ADOZIONE DI UNA LEGGE GENERALE IN MATERIA
4.1 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tra interpretazione conforme e margine di apprezzamento: alle origini di una
insopprimibile dicotomia tra politica e diritto.
La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali costituisce il primo significativo strumento con il quale il Consiglio d’Europa, istituito con il Trattato di Londra del 5 Maggio 1949, intendeva dotare l’area europea di un catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali della persona umana effettivamente operativo nello spazio giuridico sovranazionale. La Convenzione, conclusa a Roma il 4 Novembre 1950, affronta le tematiche relative alla libertà religiosa all’art. 9, rubricato “Libertà di pensiero, di
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coscienza e di religione”226. L’art. 14, inoltre, prevede il divieto di
discriminazione per motivi religiosi e funge da importante corollario per quanto concerne la reale applicabilità dei principi di cui all’art. 9227.
La Convenzione riferisce i diritti in essa enucleati come immanentisticamente propri della persona umana e ciò autorizza qualunque individuo, esauriti i rimedi giurisdizionali presenti nell’ordinamento del proprio stato, ad interpellare direttamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’organo giurisprudenziale cui è demandata l’applicazione del diritto convenzionale228. I diritti
fondamentali riconosciuti dalla Convenzione appartengono per natura alla persona umana individualmente intesa229 ma il loro godimento
può avvenire in forma collettiva attraverso l’azione di organizzazioni a ciò predisposte: anche a queste ultime, quindi, è concesso il diritto di
226 Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali (CEDU), art. 9: <<(1) Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. (2) La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.>>
227 Ivi, art. 14: <<l godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente
Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.>>
228 Ivi, art. 34, par. 1: <<La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una
persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli.>>
229 Ivi, art. 1: <<Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla
loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione.>>
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azione a norma dell’art. 34230 poiché, in ultima analisi, la violazione di
un diritto convenzionale con riguardo ad un ente collettivo produce necessariamente una lesione della sfera giuridica dei membri dello stesso o, eventualmente, di coloro che beneficiano delle attività da esso svolte. Ciò appare particolarmente significativo nel caso delle confessioni religiose, la cui funzione è quella di favorire l’esercizio di una particolare categoria di libertà individuali che sono, per natura, fruibili solo in forma collettiva231. Quanto detto conferma ed esalta la
portata del principio personalista, cui è informata la Costituzione italiana, che la Cedu fa proprio estendendone latu sensu il valore oltre ai confini del nostro ordinamento. Il Primo Protocollo Addizionale, firmato a Parigi il 20 Marzo 1952, introduce nel sistema convenzionale, come accadrà nuovamente in seguito, alcuni nuovi diritti: tra questi spicca il diritto alla proprietà privata. Questo rappresenta l’unico caso in cui la Convezione, o un Protocollo Addizionale della stessa, riferisce la titolarità di un diritto fondamentale, oltre che alle persone fisiche,
230 Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Guida pratica sulle condizioni di ammissibilità, ed. 2014, p. 13. L’art. 34 conferisce il diritto di azione, oltre che alle
persone fisiche ed ai gruppi di privati, anche alle organizzazioni non governative. La loro definizione è ricavabile in negativo da quella di enti governativi: essi si identificano in quanto deputati all’esercizio di un potere governativo o all’erogazione di un servizio pubblico di competenza dello stato, di una sua emanazione territoriale o di un ente pubblico o privato da esso controllato; cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sentenza Chiesa Cattolica di Canea v. Grecia, 16 Dicembre 1997, par. 26; Cfr. Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, Rapporto sul caso Chiesa Cattolica
di Canea v. Grecia, 3 Settembre 1996, parr. 38-39.
231Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Sentenza Cha’are Shalom Ve Tsedek v. Francia, 27 Giugno 2000, par. 72; Cfr. Commissione Europea dei
Diritti dell’Uomo, Rapporto sul caso Cha’are Shalom Ve Tsedek, 20 Ottobre 1998, par. 64. Nei passi indicati la Commissione e la Corte chiariscono che il diritto d’azione è riconosciuto all’associazione istante in nome e per conto dei propri adepti: le asserite violazioni dei diritti di libertà religiosa, di cui all’art. 9 par. 1 della Convenzione, si sarebbero prodotte nei loro confronti e non nei confronti della confessione come soggetto di diritto, sebbene la stessa sia il soggetto direttamente colpito dalla mancata concessione dell’autorizzazione governativa per la pratica degli abbattimenti rituali, cui il caso si riferisce.
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anche agli enti collettivi232. Ciò, tuttavia, non costituisce in alcun modo
una deroga al principio generale di cui all’art. 1 della Convenzione: il diritto di proprietà, in una società liberale e democratica, è strettamente connesso alla libertà di iniziativa economica. Essa, quando venga a configurarsi con la modalità dell’esercizio di un’attività di impresa, può svolgersi tanto in forma individuale quanto collettiva. La tutela che la Convenzione riconosce al diritto di proprietà è, a nostro avviso, il necessario corollario della volontà di garantire il rispetto dell’iniziativa economica privata: sebbene il denaro e gli altri beni che siano conferiti da un cittadino per l’esercizio di un’attività di impresa possano uscire dal patrimonio personale dello stesso divenendo ascrivibili ad una società di persone o di capitali, è indubbio che la sottrazione indiscriminata di tali beni, eventualmente operata dallo stato, andrebbe a colpire direttamente il conferente, cui è riconosciuto il diritto di tornare in possesso dei propri beni all’atto dello scioglimento233. Prevedere la tutela del diritto di proprietà solo con
riguardo alle persone fisiche, in definitiva, aprirebbe le porte alla violazione di quel diritto proprio nei loro riguardi.
La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ha come principale scopo quello di fornire una garanzia di applicazione di standards minimi nel campo dei diritti umani: ciò si evince dal disposto dell’art. 53, il quale chiarisce che nessuna disposizione convenzionale possa essere interpretata in modo da limitare o comprimere i diritti e le libertà fondamentali eventualmente riconosciuti negli ordinamenti degli stati contraenti o
232 Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, Protocollo n. 1, art. 1: <<Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.>>
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in altri strumenti di diritto internazionale che essi abbiano sottoscritto234. Con ciò viene ad affermarsi non soltanto la facoltà degli
stati di prevedere forme di tutela più stringenti per i diritti personali riconosciuti dalla Convenzione, ma anche la possibilità di accogliere definizioni estensive degli stessi e considerare come fondamentali diritti non espressamente contemplati nella Convenzione235. Andando
a coinvolgere un numero considerevole di stati aderenti, che non può dirsi omogeneo quanto a tradizione giuridica e al grado di considerazione e rispetto dei diritti umani, sorgeva la necessità di consentire il bilanciamento di due distinti interessi: da un lato, vi era la volontà di dotarsi di un organo giurisdizionale autonomo, capace di pronunciarsi sulla violazione delle disposizioni convenzionali ed imporre agli stati aderenti le proprie decisioni, dall’altro la disomogeneità dei sistemi giuridici propri di quegli stati e l’impossibilità di far valere le differenze proprie di quei sistemi poteva
234 Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, art. 53: «Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi.».
235 Si è a lungo discusso, in giurisprudenza ed in dottrina, del rango costituzionale che
le norme della Cedu avrebbero o meno posseduto nell’ordinamento italiano: l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono contenuti nella Legge n. 848 del 1955. Dalla qualifica formale della Legge che ha decretato l’ingresso delle norme convenzionali nel nostro ordinamento deriva che alle stesse può essere riconosciuto soltanto il rango di fonte primaria, escludendo che possano costituire parametro diretto di costituzionalità per le altre norme (cfr. Corte Costituzionale, Sent. n. 349 del 2007). Tuttavia l’art. 117 c. 1 della Costituzione in seguito all’approvazione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, prevedendo che la potestà legislativa statale e regionale debba operare nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, rende le norme convenzionali un parametro di costituzionalità interposto, la cui operatività è strettamente legata al valore precettivo dell’art. 117 c.1. Cfr, in proposito, G. D’Angelo, Ordinamenti Giuridici e Interessi Religiosi.
Argomenti di Diritto Ecclesiastico comparato e multilivello. Volume I: il Diritto Ecclesiastico nel sistema CEDU, pp. 113-117.
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scoraggiare l’adesione degli stati, che avrebbero potuto ritenere inadeguate forme di cessione della propria sovranità in materia di diritti umani236. Per queste ragioni furono introdotti, tanto nella
composizione e nel funzionamento della Corte, quanto nel dettato convenzionale che riguarda propriamente i diritti fondamentali oggetto di tutela, dei meccanismi volti a renderne flessibile l’applicazione in virtù delle diverse caratteristiche degli ordinamenti statali e degli obiettivi specifici della politica di ciascun paese. Il più incisivo di questi meccanismi è il c.d margine di apprezzamento, che consente agli stati aderenti di modellare l’applicazione della normativa convenzionale nel proprio ordinamento limitando la portata dei diritti in essa riconosciuti237 quando ciò sia direttamente funzionale al
mantenimento di un substrato sociale minimo, necessario a garantire la vita e la prosperità del gruppo dei consociati: esso comprende quelle che sono le più antiche prerogative degli stati nazionali, quali la protezione dell’ordine, della sicurezza e della salute pubblica, nonché della morale collettiva e della coesistenza di diritti altrui meritevoli di tutela238. Perché l’intervento statale, limitativo dei diritti
convenzionali, possa ritenersi legittimo, tali limitazioni sono soggette ad una riserva di legge e devono potersi considerare necessarie - e, per conseguenza, proporzionate agli scopi - nel contesto di un ordinamento democratico239. I parametri di necessarietà e
proporzionalità delle misure, nonché il concetto e le caratteristiche che dovrebbero essere proprie di una società democratica, conferiscono al sistema convenzionale una notevole liquidità: la
236 Cfr. Ivi, p. 127. 237 Cfr. Ivi, pp. 128-129.
238 Cfr. Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, art. 2, par. 2; art. 8, par. 2; art. 9, par. 2; art. 10, par. 2, art. 11, par. 2, art. 15; art. 17.
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vincolatività delle disposizioni contenute nella Convenzione non può che derivare dalla concreta applicazione che, delle stesse, è fornita dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, alle cui decisioni tutti i giudici nazionali devono conformarsi in virtù del c.d Principio di Interpretazione Conforme. La reale portata dei principi enunciati dalla Convenzione è strettamente legata e dipendente dalla giurisprudenza della relativa corte: poiché questa rappresenta l’organo giurisdizionale chiamato a dare contenuto alle previsioni della Convenzione, i giudici nazionali sono gravati dell’obbligo di non interpretarla difformemente a quanto faccia la Corte stessa. Il principio di interpretazione conforme, tuttavia, assegna ai giudici di ciascuno stato membro anche l’obbligo accessorio di interpretare il diritto interno in modo che non contrasti con le norme convenzionali. Il diritto nazionale degli stati aderenti, secondo questo schema, è vincolato all’interpretazione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fornisce dell’omonima convenzione, attraverso il medium del Principio di Interpretazione Conforme, cui sono soggetti i giudici nazionali240.
Come si è visto, tuttavia, la Convenzione non si pone l’obiettivo di sostituire il diritto interno di ciascuno stato membro: quanto alla materia dei diritti umani, essa si presenta come uno strumento volto a garantire il rispetto di tali diritti nella misura fatta propria dalla comune tradizione degli stati aderenti, secondo il principio di democraticità che sottende quello del margine di apprezzamento. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, inoltre, è formata da giudici che sono diretta espressione del potere politico degli stati contraenti, essendo questi individuati mediante un processo di selezione che coinvolge tre nominativi indicati da ciascun paese tra coloro che possiedono particolari requisiti di fama, perizia ed onorabilità
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personale241. Durante l’iter di instaurazione e decisione del
contenzioso, lo stato coinvolto nel procedimento ha diritto alla partecipazione, in ogni fase dello stesso, del proprio giudice242.
Sebbene la Convenzione chiarisca in maniera definitiva che ciascun giudice ha il dovere di agire esclusivamente in nome proprio243, è pur
sempre evidente che la selezione dei giudici rimanga di competenza politica e segnatamente, in Italia, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si avvale di una commissione ad hoc appositamente istituita244. Ciò, almeno a livello teorico, può essere idoneo ad
ingenerare un conflitto di interessi che non garantisce la perfetta indipendenza ed imparzialità dell’organo giudicante. Il diritto ecclesiastico, inoltre, in quanto frutto di processi storici, politici e sociali che in molti casi hanno contribuito direttamente alla nascita e all’affermazione degli stati nazionali, è di per sé un ambito dove la Corte ha dimostrato una certa refrattarietà ad intervenire, ampliando consistentemente la sfera di manovra che deriva dall’applicazione del margine di apprezzamento245. Questo principio garantisce agli stati la
libertà di individuare autonomamente gli istituti con i quali dare attuazione concreta al dettato convenzionale, secondo modalità che sono spesso assai divergenti. Con riferimento ai diritti di libertà religiosa l’art. 9 della Convenzione, al secondo paragrafo, individua i parametri che la Corte è tenuta ad utilizzare nella valutazione della coerenza tra l’azione statale, adottata secondo il principio del margine di apprezzamento, e la garanzia degli standards minimi di tutela del
241 Cfr. Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, art. 21, par. 1. 242 Cfr. Ivi, art. 26, par. 4.
243 Cfr. Ivi, art. 21, par. 2.
244 Cfr. Comitato dei Ministri del Consiglio d’ Europa, Linee Guida sulla selezione dei candidati per l’elezione a giudice presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, 29
marzo 2012; Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana,
Decreto del Segretario Generale del 26 Giugno 2018. 245 Cfr. G. D’Angelo, cit., p. 162.
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diritto di libertà religiosa di cui essa è diretta espressione: tali parametri sono, come già detto, la riserva di legge per le misure che restringono la libertà religiosa e la necessarietà delle stesse al fine di promuovere la sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute e della morale pubblica, nonché dei diritti e libertà altrui. Come si è visto nei capitoli precedenti, una parte della dottrina italiana ha ravvisato l’inutilità, l’inadeguatezza e addirittura l’incostituzionalità di una legge generale in materia di libertà religiosa, in una ipotesi de iure condendo: la communis opinio consiste nel ritenere che le prerogative proprie della libertà religiosa, tanto in senso individuale quanto collettivo, possano efficacemente essere difese mediante l’applicazione giurisdizionale dei principi contenuti agli artt. 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione italiana, nonché dall’ingresso, nell’ordinamento nazionale, delle norme derivanti dai principali trattati internazionali in materia di diritti umani, tra i quali il più rilevante è certamente la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, all’art. 17, esclude la competenza dell’Unione in materia religiosa, nelle sue linee generali: il fenomeno religioso può essere oggetto di regolamentazione e può costituire materia di contenzioso davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea solo in quanto esso sia idoneo ad ingerire in uno degli ambiti di competenza esclusiva o concorrente dell’Unione246. Allo stato dell’arte il sistema italiano di protezione e
garanzia della libertà religiosa diversifica profondamente gli status delle organizzazioni confessionali – e, conseguentemente, dei cittadini che vi aderiscono - sulla base del loro grado di riconoscimento giuridico. Questa impostazione, che ha portato al delinearsi di un
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sistema multilivello di protezione della libertà religiosa, non contiene strumenti giuridici che consentano alle confessioni la modifica del proprio status di tutela senza il preventivo consenso politico del Consiglio dei Ministri e del Parlamento. Come sancito definitivamente dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 52 del 2016, non è dato alle organizzazioni religiose alcun rimedio giurisprudenziale con cui opporsi al diniego governativo di avvio dei negoziati per l’adozione di una nuova intesa. Anche qualora venisse meno la vigenza della normativa sui culti ammessi, a nostro avviso, permarrebbe in vigore un sistema che ammette importanti distinzioni tra le diverse confessioni, non sorrette da quella ragionevolezza che funge da garanzia costituzionale contro l’arbitrio del legislatore. Come affermato nei capitoli precedenti, posta l’uguaglianza intrinseca di ogni uomo di fronte alla Legge ed il principio di non ingerenza e neutralità dello Stato con riguardo agli aspetti dottrinali e teologici di ciascun credo, nonché il particolare ruolo che le confessioni svolgono quali luoghi privilegiati in cui si forma e si esprime la personalità dell’individuo, una diversificazione delle normative applicabili a ciascuna organizzazione religiosa può essere data, per ciascuna materia, sulla sola base degli standards di protezione e valorizzazione del cittadino e della collettività che la stessa può fornire. Il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel quadro generale dei mezzi di tutela che l’ordinamento italiano offre con riguardo alla libertà religiosa, è tale da influenzare in maniera diretta l’evoluzione della materia. E’, perciò, di primaria importanza individuare le linee guida della giurisprudenza convenzionale in materia di libertà religiosa, valutandone le criticità ed il concreto dispiegarsi. La tensione latente tra la necessità di garantire la tutela dei diritti di cui agli artt. 9 e 14 ed il bisogno di consentire una forte partecipazione degli stati contraenti ai processi giurisprudenziali che li riguardano, mantiene la Corte ed il suo operato in un’eterna
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dicotomia. Importanti passi avanti si sono prodotti con la sottoscrizione del Protocollo 11247, che consente il ricorso diretto alla
Corte da parte dei singoli cittadini, escludendo il necessario intervento del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, cui era conferito il potere di adire la Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo su richiesta delle persone fisiche che si ritenevano lese248. La
Commissione, organo di prime cure per tutte le controversie, operava una preliminare valutazione del caso: dopo aver esperito un tentativo di conciliazione, se questo avesse dato esito negativo, la Commissione era tenuta ad inviare un report al Consiglio dei Ministri, che si pronunciava sul caso a maggioranza dei due terzi. La Corte poteva essere adita soltanto dopo che la Commissione avesse terminato l’esame del fascicolo di causa e con il consenso dello stato convenuto249. Tuttavia, ciò non ha cambiato gli orientamenti generali
in tema di libertà religiosa, che permangono improntati alla valorizzazione del margine di apprezzamento e sottendono la volontà di non scoraggiare la partecipazione degli stati al processo di creazione di un diritto minimo comune nell’ambito dei diritti umani.
247 Il «Protocollo n. 11 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e