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Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea Magistrale:
Rilettura critica del sistema italiano di
garanzia della libertà religiosa in
prospettiva de iure condendo
Il Candidato Il Relatore
Alessandro Andreotti Prof.ssa Chiara Lapi
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Indice
Capitolo primo
La libertà religiosa in Italia: un sistema multilivello di privilegi confessionali
1.1 L’ istituto delle intese ed il principio pattizio nella giurisprudenza delle corti superiori sul caso U.A.A.R ………5
1.2 Il principio personalista nella Costituzione e la “confessionalità latente” dello Stato italiano ………36
1.3 Legge generale sulla Libertà di Culto: profili di legittimità costituzionale ………..39
Capitolo secondo
Discriminazione tra individui e parità confessionale nella giurisprudenza della Corte Costituzionale sull’edilizia di culto: la centralità della persona umana ed il ruolo delle confessioni nella realizzazione dei diritti di libertà religiosa individuale e collettiva
2.1 L’emersione del Principio personalista nella giurisprudenza costituzionale in materia di edilizia di culto. Introduzione .………43
2.2 La Sentenza n. 195 del 1993: Confessionalismo e Principio Personalista a confronto ………46
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2.3 La Sentenza n. 346 del 2002 e la natura delle Confessioni religiose: un’interpretazione costituzionalmente orientata ………51
2.4 La Sentenza n. 63 del 2016 tra principio personalista ed abuso della potestà legislativa: un’occasione mancata ………54
Capitolo terzo
Criteri di Diversificazione Normativa in ambito confessionale tra Italia e Regno Unito per un’alternativa al principio della bilateralità basata sul rispetto di standards qualitativi
3.1 Il peccato originale del modello concordatario ……….68
3.2 Tutela dei beni culturali di interesse religioso: la normativa italiana su base pattizia alla prova della Costituzione. Rilievi critici ………71
3.3 L’istituto giuridico delle Ecclesiastical Exemptions quale paradigma del sistema inglese di tutela della libertà religiosa: la diversificazione normativa basata sul rispetto di standards qualitativi oggettivi ……….90
3.4 Il sistema italiano di garanzia della Libertà Religiosa alla luce del principio di ragionevolezza. Prime conclusioni ………121
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Capitolo quarto
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed ordinamenti giuridici nazionali: l’insufficienza della CEDU quale parametro oggettivo di garanzia della Libertà Religiosa e l’auspicabile adozione di una Legge generale in materia
4.1 La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo tra interpretazione conforme e margine di apprezzamento: alle origini di un’insopprimibile dicotomia tra politica e diritto ………125
4.2 L’affaire Cha’are Shalom Ve Tsedek: tra margine di apprezzamento e arbitrio ………136
Capitolo quinto
Vecchi problemi per nuove Intese: breve excursus storico
5.1 I rapporti tra stato italiano e confessioni protestanti tra il 1929 ed il 1955: la condizione dei culti acattolici agli albori del dibattito sulle Intese ………..152
5.2 Il Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche d’Italia e l’avvio del dibattito sulle Intese ……….160
5.3 Un’Intesa lunga trent’anni: la Chiesa Apostolica in Italia e la Coalizione per le Intese ………189
Conclusioni ……….208 Bibliografia & fonti archivistiche, normative e giurisprudenziali….216
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CAPITOLO PRIMO
LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN ITALIA: UN SISTEMA
MULTILIVELLO DI PRIVILEGI CONFESSIONALI
Sommario: 1.1 L’istituto dell’intesa ed il principio pattizio nella
giurisprudenza delle corti superiori sul caso UAAR. 1.2 Il principio personalista nella Costituzione e la “confessionalità latente” dello Stato italiano. 1.3 La legge generale sulla Libertà di Culto: profili di legittimità costituzionale.
1.1 L’istituto dell’intesa ed il principio pattizio nella giurisprudenza delle corti superiori sul caso UAAR
La Sentenza n. 52 del 2016 della Corte costituzionale sembra porre fine, definitivamente, all’annosa questione circa la facoltà, riconosciuta allo Stato, di negare il proprio consenso ad intraprendere trattive per la stipula di intese con confessioni religiose diverse dalla Cattolica1. A questo risultato si è giunti dopo un travagliato percorso
1 In dottrina sono stati sollevati alcuni dubbi circa la correttezza delle argomentazioni
fornite dalla Corte Costituzionale nella richiamata sentenza. Sul punto, a titolo ricognitivo, Cfr. G. Di Cosimo, Carta bianca al Governo sulle intese con le confessioni
religiose (ma qualcosa non torna), in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, rivista
telematica (www.statochiese.it), n. 2/2017; I. Nicotra, Le intese con le confessioni
religiose: in attesa di una legge che razionalizzi la discrezionalità del Governo, in
“Federalismi.it”, n. 8/2016; J. Pasquali Cerioli, Interpretazione assiologica, principio
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giurisprudenziale che ha coinvolto tutti gli organi di vertice della magistratura italiana giungendo, in molti casi, a risultati contraddittori2. Il casus belli riguardava l’istanza di ammissione alla
trattativa per la stipula di un’intesa ex articolo 8, terzo comma della Costituzione, promossa dall’Unione Atei Agnostici Razionalisti. Il
comma, Cost., in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, rivista telematica (www.statochiese.it), n. 26/2016; F. Alicino, Le intese con le confessioni religiose alla prova delle organizzazioni ateistiche, in Diritto Ecclesiastico, 2013, n. 1-2, pp. 69-71;
N. Colaianni, La decadenza del “metodo della bilateralità” per mano (involontaria)
degli infedeli, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 28 del 2016; S.
Lariccia, Un passo indietro sul fronte dei diritti di libertà e di eguaglianza in materia
religiosa [?], in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 20 del 2016; G. Macrì, Il futuro delle intese (anche per l’UAAR) passa attraverso una legge generale sulla libertà religiosa. Brevi considerazioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 52 del 2016, in Osservatorioaic.it, n. 3 del 2016; F. Alicino, La bilateralità pattizia Stato-confessioni dopo la sentenza n. 52/2016 della Corte costituzionale, in
Osservatoriosullefonti.it n. 2 del 2016; A. Ruggieri, Confessioni religiose e intese tra
iurisdictio e gubernaculum, ovverosia l’abnorme dilatazione dell’area delle decisioni politiche non giustiziabili (a prima lettura di Corte cost. n. 52 del 2016), in
Federalismi.it n. 7 del 2016; M. Croce, Alla Corte dell’arbitrio: l’atto politico nel
sistema delle intese, in Giurisprudenza Costituzionale n. 2 del 2016, p. 560 ss.; A.
Licastro, La corte costituzionale torna protagonista dei processi di transizione della
politica ecclesiastica italiana? In Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, cit., n. 26
del 2016.
2 Cfr. Consiglio di Stato, Sez.IV, Sent. n. 6083/2011, poi ripresa in Cassaz. Sez.Un. Civ, Sent. n. 16305/2013 p. 10 motivazione, la quale asserisce che l’interesse ad iniziare
le trattative per la stipula di un’intesa è costituzionalmente protetto e, per tale ragione, non può essere rimessa alla assoluta discrezionalità del governo la valutazione circa l’idoneità della confessione ad intraprendere la trattativa: <<l’assenza di normazione non è di per sé un impedimento a contrastare in sede giurisdizionale il rifiuto di intesa fondato sul mancato riconoscimento, in capo al richiedente, della natura di confessione religiosa […] E’ nel giusto la Sentenza del Consiglio di Stato quando afferma che tale accertamento rientri, tutt’al più, nell’ambito della discrezionalità tecnica>> rientrante nella Giurisdizione Generale di Legittimità di cui all’art. 7 c.3 c.p.a. <<[…] La Corte di Cassazione non vuole e non deve pronunciarsi sull’esistenza di un diritto alla chiusura delle trattative o all’esercizio dell’azione legislativa>> ma <<negare la sindacabilità del diniego di apertura delle trattative significa privare il soggetto istante di tutela e aprire la strada, come indicato dal C.d.S, ad una discrezionalità foriera di discriminazioni>>; cfr, inoltre, Tar Lazio n. 7068/2014 che afferma, nel giudizio promosso dall’UAAR, che il governo abbia la piena facoltà di denegare l’inizio delle trattative in quanto ciò non influisce sulle garanzie costituzionali che tutelano il diritto di libera associazione.
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Consiglio dei ministri, accogliendo un parere emesso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rigettò la domanda motivando il proprio diniego per relationem, sulla base di quanto aveva espresso il citato parere. Esso, infatti, dopo aver chiarito che “la possibilità di addivenire a una regolamentazione bilaterale dei rapporti mediante la conclusione di intese è espressamente riservata alle confessioni religiose diverse dalla cattolica”, fornisce una definizione giuridica del concetto di “confessione religiosa”, la quale sarebbe da intendersi come “un fatto di fede rivolto al divino e vissuto in comune tra più persone, che lo rendono manifesto nella società tramite una propria particolare struttura istituzionale”3. L’UAAR, allora, propose ricorso presso il Tar
Lazio avverso la delibera con la quale il Consiglio dei ministri aveva stabilito l’inidoneità della stessa a negoziare l’intesa4, ottenendo una
pronuncia di inammissibilità per difetto assoluto di giurisdizione secondo il disposto dell’art. 7 del Codice del Processo Amministrativo. La corte, infatti, ritenendo che la delibera impugnata avesse natura di atto politico non giustiziabile, escludeva che il diniego di inizio delle trattative, operato dal Governo, potesse in alcun modo essere oggetto di valutazione giurisprudenziale5. Contraltare di questa impostazione,
in linea di principio, era l’idea che la pretesa di una data confessione di intraprendere i negoziati per la stipula di un’intesa dovesse essere qualificata come interesse semplice e non già come interesse legittimo, la cui lesione è tutelabile con ricorso alla giurisdizione amministrativa. Di diverso avviso fu il Consiglio di Stato, il quale ritenne che la scelta di non avviare la trattativa, basandosi sulla
3 Nota del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri a Giorgio Villella,
Segretario Nazionale UAAR, 5 Dicembre 2003 (www.uaar.it/laicita/ateismo_e_legislazione/17e.html/ ).
4 Delibera del Consiglio dei ministri adottata nella seduta del 27 Novembre 2003. 5 Tar Lazio, Sez. I, Sent. n. 12539/2008, cit. in Corte costituzionale, Sent. n. 52/2016,
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considerazione, di carattere tecnico, per la quale il soggetto istante non sarebbe qualificabile come confessione religiosa e pertanto non sarebbe costituzionalmente abilitato a stipulare l’intesa, non potesse considerarsi un atto politico insindacabile ma, piuttosto, quale esercizio della discrezionalità valutativa del Governo. Questo, infatti, è chiamato ad operare un bilanciamento tra due interessi che si presentano spesso contrapposti: quello dell’istante, che vuole essere ammesso a stipulare l’intesa, e quello pubblico, che tende a limitarne l’accesso ai soli soggetti muniti della qualifica di confessione religiosa. Su queste premesse, il Consiglio di Stato riformò la decisione di primo grado e stabilì che, qualora il soggetto istante fosse qualificabile come confessione religiosa, il governo non avrebbe potuto negargli l’avvio dei negoziati. Restava appannaggio dell’esecutivo la facoltà di interrompere le trattative o non approvare il testo dell’intesa licenziato dalla commissione interministeriale all’esito della contrattazione con le rappresentanze della confessione istante. Il Consiglio di Stato, quindi, rinviò le parti davanti al primo giudice6,
mantenendosi di fatto coerente con la linea adottata in occasione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, promosso dalla stessa UAAR più di un decennio addietro, e risolto favorevolmente per la stessa sulla base del parere che la terza sezione consultiva del Consiglio aveva all’uopo redatto7. In esso si propendeva per
l’annullamento della decisione governativa di non intraprendere le trattative con l’organizzazione ricorrente. A fondamento della decisione si poneva la considerazione che la competenza a statuire circa l’accoglimento o il rigetto dell’istanza di ammissione ai negoziati
6 Consiglio di Stato, sez. IV, Sent. n. 6083/2011, cit. in Corte costituzionale, Sent. n. 52/2016, ritenuto in fatto, par.1, quarto capoverso.
7 Consiglio di Stato, Sez. III, parere n. 3048/1997, cit. in Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 6083/2011, considerato in diritto, par.1, secondo periodo.
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dell’intesa fosse di spettanza del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia con delibera. Ciò, infatti, è espressamente disposto dalla legge8 e, nel caso di specie, il diniego era semplicemente contenuto in
una nota a firma del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. È implicito, quindi, che già in quell’occasione il Consiglio di Stato avesse caldeggiato l’idea che l’atto di diniego avverso l’istanza di ammissione alla trattiva per la stipula dell’intesa fosse da intendersi quale vero e proprio provvedimento amministrativo, e non quale atto politico. Se il Consiglio di Stato avesse diversamente ritenuto, infatti, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso straordinario. Esso, come previsto dalla legge, può essere esperito solo avverso “atti amministrativi definitivi […] per motivi di legittimità”9. Il
Consiglio, invece, ritenne sussistente il difetto di competenza, tipico vizio di legittimità dell’atto amministrativo, e si pronunciò in favore dell’UAAR. La Sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato n. 6083/2011, nell’ escludere che il provvedimento di diniego della domanda di ammissione fosse qualificabile come atto politico spiega che, come da conclamata giurisprudenza, un provvedimento della pubblica amministrazione può intendersi come “politico” solo in quanto emesso da un organo di vertice della stessa, individuato tra quelli “preposti alla cura e all’amministrazione della cosa pubblica al massimo livello” e avente ad oggetto “la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione”10. Nel nostro caso, si osserva,
risulterebbe del tutto mancante il secondo requisito. L’articolo 8 della
8 Legge n. 400/1988, art.2, c.3 lett. l, cit. in Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. 6083/2011, considerato in diritto, par. 1 quale fondamento del parere Consiglio di
Stato n. 3048/1997.
9 D.p.R n. 1119/1971, art. 8, c. 1.
10 Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 6083/2011, considerato in diritto, par. 3, terzo
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Costituzione, se da un lato afferma il principio di eguale libertà tra le confessioni religiose e per esse la piena libertà di organizzazione, dall’altro stabilisce una riserva assoluta di legge in materia di regolazione dei rapporti tra lo Stato e le predette confessioni. Il potere di approvare la legge spetta al Parlamento, il quale è però vincolato ad esprimere una mera ratifica o rigetto del testo concordato in via pattizia. Siamo in presenza, dunque, di una norma sulle fonti, il cui scopo è quello di limitare l’autonomia legislativa del parlamento e non quello di ricondurre le scelte in materia di stipulazione delle intese nell’alveo dell’indirizzo politico generale dello stato. Il Governo, tuttavia, una volta iniziata la trattativa, ha la facoltà di interromperla e di non stipulare l’intesa all’esito della stessa, così come il parlamento potrebbe decidere legittimamente di non approvare con legge il testo definitivo licenziato dall’apposita commissione. Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, almeno l’avvio delle trattative, qualora l’associazione istante sia correttamente qualificabile come confessione religiosa, sarebbe atto dovuto, dal momento che la capacità di stipulare l’intesa e di proporre la relativa istanza sarebbero il necessario corollario del principio della eguale libertà di cui al primo comma dell’art. 8 della Costituzione. Frutto di quanto sopra esposto è la qualifica dell’atto di diniego dell’avvio dei negoziati, adottato con delibera del Consiglio dei ministri, come atto amministrativo definitivo. Esso, infatti, è direttamente idoneo a pregiudicare il legittimo interesse dell’associazione istante ad essere qualificata come confessione e, conseguentemente, prendere parte alla trattativa per la stipula dell’intesa11.
Questa impostazione non trovò il favore del governo e la questione fu allora oggetto di un successivo intervento delle Sezioni Unite della
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Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi su impulso della Presidenza del Consiglio. La suprema corte, nella sostanza, confermò quanto il Consiglio di Stato aveva stabilito, rigettando il ricorso governativo. L’Avvocatura Generale dello Stato sostenne che le intese, alla luce dell’art. 8 c. 3 della Costituzione, fossero da interpretarsi come “condizioni di legittimità costituzionale” dello speciale iter legislativo previsto per la regolamentazione dei rapporti tra lo stato e le confessioni religiose, non trattandosi di “negozi valutabili sotto il profilo della conformità a preesistenti norme giuridiche”12. La potestà
legislativa, attribuita al Parlamento, è per sua natura sottratta a qualunque sindacato giudiziale in quanto integra il prototipo dell’atto politico per eccellenza13. Per questo motivo la confessione acattolica
che miri ad un’intesa sarebbe portatrice di una “aspirazione di mero fatto”14, non tutelabile in sede giurisdizionale. La Cassazione, tuttavia,
rilevò che il mantenimento dello stato di diritto, condizione necessaria allo sviluppo di una società pluralista e realmente democratica, presuppone che le area della vita pubblica sottratte al sindacato giurisdizionale siano il più possibile contratte15. La Corte
Costituzionale, infatti, aveva rilevato che i principi di natura giuridica, posti dall’ordinamento a livello costituzionale e legislativo, sono idonei a tracciare i limiti entro i quali possa muoversi la discrezionalità politica, escludendo che le scelte compiute in violazione di tali principi possano essere sottratte al controllo delle corti16. Già la Sezioni Unite
Civili della Corte di Cassazione, infatti, avevano avuto modo di rilevare
12 Corte di Cassazione, Sez. Un. Civili, Sent. n. 16305/2013, Motivi della decisione,
par. 3, ultimo periodo.
13 Cfr. Consiglio di Stato, cit. considerato in diritto, par. 6, ultimo periodo. 14 Corte di Cassazione, cit., Motivi, par. 3, ultimo capoverso.
15 Ivi, Motivi, par. 4.1, primo capoverso.
16 Corte costituzionale, Sent. n. 81/2012, cit. in Corte di Cassazione, cit., motivi, par.
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che l’area dell’immunità giurisdizionale comprendente gli atti politici è certamente limitata, quanto ai contenuti, dalle finalità dell’atto stesso: è il sistema normativo a dettare quali sono gli scopi di ciascun atto ed è proprio il perseguimento degli stessi che gli conferiscono ragion d’essere. La mancata applicazione delle norme che stabiliscono le finalità dell’agire politico può sempre essere oggetto di sindacato giurisdizionale17. Vi sarebbe, secondo la Corte, un solo settore
dell’ordinamento che possa a buon diritto contemplare la completa insindacabilità degli atti che vi si esplicano: quello delle relazioni internazionali, per il quale nessuno può vantare un interesse giuridicamente protetto a che gli atti in cui si manifesta assumano o meno un determinato contenuto18. Si è poi rilevato che la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo, per costante giurisprudenza, afferma che sia sempre da tutelare l’interesse delle confessioni religiose ad accedere agli status promozionali previsti in ciascun ordinamento statale, per ciò non è possibile sottrarre il diniego di accesso a tali status, anche se questi prevedano all’origine una convenzione tra lo Stato e la Confessione interessata, al sindacato giurisdizionale. Ciò perché il principio di non discriminazione impone ai paesi aderenti alla Cedu di stabilire criteri egualitari per l’ammissione al godimento dei benefici riservati alle organizzazioni religiose, dovendo motivare il diniego e potendo lo stesso essere impugnato19.
Alla luce dei principi sopra esposti la Corte afferma che, nel caso di specie, non esistono norme giuridiche che si pronuncino
17 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. Civili, Sent. n. 11263/06; Sez. Un. Civili, n.
1170/2000; Sez. Un. Civili, n. 21581/2011.
18 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. Civili, n. 8157/2002.
19 Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sent. 31 Luglio 2008 n. 40825/98; 19 Marzo 2009 n. 28648/03; 30 Giugno 2011 n. 8916/05; 9 Dicembre 2010 n. 7798/08; 6 novembre 2008 n. 58911/00, cit. in Corte di Cassazione, cit., Motivi, par. 4.3.1,
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definitivamente circa l’obbligo del governo di avviare le trattative per la stipula di un’intesa. In un obiter dictum, infatti, la sentenza promuove l’approvazione di una legge generale sulla libertà religiosa, nell’ambito della quale “il sistema di garanzie generali uscirebbe rafforzato, poiché essa riguarderebbe ogni manifestazione collettiva del sentimento religioso e farebbe affievolire il tentativo (o il pericolo) di conquista, tramite le intese, di discipline privilegiate”.20 Tuttavia -
prosegue la Corte - l’assenza di una norma specifica atta a regolare l’esercizio del potere politico nel caso in esame non esclude l’applicabilità allo stesso dei principi generali dell’ordinamento poiché - si afferma - “risponde a un’illusione positivistico-legalistica pretendere in ogni caso l’intervento legislativo: vi sono, infatti, principi fondamentali che sono immanenti nell’ordinamento senza essere stati posti espressamente; esistono inoltre – e sono rilevanti in sede giurisdizionale - principi costituzionali che informano le singole discipline e danno sostanza a diritti e interessi” 21. Tra questi principi
fondamentali spicca il principio di laicità dello Stato, sul quale la Corte Costituzionale si è a più riprese soffermata a partire dalla sentenza n. 203/198922. Esso implica che, in un regime di pluralismo
20 Corte di Cassazione, cit. Sent. n. 16305/2013, Motivi, par. 5.1, terzo capoverso. 21 Ibidem, Motivi, par. 5.1, ultimo capoverso.
22 Corte costituzionale, Sent. n. 203/1989, considerato in diritto, par. 4: <<[…] il
principio supremo della laicità dello Stato [..] è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica. […] Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale>>. La sentenza riguarda la presunta illegittimità costituzionale dell'art. 9, numero 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 di ratifica dell’accordo di Villa Madama, e del punto 5, lettera b, numero 2 del Protocollo addizionale, circa l’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole non universitarie di ogni ordine e grado. La Corte decise per il riconoscimento della legittimità costituzionale delle disposizioni richiamate, in quanto l’Insegnamento della Religione Cattolica è assicurato, sulla base del citato art.9 L. n. 121/1985, <<nel quadro delle finalità della scuola […] nel rispetto della libertà di
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confessionalismo e culturale, deve essere assicurata l’eguale libertà delle confessioni religiose. Questo principio - afferma la Corte - non confligge con il regime pattizio voluto dall’ art. 8 c. 3 della Costituzione in quanto le intese sono pensate proprio per dare effettiva attuazione al principio pluralista e di laicità. Con questo strumento, infatti, si intende contemperare e garantire due diverse esigenze: il diritto di ciascuna confessione di far valere le proprie diversità all’interno dell’ordinamento giuridico e quello dello Stato a far sì che l’esercizio dei diritti religiosi non entri in contrasto con quelli previsti dall’ordinamento civile a garanzia degli individui e della collettività. In quest’ottica assume primaria rilevanza lo stabilire a chi sia possibile attribuire validamente la qualifica di confessione religiosa. La Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 195 del 1993 e n. 346 del 2002, che esamineremo più dettagliatamente nel prosieguo della trattazione, fissa quello che è ancora oggi il criterio cardine nel valutare la sussistenza del carattere confessionale di una organizzazione sociale: stante l’assenza di una specifica norma nel nostro ordinamento e non essendo possibile fare affidamento alla sola autoqualificazione data dalla stessa organizzazione23, è utile fare riferimento ad alcuni criteri
coscienza e della responsabilità educativa dei genitori (ed) è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento>>. Lo stesso articolo 9 dichiara che i principi del Cattolicesimo sono da considerarsi <<acquisiti al patrimonio storico del popolo italiano>>. Per questo motivo la Consulta ritenne che la normativa in esame garantisse un equo contemperamento delle finalità educative della scuola -che poteva avvalersi di un insegnamento fortemente radicato nella storia italiana, anche tenuto conto del valore della cultura religiosa>>-, del diritto alla libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, di cui rispettivamente agli art.19 e 30 Cost, a patto che sia consentito agli studenti che non si avvalgono dell’ IRC di lasciare la scuola durante l’orario di insegnamento della stessa, non essendo per loro obbligatoria la frequenza di una materia alternativa.
23 E. Rossi, Le “confessioni religiose” possono essere atee? Alcune considerazioni su un tema antico alla luce di vicende nuove, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 27 del 2014, p. 23: «(…) l’autoqualificazione, da sola, non può essere
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suppletivi. Il primo di questi risulta dirimente mentre gli altri, quali il possesso di un’intesa, di precedenti riconoscimenti pubblici, i caratteri dell’organizzazione espressi nello Statuto e la comune considerazione, hanno valore meramente indicativo24. Questo denota chiaramente,
secondo la Cassazione, che la qualificazione di un’associazione come confessione religiosa rientra nell’alveo della discrezionalità tecnica25.
Lo stesso procuratore generale aveva affermato, in udienza, che il procedimento di cui all’art. 8 Cost. è posto a garanzia delle stesse confessioni che potrebbero subire pregiudizi discriminatori sulla base di una “selezione immotivata degli interlocutori” dello Stato26. Chi
promuove l’intesa ha, in sostanza, il diritto di pretendere il rispetto di quelle regole e quei principi di natura costituzionale che l’ordinamento pone a fondamento dei diritti di libertà religiosa, in ispecie l’impiego di “canoni oggettivi e verificabili” nello stabilire quali soggetti siano legittimati a chiedere che i propri rapporti con lo Stato siano regolati con intesa. A niente potrebbe, d’altro canto, valere la considerazione
persona di buon senso potrebbe ritenere che una squadra di calcio o un complesso musicale - ad esempio - possano qualificarsi come confessioni religiose solo perché si dichiarino tali, magari costringendo il Governo nazionale, alla luce delle pronunce giurisdizionali sopra richiamate, ad avviare con esse delle trattative finalizzate all’intesa»; M. Parisi, Principio pattizio e garanzia dell’eguaglianza tra le confessioni
religiose: il punto di vista della Consulta nella sentenza n. 52 del 2016, in Stato, Chiese
e Pluralismo Confessionale, cit., n. 13 del 2017, p. 3, n. 2: «In effetti, il criterio, fortemente autoreferenziale, della ‘autoqualificazione’ presenta caratteri di inadeguatezza e di fragilità, come anche la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di rilevare in passato […]».
24 Corte costituzionale, Sent. n.195/1993, considerato in diritto, par.5, quarto
capoverso: <<Resta fermo che per l'ammissione ai benefici sopra descritti non può bastare che il richiedente si autoqualifichi come confessione religiosa. Nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato. In mancanza di questa, la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione>>. Cfr. Corte Costituzionale, Sent. n. 346/2002, considerato in diritto, par. 3.
25 Corte di Cassazione, cit., Motivi, par. 6.1, ultimo capoverso. 26 Ivi, Motivi, par. 6.2.
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circa l’oggettiva difficoltà di stabilire una definizione giuridicamente valida ed onnicomprensiva di “religione”: dal momento che una tale nozione è in grado di far discendere da sé precise conseguenze giuridiche, è necessario che gli organi deputati se ne facciano carico, pena l’attribuzione al Governo di un arbitrio che mal si adatta alla garanzia di eguale libertà di cui al primo comma dell’art. 8 Cost27. Le
considerazioni sopra riprodotte portano la Corte ad affermare, a coronamento delle stesse, che il procedimento di stipula delle intese debba ritenersi diviso in due momenti, tra loro necessariamente collegati ma diversi sotto il profilo della disciplina giuridica applicabile: il primo, consistente nell’apertura della trattativa finalizzata alla realizzazione dell’intesa, sarebbe disciplinato secondo i canoni dell’attività amministrativa; il secondo, quello dell’iter legislativo di approvazione di intesa, seguirebbe le regole previste per l’approvazione degli atti di normazione. Tra l’uno e l’altro di questi due momenti ci sarebbe la fase delle negoziazioni, nella quale il Governo conserverebbe ampli poteri discrezionali, consistenti nella facoltà di interrompere le stesse, ovvero non ratificare il testo finale prodotto dall’apposita commissione bilaterale28. È opinione di chi scrive che la
Corte, a completamento di quanto espresso, intendesse implicitamente affermare l’esistenza di un diritto soggettivo, in capo alle confessioni, di essere ammesse alle trattative qualora posseggano i requisiti previsti dalla Costituzione, così come integrati dalle richiamate sentenze della Corte Costituzionale, e il permanere di un mero interesse di fatto per le fasi successive del procedimento. È da ricordare, infatti, che l’iter di approvazione di una legge - come richiamato dalla Corte in questa sentenza - sia da qualificarsi come atto
27 Ivi, Motivi, par. 7.
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per definizione politico, verso l’adozione o meno del quale nessuno può reclamare la lesione di diritti o interessi legittimi di qualsiasi natura.
Per i motivi esposti la Cassazione confermò la sussistenza della giurisdizione in capo al giudice amministrativo. Dopo la Sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, adottata nel 2011, la questione tornò nuovamente all’attenzione del Tar Lazio, che si pronunciò nel merito del ricorso promosso dall’UAAR. In un primo momento il Tribunale aveva dichiarato la perenzione del giudizio de quo, non avendo l’ UAAR compiuto atti di causa nel termine di cinque anni previsto dall’ art. 82 c. 1 del Codice del Processo Amministrativo, ma successivamente tale decreto era stato revocato dal medesimo giudice su impulso della ricorrente e si era così finalmente giunti all’emanazione di una decisione di merito.29 Sei degli otto motivi di
ricorso addotti vertevano sulla questione del riconoscimento o meno, in capo all’UAAR, della qualifica di confessione religiosa. Si sottoponevano all’attenzione del collegio giudicante una serie di vizi dell’atto recante il diniego di avvio delle trattative – la richiamata nota del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - i quali traevano espresso fondamento sulla mancata qualificazione dell’associazione istante come confessione religiosa. Gli altri due motivi di gravame, invece, riguardavano l’asserita inidoneità dell’atto formale con il quale il Governo portava a conoscenza l’istante del diniego nonché il difetto di motivazione dello stesso, posto che il Governo, nel valutare l’idoneità dell’UAAR ad accedere all’istituto dell’intesa ex art. 8 c. 3 della Costituzione, si era completamente rifatto al parere all’uopo redatto dall’Avvocatura Generale dello Stato.30 Il
29 Tar Lazio, Sez. I, Sent. n. 7068/2014, Ritenuto in fatto, par. 5, primo capoverso. 30 Ivi, ritenuto in fatto, par.1.3: <<La ricorrente Associazione, sull’assunto del proprio
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Tribunale, nel valutare la sussistenza del requisito della confessionalità in capo all’UAAR, prende le mosse da un’interpretazione del dettato costituzionale conforme al volere del costituente. È evidente – si asserisce - che, in riferimento all’art. 8 della Costituzione, la volontà normativa che ne informò il dettato intendeva estendere l’istituto delle intese alle sole confessioni acattoliche “positive”, non essendoci in quell’ottica alcuno spazio per un’interpretazione estensiva che andasse a comprendere anche le confessioni intese in senso negativo, come esclusione dell’esistenza del divino31. Ed in effetti la stessa
dell’art. 1, comma 1, lett. ii) della legge 12 gennaio 1991, n. 13: L'impugnato diniego sarebbe stato esternato con mera nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e non invece con decreto del Presidente della Repubblica, [...] richiesto per tutti gli atti per i quali è intervenuta la deliberazione del Consiglio dei Ministri; II- Violazione dell'art. 8 Cost. ed eccesso di potere per travisamento dei fatti: [...] contrariamente a quanto opinato dalla Presidenza del Consiglio, l'UAAR avrebbe natura di vera e propria confessione religiosa ex art. 8, comma 3, della Costituzione; III- Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per violazione di norme interne e prassi, con conseguente disparità di trattamento; […] omissione dell’istruttoria circa l’idoneità della richiedente ad essere soggetto stipulatario di intesa con lo Stato. IV- Violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990 per omessa motivazione e, comunque, eccesso di potere per motivazione insufficiente ed incongrua: Gli atti impugnati non motiverebbero autonomamente la decisione di non dare corso alla trattativa finalizzata all’intesa de qua, limitandosi a rinviare al parere dell’avvocatura dello Stato. V- Violazione degli artt. 2, 3, comma 1, e 18 Cost.: La negazione della specifica identità della ricorrente, sottostante al diniego di stipula dell’intesa ex art. 8, comma 3, Cost., equivarrebbe al disconoscimento della causa associativa del gruppo, traducendosi nella violazione del diritto di associarsi liberamente. VI- Violazione degli artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, Cost. per disparità di trattamento: Se l’ateismo è esercizio di libertà di religione, il rifiuto d trattare la ricorrente come una confessione religiosa integrerebbe una disparità di trattamento [...] e l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose. VII- Violazione del principio costituzionale di laicità dello Stato (artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.): Risulterebbe altresì violato il principio costituzionale di laicità dello Stato, il quale impone equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose, tra le quali sarebbe ricompreso anche l’ateismo in forma organizzata. VIII- Eccesso di potere per sviamento: Il potere di concludere intese con ogni singola confessione religiosa, costituzionalmente conferito [..] per la migliore garanzia del diritto di libertà religiosa, sarebbe stato utilizzato per negare l’interesse legittimo della ricorrente, disconoscendone il carattere religioso […]>>
31 Ivi, considerato in diritto, par. 4.3: In tale nota si evidenzia che la possibilità
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UAAR, nel proprio statuto, all’articolo 1, nega apertamente di considerarsi una confessione religiosa, stabilendo una netta distinzione tra “organizzazioni filosofiche confessionali” e “non confessionali”. Le prime intenderebbero rappresentare una “concezione del mondo di carattere religioso” mentre l’UAAR, in quanto organizzazione filosofica non confessionale “si propone di rappresentare le concezioni del mondo razionaliste, atee o agnostiche”. Questa scelta terminologica non è casuale. L’art. 17 commi 1 e 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, infatti, parla di “organizzazioni filosofiche e non confessionali” contrapponendole alle “chiese, associazioni e comunità religiose” ma garantendo ad entrambe “rispetto dello status di cui godono in virtù del diritto nazionale”. A sua volta, una simile distinzione è fatta propria anche da documenti precedenti, come ad esempio la Dichiarazione ONU sulla Libertà Religiosa del 1981 e l’atto conclusivo della Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa tenutasi ad Helsinki nel 1971. In quei contesti, come opportunamente ricordato nella Relazione al DDL governativo di cui in A.C n. 3947 del 3 Luglio 1997 “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi”, la distinzione è fondata sull’utilizzo del termine “credo”32 per connotare “le convinzioni di associazioni non religiose o
regolamentazione bilaterale dei rapporti mediante la conclusione di intese, è, secondo il Consiglio dei Ministri, espressamente riservata alle confessioni religiose diverse dalla cattolica; che nel citato parere l’Avvocatura Generale ha sostenuto che <<per ‘confessione religiosa’ si intende generalmente un fatto di fede rivolto al divino vissuto in comune tra più persone che lo rendono manifesto nella società tramite una propria particolare struttura istituzionale; che la connotazione oggettiva voluta dal Costituente nel quadro dell’art. 8, secondo comma, è chiaramente individuata da un contenuto religioso di tipo positivo. Di tal che il Consiglio dei Ministri, concorde l’Avvocatura dello Stato, ha ritenuto la norma costituzionale non estensibile per analogia a situazioni non riconducibili a quella fattispecie>>.
32Il lessema “credo” in lingua italiana rappresenta la traduzione dei corrispettivi
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ateistiche”. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 10, mantiene l’utilizzo della terminologia richiamata nelle lingue francese e inglese, mentre in italiano, aderendo al testo francese, si è tradotto letteralmente con “convinzioni”, segnando l’abbandono del termine “credo” precedentemente utilizzato. È probabile che l’UAAR, tramite l’auto qualificazione fornita nel proprio statuto, intendesse suggerire che non vi siano ragioni per differenziare, in termini di dignità sociale e riconoscimento giuridico, la dogmatica e la dottrina proprie di una confessione religiosa con le istanze filosofiche proprie di organismi di altra natura, quali ad esempio quelli ateistici. Pena sarebbe, infatti, il riconoscere implicitamente la maggior fondatezza dell’una nei confronti dell’altra, ponendo le basi per una diversificazione normativa che è assolutamente vietata dalla Costituzione. Già la Costituzione della Repubblica di Weimar, infatti, all’art. 137 chiarisce che “il trattamento fatto alle associazioni religiose viene esteso a quelle associazioni le quali assumono come proprio fine il perseguimento comune di un ideale della vita (Weltanschaung). Il Capo Terzo della Parte Seconda della Costituzione di Weimar, con eccezione degli articoli 135 e 140, è ancora in vigore in Germania per effetto del richiamo esplicito contenuto nella Grundgesetz del 1949, all’articolo 140. Il Tar Lazio, tuttavia, non ha colto il suggerimento insito nello Statuto dell’UAAR, facendo assurgere l’auto qualificazione che lo stesso fornisce a prova decisiva della natura aconfessionale dell’organizzazione33. Si giunge a
questo risultato partendo dal constatare l’enorme difficoltà tecnica insita nello stabilire cosa sia, giuridicamente parlando, una “confessione religiosa”. Più definizioni della stessa, egualmente plausibili, possono certamente essere date per descrivere tale
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fenomeno. Una definizione veramente giuridica non può – a nostro avviso- che prendere le mosse dal dettato costituzionale e la sua validità, stante lo stretto legame con la carta fondamentale da cui trae le mosse il nostro ordinamento, non può che essere valutata entro gli spessi confini dello stesso, poiché altrove, per finalità diverse da quelle che in Italia assumevano primario interesse agli esiti del secondo conflitto mondiale, può legittimamente essere adottata una definizione più comprensiva, al fine di includervi realtà che qui si vogliono escludere. La Corte, infatti, seguendo l’approccio suggerito dalla parte ricorrente nel secondo degli otto motivi di ricorso, dove si sostiene che l’UAAR, “contrariamente a quanto opinato dalla Presidenza del Consiglio, avrebbe natura di vera a propria confessione religiosa ai sensi dell’art. 8 comma 3 della costituzione”, considera che il giudice amministrativo, per costante giurisprudenza, non può sostituire le proprie valutazioni alle scelte operate dalla pubblica amministrazione, quando queste siano oggetto di discrezionalità tecnica34. Il sindacato è, piuttosto, volto a stabilire se
l’amministrazione abbia “esorbitato dai margini dell’opinabilità propri
34 Corte di Cassazione, Sez. Un. Civili, n. 1013/2014, cit. in Tar Lazio, Sent. n. 7068/2014, considerato in diritto, par. 4.1: <<Come, da ultimo, autorevolmente
ribadito dalla Suprema Corte, in tema di sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa nella materia del diritto della concorrenza, caratterizzata da un alto tasso di discrezionalità tecnica, ricordando che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini>>.
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dell’attività tecnica, -nello specifico, di scelta, ricostruzione e valutazione dei caratteri propri delle confessioni religiose”,35
concludendo, per il caso di cui trattasi, che ciò non sia accaduto. Il diniego operato dal Governo compie un esplicito richiamo al parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, facendolo assurgere a motivazione del proprio provvedimento. Mediante il richiamo all’opinio iuris, contenuta nello stesso in merito ai caratteri propri di una confessione religiosa, intesa in relazione al disposto dell’art. 8 della Costituzione, il Governo lancia un messaggio ben preciso ed ottiene, in tal senso, il placet di una certa parte della giurisprudenza. Accogliendo un’interpretazione analogica della nozione di “confessione”, si aprirebbero le porte delle intese ad un coacervo indefinito di realtà parareligiose attratte dalla possibilità di accedere agli istituti di finanziamento pubblico delle organizzazioni confessionali, tra cui spicca per importanza l’Ottopermille. Alcune di queste organizzazioni, ad esempio, hanno statuti e costituzioni tali da escludere, al contempo, per sé stessi la qualifica di “religione” ma espressamente indicanti, tra le caratteristiche proprie degli adepti, quella di non essere atei. Un esempio può essere dato dal Grande Oriente d’Italia. Esso, in quanto obbedienza massonica egemone nel nostro paese, si attiene alle c.d. Costituzioni di Anderson, un’opera pubblicata nel 1723 ad uso delle Logge inglesi, osservata dalla grande maggioranza delle associazioni massoniche nel mondo36. In essa, per
quanto attiene le tematiche di nostro interesse, si trova chiaramente espresso che «un Muratore è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli intende rettamente l’Arte non
35 Tar Lazio, cit., considerato in diritto, par. 4.2, primo capoverso.
36 J. Anderson, Le costituzioni dei Liberi Muratori, a cura di G. Gamberini. Bastogi
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sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso»37 ed altrove, in
materia di riconoscimento di una Gran Loggia da parte del Grande Oriente d’Italia, si aggiunge che condizione essenziale perché tale riconoscimento possa avvenire è che essa «deve ammettere soltanto uomini, di buoni costumi, che esprimono un credere nell’ Essere Supremo»38. Il Grande Oriente d’Italia, per propria espressa previsione
costituzionale, «non è una religione e non intende sostituirne alcuna», tuttavia mantiene una ritualità che inneggia all’esistenza di una monade suprema, il c.d. “Grande Architetto dell’Universo”, del quale le religioni note forniscono diverse rappresentazioni non pregiudicando la sua unicità39. A livello particolare, infatti, ciascuna
loggia deve necessariamente porre nel proprio mezzo un “libro della Legge Suprema”, vale a dire il testo sacro di una religione praticata nello Stato40. Le sessioni rituali si aprono “Alla Gloria del Grande
Architetto dell’Universo” e lo scopo dichiarato dell’organizzazione è quello della «ricerca della verità e del perfezionamento dell’uomo e dell’umana famiglia»41. L’insegnamento massonico è, coerentemente
con il proprio carattere esoterico ed iniziatico, strettamente riservato a coloro che siano stati ammessi42. Il luogo ove si svolgono i rituali è
detto “tempio”. Il GOI, stante la propria natura di associazione non riconosciuta43 e la propria autoqualificazione di soggetto non religioso,
non ha mai manifestato alcuna intenzione di addivenire alla conclusione di un’intesa né possiamo attenderci che ciò accada in
37J. Anderson, cit., Antichi Doveri, par. I “di Dio e della Religione”, p. 5.
38Principi Fondamentali per i Riconoscimenti, art. IV, Gran Loggia del 6-7-8 Ottobre
2018 (www.grandeoriente.it/chi-siamo/costituzione-e-regolamento/).
39Cfr. Identità del Grande Oriente d’Italia, art. III, Gran Loggia del 6-7-8 ottobre 2018
(https://www.grandeoriente.it/chi-siamo/costituzione-e-regolamento/).
40Costituzione del Grande Oriente d’Italia, art.5, c.1, punto 4. 41Ivi, art.4, c.1.
42 Cfr. Costituzione del Grande Oriente, art. 1, c.1; art. 6, c.1. 43 Ivi, art. 2, c.5.
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futuro. Tuttavia, è evidente che se la giurisprudenza avesse accolto un’interpretazione analogica del concetto di confessione religiosa, estendendo tale qualifica alle organizzazioni filosofiche, il Grande Oriente d’Italia, che così si autodefinisce e possiede le sopra citate caratteristiche, avrebbe potuto indubbiamente essere ricondotto nel novero degli enti ammessi alle trattative.
La Corte costituzionale, chiamata dal Governo a pronunciarsi in merito ad un conflitto di attribuzioni che andava a coinvolgere la Sentenza n. 13605 della 2013 della Corte di Cassazione, a conclusione definitiva del lungo iter processuale che ha caratterizzato la vicenda dell’intesa con l’UAAR, ha inteso riconoscere la natura di atto politico del procedimento dell’intesa in ogni sua fase, inclusa quella attinente alla presentazione in parlamento del disegno di legge di approvazione dell’accordo. A nostro avviso la Sentenza n. 52 del 2016 costituisce una pietra miliare nella storia dell’istituto delle intese, escludendo una volta per tutte il sindacato giurisprudenziale dell’atto di diniego, emanato dal Consiglio dei ministri, con riguardo all’istanza di avvio dei negoziati. In parallelo si afferma esplicitamente l’insussistenza di alcun diritto soggettivo o interesse legittimo in capo alle confessioni, titolari di un mero interesse di fatto. L’argomentazione prodotta dalla Corte prende le mosse dalla risoluzione di una questione di carattere processuale: il Presidente del Consiglio dei ministri, secondo l’UAAR, interveniente, non sarebbe legittimato a promuovere dinnanzi alla Corte il conflitto di attribuzione, in quanto tale istituto non potrebbe mai coinvolgere una decisione giurisprudenziale. Tuttavia, precisa la Corte, ciò che il governo chiedeva non sarebbe stato il riesame di una sentenza volta a dirimere un conflitto di giurisdizione mediante l’interpretazione di fonti primarie del diritto ma piuttosto l’accertamento negativo dell’esistenza del potere giudiziale stesso nei
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propri riguardi.44 Sebbene l’art. 37 della Legge n. 87 del 1953 prescriva
espressamente che “restano ferme le questioni di giurisdizione”, ciò non significherebbe che la Corte Costituzionale non sia legittimata a dirimere un conflitto di attribuzione di cui sia parte la Cassazione in quanto organo di vertice del potere giudiziario, ma piuttosto che la disposizione in esame intenda confermare, in capo alla Suprema Corte, la competenza a dirimere le questioni di giurisdizione.45 Il Governo
sarebbe pienamente legittimato a chiedere alla Corte Costituzionale di accertare che “non spetta alla […] Cassazione affermare la sindacabilità da parte dei giudici comuni del diniego, opposto dal Consiglio dei ministri, alla richiesta del soggetto interveniente di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell’intesa, ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost.”.46
La Corte, nel dirimere nel merito la controversia, pone l’attenzione su un nodo centrale, ampiamente sviluppato nel corso della riflessione logico-giuridica che ha condotto all’accoglimento della domanda del ricorrente: qualunque considerazione in merito alla sindacabilità dell’atto di diniego dell’avvio delle trattative è subordinata allo stabilire, precedentemente, se il terzo comma dell’articolo 8 della Costituzione costituisca norma sulle fonti oppure sia da intendersi, prevalentemente, quale corollario del principio di uguale libertà di cui al primo comma dello stesso articolo.47 Risolvere la questione in un
44 Cfr. Corte Costituzionale, Sent. n. 52/2016, considerato in diritto, par. 3.2, primo
capoverso; Cfr. J. Pasquali Cerioli, cit., p. 2: «Nel paragrafo 4 della sentenza n. 52 del 2016 il giudice delle leggi individua il thema decidendum, consistente (i) per il Governo, nell’asserita lesione della sua funzione di indirizzo politico, che il ricorrente ritiene assolutamente libera nel fine invocando gli articoli 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost., a opera dell’affermata giurisdizione sull’atto di diniego all’avvio delle trattative […]»
45 Ibidem, considerato in diritto, par. 3.2, secondo capoverso. 46 Ivi, considerato in diritto, par. 4, primo capoverso.
47 Cfr. Corte Costituzionale, cit., considerato in diritto, par. 4, secondo capoverso:
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senso o nell’altro è in grado di spostare definitivamente l’ago della bilancia nel segno di una interpretazione del terzo comma dell’ articolo 8 orientata ad una maggior garanzia del principio di parità confessionale o, viceversa, strettamente legata al principio della libertà politica, insindacabile, che sottende la formazione dell’ atto legislativo. In ultima analisi – sostiene la Corte- la finalità delle intese, come chiariremo più avanti analizzando la più significativa giurisprudenza della corte Costituzionale relativa all’edilizia di culto ed una certa parte della dottrina, sarebbe quella di consentire l’elaborazione, in via pattizia, di una disciplina che tenga effettivamente conto delle differenze proprie di ciascuna confessione, escludendo l’emanazione di una disciplina unilaterale da parte dello Stato48, come pure avveniva in passato.49 Tuttavia, ad opinione della
da una parte, si ritiene che il diniego di avvio delle trattative, opposto dal Governo alla richiesta di un’associazione, non potrebbe essere oggetto di sindacato in sede giudiziaria, a pena della lesione della sfera di attribuzioni costituzionali dello stesso Governo, definite dagli artt. 8, terzo comma, e 95 Cost.; dall’altra, si ritiene invece che tale sindacabilità dovrebbe essere affermata, poiché l’azionabilità della pretesa giuridica all’avvio delle trattative stesse sarebbe corollario dell’eguale libertà di cui godono, ai sensi dell’art. 8, primo comma, Cost., tutte le confessioni religiose, e servirebbe a impedire che un’assoluta discrezionalità governativa in materia dia luogo ad arbitrarie discriminazioni>>.
48 Ivi, considerato in diritto, par. 5.2, secondo capoverso. L’esistenza di un “principio
di differenziazione” è sostenuta anche in G. Casuscelli, Il diritto ecclesiastico per
principi, in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, V ed., Giappichelli,
Torino, 2015, p. 51.
49 Un significativo esempio della tendenza governativa a disciplinare unilateralmente
i rapporti con le comunità religiose è rintracciabile nel R.D 1731/1930, la c.d Legge
Falco, che istituiva l’ Unione delle Comunità Ebraica ( cfr. art. 35) e stabiliva puntuali
regole di governo della stessa e delle singole comunità (cfr. artt. 6 ss. e 39 ss.), le loro prerogative pubbliche e private, le modalità di attuazione dei rapporti con le istituzioni statali (cfr. artt. 56 ss.), le procedure di nomina delle cariche amministrative e delle autorità religiose (cfr. artt. 33, 34, 39-55). Il Decreto, inoltre, subordinava il godimento di tutti i servizi religiosi al pagamento di una tassa annuale alla comunità ebraica di appartenenza, secondo l’aliquota da questa stabilita in accordo con i principi stabiliti dalla Legge e lasciando alle autorità pubbliche l’onere di provvedere alla riscossione coattiva dei ruoli contributivi su indicazione delle comunità israelitiche (cfr. artt. 20-33). Un meccanismo simile è oggi utilizzato in
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Corte, il mancato ottenimento dell’ intesa non sarebbe di per sé idoneo a cagionare una menomazione nella capacità, propria delle Confessioni Religiose, di godere di quella libertà che gli è garantita dalla Costituzione. Tutte le confessioni, infatti, a norma del primo comma dell’articolo 8 e dell’articolo 19, che pure riguarda la libertà religiosa esercitata dall’ individuo, hanno il pieno diritto di riunirsi liberamente, di praticare il culto, fare proselitismo ed organizzarsi secondo i propri statuti, senza l’ingerenza dello Stato. Il motivo dirimente di una simile impostazione, non può che ravvisarsi in una interpretazione letterale dell’art. 8 comma 1, laddove si afferma che le confessioni sarebbero tutte “egualmente libere”50. Ed infatti, ad
opinione dello scrivente, è proprio in questo inciso che si ravvisa una delle grandi criticità del sistema delle intese: uguale libertà non è necessariamente sinonimo di uguaglianza. In tutta evidenza due persone di opposta estrazione sociale sono ugualmente libere, nei fatti, di commettere un’infrazione con la propria auto superando il limite di velocità consentita. Ma l’afflizione derivante dal pagamento della corrispondente sanzione non sarà certamente la stessa pertanto,
Germania in applicazione della c.d Kirchensteuer, fondata sul presupposto costituzionale che le confessioni religiose siano veri e propri organismi di diritto pubblico cui compete, tra le altre cose, l’imposizione di tasse ai propri fedeli per il godimento dei servizi religiosi. L’art. 137 della Costituzione di Weimar, ancora in vigore per effetto dell’art. 140 della Costituzione Tedesca del 1949, prevede quanto segue: <<[…] Ogni associazione religiosa ordina e gestisce in modo autonomo i propri interessi, nei limiti delle leggi generali, e conferisce le cariche senza intervento dello Stato o delle autorità locali. La capacità giuridica delle organizzazioni religiose viene acquisita secondo le disposizioni generali del diritto civile […]. Le associazioni religiose che possiedono personalità di diritto pubblico sono autorizzate a prelevare imposte sulla base di ruoli, secondo le leggi dei Länder. Il trattamento fatto alle associazioni religiose viene esteso a quelle associazioni le quali assumono quale proprio fine il perseguimento in comune di un ideale generale della vita. […].>> ( Trad. in G. Cerrina Ferroni., T.E Frosini., A. Torre. (a cura di), Codice delle Costituzioni,
Volume I, Cedam, 2016, p. 476)
50 Cfr. Corte Cost., cit., considerato in diritto, par. 5.1, quarto, quinto e sesto
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pur essendo entrambi realmente liberi, diverso sarà il costo e, dunque, la possibilità di compiere quel determinato atto per ciascuno di essi. Allo stesso modo è per le organizzazioni religiose che, pur godendo delle già richiamate libertà indipendentemente dalla stipula dell’intesa con lo Stato, senza questa non possono accedere agli istituti di finanziamento pubblico, né fruire dei meccanismi semplificati di nomina dei propri ministri di culto, né tantomeno rispondere alla richiesta di studio del fenomeno religioso avanzata dagli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, né accedere con semplicità alle strutture obbliganti per l’assistenza ai propri malati e ai detenuti. Coloro che sono soggetti alla legislazione del 1929/30, infatti, hanno accesso a queste garanzie subordinatamente all’ottenimento, da un lato, del riconoscimento della Confessione stessa secondo il rigido provvedimento di cui alla Legge 1159/1929, dall’altro analogo processo deve essere affrontato dai ministri di volta in volta nominati. La Corte costituzionale, tuttavia, non si limita a questa riflessione, e prosegue con una sommaria analisi degli spunti offerti, in tema di libertà religiosa, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In una serie di sentenze, adottate nei confronti di paesi europei come Austria, Croazia e Turchia, sono fissati criteri volti a determinare in quali casi si possa parlare di un’applicazione discriminatoria del diritto nazionale in tema di libertà religiosa.51 La Corte Costituzionale, tuttavia, compie
un’importante distinzione: quegli ordinamenti, contro i quali si è più volte pronunciata la Cedu, subordinano l’accesso alla disciplina prevista per le associazioni religiose ad un riconoscimento pubblico. Le confessioni religiose, in questi paesi, possono considerarsi veramente
51 Cfr. Corte Europea Diritti dell’Uomo, Sent. 12 marzo 2009, Gütl contro Austria e Löffelmann contro Austria; sent. 19 marzo 2009, Lang contro Austria; sent. 9
dicembre 2010, Savez crkava Rije život e altri contro Croazia; sent. 25 settembre 2012 Jehovas Zeugen in Österreich contro Austria.
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tali solo dopo un preventivo vaglio pubblico, che conferisce loro la facoltà di godere dei diritti connessi con quello status. Non è così in Italia, dove la Costituzione informa un ordinamento improntato al principio di laicità, equidistante ed imparziale tra le varie confessioni. Non è la stipulazione dell’intesa, in sé stessa, a fondare la garanzia di uguaglianza tra le confessioni, stanti le libertà loro riconosciute dagli art. 3, 8, 19, 20 della Costituzione. Su questa scorta sarebbe possibile affermare, secondo la Corte, che non sia corretto considerare il terzo comma dell’articolo 8 della Costituzione come un mero corollario dei principi di uguaglianza e pluralismo confessionale sanciti dai primi due commi dello stesso. Esso, infatti, avrebbe il solo scopo di estendere il principio della bilateralità alla regolamentazione dei rapporti tra Stato e confessioni acattoliche costituendo, a tutti gli effetti, una norma sulle fonti. Diverso sarebbe, si sostiene, se il legislatore decidesse di introdurre una compiuta normativa volta a disciplinare criteri, anche oggettivi, idonei a sancire per il Governo un dovere di ammettere alle trattative coloro che li posseggano. In questo caso la pretesa della confessione religiosa che si vedesse negare l’istanza di ammissione sarebbe certamente tutelabile nelle sedi opportune.52 Una simile
interpretazione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ricalca l’approccio usualmente fatto proprio dai giudici degli ordinamenti di common law. Le corti anglosassoni, quando ritengono di dover decidere una controversia adottando un principium iuris divergente da quello enunciato nei precedenti addotti dalle parti, argomentano in modo da rilevare che tali precedenti non possano essere idonei riferimenti per il caso di specie, essendo essi volti a regolare fattispecie sensibilmente diverse da quella che costituisce
52 Cfr. Corte Costituzionale, cit., considerato in diritto, par. 5.1, settimo, ottavo e
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oggetto del casum decidendi.53 I giudici degli stati aderenti alla Cedu,
e tra questi la Corte Costituzionale italiana, sono tenuti al rispetto del principio di interpretazione conforme, che comporta il dovere di interpretare il diritto nazionale in modo da non contrastare con i principi contenuti nella Convenzione Europea. Essa, d’altro canto, diviene vero e proprio diritto vivente soltanto attraverso l’interpretazione che, delle sue disposizioni, fornisce il giudice a ciò naturalmente deputato: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il principio di interpretazione conforme, dunque, viene a configurarsi più realisticamente come il dovere, in capo ai giudici nazionali, di interpretare il proprio diritto interno conformemente all’interpretazione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fornisce della Convenzione e dei suoi principi. Ne consegue che qualora il giudice italiano intenda discostarsi da un precedente addotto dalla Corte Edu, sarà tenuto a specificare per quale motivo lo stesso non risulterebbe idoneo a regolare il caso di specie. La stessa Corte Europea, come vedremo più avanti, ha sovente adottato un livello interpretativo volto a conferire agli Stati profili di discrezionalità sempre più elevati, soprattutto con riferimento alla regolamentazione del fenomeno religioso.54 Quella confessionale, infatti, è materia che
da sempre si caratterizza per la refrattarietà ad essere compenetrata da norme esterne agli stessi ordinamenti nazionali. Una modifica degli assetti interni di ciascuno stato, sotto il profilo dei rapporti confessionali, potrebbe incidere pericolosamente su equilibri che sono spesso frutto di processi storici alquanto complessi, che hanno
53 Cfr. A. Gambaro, Common Law ed Equity in Inghilterra (cap. IV), pp. 88-93, in A.
Gambaro, R. Sacco, Sistemi Giuridici Comparati, Terza Edizione, Utet Giuridica, 2008.
54 Cfr. G. D’ Angelo, Ordinamenti Giuridici e Interessi Religiosi. Argomenti di diritto Ecclesiastico Comparato e Multilivello. Volume I: Il Diritto Ecclesiastico nel Sistema CEDU, Giappichelli Editore, 2017, pp. 117-120; 127-133; 159-162.
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contribuito enormemente a fondare i valori atavici che giustificano una particolare concezione di Stato. La Corte costituzionale, ritenendo di non dover attagliare la propria decisione ai contenuti forniti dalle richiamate sentenze Cedu, se ne discosta sulla base dei presupposti che avevano dato origine a quelle pronunce, i quali non sarebbero applicabili all’ ordinamento italiano, pienamente laico, ugualitario ed equidistante da ciascuna confessione religiosa. Un aspetto centrale - sostiene la Corte - è stabilire se nell’ ordinamento italiano possa configurarsi una pretesa giustiziabile all’avvio delle trattative. La risposta della Corte è in senso negativo, per due ordini di motivi. Il primo poiché, mancando una normativa volta a disciplinare l’istituto delle intese, il principio della bilateralità ad esso sotteso comprenderebbe la comune volontà delle parti tanto di intraprendere quanto di concludere le trattative. Il secondo motivo risiede nello scopo dell’iter procedimentale delle intese, che si asserisce “unitario” ed insuscettibile di irragionevoli divisioni tra il momento dell’apertura delle trattative e la loro conclusione, poiché tutte le fasi delle stesse sono funzionalmente collegate all’adozione di un’intesa. L’impossibilità di configurare l’esistenza di un diritto alla stipula dell’intesa – sostiene la Corte - svuoterebbe di significato la configurabilità di un diritto all’avvio delle trattative.55 Tuttavia, è
innegabile che anche il semplice instaurarsi dei negoziati finalizzati alla stipula di un’intesa porti con sé una serie di importanti conseguenze sotto il profilo dello status dell’organizzazione istante. L’avvio della trattativa, tanto per consenso unanime delle parti quanto coattivamente imposta dalla giurisprudenza, conferisce all’associazione interessata un riconoscimento implicito del proprio
55 Cfr. Corte Costituzionale, cit. considerato in diritto, par. 5.2, dal primo al settimo
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carattere confessionale, il quale potrebbe costituire un importante elemento di valutazione in sede di applicazione della normativa nazionale e regionale in tutti quei profili che sono riservati alle confessioni religiose in quanto tali. Inoltre, sebbene il Governo possa rifiutarsi di sottoscrivere il testo dell’intesa, in questa particolare circostanza emergerebbe chiaramente il carattere latamente politico di una tale decisione, lasciando aperta la possibilità per un futuro Esecutivo di riprendere i negoziati, partendo dall’assunto che l’interlocutore possa definitivamente considerarsi una confessione religiosa ai sensi dell’articolo 8 comma 3 della Costituzione. La Corte, nel proseguimento della motivazione, afferma che l’ampia discrezionalità che deve essere concessa al Governo sarebbe motivabile con la necessità di far fronte alle complesse vicende “che la realtà mutevole e imprevedibile dei rapporti politici interni ed internazionali offre copiosa, i quali possono indurre il governo a ritenere di non concedere all’associazione, che lo richiede, l’avvio delle trattative”. Come avremo modo di analizzare nel prosieguo della trattazione, i rapporti politici internazionali possono avere grande rilevanza nelle scelte che il Governo compie in materia di intese: ciò è avvenuto, ad esempio, in occasione dell’approvazione delle intese firmate dal Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi il 4 Aprile 200756. In quella occasione furono i corpi diplomatici degli Stati
Uniti d’America a richiedere attivamente al Governo l’approvazione dell’intesa con la Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni, storicamente nata negli U.S.A e avente la propria sede internazionale a Salt Lake City. La chiesa mormone – come è colloquialmente
56 Si tratta delle seguenti confessioni: Tavola Valdese (modifica di intesa precedente),
Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno (modifica di intesa precedente), Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale, Chiesa Apostolica in Italia, Unione Induista Italiana, Unione Buddista Italiana.