza con la necessità di riflettere sulle prime tutele da garantire ai lavoratori.

4 L. Baccelli, In a plurality of vioces. Il genere dei diritti, tra universalismo e multiculturalismo. Il Mulino, 2004; Nel testo si evidenzia come la potenzialità delle rivendicazioni di genere, di minoranze, di chi ricopre posizioni più deboli, sia motivo di affermazione dei diritti stessi.

5 N. Bobbio, L'età dei diritti. Einaudi Editore, 1997. Prima edizione; pag. 23 6 N. Bobbio, op. cit. pag. 113

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Pian piano iniziano, però, ad innescarsi dei meccanismi di risentimento verso lo Stato, che prepara il terreno alle due guerre della prima metà del Novecento, partendo dalla considerazione che il popolo percepisce la gestione statale in senso troppo elitario e, di conseguenza, la legge non riesce più ad essere uno strumento di mediazione efficace. In questo modo si affermano, in misura sempre più ampia all'interno del continente europeo, varie tendenze totalitariste che portano pian piano alla soppressione di molte libertà democratiche, mantenendo solo come diritti fondamentali quei diritti che venivano ritenuti opportuni dal capo del Partito alla guida del Paese, in funzione del raggiungimento degli interessi generali del partito7.

Questa situazione coinvolse i Paesi europei sino al termine del secondo scontro mondiale, quando si riaccese la consapevolezza della necessità della solidarietà nazionale per la riconquista dei diritti fondamentali e della democrazia, implementando strumenti idonei a garanzia degli stessi.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, la volontà popolare era forte nell'affermare l'esigenza di rottura con i sistemi totalitari a vantaggio di un sistema democratico dove l'individuo potesse tornare a far valere i suoi bisogni anche attraverso una garanzia da parte delle istituzioni. Si determinava, inoltre, l'idea che i diritti non fossero delle condizioni rilasciate dallo Stato agli individui, ma fossero innati nei soggetti e che lo Stato doveva semplicemente preoccuparsi di riconoscerli e tutelarli, come affermato da Bobbio nei suoi scritti.

Questo processo porta all'affermazione della forma di Stato sociale, o welfare state, così come lo si intende oggi, a riprova della rottura con l'assetto istituzionale del passato. È un momento di cruciale importanza nell'analisi del riconoscimento dei diritti nel sistema nazionale ed internazionale, in considerazione del fatto che, proprio con la trasformazione della forma di stato, si è andati incontro a un necessario allargamento del novero di diritti e tutele per la popolazione, in quanto espressione naturale della stessa forma di Stato sociale, andando verso una piena legittimazione dello Stato attraverso canali più democratici e con una visione di piena inclusione del cittadino, che torna a partecipare ora attivamente alla vita sociale, politica ed economica del Paese. Lo Stato, quindi, cessa di essere entità

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separata dal corpo sociale e diviene anzitutto garante dei valori e dei diritti dei cittadini8. Ciò, come si vedrà, è quanto avviene anche in Italia, a partire dal 1946

con l'avvento della Repubblica, e in particolare dal 1948, anno in cui entra in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, da allora Legge fondamentale dello Stato, che aprirà le porte all'affermazione dei diritti fondamentali ed ai diritti sociali.

In questo senso, la definizione di diritto fondamentale riconduce all'idea di fondamentalità dello stesso, quindi un valore senza il quale all'individuo mancherebbe un elemento importante per una sostenere l'esistenza di una vita dignitosa e per questo motivo, le istituzioni devono tenerne conto in ogni scenario possibile, attuando norme e politiche che non ledano il loro aspetto paritario all'interno di una società.

Il loro carattere fondamentale, nei sistemi istituzionali è riconoscibile dalla funzione che ad essi è attribuita, ovvero una funzione effettiva nella società politica e nell'ordinamento giuridico, dotati di dinamicità e che implica appartenenza e rilevanza ed aiuta nella comprensione delle differenze con i diritti umani. Questi ultimi, infatti, godono del principio di universalità e possono essere riconosciuti nella loro condizione di astrattezza, elementi questi non direttamente riconducibili ai diritti fondamentali, per i quali non può essere valido il solo riconoscimento astratto ma serve concretezza e strategie politiche tali da imporre una responsabilità istituzionale e non godono del principio di universalità9.

Per ciò che attiene più strettamente ai diritti umani, secondo una definizione di Norberto Bobbio, quando ci riferiamo a un diritto umano dobbiamo pensare che la storia insegna come questo possa cambiare in base al contesto nel quale si vive e alla società, da cui si ricava la condizione relativa di questi diritti generata dalla pluralità, nel senso che ogni contesto storico porta con sé delle differenze che modificano l'idea stessa di fondamentalità, quindi non si dovrebbe parlare di fondamento del diritto ma di fondamenti data l'eterogeneità della classe dei diritti e delle libertà. Dall'idea della ricerca di questi fondamenti, con l'avvento dello Stato sociale, si concretizzano gli strumenti necessari a rendere tali diritti effettivi, in

8 P. Caretti, op. cit.

9 G. Palombella, La tutela dei diritti, la discriminazione, l'uguaglianza. Dai diritti umani ai diritti

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senso universalistico, lavorando dapprima sui cosiddetti “diritti di prima generazione”, ovvero le libertà fondamentali dell'uomo, ed in secondo luogo su una “nuova” categoria di diritti, ovvero i diritti sociali, o “diritti di seconda generazione”, tra i principali appunto il diritto alla salute o all'istruzione, spesso considerati in situazione di minorità rispetto ai primi.

Il motivo dei ritardi nella lavorazione dei secondi viene spesso ricondotto all'idea della difficoltà degli Stati nazionali di provvedere soprattutto agli strumenti che lo Stato stesso deve garantire per rendere effettiva la loro attuazione. Infatti, i diritti sociali vengono considerati “diritti che costano” dato che la loro attuazione è ritenuta possibile solo attraverso una serie di servizi e prestazioni di competenza dello Stato, e quindi rimessi alla discrezionalità del legislatore. Queste differenze individuate tra le due categorie ha ricondotto, nel tempo, all'affermazione che i diritti sociali vivono una condizione di minorità, ma ad oggi tale “pregiudizio” è sconfessato dalla dimostrazione che:

• molti diritti sociali si traducono nella pretesa di astensione dei pubblici poteri, quali ad esempio nel diritto alla salute, la possibilità di scegliere di non essere curati.

• molti diritti sociali sono fruibili come immediata conseguenza della loro inclusione nelle disposizioni costituzionali.

• non sono solo i diritti sociali a sostanziarsi in pretese ad una prestazione/erogazione, connotandosi per tale motivo come diritti che costano.

• anche i diritti sociali sono giustiziabili dinanzi alla Corte costituzionale10.

10 C. Salazar, I diritti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, pag. 168; in P. Costanzo e S. Mordeglia, Diritti sociali e servizio sociale. Dalla dimensione nazionale a quella comunitaria. Milano, Giuffrè Editore, 2005.

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3. I livelli di proclamazione dei diritti

Concluso il percorso storico ed introduttivo al lavoro, per rendere concreta l'effettività di un diritto e attivare strumenti di tutela in tal senso, occorre partire dal loro inserimento all'interno dell'ordinamento, che in un mondo interconnesso come quello in cui ci si trova a vivere nelle società odierne, non attiene più solo al livello nazionale, bensì anche al livello sovranazionale ed internazionale.

3.1 La tutela nazionale dei diritti fondamentali

La fonte del diritto da cui parte l'analisi all'interno del presente elaborato è di origine nazionale. La disciplina dei diritti di libertà diventa, infatti, uno degli aspetti fortemente caratterizzanti la nuova forma di Stato venutasi a creare nel secondo dopoguerra. In Italia si è lavorato tanto già dagli atti preparatori alla nuova Carta costituzionale introdotta nel 1948 in materia di diritti, in particolare attraverso il canale del pieno riconoscimento delle libertà individuali, sia in merito alla loro tutela sia per ciò che attiene alle limitazioni, attribuendo pieni poteri in tal senso alla Corte costituzionale. Con il D. Lgs 151/194411 ci si pose nuovamente anche il

problema della riviviscenza dei principi di eguaglianza e di libertà del periodo liberale. La giurisprudenza del tempo ritenne quei diritti come restaurati e così si iniziò ad adottare atti per concretizzare il ripristino delle libertà e gli strumenti di garanzia, come le limitazioni dei poteri di polizia, l'abrogazione delle leggi antisemite fino alla concessione del diritto di voto alle donne.

Durante il corso dei lavori preparatori per la nuova Costituzione repubblicana, i diritti inviolabili vengono visti come elemento fondante il nuovo Stato democratico, dotato di una “priorità concettuale e temporale” rispetto ai principi costituzionali relativi all'organizzazione stessa dello Stato e posti tra la dichiarazione che l'Italia è una Repubblica democratica e il principio di uguaglianza.

11 Decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944; “Assemblea per la nuova Costituzione dello Stato, giuramenti dei membri del Governo e facoltà del Governo di emanare norme giuridiche”, in

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In questo senso, l'Assemblea Costituente fa propria l'idea che i diritti inviolabili siano posti in condizione di anteriorità rispetto allo Stato, che siano in condizione di parità rispetto ai diritti sociali, idea espressa nella sintesi concettuale di “persona”, che rende l'idea di libertà spirituale e pluralismo sociale ed infine, i Costituenti hanno generato un collegamento diretto tra la libertà umana e la democrazia, presupponendo che i diritti inviolabili costituiscano la base logica di un ordinamento ispirato dai principi della democrazia pluralistica12.

All'interno della Costituzione italiana, quindi, i diritti inviolabili dell'uomo vengono inseriti tra i principi basilari concernente la nuova forma di Stato, definendoli in modo chiaro come elementi fondanti il nuovo assetto statale, per cui, tra l'altro, i principi cardine dell'ordinamento non possono essere modificati, dando così un'effettiva protezione al carattere universalistico dell'affermazione dei diritti all'interno del nuovo Stato democratico italiano.

All'articolo 1 della Costituzione, infatti, si riconosce il principio di sovranità popolare come garanzia per l'attribuzione dell'esercizio delle funzioni statali affidato a un unico soggetto, ovvero il popolo. Il dettato costituzionale appena menzionato diviene di fondamentale importanza anzitutto perché rimette nelle mani dei cittadini un potere di vigilanza verso le funzioni esercitate dagli apparati statali e di conseguenza, ai fini della presente analisi, in considerazione del fatto che da esso lo Stato cessa di essere un'entità separata dal contesto sociale, ma diviene esso stesso garante dei valori indirizzati ai cittadini e, ancor più in generale, a qualsiasi persona. Con la norma in questione lo Stato, in quanto soggetto politico, rimette nella volontà popolare il giudizio del suo operato. La Repubblica, quindi, si pone come primo obiettivo la garanzia e il rispetto della volontà popolare ed assume una funzione di garante ultimo nei confronti dei cittadini, che possono far valere così i propri diritti e, inoltre, diventa il primo responsabile del rispetto degli obblighi contenuti all'interno della Carta costituzionale, rimettendo in capo alla Costituzione stessa anche gli adempimenti del cittadino.

Il primo riferimento in merito lo si riscontra già all'interno dell'articolo 2 della Costituzione, per cui il contenuto del suddetto articolo fa espresso riferimento al

12 A. Baldassarre, Diritti della persona e valori costituzionali. Giappichelli Editore, Torino, 1997; pagg. 28-29

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riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, sia per ciò che attiene alla sua sfera personale, sia in merito alle formazioni sociali, connotando la volontà di superare la concezione puramente individualistica, ove lo stesso individuo intende svolgere la propria personalità. In questo senso occorre sottolineare come viene riconosciuta l'importanza dell'ambito sociale in cui l'individuo si muove e manifesta le proprie volontà, perché è proprio nella società che si cessa di essere un singolo e si cercano gli elementi di appartenenza, che vanno poi a formare una comunità nel quale ci si riconosce. La seconda parte del sopra citato articolo si riferisce, invece, agli obblighi rivolti al cittadino, rinvenuti nei doveri di solidarietà politica, ma anche economica e sociale. L'elemento più rilevante di questo dettato costituzionale, ai fini di individuare i soggetti meritevoli del riconoscimento dei diritti fondamentali, sta nella portata universale dell'articolo in questione. Di fatti, non si parla di cittadini, bensì semplicemente di individui, quindi di persona in quanto tale, ai quali sono riconosciuti una serie di diritti inviolabili, a cui lo Stato deve attenersi e per il quale deve lavorare al fine di non escludere nessuno dal godimento del diritto. Da ciò si evince come la volontà del Costituente fosse direzionata verso un pieno riconoscimento dei diritti fondamentali non solo direttamente ed esclusivamente ai cittadini, ma all'individuo in quanto tale. Tale affermazione nasce anche dalla passata esperienza bellica, che smantellò il sistema di protezione dei diritti verso il cittadino e non solo; ora invece, si mette in risalto l'ottica inclusiva del nuovo assetto democratico. Nel conferire gli obblighi, al contrario, la seconda parte dell'articolo fa espresso riferimento allo status di cittadino, che deve contribuire allo sviluppo del Paese sia in termini di solidarietà politica che in termini economici e sociali. Questo elemento, come si vedrà, rinasce all'interno dei dibattiti sulla concezione dei diritti, soprattutto in tempi di crisi economico - finanziaria, ove le risorse necessarie al godimento dei diritti divengono meno, questo è soprattutto il caso dei diritti sociali, oggetto di analisi del presente lavoro. Le due parti del secondo articolo della Costituzione sono in stretta connessione non solo dal punto di vista giuridico, ma generano un processo per il quale l'individuo che vede riconosciuti i propri diritti come singolo diviene più predisposto a riconoscere i diritti degli altri singoli, creando delle vere e proprie

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comunità, ove ci si riconosce come simili; questo processo innesca a sua volta una propensione del cittadino di adempiere ai propri obblighi in modo naturale in quanto si sente parte della società e riconosce come adempiere ai doveri politici, sociali ed economici porta a più ampie possibilità di tutela dei propri diritti e prestazioni. A conferma di quanto stabilito nei primi due articoli della Costituzione, anche l'articolo 3 evidenzia il carattere sociale della nuova forma di stato dell'epoca post - fascista, questa volta intervenendo sulle discriminazioni e sul dovere dello Stato nel garantire il principio di uguaglianza. Nel primo comma dell'articolo 3 infatti, si evidenzia il carattere antidiscriminatorio dell'intero testo costituzionale. Il Costituente intende, ora, riconoscere pari dignità sociale dei cittadini, uguaglianza davanti alla legge senza incorrere in discriminazioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. Si delinea, in questo senso, l'affermazione del principio di uguaglianza formale, per cui il soggetto non può essere sottoposto a discriminazioni arbitrarie, chiunque esso sia e qualsiasi siano le sue condizioni.

Al secondo comma, invece, si riflette la responsabilità dello Stato, quindi caratterizzando la forma stessa di Stato sociale.

Dal presente dettato si evidenziano tre caratteristiche di fondo:

• viene assegnato alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli, non solo di natura giuridica, ma anche economica e sociale, che l'individuo incontra nel pieno esercizio dei propri diritti;

• è richiesta la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, sociale ed economica del Paese;

• vengono tutelati tutti gli interessi “diffusi” che la legislazione più recente

riconosce come meritevoli di tutela giurisdizionale13.

Il secondo comma codifica, quindi, il principio di eguaglianza sostanziale, che ha tutta una serie di corollari nel riconoscimento dei diritti sociali, in primo luogo il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori, il diritto alla salute e all'istruzione. Si denota, così, la volontà del legislatore di incidere, anche attraverso una effettiva realizzazione dei diritti sociali, sull'eliminazione delle disuguaglianze.

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Infine, ancora in merito all'articolo 3, un ruolo estensivo è stato dato negli anni da parte della Corte costituzionale, che ha riferito il principio di uguaglianza come comprensivo della condizione di straniero, qualora la lesione o la discriminazione sia rinvenuta nei confronti di diritti inviolabili, così da rendere legittimo per il legislatore ordinario “introdurre norme applicabili soltanto nei confronti di chi sia in possesso del requisito della cittadinanza – o all'inverso ne sia privo – purché tali da non compromettere l'esercizio di quei fondamentali diritti”14, visione che va via via

allargandosi oltre il novero dei soli elementi essenziali dei diritti inviolabili.

Lo stesso principio è espresso anche dalla normativa internazionale e sovranazionale che in merito fanno riferimento all'uomo e non solo al cittadino. I primi tre articoli della Costituzione italiana sono, di fatti, quelli che delineano il profilo dell'intero dettato costituzionale e che fanno comprendere la portata universalistica del testo, derivata dalla volontà dei Costituenti di costruire una forma di stato in grado di assicurare pluralismo e partecipazione15. La natura del testo

normativo di riferimento nasce dall'esigenza di totale distacco dalle politiche fasciste, quindi dall'epoca totalitaria, in netta contrapposizione con l'idea di libertà e pluralismo che si vogliono affermare in democrazia. Questo porta i Padri costituenti a basare la scelta di fondo sull'idea di una partecipazione attiva dei cittadini, che divengono il perno della forma di stato in essere. La conseguenza più immediata è stata, comprensibilmente, quella di affermare delle garanzie al cittadino in nome di un pluralismo necessario allo sviluppo del Paese, accompagnato quindi dall'evoluzione delle libertà fondamentali come perno dell'intero sistema, anche seguendo una logica di coinvolgimento dei cittadini dando concreta attuazione al rovesciamento del vecchio assetto statuale dell'epoca totalitaria. Da questo concetto, nascono le due più immediate garanzie a tutela di suddetti diritti. In primo luogo una riserva di legge, per cui si ravvisa la necessità di garanzia direttamente subordinata alla legge, escludendo le altre fonti. In seconda battuta, è stata affermata una riserva di giurisdizione, affidando al giudice la sindacabilità sull'attuazione dei limiti, anche qui ad esclusione di qualsiasi altra autorità.

14 Corte cost. sent. n° 432/2005; in C. Corsi, Stranieri, diritti sociali e principio di eguaglianza nella

giurisprudenza della Corte costituzionale; www.federalismi.it

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Queste due scelte si sono rese necessarie data la forma rigida della nuova Costituzione del 194816, volta proprio a proclamare l'inviolabilità di questi diritti,

prevedendo delle modifiche o integrazioni attraverso il canale della revisione costituzionale, ma applicando anche una rigidità al nucleo essenziale degli stessi. Il Costituente ha optato per una rigidità costituzionale proprio per rendere la condizione dei diritti intoccabile e per ampliarne l'elenco ed il contenuto.

Sul piano dell'arricchimento dei sistemi di garanzia dei diritti di libertà, poi ancora delle libertà collettive ed infine dei diritti sociali si va verso un superamento di quanto affermato nelle costituzioni ottocentesche, riconoscendo, oltre che un valore individualistico, di carattere garantista nei confronti sia di poteri pubblici sia di privati, anche un'effettiva partecipazione da parte di tutti alla vita politica e sociale del Paese. In sintesi, si va delineando l'affermazione di una Costituzione che si prefigura attraverso due caratteri: il primo affida alla Costituzione il ruolo di garante dei diritti fondamentali e affida alla Repubblica il ruolo di tutelarli, ed il secondo un valore programmatico per cui essa diviene fonte primaria delle linee guida da seguire, trovando applicazione attraverso una ripartizione di funzioni pubbliche17.

Non può essere obiettivo del presente lavoro analizzare l'intero dettato costituzionale e i princìpi in esso contenuti, ma un accenno è sembrato doveroso, in considerazione del fatto che è proprio dalla Carta costituzionale che muove l'intero quadro giuridico e normativo italiano attuale, e che vede la forma più alta di garanzia del dettato costituzionale nella Corte costituzionale stessa, nella cui istituzione e nei suoi poteri si trova tutto il sistema costituzionale del nuovo assetto statale, essendo essa in una grande posizione di autonomia ed indipendenza dagli altri poteri dello Stato e divenendo, per tale ragione, strumento fondamentale di garanzia di legalità costituzionale, volendo rovesciare completamente l'assetto statuale precedente.

Il testo costituzionale italiano muove dal riconoscimento dei diritti e dei doveri dell'individuo anche grazie a una sempre maggiore attenzione di intere società e, di conseguenza, delle istituzioni, nei confronti dei diritti e delle libertà stesse,

16 Una Costituzione è definita rigida quando le disposizioni in essa contenute non possono essere modificate, se non con un meccanismo apposito, ovvero la legge costituzionale.

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collegando suddetto elemento a due problemi di fondo, la garanzia di una piena democrazia e di strumenti atti a riportare la pace all'interno delle Nazioni e tra le Nazioni, quest'ultimo presupposto per la protezione dei diritti a livello nazionale ed internazionale, per il quale lo strumento principale è diventato, nel corso del Novecento il dialogo tra le Nazioni ed in tempi più recenti al dialogo tra le Corti. Si inverte, in questo modo, anche il rapporto tra governatore e governato, per cui il secondo diviene antecedente al primo, assegnando di conseguenza prima i diritti e poi i doveri da essi discendenti.

I caratteri che da questo si sviluppano sono una universalizzazione dei diritti stessi e una moltiplicazione in tal senso, che coinvolgerà in particolare i diritti sociali. Quando si parla di moltiplicazione dei diritti, infatti, dobbiamo far riferimento a tre elementi in particolare:

– un aumento dei beni meritevoli di tutela;

– l'estensione della titolarità di alcuni diritti tipici a soggetti diversi per loro natura, anche dall'uomo;

– mutamento nel modo di intendere “l'uomo”, riconoscendo le diverse fasi che accompagnano lo sviluppo di un individuo, dalla nascita, fanciullezza, età adulta, sino alla morte18.

Queste nuove visioni hanno portato a un necessario ripensamento del catalogo dei diritti ed a nuovi meccanismi e strumenti che permettessero in maniera concreta il soddisfacimento dei bisogni, allargando così numero e categorie di diritti, ma anche status inerenti all'individuo, ora non più considerato solo come singolo, ma anche appartenente ad una società e membro, a titolo di esempio, di famiglie, minoranze. Infine, va ricordato che la stessa Costituzione non dimentica di sottolineare che gli stessi soggetti a cui vengono riconosciuti e garantiti i diritti finora elencati si trovano davanti a dei limiti dell'esercizio della libertà stessa.

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3.2 La tutela internazionale dei diritti fondamentali

Il livello di proclamazione dei diritti fondamentali dell'uomo, come noto, non può essere considerato di sola rilevanza nazionale, al contrario la normativa nazionale è da sempre accompagnata, se non addirittura preceduta da Intese e Trattati Internazionali che favoriscono la tutela della pace e dei diritti fondamentali dell'uomo. A questo proposito bisogna ripartire dalla già citata Rivoluzione Francese, al termine della quale è stata emanata la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e del cittadino, ove per la prima volta in Europa venne creato un elenco di diritti e libertà nel rispetto dell'individuo che consta in 17 articoli e che riconosce la sua natura rivoluzionaria all'interno dei primi tre articoli del testo, alla base anche del testo che verrà approvato nel 1948, per cui:

– Art. 1: “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”.

– Art. 2: “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.

– Art. 3: “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione.

Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa”19.

Nella Dichiarazione dell'epoca grande rilievo assumeva la condizione di cittadino, definito dall'incontro tra appartenenza alla comunità e capacità di avere diritti politici, all'interno di una nuova idea di Nazione.

La condizione di cittadino divenne così perno centrale per la concretizzazione del principio di eguaglianza, inizialmente valido solo per gli uomini bianchi e proprietari. Nella seconda fase del dibattito francese, venne allargato il concetto di cittadino anche a classi popolari e stranieri.

Il popolo, allora, divenne guardiano delle minacce interne alla rivoluzione, esterne, ma anche dell'agire del governo. Questa fase dura sino a metà dell'Ottocento,

19 Dal testo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, del 26 agosto 1789. In

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quando con la fine delle Rivoluzioni si afferma un liberalismo europeo che affida la tutela dell'ordine pubblico e dell'ordine sociale nelle mani di un'unica classe sociale. A metà Ottocento torna una dimensione democratica, che rimette al centro il cittadino e i suoi bisogni e lo Stato si prende carico delle fasce più deboli della società. Questo processo è stato accelerato in particolar modo, come già anticipato nella prima parte del testo, dalla Rivoluzione Industriale di metà Ottocento, che ha modificato gli assetti industriali, accentuando la necessità per lo Stato di doversi fare carico di una categoria in continua crescita, ovvero quella dei lavoratori, che sempre più frequentemente lasciavano le campagne per popolare le città, accrescendo lo sviluppo delle stesse ma anche le maggiori difficoltà a cui dover far fronte, richiamando così l'operato dei governi.

Come accennato all'inizio del presente lavoro, altro momento di fondamentale importanza lo si trova alla fine del XIX secolo, quando sconvolgimenti sociali e politici furono prodotti in tutto il continente europeo, tali da annientare il riconoscimento dei diritti dell'individuo, asservendo la popolazione al volere di chi si trovava al potere. Prima e Seconda Guerra Mondiale sono, di fatti, i due avvenimenti che sotterrarono tutte le possibilità di accrescere il benessere e le garanzie da riservare in primis ai cittadini e poi, come si vedrà, a chi approdava in territorio italiano. Si è vissuto un periodo in cui l'individuo diventava un “servo” dello Stato, in cui la libertà personale venne soppressa, insieme a tutte le libertà dell'uomo, in funzione di uno Stato sempre più autoritario e sempre meno al servizio dei cittadini. Un momento cruciale e di completa rottura con il passato, nel Novecento, a livello internazionale per il ripristino e l'accrescimento dei diritti e delle libertà lo si riscontra al termine delle due guerre, quando il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali tornano ad essere di interesse delle istituzioni, ora consapevoli che per troppo tempo gli individui hanno vissuto nella completa soppressione di principi e libertà attinenti alla sfera più intima della dignità umana. Il punto di partenza è stato segnato già al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945, quando viene emanata la Carta delle Nazioni Unite20, che nell'enunciare le

finalità generali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), allude

20 Trattato firmato da 51 membri e proclamato il 26 giugno 1945 ed entrato in vigore il 24 ottobre 1945 dando origine all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

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espressamente al mantenimento della pace mondiale e alla tutela dei diritti dell'uomo, nonché all'impegno a risolvere i problemi di natura economica, sociale e culturale dei popoli in uno spirito di collaborazione tra i vari Stati membri per la salvaguardia delle generazioni future.

Tre anni più tardi, viene generato un altro contributo sul punto, confluito nei trenta articoli della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Questo è, ancora oggi, il documento sui diritti umani più universale che esista e delinea i diritti fondamentali che formano le basi per una società democratica. Questa nuova “Carta dei diritti” nasce dall'esigenza di rottura nei confronti delle istituzioni dell'epoca totalitaria, dalla miseria lasciata dalle guerre, dalla presa di coscienza che per troppo tempo gli uomini erano rimasti in catene, alla mercé di quanti detenevano il potere, contravvenendo al rispetto di tutti i diritti fondamentali ed interessati solo a mantenere il potere stesso nelle proprie mani e riporta al centro della scena mondiale l'idea dell'individuo che in quanto tale è titolare di alcune libertà fondamentali, che lo Stato può solo impegnarsi a riconoscere ed a creare degli strumenti di tutela in grado di rendere effettive le pretese dei soggetti. La suddetta Dichiarazione inizia una fase di rottura che porta all'approvazione dei diritti in senso positivo ed universale, ovvero attraverso un'effettiva tutela dei diritti e nei confronti di tutte le persone, con l'obiettivo di creare delle norme da seguire, ma soprattutto di creare delle idee comuni agli Stati sul rispetto dei diritti, avvertendo però anche la necessità, di responsabilità degli Stati nazionali di generare una normativa solida in questione, in quanto l'individuo si ritrova davanti a due possibilità, ovvero quella di vedersi riconosciuta una protezione giuridica delle proprie libertà o ribellarsi a tale mancanza21.

La risposta concreta degli Stati interviene principalmente, per ciò che attiene al diritto interno, con le Costituzioni del Novecento dell'epoca repubblicana, nelle quali la protezione giuridica si trasforma in un diritto positivo di promuovere un'azione giudiziaria contro tutti coloro che ledano le libertà dell'individuo, anche se questi dovessero essere organi dello Stato. Mentre, a livello internazionale si intensifica il dialogo tra gli Stati che porterà a una più stretta collaborazione nella

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stesura di diversi Trattati e Convenzioni sin dagli anni Quaranta del Novecento. La Dichiarazione del 1948 diventa, allora, un buon punto di partenza ma deve essere costantemente aggiornata in quanto le condizioni a cui essa fa riferimento sono mutevoli, ben pensata da chi ha redatto il testo, dando così vita anche ad altri testi che più specificamente facevano riferimento a categorie di individui allargando la portata di affermazione dei diritti e delle tutele in merito; si pensi, a titolo di esempio, alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo, ratificata nel 1959 dai membri delle Nazioni Unite e modificata nel 1989, dando vita alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

Insieme alla Dichiarazione sopracitata, negli anni Cinquanta, a livello internazionale sono state create altre convenzioni sulla tutela dei diritti, con l'obiettivo di rendere più concreti gli strumenti di tutela. In questo contesto si inserisce la CEDU22,

sottoscritta a Roma nel 1950, riportando nuovamente alla luce una lunga serie di diritti meritevoli di tutela internazionale attraverso un nuovo meccanismo a presidio dell'effettivo rispetto del suo contenuto. Questo meccanismo prevedeva inizialmente l'istituzione di due organi: la Commissione europea dei diritti dell'uomo e la Corte europea dei diritti dell'uomo. Questi due organi hanno fatto in modo che gli Stati nazionali contraenti venissero assoggettati al controllo della loro legislazione e della loro giurisprudenza sul rispetto della categoria di diritti enunciati nel testo istitutivo della CEDU, ovvero diritti quali il diritto alla vita, il diritto a non essere torturati, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a un equo processo, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione, la libertà di riunione e di associazione, il diritto al matrimonio, il divieto di discriminazione nel godimento di tali diritti, con particolare riferimento alle differenze di trattamento fondate sul sesso, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione e sulle opinioni politiche ed, infine, il divieto dell’abuso del diritto23. Dalla Convenzione del 1950 a

fare ricorso contro la lesione di uno dei suddetti diritti possono essere sia gli Stati che i singoli e le persone giuridiche. La Commissione, infatti, procede a un primo

22 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

23 E' riportato l'elenco dei diritti che gli Stati firmatari della Convenzione CEDU hanno sottoscritto, come dal testo originario. www.governo.it

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esame del ricorso e in caso di esito negativo rinvia gli atti, contenenti la violazione di uno degli articoli della Convenzione, al Comitato dei Ministri, che prevede la presenza di un rappresentante per ogni Stato membro del Consiglio d'Europa24, che

valuta in tre mesi l'avvenuta violazione o meno e ammonisce lo Stato inadempiente, ove si ritenga tale violazione realmente avvenuta.

La Convenzione è stata ripresa più volte, anche in considerazione dei cambiamenti sociali ed economici che nel corso del tempo intervengono a vario titolo all'interno della società. Nel 1994, infatti, con il Protocollo di Strasburgo25 si è avuta la fusione

della Corte europea dei diritti umani e della Commissione europea dei diritti dell'uomo, per cui i ricorsi vengono affidati direttamente alla Corte EDU e il Comitato dei Ministri è rimasto come organo di sorveglianza, allargando così anche il compito di integrazione nei confronti dei vari sistemi nazionali, non volendo sostituirsi a tali ambiti.

Un altro strumento di tutela sovranazionale lo si riscontra nel ruolo della Corte di Giustizia26, atta a sorvegliare sulle azioni e normative applicate o disapplicate degli

Stati membri, ove ruolo fondamentale è riservato al giudice comunitario. Esso, di fatti, non ha un preciso catalogo dei diritti da tutelare e per questo motivo adotta le sue decisioni caso per caso. Per ovviare nuovamente all'incertezza offerta dai sistemi nazionali e riportare il tema dei diritti umani al centro delle agende politiche degli Stati, ulteriori modifiche alle precedenti Convenzioni e ai precedenti Trattati, all'inizio del nuovo secolo si è provveduti a una riforma del sistema, attraverso la firma della Carta di Nizza27, concependola come consolidamento a favore della

giurisprudenza comunitaria ed emanata da una Convenzione alla quale hanno avuto accesso un rappresentante per ogni Paese membro. In essa vengono riproposti e affermati i valori comuni degli Stati membri, attraverso il principio di sussidiarietà e del rispetto delle identità nazionali, in considerazione dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi tecnologici e scientifici.

24 Il Consiglio d'Europa è un membro estraneo all'Unione Europea. Viene istituito a Londra nel 1949 con lo scopo di garanzia e controllo sulla situazione dei diritti umani nel mondo e del primato del diritto. Ad oggi è un osservatore dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

25 Protocollo n° 11 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, che ristruttura il meccanismo di controllo istituito dalla Convenzione. In www.coe.int

26 Organo atto a sentenziare sui ricorsi degli Stati membri e presentati contro gli Stati membri. 27 Testo di affermazione dei diritti dell'individuo e condivisione di valori comuni tra gli Stati membri. Denominata “Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”.

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Il catalogo dei diritti contenuti all'interno della stessa Carta viene suddiviso in sei titoli: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

Vengono riconosciuti possibili limiti al godimento dei diritti e delle libertà in essa contenuti, di cui all'articolo 52 comma 1 si accentua il carattere di proporzionalità di dette limitazioni ed infine all'articolo 53 viene ricordato il livello di protezione di tutti i diritti e le libertà appartenenti all'uomo in quanto tale, non solo attraverso il recepimento della Carta di Nizza, ma anche attraverso le convenzioni e i trattati internazionali, applicazione del diritto internazionale e delle carte costituzionali dei Paesi membri.

La stessa Carta è stata ripresa, più di recente, per dare idea di maggiore concretezza di applicazione nel 2007 e nuovamente proclamata alla fine dello stesso anno dal Parlamento europeo. Nel 2009, infine, con l'introduzione del Trattato di Lisbona28, è

stato dato alla Carta dei diritti fondamentali un carattere vincolante al pari dei Trattati dell'Unione.

3.3 La tutela nazionale dei diritti sociali

I diritti sociali, anche detti “diritti di seconda generazione”, hanno avuto uno sviluppo tardivo rispetto ai diritti ed alle libertà fondamentali, come già osservato nel testo. Storicamente, questa categoria di diritti si è situata in una posizione di minorità rispetto ai diritti di libertà, anche semplicemente per il fatto di essersi affermati dopo questi ultimi. Bisognerà attendere, di fatti, l'affermazione dei moderni ordinamenti democratici affinché si riporti in auge un dibattito sull'introduzione del catalogo dei diritti sociali, a completamento di quello dei diritti di libertà, già visti nella prima parte del lavoro, partendo dall'idea che libertà ed uguaglianza non siano incompatibili, anzi alimentano l'uno la profondità dell'altro. Per ciò che attiene al livello nazionale, inerente alla Repubblica Italiana nata dal secondo dopoguerra, con l'introduzione della Costituzione del 1948 si ha anche la piena attuazione del principio di solidarietà, che prevede sia un catalogo dei diritti

28 Trattato di riforma del ruolo del Parlamento Europeo, che attribuisce ulteriori competenze al P. E., incrementando la voce dei cittadini all'interno delle decisioni dell'Unione europea.

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fondamentali sia un catalogo dei diritti sociali, che, appunto, devono andare a completare il quadro normativo in materia. Alla base del nuovo testo costituzionale troviamo il principio di eguaglianza, che per il vero, non mette in contrasto l'inserimento dei diritti di libertà e quella dei diritti sociali, nonostante il dibattito per l'inserimento di questi ultimi è risultato sin dall'inizio più intenso, in considerazione del fatto che in essi è più evidente la necessità che lo Stato metta a disposizione delle risorse per poterne permettere applicazione e godimento. È pur vero, che all'interno della stessa categoria dei diritti sociali, vi sono delle differenze, tra quelli che vengono classificati come diritti “incondizionati”, quali ad esempio la libertà di scegliere la professione che si suole svolgere o il diritto di sciopero o ancora, il diritto all'integrità psico-fisica, che richiedono una diretta serie di comportamenti del soggetto che vuole godere di tale diritto, rendendo questo alla pari di un diritto di libertà. Nel secondo caso, invece, all'interno della stessa categoria dei diritti sociali, vi sono delle caratteristiche che li rendono applicabili solo nel momento in cui è lo Stato stesso a predisporre delle risorse e degli strumenti idonei al soddisfacimento dello stesso a tutti coloro che ne sono beneficiari. Per questa ragione, questi vengono definiti diritti “condizionati”, perché in sintesi presuppone l'intervento di pubblici poteri per dare luogo a pretese giuridicamente azionabili29. Questo non significa che qualora non ci fossero risorse

adeguate decade il diritto in sé, di fatti garantito dalla Costituzione, ma si aprono diversi scenari che rimettono al centro della scena la Corte costituzionale, chiamata a sindacare sull'applicazione di tali diritti, basando le proprie decisioni all'interno del bilanciamento con altri interessi primari garantiti anch'essi dalla Costituzione e con i vincoli che dalla disponibilità di risorse pubbliche derivano. Molto spesso, però, sul punto si evita di fare riferimento alla stessa categoria dei diritti di libertà, in quanto meno bisognosi di risorse pubbliche per essere goduti, mentre ad una più attenta riflessione si evince che anche la categoria dei diritti di libertà comporta un costo per le casse dello Stato, si pensi alla necessità di costruire e manutenere strade per garantire la libertà di circolazione30.

29 P. Caretti, op. cit.

30 M. Luciani, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant'anni della Corte

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Si annulla, quindi, l'enorme divario che contraddistingue le due categorie di diritti e motivo per il quale i diritti sociali hanno tardato nella loro piena evoluzione, quanto meno nei lavori preparatori all'approvazione testo costituzionale vigente.

Da ciò, si può evidenziare come anche i diritti sociali, nel contesto giuridico attuale, siano di rilievo costituzionale, nonostante sin dall'Ottocento si è iniziati a parlare di tale categoria, ma in principio in riferimento al solo diritto al lavoro, grazie alla già menzionata Rivoluzione Industriale, che ha portato stravolgimenti in termini di tutele dei lavoratori ed in termini di assistenzialismo. Ciò è stato sicuramente un passo avanti nella definizione e riconoscimento di tali diritti, ma il lavoro svolto nel XIX secolo è sicuramente emergenziale e scarno. Con la nuova era costituzionale di metà Novecento, invece, si riapre il dibattito sulla necessità di garantire a chiunque dei diritti che andassero anche oltre la sfera lavorativa, anche in risposta ai doveri che la stessa Costituzione affida ai cittadini in termini di solidarietà sociale, politica ed economica e per i quali gli stessi chiedono non solo la possibilità di vedersi riconosciuto il diritto ma anche delle prestazioni che garantiscono una vita dignitosa. A livello costituzionale, una garanzia in tal senso è da riscontrarsi nel Titolo II – Rapporti etico-sociali, al cui interno si creano i presupposti per garantire detti diritti: dal diritto all'istruzione all'accesso alle cure mediche, alla casa sino al lavoro. Questa è ancora oggi la base normativa nazionale sul punto.

Per ciò che attiene, invece, agli strumenti di tutela a livello nazionale, si è già anticipato che è la Corte costituzionale a rispondere in merito, che di fatti nel tempo ha elaborato molteplici tecniche argomentative e decisorie:

• il principio di gradualità, affacciatosi nel campo dei diritti sociali negli anni

Settanta, con la Sent. 128/1973, in materia di riforme previdenziali. In essa si afferma che “la gradualità si presenta come modo di essere necessario e internamente coerente del fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi, e appare come caratteristica del pari necessaria e comunque compatibile del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale”31, collegando il punto a 31 Corte cost. sent. n° 128/1973, in M. Luciani, op. cit.

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un'esigenza di compatibilità di bilancio, ritenendo necessario che “specie nelle ipotesi di vaste ed onerose innovazioni […], anche in relazione alle esigenze di bilancio, si adotti un criterio di gradualità nello estendere al trattamento di quiescenza le maggiorazioni accordate per quello di attività, tanto più quando questa gradualità sia mantenuta […] in un ristretto limite di tempo”32. Posizione abbandonata nel tempo.

• La considerazione dei costi e il loro accertamento. Questo secondo meccanismo rientra in modo sempre più consistente tra gli elementi che si tengono in considerazione nel formulare un giudizio in una sentenza. Esso appare, però, certamente più sfumato all'interno dell'istruttoria seguita dalla Corte costituzionale, che si avvale prettamente di accessi informali alle pubblicazioni delle Pubbliche Amministrazioni.

• La regolazione degli effetti temporali delle sentenze di accoglimento. In questo caso la Corte può sentenziare ponendo come garanzia dei limiti temporali che però non devono essere eccessivi. Di fatti, in molti casi la soluzione adottata è una sospensione del giudizio, ma ciò produrrebbe degli effetti lesivi nei confronti della tutela dei diritti.

• Il bilanciamento. Questo dovrebbe avvenire tra diritti della stessa categoria, ovvero tra un diritto sociale ed un altro; inoltre nel bilanciamento con le risorse finanziarie a disposizione, il diritto dovrebbe avere una posizione di supremazia rispetto alla disponibilità finanziaria.

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• La doppia pronuncia. È un meccanismo che produce un dialogo tra il giudice costituzionale con i giudici comuni e il legislatore. Con i giudici comuni, quando la Corte adotta una pronuncia interpretativa di rigetto e propone una propria lettura del diritto positivo, cui può tuttavia seguire una sentenza di accoglimento, qualora i giudici comuni non si uniformino. Con il legislatore, quando, temendo di invadere il campo della normazione, si limita a una “messa in mora” del Parlamento, rivolgendogli un monito a intervenire e intervenendo in caso di inerzia.

• L'onere della prova nei rapporti Stato-Regioni in materia di diritti sociali.

Questa necessità è evidente dal momento che, nel sistema attuale, le Regioni sono di fatto le istituzioni ai quali è delegata la tutela dei diritti sociali e preposte al recepimento delle risorse necessarie per soddisfare il fabbisogno della Regione di riferimento, pur attenendosi alle direttive di natura nazionale. Si pone, dunque, il problema di chi debba garantire tali diritti all'interno dei diversi livelli di governo33.

Il tema appare, in ogni caso, di grande complessità, per diversi motivi, tra cui certamente la necessità di dover rispondere a nuovi e sempre crescenti bisogni della popolazione o a gravi crisi sociali, ma la realizzazione e una tutela giurisdizionale dei diritti sociali dovrebbe restare sempre al centro del dibattito sia politico che normativo, a maggior ragione se da molti anni ci si muove in un sistema sempre più multilivello. Alcune novità sul punto sono state introdotte nel sistema italiano negli anni Settanta del Novecento, quando attraverso un ammodernamento della legislazione regionale, si è intervenuti anche sulle politiche sociali, arrivando a una

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pianificazione dei servizi sociali, integrazione socio-sanitaria, apertura del sistema a diverse forme di partecipazione delle forze sociali o di operatori privati34. In anni

più recenti, invece, ad apportare interventi legislativi ci ha pensato l'Unione Europea che negli ultimi anni sta riaprendo il dibattito sulle politiche sociali, nuovamente in virtù di una necessaria risposta di una crisi economico - finanziaria, con conseguenze disastrose non solo nei confronti dei cittadini italiani ed europei, ma anche verso coloro stanno abbandonando le proprie terre proprio come conseguenza primaria della crisi.

Le riforme nazionali più intense si sono avute, anche a proposito di politiche sociali, nell'ambito di coordinamento sistematico a più livelli. Nel 1998, infatti, attraverso la legge finanziaria per lo stesso anno si è avuto l'istituzione del Fondo per le politiche sociali, in ottica di integrazione della rete dei servizi sociali. Sempre nello stesso anno, il D. Lgs 112/1998 trasferisce alle Regioni tutte le funzioni in materia di servizi sociali, mentre allo Stato resta la funzione di programmazione, a partire dai princìpi e gli obiettivi delle politiche sociali e la determinazione dei criteri generali per la rete di interventi di integrazione sociale di attuazione dei livelli locali35.

All'inizio del nuovo millennio arriva anche l'approvazione della Legge n° 328/2000, ovvero la legge quadro sul sistema integrato dei servizi sociali, attraverso la quale si crea il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, adottato dal Governo ogni tre anni, sempre in collaborazione con gli enti territoriali e le Commissioni parlamentari competenti, incidendo sulle risorse da destinare a servizi e prestazioni sociali di anno in anno e sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, tanto da trasferire queste competenze direttamente nelle mani delle Regioni che, in accordo con i Comuni, adottano un Piano regionale degli interventi e dei

34 P. Bianchi, La garanzia dei diritti sociali nel dialogo tra legislatori e Corte costituzionale, Pisa, Plus, 2006

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servizi sociali. Un intervento ancora più corposo si è avuto con la Legge n° 3/2001, attualmente la revisione più estesa della Costituzione repubblicana, per cui in materia sociale viene ribadito il forte ruolo delle Regioni e delle autonomie locali nella determinazione e nella gestione delle reti dei servizi sociali e delle prestazioni sociali, attraverso l'affermazione del principio di sussidiarietà, di cui al nuovo articolo 117 del testo costituzionale, per cui si riafferma l'idea secondo la quale sono i livelli di governo più vicini ai cittadini che devono garantire le prestazioni sociali necessarie al fine di vivere una vita dignitosa, mentre lo Stato centrale detiene il compito di sorveglianza e di programmazione nazionale. Al centro del dibattito, in questo senso, in merito ai diritti sociali e alle prestazioni da essi discendenti resta ancora aperta la questione di determinazione dei livelli essenziali degli stessi, ovvero quelle prestazioni che servono a fare in modo che si ottenga il godimento di quel diritto, per cui in molti casi la Corte costituzionale riconosce proprio in base al principio di sussidiarietà verticale, di cui al già citato articolo 117, la possibilità al Parlamento di intervenire nella misura in cui l'amministrazione competente non possa raggiungere gli obiettivi prefissati o si evince la necessità di un supporto statale, ancor più se la competenza è di natura concorrente, come dimostrato dalle Sentenze n° 303/2003 e 6/2004. Sulla questione dei livelli essenziali si è intervenuti già attraverso la Legge n° 289/2002, la legge finanziaria per il 2003, che ha previsto che i livelli essenziali delle prestazioni da garantire debbano essere concordati e stabiliti attraverso un D.P.C.M, su proposta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali. Si va delineando un contesto che prevede due forme di definizione dei livelli essenziali, con la prima definizione si fa riferimento a un nucleo essenziale dei diritti e delle prestazioni e con la seconda vengono definiti i livelli classificati come “prestazioni ulteriori”36.

La sfida, però, resta sempre quella della ricerca dei livelli essenziali, per poter comprendere cosa poter definire prestazione ulteriore e di conseguenza ricercare un equilibrio tra bisogno dell'eguaglianza e spinta verso il progresso della società, non

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dimenticando che bisogna sempre far fede anche ad un bilanciamento con altri diritti che allo stesso modo si caratterizzano come diritti positivi, ovvero come diritti ai quali corrispondono delle pretese giuridiche nei confronti delle istituzioni. In considerazione di ciò, soprattutto per ciò che attiene ai diritti sociali, uno dei punti più dibattuti è la continua necessità dell'intervento del legislatore e della giurisprudenza, che ad oggi prevede un'interpretazione secondo due vie diverse, nel primo caso facendo riferimento al sindacato di ragionevolezza delle scelte del legislatore e nel secondo caso avviando un'interpretazione sistematica della Costituzione, che serve quindi a delineare un contenuto indefettibile del diritto, ampiamente nell'ottica della necessità di coordinare il contenuto stesso del diritto con le esigenze di amministrazione degli apparati prestazionali, dove troviamo gli elementi del bilanciamento tra spesa e soddisfacimento dei bisogni. Questo è l'aspetto che interessa la necessità di trovare e garantire le risorse necessarie per il soddisfacimento del fabbisogno della popolazione, ovvero quantificare ciò che serve per non escludere nessuno dal godimento delle prestazioni sociali necessarie, quanto meno nei livelli essenziali. Queste risorse vengono determinate in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, soprattutto in considerazione della riforma della Legge n° 1/2012, che ha introdotto nel sistema italiano il vincolo del pareggio di bilancio. Questo ha inserito nel sistema vincoli più stringenti in materia di bilancio, contabilità pubblica e stabilità finanziaria e con la modifica degli articoli 117 e 119 della Costituzione, ha fissato le regole in tali materie anche per le Regioni e gli enti locali.

Il punto diviene allora se questa riforma abbia portato o meno un radicale mutamento della politica finanziaria sia a livello statale che locale, finendo con il sacrificare in nome della sostenibilità finanziaria anche la tutela dei diritti fondamentali e, tra questi, i diritti sociali.

Da una parte si afferma l'idea che lo Stato debba, in deroga a tale normativa, provvedere al soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti sociali, come confermato a più riprese dalla stessa Corte costituzionale, anche

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recentemente nelle sentenze n° 250 e 266 del 201337. Dall'altra parte, la riforma

afferma il principio per cui dovrebbe prevalere il contenimento della spesa pubblica. Toccherebbe allora alla Corte costituzionale bilanciare i diritti fondamentali, tra cui i diritti sociali a prestazione, cioè i “diritti costituzionali che costano”, con le esigenze finanziarie di bilancio, per cui una legge che ne dovesse limitare l'ambito di applicazione non sarebbe necessariamente incostituzionale38.

Non è possibile in questa sede approfondire tutte le normative che, a livello nazionale prima ed internazionale poi, sono andate ad incidere sulla tutela dei diritti sociali, né diventa sostenibile affrontare questa categoria di diritti singolarmente avendo molti caratteri ed una platea di beneficiari molto ampi, in quanto ricordiamo che diritti come il diritto alla salute o il diritto all'istruzione sono di fondamentale importanza nello sviluppo di ogni individuo in quanto tale, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove esso si trova a completare la sua personalità, esattamente come previsto nella Costituzione italiana, al già citato articolo 2. Un'ultima considerazione in merito, inoltre, porta alla conclusione che non è possibile analizzare l'attuale raggiungimento di obiettivi o meno nella garanzia di detti diritti se non si pone in essere la storia e la legislazione sovranazionale ed internazionale in materia, nonostante in particolare a livello europeo si è avuto un importante ritardo nell'affermazione di un interesse concreto alla tutela della struttura delle politiche sociali, riportate in auge negli ultimi anni, in particolar modo a causa di una nuova crisi economica che ha stravolto il paradigma non solo europeo ma mondiale e che, quindi, richiede una gestione sempre più articolata e basata sulla cooperazione e collaborazione a diversi livelli, dalle autonomie locali, passando per le Regioni, l'apparato statale centrale, sino alle istituzioni europee modificando sostanzialmente le tutele vagamente previste sino a pochi anni fa.

37 Corte cost. sent. n° 250/2013 e Corte cost. sent. n° 266/2013; in www.cortecostituzionale.it

38 E. Furno, Pareggio di bilancio e diritti sociali: la ridefinizione dei confini nella recente giurisprudenza

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3.4 La tutela internazionale dei diritti sociali

In questa ultima parte del presente testo l'analisi riprende dal riconoscimento, lo sviluppo e la piena effettività dei diritti sociali all'interno dei Trattati e delle Convenzioni internazionali. Come accennato più volte nella parte introduttiva del lavoro, il problema di riconoscimento e tutela dei diritti sociali non è solo di natura nazionale, bensì anche a livello internazionale si sono avuti importanti ritardi sul punto. Il percorso che ha portato all'introduzione dei diritti sociali è stato lungo e controverso, e bisogna anche considerare che proprio per la natura mutevole di detti diritti non è possibile generare delle applicazioni che siano statiche, ma devono necessariamente seguire lo sviluppo della società, oltreché i cicli economici che accompagnano i diversi livelli di governo. Una prima introduzione ai diritti sociali, quanto meno per ciò che attiene alla parte riconducibile alle tutele per i lavoratori è possibile notarla già con la Rivoluzione industriale di metà Ottocento, come già anticipato. Di fatti, il repentino progresso di meccanismi di produzione portò un'intensificazione della necessità di manodopera ed operai, che si rovesciarono nelle città, portando con sé anche le proprie famiglie. Questo evento generò un'attenzione nei confronti delle condizioni dei lavoratori, ma esclusivamente inerente all'ambito lavorativo e solo nell'ottica di accrescere le prestazioni sul luogo di lavoro, meno intensa invece risulta l'interesse dell'epoca nei confronti della gestione della vita familiare, e quindi personale degli individui. Come più volte anticipato, anche in merito ai diritti fondamentali dell'uomo, anche detti diritti restarono per anni nella penombra, sino alla conclusione dei due conflitti mondiali. Al termine del conflitto, la questione dei diritti si riaccese, seppur lentamente, negli organismi sovranazionali ed internazionali.

Lentezza giustificata dal fatto che lo scopo iniziale della Comunità europea era la creazione di un mercato comune. Il Trattato di Roma del 1957 previde una debole competenza comunitaria in seno ai diritti, basandosi sul presupposto che ad occuparsi di essi dovessero essere gli Stati nazionali, mentre la Comunità sarebbe dovuta intervenire per armonizzare le politiche nazionali.

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