• Non ci sono risultati.

all'assistenza ed alla previdenza sociale. - 3.2 La tutela del diritto alla salute. - 3.3 La tutela del diritto all'istruzione. - 3.4 La tutela del diritto all'abitazione. - 4. La tutela dei diritti sociali degli stranieri nel dialogo tra le Corti. - 4.1 La giurisprudenza costituzionale. - 4.2 La Corte europea dei diritti dell'uomo.

1. Premessa

L'immigrazione costituisce un banco di prova della capacità di integrazione e della natura sociale e pluralista delle democrazie costituzionali. Impone agli ordinamenti nazionali e comunitari un ripensamento dei meccanismi di legittimazione democratica che spinge a fare i conti con la crisi della rappresentanza politica nazionale e con l'identità costituzionale comunitaria72.

La presenza di immigrati su un territorio è un fenomeno legato a nuove dimensioni e questioni della libertà personale, crisi e trasformazioni del welfare, della rappresentanza politica, del dialogo, l'incontro e lo scontro tra identità e culture differenti. Induce, quindi, a riflettere sui nessi tra territorio, cittadinanza e diritti.

72 G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e

Infatti, le migrazioni sono tra i fattori che più evidentemente contribuiscono alla trasformazione in senso multiculturale delle società di destinazione e di quelle di partenza di ogni individuo, accompagnando la dimensione storica e giuridica di ogni società e dei fenomeni sociali che all'interno di esse avvengono.

Le condizioni dello straniero iniziano a divenire di grande interesse nei momenti di mobilitazione popolare del Settecento, momenti in cui si viene a creare un nuovo soggetto fondativo della comunità politica, ovvero il “cittadino”, definito dall'incontro tra appartenenza alla comunità e capacità di diritti politici entro una nuova idea di Nazione e sulla cui base si sviluppa anche il concetto di diritti e principio di eguaglianza. Queste nuove condizioni nel dibattito sulla cittadinanza, portarono al tempo stesso ad una netta apertura allo straniero, almeno sino alla fine delle Rivoluzioni, che portarono all'affermazione del liberalismo europeo, contenente una concezione autoritaria della protezione sociale.

Sul piano del diritto di ingresso e soggiorno su un territorio, alla fine dell'Ottocento, si diversifica la condizione dello straniero da quella del cittadino, per cui suddetti diritti diventano per il cittadino un vero e proprio diritto soggettivo, mentre per lo straniero resta un mero interesse legittimo.

La fine del XIX secolo porta con sé una nuova idea di industrializzazione, trasformazione nella produzione, maggiore possibilità di spostamento degli individui, ovvero tutti elementi che incidono fortemente sulle dinamiche migratorie europee, ridisegnando ed accrescendo i flussi73.

Nel passaggio dallo Stato monoclasse allo Stato pluriclasse si sostituisce anche la definizione di straniero con quella di migrante, per cui l'immigrazione inizia ad essere concepita come collettiva e non più individuale, quindi si parla di spostamenti duraturi, generati in particolar modo dalle nuove condizioni di lavoro, nonostante la legislazione in materia sia ancora fortemente scarna e non adeguata74.

Anche per ciò che attiene alla legislazione italiana, l'interesse per l'immigrazione è stato tardivo e disomogeneo, in quanto ci si era concentrati molto di più sulla questione dell'emigrazione, come sottolineato anche dal Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, in cui si parla per la prima volta di permesso di

73 G. Bascherini, op. cit. 74 G. Bascherini, op. cit.

soggiorno, ma non delle condizioni di ingresso, nota che conduce all'idea della sola emigrazione. Bisognerà, di fatti, attendere la fine della Seconda guerra mondiale per avere nuova testimonianza di riferimenti allo straniero.

Nei lavori costituenti, infatti, anche i riferimenti alla cittadinanza erano destinati ad operare come fattori di integrazione civile e si opera verso un allargamento delle forme di partecipazione alle nuove dinamiche democratiche. La figura dello straniero entra in Costituzione attraverso due canali principali, ovvero attraverso l'articolo 2 della Costituzione e l'articolo 10, quindi muovendo nel primo caso dal riconoscimento dei diritti fondamentali dell'uomo, in quanto tale e nel secondo caso un riferimento direttamente riconducibile allo straniero, al comma 2 dello stesso articolo 10. Direttamente discendente da queste disposizioni è l'articolo 3 della Costituzione, che nel disciplinare il principio di uguaglianza crea ulteriori interrogativi sulla condizione dello straniero in Italia.

Il principio di eguaglianza contenuto nell'articolo 3 della Costituzione ha trovato numerose applicazioni anche in seno agli stranieri da parte della Corte costituzionale, che però, riconosce tale diritto per ciò che attiene ai diritti fondamentali, permettendo al legislatore di creare delle norme in deroga a tale principio, purchè non lesive della fruibilità dei diritti e stabilendo un limite per cui il legislatore non può mai essere irragionevole nei confronti degli stranieri, anche oltre il godimento dei diritti fondamentali75.

Storicamente, nello stabilire il principio di uguaglianza si fa riferimento ai cittadini perchè ogni Costituzione quando nasce intende preoccuparsi dei cittadini dello stesso Stato, ma basta pensare all'articolo 1 della Dichiarazione dei diritti fondamentali dell'uomo, alle Dichiarazioni americane per comprendere che il dettato letterale va al di là dei “semplici” cittadini. Inoltre, lo Stato moderno è pervaso dal principio di uguale libertà per tutti, cittadini e non, che vengono così messi sullo stesso piano quando si tratta di essere protetti. Infine, la normativa internazionale e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea attestano il principio di uguaglianza ad ogni essere umano.

75 C. Corsi, Stranieri, diritti sociali e principio di eguaglianza nella giurisprudenza della Corte

L'articolo 3, quindi, opera per la protezione dell'individuo in due sensi. Nel primo senso, quando si generano delle norme queste devono sempre sottostare al dettato costituzionale, che diventa così prima fonte di garanzia per la protezione anche degli stranieri. In secondo luogo, qualora una norma, seppur costituzionalmente legittima, operasse una distinzione tra cittadino e straniero, bisogna sempre porre al vaglio del principio di uguaglianza la norma in questione. Per tutte le altre posizioni non costituzionalmente regolate, il legislatore, anche quando genera differenze tra cittadini e stranieri deve attenersi al principio di ragionevolezza, e deve essere vagliata anche l'attinenza ai principi di pertinenza, adeguatezza, congruità e proporzionalità76.

Dalla concezione universalistica dei diritti all'interno dell'ordinamento italiano, l'articolo 3 può assumere connotazioni differenti, in quanto appunto nel primo comma lo stesso articolo fa riferimento espressamente ai cittadini, ma al secondo comma si prefigura anche l'obiettivo di eliminare qualsiasi ostacolo impedisca alla “persona umana” di sviluppare la propria personalità, rafforzato dal dettato dell'articolo 10 comma 2, che stabilisce come la condizione dello straniero sia regolata “dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

Indagare, dunque, il significato che il principio di uguaglianza formale assume nei riguardi degli stranieri significa affrontare due diverse questioni interpretative: la prima questione riguarda la possibilità di estendere l’applicabilità del principio anche agli stranieri; la seconda questione riguarda, invece, la possibilità di tradurre il menzionato principio in regola pratica di giudizio, applicabile ai casi concreti che mettano in luce una diversità di trattamento giuridico tra cittadini e stranieri77.

La lettura del principio di uguaglianza può essere di differente interpretazione, ma ciò che rileva ai fini delle presente indagine è l'idea per cui il principio si applica agli stranieri, nel voler tutelare le condizioni essenziali di ogni individuo nel godimento dei propri diritti, ma non è l'applicazione dell'articolo 3 che definisce la condizione dello straniero nell'ordinamento italiano, prestando attenzione alle già richiamate norme di diritto internazionale.

76 C. Corsi, op. cit., pag. 6, in www.federalismi.it

77 M. Losana, “Stranieri” e principio costituzionale di uguaglianza, in Rivista aic n° 1/2016, www.aic.it; pag. 4

Esse, soprattutto sui diritti inviolabili, hanno dei portati così ampi da rendere addirittura migliore il trattamento degli stranieri rispetto a quello riservato ai cittadini. In secondo luogo, il legislatore deve sempre prestare attenzione a che le norme internazionali vengano recepite ed applicate anche nell'ordinamento italiano, per evitare si possa pensare che il sistema nazionale possa in qualche modo accettare delle discriminazioni di alcun genere. Infine, anche nei casi di diritto internazionale, non si può scindere mai il principio di uguaglianza da quello di ragionevolezza.

Così inteso, il principio di uguaglianza, nell'ordinamento italiano, oggi potrebbe contribuire al superamento di tutte le distinzioni fondate sulla cittadinanza che, in una società ormai multietnica e multiculturale, non trovano più alcuna giustificazione78.

I principali significati del principio di uguaglianza formale richiamati in precedenza sono sintetizzabili in un obbligo, ovvero trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse ed in due divieti, cioè il divieto di introdurre distinzioni non giustificabili alla luce di un qualche precetto costituzionale materiale e il divieto di effettuare delle discriminazioni in base ai profili individuati dal primo comma dell’articolo 3. Riferito agli stranieri, questo principio non sembra aver assunto significati diversi.

Alcuni tratti differenziati vengono riconosciuti solo in presenza di alcune libertà che richiedono un legame particolare tra il soggetto e la comunità cui esso appartiene. Condizione presente, come si vedrà, soprattutto con riferimento proprio ai diritti sociali, per i quali vengono in rilievo anche la regolarità o meno dello straniero sul territorio nazionale e la durata del rapporto con lo Stato. Suddetti diritti, implicano di fatto, non solo una solidarietà di suddivisione di diritti e di doveri, ma anche un certo grado di reciprocità, per cui, la presenza regolare e protratta nel tempo degli stranieri può diventare un elemento significativo79.

L'elemento che di fatto bisogna tener presente nell'applicazione di detti diritti agli stranieri nasce anche dall'individuazione degli interessi costituzionalmente rilevanti

78 M. Losana, op. cit. pag. 11

79 Così B. Pezzini, Una questione che interroga l'uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino; in M. Losana, op. cit., pag. 18

che possono giustificare un diverso trattamento giuridico verso gli stranieri o ancora la limitazione delle risorse disponibili, che riporta alla ormai “famosa” paura di cadere in errori di discriminazione, oltreché dalla comprensione della natura dei soggetti ai quali si fa riferimento ed ai loro bisogni.

2. Diritti, tra accoglienza e respingimento

Il riconoscimento e la ricerca di strumenti di tutela dei diritti sociali nei confronti degli stranieri non può esimersi da alcuni interrogativi preliminari, per comprendere quali soggetti siano, o debbano essere, titolari del godimenti di detti diritti e come questi vengono “accolti” o “respinti” all'interno dell'ordinamento giuridico.

Da questo punto di vista, la situazione socio - politica attuale, sta nuovamente spingendo migliaia di persone a lasciare le proprie terre per fuggire verso un posto nuovo, ove riprendere una vita dignitosa, alla disperata ricerca di una nuova “cittadinanza degna”80, riportando la normativa in materia di flussi migratori e diritti

alla ribalta, divisa tra due problemi principali da affrontare.

Da un lato, la necessità di assicurare un sistema di tutela dei diritti a tutti gli individui, per cui lo Stato ha il dovere di accogliere lo straniero e dall'altro, il diritto dello Stato stesso di difendersi da minacce esterne, che implicherebbe anche l'ipotesi di escludere lo straniero dal proprio territorio, in un contesto “nuovo” in cui gli Stati stessi si trovano a dover gestire non tanto la “crisi migratoria”, in quanto il fenomeno migratorio è un fenomeno storicamente conosciuto e gestito dagli apparati pubblici, ma quanto l'idea di una crisi del principio di sovranità e una progressiva frammentazione della cittadinanza81, che coinvolge anche gli stranieri,

in quanto soggetti che si trovano a non essere pienamente cittadini del proprio Stato d'origine e al tempo stesso non facilmente in condizioni di ottenere una piena cittadinanza nello Stato in cui si risiede, anche per coloro che giuridicamente divengono cittadini italiani, ma che effettivamente vengono socialmente riconosciuti come “altri”, quindi non accettati dal contesto sociale.

80 C. Bertolino, Territorio e immigrazioni tra diritto di respingimento e dovere di accoglienza degli Stati, in Rivista aic n° 1/2018, www.aic.it; pag. 1

In questi due dilemmi, sembrano essersi create due posizioni diverse.

La prima posizione si riscontra tra coloro che sostengono le frontiere statali come arbitrarie e lesive del diritto fondamentale della libertà di circolazione delle persone, creando disuguaglianze e discriminazioni tra coloro che vengono inclusi e coloro che restano esclusi, ovvero la corrente cosmopolitica, basata sull'idea che l'uomo si caratterizza per la pari dignità di ogni individuo, dalla quale discendono i principi del rispetto universale degli individui, reciprocità egualitaria ed ospitalità universale82.

Riflessioni simili sono state svolte anche da Hanna Arendt, che ha teorizzato il “diritto di avere diritti”83, nel senso di una rivendicazione morale di appartenenza e

di cittadinanza, da parte di tutti gli individui, alla quale conseguirebbe, all’interno di uno Stato, il necessario trattamento giuridico. Se in principio vi sarebbe un dovere morale di accogliere, solo una volta divenuti membri di una comunità politica e giuridica sorgerebbero dunque i diritti in capo a colui che è stato accolto, e i corrispondenti doveri per lo Stato e per il suo apparato giuridico.

Tale diritto di avere diritti può peraltro realizzarsi solo in una logica che trascende le differenze dell’uno dall’altro, in un sistema di eguaglianza assoluta e universale, in virtù della decisione di garantirsi reciprocamente eguali diritti. Una simile logica determinerebbe, dunque, il necessario superamento del modello statalistico in favore di un modello cosmopolitico.

La seconda posizione si colloca all'interno dei sostenitori del c.d “comunitarismo”, per i quali obblighi di accoglienza, eguaglianza e solidarietà valgono solo all'interno di cerchie ristrette di individui, che si collocano su un territorio e perdono validità nei confronti degli stranieri. La società, quindi, si determina dalla volontà di comunità che si autorealizzano, per cui i diritti giuridici degli stranieri di essere accolti si acquisiscono nel momento dell'acquisizione dello status di cittadino, status che quindi diviene prerogativa dello Stato stesso.

Discutere di accoglienza e respingimento comporta insomma, la necessità, per l’uomo e soprattutto per il diritto, di non esaurirsi nel proprio spazio sovrano, ma

82 C. Bertolino, op. cit. pag. 4. Principio di “ospitalità universale” ripreso dall'opera di I. Kant, Per la pace

perpetua, intesa come diritto di ogni essere umano in quanto potenziali membri di una repubblica

mondiale

riconoscere piuttosto e garantire il diritto di “appartenenza all’umanità”, dal quale discenderebbe, una volta avvenuti il riconoscimento e l’ammissione dello straniero nel proprio territorio, una limitazione per la discrezionalità sovrana della comunità e dei poteri pubblici.

Il progetto di democrazia emancipante inscritto nella nostra Costituzione, ma anche nel quadro dei valori e degli obiettivi dell’Unione Europea, necessita per la sua perenne realizzazione, non di confini sbarrati e di barriere invalicabili, ma di frontiere porose, che propongano, per l’ordinamento, per il territorio e per il suo popolo, la sfida di un cambiamento in senso universalistico, in un continuo processo autocostitutivo della democrazia84, in cui i mezzi principali di tutela dei diritti stessi

divengono legislatori e giudici. I primi, avvalendosi dello strumento della legge possono dar luogo al riconoscimento dei diritti, consegnando ai secondi la tutela effettiva degli stessi, avvalendosi di operazioni di bilanciamento non solo tra i diritti stessi, ma anche con altri interessi costituzionalmente riconosciuti, avvalendosi del “dialogo tra le Corti”, di rilevanza sempre maggiore e delle osservazioni spesso offerte dal corpo sociale stesso85.

Nel quadro normativo, la questione dell'accoglienza la si può riscontrare non solo a livello nazionale ma anche ai livelli sovranazionale ed internazionale.

Quanto al profilo internazionale, si ricorda la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, i cui articoli 13-15 dispongono che “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato” e “di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio”, così come di “ritornare nel proprio Paese”. Inoltre, “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni”; infine, “ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza” e nessuno “potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza”86.

Eguali affermazioni ritroviamo nella Convenzione ONU sullo statuto dei rifugiati di Ginevra del 1951, il cui articolo 33 sancisce il principio del “non refoulement”, dunque, il divieto assoluto di espulsione e di respingimento nei confronti di chi,

84 C. Bertolino, op. cit., pag. 19

85 A. Ruggeri, I diritti sociali al tempo delle migrazioni. In www.aic.it, Fasc. 2/2018, pag. 10 86 C. Bertolino, op. cit., pag. 7

rifugiato, rischierebbe, qualora ricondotto ai confini del proprio territorio, la vita o la libertà, a motivo della sua razza, della religione, della cittadinanza, dell’appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Essa prevede inoltre, quale unica eccezione all’assolutezza di tale principio, l’ipotesi in cui l’individuo possa costituire un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede, oppure costituisca una minaccia per la collettività a motivo di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave. Il principio del “non refoulement” è stato inoltre esteso, in ambito internazionale, anche ai non rifugiati, con la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, siglata a New York nel 1984. In particolare, l’art. 3, primo comma, afferma che “nessuno Stato Parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura”87.

Ancora sul piano internazionale, è poi determinante la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 che, come noto, prevede, all’articolo 3, che nessuno possa “essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, mentre l’articolo 4 del Protocollo n° 4 vieta espulsioni collettive degli stranieri.

Anche sul piano europeo si è lavorato molto in tal senso. In primo luogo, in seguito al Trattato di Lisbona, l’Unione si propone di sviluppare una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e temporanea, con la quale riconoscere uno status appropriato al cittadino di uno Stato Terzo che abbia bisogno di protezione internazionale, tenendo presente, con un richiamo esplicito alla Convenzione di Ginevra, il principio del “non refoulement”.

Il carattere vincolante della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è poi rilevante per quanto concerne gli articoli relativi al diritto d’asilo, alla protezione in caso di allontanamento, espulsione ed estradizione e al diritto dei cittadini di Stati terzi di lavorare nel territorio degli Stati membri in condizioni equivalenti a quelle dei cittadini europei. Rispetto a questo specifico profilo, l’Unione Europea si conforma dunque al diritto internazionale, imponendo agli Stati un obbligo di accoglienza e il contestuale diritto di essere accolti per gli asilanti e i rifugiati.

87 Dal testo della “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. In

In secondo luogo, nelle politiche comuni dell’Unione vi sono poi l’immigrazione e il controllo delle frontiere esterne. Si tratta di una competenza concorrente, che consente all’Unione di adottare ragionevoli atti di armonizzazione, rimanendo sempre salvo l’esercizio delle responsabilità degli Stati membri quanto al mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, come previsto dall'articolo 70 del TFUE. In particolare, la politica migratoria è improntata alla solidarietà, all’equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri e all’equo trattamento nei confronti dei cittadini di Paesi terzi, di cui agli articoli 67 e 80 del TFUE. Nel Trattato di Lisbona si precisa, inoltre, che lo sviluppo di una politica comune dell’immigrazione è inteso ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori88.

Quanto al livello nazionale, il rapporto tra accoglienza e respingimento è chiaro già all'interno della Costituzione, negli articoli 2 e 3, in relazione alla centralità della persona umana nel nuovo assetto democratico dello Stato, impegnando la Repubblica all'affermazione dell'eguaglianza formale e sostanziale fra gli individui. Per ciò che attiene più strettamente agli stranieri, come già menzionato, è l'articolo