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Per completare l'analisi sull'incidenza del multiculturalismo nella società italiana, quest'ultima parte verte sulla gestione dei flussi migratori nel sistema italiano e nel riconoscimento di strumenti per il godimento dei diritti sociali in seno agli stranieri, di cui si accenna, che si vedrà più approfonditamente nel corpo centrale del testo. Gestire la presenza di stranieri sul territorio italiano non è una questione semplice nel contesto sociale, politico e giuridico, in quanto l'Italia ha storicamente vissuto più fasi di emigrazione che non di immigrazione. Di fatti, solo nel 1986 fu approvata la prima normativa di rango legislativo che regolamentasse la situazione degli stranieri nell'ingresso e nel trattamento nelle condizioni di lavoro, con la Legge n° 943/1986, con l'istituzione della consulta per i problemi dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie. Sin da subito, quindi, l'idea è stata quella di creare dei meccanismi di ingresso e permanenza su suolo italiano legati alla condizione di lavoratore. A questa fece seguito, la Legge n° 39/1990, ovvero la meglio conosciuta “Legge Martelli”, con l'intento di regolare in maniera organica l'immigrazione, ridefinire lo status di rifugiato, introdurre la programmazione dei flussi dall'estero e precisare le modalità di ingresso e respingimento alla frontiera e il soggiorno in Italia. Disposizione poi abrogata alla fine degli anni Novanta, quando si giunse ad una corposa riforma sul punto, che confluì nella Legge n° 40/1998, la cosiddetta “Legge Turco – Napolitano”, ovvero “Disciplina sull'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, in attuazione dell'articolo 10 della Costituzione, intendendo già nell'articolo 1, come straniero coloro non appartenenti all'Unione Europea o gli apolidi. In questo contesto, per la prima volta, è stato affiancato al diritto dell'immigrazione, il diritto all'integrazione, con l'intento di restituire maggiore organicità alla disciplina68

La disciplina in essa contenuta trasmigrò poi nel Testo Unico dell'Immigrazione, ovvero nel D. Lgs 286/1998, creato per dare maggiore omogeneità e concretezza alla disciplina sugli stranieri. Uno degli obiettivi della nuova legge era quello di

68 G. Famiglietti, I diritti dei non cittadini. In (a cura di) E. Catelani, S. Panizza, R. Romboli, Profili attuali

realizzare una politica annuale di ingressi limitati, programmati e regolati, per non continuare a procedere attraverso sanatorie alla regolarizzazione della posizione dei lavoratori stranieri.

Con la riforma del 1998 è previsto un articolato sistema di programmazione dei flussi, ma il precedente meccanismo delle quote prestabilite annuali di ingressi e dell'incontro tra domanda e offerta che si era proposto ha evidenziato sin da subito la sua inefficacia.

Con il passare degli anni, e attraverso la c.d riforma “Bossi-Fini”, ovvero la Legge n° 189/2002, questi tentativi di disciplinare in modo più concreto e stabile la condizione degli stranieri, furono prima allentati e poi abbandonati e, per quanto riguarda i lavoratori stranieri, si è proceduto poi a nuove regolarizzazioni nel 2002, 2009 e 201269, cercando di restringere la platea degli stranieri lavoratori, e quindi di

coloro che avrebbero poi avuto accesso al sistema di welfare.

Inoltre, in questi ultimi anni, alcuni fattori come la crisi economica e di conseguenza, il massiccio arrivo di profughi, hanno stravolto nuovamente la normativa dei decreti flussi, che ormai non prevedono quasi più ingressi per motivi di lavoro che non siano stagionali.

Questo, nell'analisi che si sta svolgendo, rileva in quanto coloro che hanno un regolare permesso di soggiorno sono passati sotto delle sanatorie, quindi per un periodo non erano regolari all'interno del Paese e perciò non hanno potuto godere delle tutele previste e dei loro diritti fondamentali, e quindi accedere a una reale integrazione. Inoltre, la manodopera straniera a ben vedere si colloca negli strati più bassi del mercato del lavoro, e ciò ha provocato un peggioramento delle condizioni lavorative e retributive in alcuni settori e con l'aggravarsi della crisi economica, una marginalizzazione dei lavoratori immigrati, che hanno iniziato a richiedere sempre di più protezione dal sistema di welfare.

Altro importante canale di accesso al nostro Paese e che negli ultimi anni è stato molto sfruttato è il ricongiungimento familiare, il cui esercizio oltre ad essere un diritto fondamentale di ogni individuo, diventa anche simbolo della volontà dello straniero di trattenersi sul territorio italiano, e quindi di integrarsi nella società

italiana, con la trasformazione dell'immigrazione temporanea di lavoratori in una situazione stabile e familiare.

Infine, si delinea il permesso per soggiornanti di lungo periodo, che prevede un permesso a tempo indeterminato per il soggetto, rendendo la sua posizione più stabile all'interno del territorio non dovendo rinnovare di volta in volta il permesso e quindi offre maggiori garanzie allo straniero nel nostro Paese70.

L'accesso agli istituti di solidarietà sociale, le politiche di contrasto alla discriminazione, l'eventuale riconoscimento dei diritti politici sono tutti elementi che devono far parte di politiche di integrazione. Nel 2009 è stato anche introdotto un altro elemento di integrazione nel sistema italiano, attraverso il quale lo straniero si impegna a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione da conseguire entro il termine della fine del permesso di soggiorno (acquisire un livello A2 di italiano, acquisire dei contenuti minimi della Costituzione e della vita civile in Italia e garanzia di istruzione ai figli minori), disposizione inserita con D.P.R n° 179/2011 nel pacchetto sicurezza e che ha fatto molto discutere, anzitutto perché si è inserita in un contesto in cui l'immigrazione veniva assimilata alla questione di ordine pubblico e quindi di sicurezza e poi perché ha suscitato dubbi di costituzionalità in ordine al rispetto della riserva di legge del secondo comma dell'art. 10 della Costituzione. Infine, la richiesta di adesione alla Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione avrebbe fatto prevalere la visione per cui si voleva impostare una prevalenza alla cultura occidentale71.

Da ultimo, elemento essenziale per avere delle effettive politiche di integrazione è la possibilità di accesso al sistema di welfare e quindi di godere dei diritti sociali. Via via si è andata affermando l'idea per cui anche lo straniero ha accesso al godimento dei diritti sociali, confermato anche dalla Corte costituzionale, ma a differenza dei diritti di libertà di cui gode sempre lo straniero, l'accesso ai diritti sociali è subordinato “all'attaccamento” a una comunità, che spetta al legislatore indicare e che varia a seconda della prestazione sociale di riferimento.

70 C. Corsi, op. cit.

71 La portata dell'accordo di integrazione è stata esplicitata da alcuni esponenti dell'allora Lega Nord, i quali riferiscono che mediante tali strumenti gli stranieri devono dimostrare di saper convivere civilmente nel rispetto dei valori della Costituzione italiana e degli usi della società italiana. I dubbi sono sorti soprattutto in merito alla conoscenza della lingua italiana e del concetto di integrazione, che ricadrebbe solo in capo agli stranieri, esposti da alcuni esponenti del Partito Democratico.

A qualificare lo straniero come idoneo a godere delle prestazioni sociali, vi è innanzitutto, lo status di lavoratore, come precedentemente sottolineato, che dà diritto all'accesso a tutte le prestazioni al pari dei cittadini italiani, per cui sono concordi normativa nazionale, comunitaria ed internazionale.

Poi, il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, il permesso di soggiorno per asilo o per protezione sussidiaria danno diritto allo stesso trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenze sociale e sanitaria.

Nel 1998 il legislatore aveva introdotto anche la possibilità per chi godeva di un permesso di soggiorno di almeno un anno di accedere ad alcune prestazioni sociali ed assistenziali, ma già con la L. finanziaria del 2001 queste possibilità sono andate riducendosi ed assimilandosi per coloro che non fossero in possesso di un permesso con validità minima di 5 anni.

La Corte costituzionale è stata costretta ad intervenire svariate volte in merito, dichiarando sempre la discriminazione di questa normativa, in quanto escludeva la possibilità per lo straniero di godere di servizi e condizioni basilari in termini di assistenza sociale.

Nonostante i molteplici interventi della Corte, non mancano ancora oggi attuazioni da parte del legislatore solo nei confronti di soggiornanti di lungo periodo o che abbiano protezione sussidiaria, escludendo parte della categoria “stranieri” nel godimento delle prestazioni essenziali. L'orientamento della giurisprudenza è quello di far accedere al godimento di queste prestazioni tutti coloro che attestino la loro non episodicità all'interno del territorio italiano, sia anche con un permesso annuale o biennale, mentre l'applicazione da parte del legislatore nel richiedere ulteriori requisiti può essere considerata in contrasto con il principio di eguaglianza.

Un altro elemento da cui osservare la condizione dello straniero è quella inerente alla partecipazione alla vita politica di una comunità. Innanzitutto sono riconosciuti agli stranieri diritti diversi dal diritto di voto ma che possono avere connotazione politica, come il diritto alla manifestazione del pensiero, la libertà di riunione o di associazione.

La legislazione vigente disciplina molti canali che offrono allo straniero la possibilità di partecipare, attraverso una pluralità di forme, alla vita politica ed

amministrativa del Paese, come la possibilità di partecipare ad organi consultivi, istituiti già nel T. U.I del 1998, che appunto prevede l'istituzione di una consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, alla quale sono chiamati a far parte anche rappresentanti degli stranieri. Inoltre, gli statuti regionali nel disciplinare gli istituti di partecipazione possono coinvolgere “i soggetti che prendono parte consapevolmente e stabilmente alla vita della comunità, ancorchè non titolari del diritto di voto e della cittadinanza italiana”, come ribadito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n° 379/2004 e 118/201572.

Il secondo punto di vista riguarda l'adempimento agli obblighi di solidarietà sociale, economica e politica dello straniero, per cui ottenere un alto livello di coesione sociale passa anche dal riconoscimento agli stranieri della possibilità di accedere ai servizi sociali non solo come fruitori del servizio stesso, ma anche nella possibilità di offrire il proprio contributo ad esempio proponendosi come volontario. Esso quindi diventa un forte strumento di integrazione.

Una ulteriore importante via di integrazione è la possibilità di accedere all'istituto della cittadinanza, che radicherebbe lo straniero non solo alla possibilità di avere e godere dei diritti ma anche al pieno adempimento ai doveri di solidarietà e fedeltà alla Repubblica. In questo caso si tutelerebbe anche una seconda generazione di stranieri che, in questo modo, porterebbe alla creazione di una società plurale, ma coesa.

Parte seconda

IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI SOCIALI

AGLI STRANIERI

CAPITOLO III

IMMIGRAZIONE E DIRITTI SOCIALI

Sommario: 1. Premessa. - 2. Diritti, tra accoglienza e respingimento. - 3. Quali stranieri e