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Legge generale sulla Libertà di Culto: Profili di legittimità costituzionale.

Nel tentativo di ovviare ad alcuni dei limiti individuati nel paragrafo precedente, sin dal 1991 sono stati presentati numerosi progetti di legge volti a regolare, in toto o con riferimento a specifici profili, l’esercizio della libertà religiosa individuale e collettiva. Ciò nonostante in dottrina è ancora aperto il dibattito circa la reale utilità di simili proposte e si discute persino sulla legittimità costituzionale di una eventuale legge generale sulla libertà di religione71.

Su questo punto si è espresso in particolare Marco Canonico, rilevando come l’art. 8 c. 3 della Costituzione costituisca una “norma sulle fonti” che esclude categoricamente la legittimità di interventi normativi unilaterali dello Stato, riservando al solo strumento pattizio la funzione di regolare il fenomeno religioso nel nostro ordinamento. La materia risulterebbe, dunque, oggetto di un particolare tipo di riserva di legge assoluta che si esplica nella stipula di intese tra lo Stato e le Confessioni religiose, le quali sono poi tradotte in legge dal parlamento senza alcuna possibilità di emendamento del testo. L’unica, residuale, potestà in capo all’organo legislativo consisterebbe, dunque, nella possibilità di non recepire con legge il testo dell’intesa. Una qualunque legge che si approvasse con riguardo alla disciplina del fenomeno religioso, dunque, sarebbe sicuramente illegittima e anticostituzionale.72 Un possibile escamotage potrebbe essere, allora,

quello di conferire alla legge sulla libertà religiosa il valore di legge

71 Cfr. P. Consorti, Diritto e Religione, Laterza, Roma-Bari, 2020, pp. 150-52.

72 Cfr. M. Canonico, L’idea di una legge generale sulla libertà religiosa: prospettiva pericolosa e di dubbia utilità in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, rivista

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costituzionale, ottenendo così di ritenere formalmente soggetto il contenuto di un tale atto ai soli principi supremi dell’ordinamento73,

soluzione per altro già condivisa dalla Corte costituzionale nella nota sent. 18/1982 in materia di contrasto tra norme derivanti dai Patti Lateranensi e norme contenute nella Costituzione. Questa impostazione, tuttavia, come rilevato dallo stesso Canonico, finirebbe per dar luogo ad una lunga “fase di transizione”74 nella quale

potrebbero evidenziarsi contrasti tra le disposizioni di rango costituzionale introdotte con la legge generale di disciplina del fenomeno religioso, in ipotesi più favorevoli, e quelle che sono diretta espressione delle intese già approvate. Si cadrebbe, secondo questa impostazione, in evidente antinomia tra fonti di rango costituzionale, esito certamente non desiderabile ai fini della coerenza sistematica dell’ordinamento75. Di diverso avviso Carlo Cardia che sostiene

73 Ivi, pp. 6-7 <<Una possibile soluzione al problema sopra ipotizzato, derivante dalla

presenza dell’art. 8 Cost., nell’impossibilità materiale e giuridica di ottenere il preventivo consenso di tutte le confessioni esistenti nel nostro Paese (che peraltro non impedirebbe il riproporsi della questione all’affacciarsi di ogni nuova confessione), potrebbe essere rappresentata dall’adozione di procedimenti legislativi adeguati a collocare l’eventuale normativa sulla libertà religiosa nel novero delle fonti di rango costituzionale. Simile prospettiva, pur con le maggiori difficoltà con cui dovrebbe fare i conti a livello di lavori parlamentari, oltre al vantaggio di una maggiore condivisione a livello politico delle decisioni e di maggiore autorevolezza del provvedimento finale, eviterebbe ogni possibile discussione sulla legittimità di una normativa unilaterale, sia in sede di discussione legislativa sia, successivamente, in ambito giudiziario e in particolare di controllo da parte del Giudice delle leggi (salvo il limite dei principi supremi).>>

74 Virgolettato aggiunto (N.d.A.)

75 Ivi, pp.7-8 <<Non può tuttavia sottacersi anche il possibile problema di

coordinazione di una eventuale legge sulla libertà religiosa con le intese già stipulate, o più esattamente con le relative leggi di attuazione, soprattutto laddove il provvedimento di carattere generale dovesse avere contenuti più favorevoli rispetto a tali leggi, ma non estensibili, in ragione del principio di specialità e di quanto espressamente previsto dall’art. 40 delle proposte, alle confessioni che hanno già fatto ricorso allo strumento bilaterale, le quali finirebbero per risultare in tal modo addirittura discriminate. Si realizzerebbe in simile ipotesi il paradosso giuridico di una legislazione speciale contenente previsioni deteriori rispetto alla legge comune.

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anzitutto che una legge generale di disciplina del fenomeno religioso non sarebbe in contrasto con l’art. 8, c. 3 della Costituzione nella misura in cui esso non potrebbe essere interpretato come un obbligo generalizzato in capo alle confessioni -e, a nostro avviso, neppure un onere - cui condizionare il godimento e l’estensione dei diritti. Una legge ben impostata, secondo l’opinione di Cardia, dovrebbe innanzitutto configurare l’esatto iter procedimentale sulla base del quale addivenire alla stipula delle intese, attualmente frutto di prassi applicative e, successivamente, armonizzare in senso liberale il sistema di riconoscimento civile delle confessioni e dei loro ministri, disciplinare gli effetti civili dei matrimoni celebrati con forme religiose ed infine porre i principi generali della tutela penale del sentimento religioso76. Sembra opportuno osservare l’ovvio: in Italia, attualmente,

una legge sulla libertà religiosa esiste ed è vigente. Quella del 1929. Tale legge, peraltro, oltre a contribuire in maniera determinante al delinearsi di quel sistema multilivello di privilegi confessionali, è anche insindacabile sotto il profilo formale da parte della Corte costituzionale. Volendo accogliere la visione di Canonico, infatti, dovremmo ammettere che sia quotidianamente applicata una legge che, come atto unilaterale dello Stato, non rispetta il requisito della bilateralità che certa branca di studiosi assume come indefettibile a norma dell’art. 8 Cost. La Corte, tuttavia, che pur si è espressa in passato sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni della L. 1159/1929 e del suo regolamento attuativo, non potrebbe sindacare il

Analoga difficoltà si presenterebbe in futuro all’atto della stipulazione di nuove intese, i cui contenuti risulterebbero in un certo senso condizionati da quelli già presenti nella eventuale legge generale di cui si discute, con derogabilità o meno di quest’ultima a seconda dello strumento legislativo utilizzato e della conseguente collocazione nella gerarchia delle fonti>>

76 Cfr. C. Cardia, Manuale di Diritto Ecclesiastico, 2a edizione, Il Mulino, 1996, pp.

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profilo formale riguardante le modalità di approvazione di quella legge in virtù del principio tempus regit actum. La Corte, a norma degli artt. 23-24 della L. 87/1953, non potrebbe neppure sindacare l’eventuale violazione delle norme procedimentali vigenti all’epoca dell’approvazione della legge, in quanto è onere di chi sollevi questione di legittimità costituzionale indicare “le disposizioni della Costituzione o delle Leggi Costituzionali che si assumono violate”. Ciò, ovviamente, sarebbe impossibile in quanto nel 1929 la Costituzione non era ancora entrata in vigore e non poteva, dunque, neppure essere violata.77 Questa obiezione, secondo alcuni, potrebbe

facilmente essere accantonata col rilevare che sarebbe sufficiente la mera abrogazione della normativa sui culti ammessi per ricondurre il quadro giuridico alla sua fisiologia.78 Nel nostro ordinamento non è,

tuttavia, la sola legge sui culti ammessi a regolare la materia dei rapporti stato-confessioni. Importanti settori del diritto ecclesiastico, per esempio, appaiono ad oggi normati in una moltitudine - eterogenea e frammentata - di altre fonti, tanto legislative che regolamentari, tanto di rango nazionale quanto regionale È il caso, ad esempio, dell’edilizia di culto, ambito assai rilevante dei rapporti stato- chiese.

77 R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, XV Edizione, Giappichelli 2014, pp. 466-

67.

78 Cfr. P. Consorti, cit., p. 247. In particolare, l’autore denuncia l’inopportunità sul

piano delle fonti giuridiche e promuove l’approvazione di una legge che sancisca una volta per tutte l’abrogazione della normativa sui culti ammessi del 1929/30. Cfr. S. Lariccia, Coscienza e libertà. Profili costituzionali del diritto ecclesiastico italiano, Il Mulino, 1989, p. 154.

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