BASATA SUL RISPETTO DI STANDARDS QUALITAT
3.2 Tutela dei beni culturali di interesse religioso: la normativa italiana su base pattizia alla prova della Costituzione Rilievi critici.
Tutti gli ordinamenti nazionali hanno, nel corso della loro storia, sviluppato strumenti volti a dirimere gli elementi di possibile conflitto sociale insiti nella presenza, all’ interno del proprio territorio, di cittadini appartenenti a diverse confessioni religiose. La diversa conformazione di tali rimedi ha contribuito profondamente a modellare la coscienza giuridica dei popoli, divenendone un elemento qualificante assai refrattario alla spinta unificatrice data dai processi di globalizzazione che caratterizzano l’epoca presente. Essi, infatti, per quanto si rendano evidenti nelle branche del diritto che più direttamente influiscono sulla circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, non hanno dato analogo impulso alla revisione delle norme regolanti i rapporti tra gli stati e le confessioni religiose. In tale ambito si è, al contrario, registrata la refrattarietà degli ordinamenti nazionali ad accogliere favorevolmente quelle modifiche al diritto interno che avrebbero favorito il riconoscimento, in materia confessionale, delle istanze egualitarie tipiche di società pluraliste e
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multiculturali126. La Costituzione italiana, pur riconoscendo
l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge ed assicurando agli stessi parità di trattamento, ammette l’esistenza di discipline disomogenee con riguardo alle varie confessioni religiose. L’approccio individualista in materia di relazioni stato-confessioni ci ha portato, nei capitoli precedenti, ad individuare una possibile antinomia tra l’uguaglianza che la carta fondamentale riconosce ai cittadini e la grande frammentarietà con cui sono attribuiti determinati diritti alle organizzazioni religiose, intese quali strumenti di attuazione, in forma collettiva, della libertà religiosa riconosciuta ai singoli. Tuttavia, dato che la Costituzione impone allo stato il dovere di non discriminare i propri cittadini sulla base della loro appartenenza religiosa, ogni differenza di trattamento che si basi sui precetti propri di taluna confessione, come anche sulla consistenza numerica della stessa, sarebbe da ritenersi contraria tanto ai principii di uguaglianza e di non discriminazione. Come si è visto con riguardo ai criteri di allocazione delle aree urbane destinate alla costruzione di nuovi locali di culto è possibile che, data la scarsità degli spazi a disposizione e dovendo la pubblica amministrazione individuare criteri razionali su cui fondare le proprie scelte, il principio utilitaristico spinga la stessa ad affidarsi a valutazioni puramente numeriche. Ciò deve ad ogni modo escludersi allorquando si tratti di diritti e libertà la cui compressione non sia direttamente funzionale all’eguale espansione di un diritto altrui di pari rango. La materia della tutela dei luoghi culturali di interesse
126 Cfr. G. Macrì, Il ruolo delle organizzazioni religiose tra libertà delle formazioni sociali, tutela del bene comune e rappresentanza degli interessi particolari (lobbying). Brevi considerazioni sul persistere di alcune discrepanze lesive della democrazia costituzionale in G. Macrì, P. Annicchino (a cura di), Diritto, Religione e Politica nell’arena internazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2017, pp. 91-92 e 101-
105; Cfr. S. Ferrari, Integrazione europea e prospettive di evoluzione della disciplina
giuridica del fenomeno religioso, in V. Tozzi (a cura di), Integrazione europea e società multietnica, Giappichelli, 2000, pp. 127-141.
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religioso fornisce una visione coerente della diversità di modi con cui gli ordinamenti nazionali rispondono alle questioni inerenti ai rapporti tra gli stessi e le confessioni religiose. L’ordinamento italiano ha preferito, nel solco di quanto stabiliscono gli artt. 7 e 8 della Costituzione, differenziare la disciplina sulla base di specifiche pattuizioni intercorse con le singole confessioni. L’ ordinamento inglese, al contrario, si è dotato di un istituto di portata generale estensibile a tutte le denominations esistenti, a patto che le stesse rispettino determinati requisiti. In Italia, l’applicazione del principio della bilateralità alla materia della salvaguardia del patrimonio culturale di interesse religioso ha prodotto una frammentazione del diritto applicabile su base confessionale: il Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, noto come “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, all’art. 9, introduce la categoria dei “beni culturali di interesse religioso”, senza tuttavia definirla e rimandando la sua disciplina agli specifici accordi conclusi tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e le rappresentanze delle singole confessioni127.
Attualmente risultano attive convenzioni soltanto con tre delle molteplici realtà confessionali esistenti sul territorio nazionale: la Chiesa Cattolica, la Tavola Valdese e l’Unione delle Comunità Ebraiche d’ Italia. Per quanto attiene alla prima, l’art. 12 dell’ Accordo di Modificazione del Concordato Lateranense, firmato a Villa Madama il 18 Febbraio 1984 e reso esecutivo con Legge n. 121 del 1985, prevede
127 D.lgv n. 42/2004 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio […], art. 9: «Per i beni
culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità. Si osservano, altresì, le disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'articolo 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, ovvero dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione».
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che «al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche». Ciò si è sostanziato nella stipula di un’intesa attuativa tra Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e Conferenza Episcopale Italiana, firmata il 13 Settembre 1996, la quale ha poi subito importanti modifiche ed integrazioni ad opera di una nuova convenzione, firmata il 18 Aprile 2000, riguardante la materia della gestione, valorizzazione ed accessibilità degli archivi e biblioteche ecclesiastici. Con l’approvazione del Decreto Legislativo n. 42 del 22 Gennaio 2004, che apporta molteplici innovazioni alla disciplina precedente, si è provveduto alla stipula di una nuova intesa che abroga e sostituisce quella del 1996. Questa, firmata il 26 Gennaio 2005 dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giuliano Urbani ed il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Camillo Ruini, non definisce in alcun modo quali beni debbano essere ricompresi nella categoria dei “beni culturali di interesse religioso”, lasciando implicitamente questo compito alla normativa canonica128. Anche le
128 Nel corpus iuris canonici non è contenuta alcuna disposizione volta a chiarire il
significato del termine “religioso”. Vi sono, tuttavia, norme che definiscono il carattere di sacralità di cose e luoghi. Il can. 1171 prescrive che <<Le cose sacre, quelle cioè che sono state destinate al culto divino con la dedicazione o la benedizione, siano trattate con riverenza e non siano adoperate per usi profani o impropri, anche se sono in possesso di privati>>. Il can. 1205 conferma le medesime prescrizioni per i luoghi, stabilendo che <<Sono sacri quei luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione, a ciò prescritti dai libri liturgici.>> Il carattere di sacralità di cose e luoghi, dunque, risiede nell’essere state ufficialmente addette al culto divino mediante la celebrazione del rituale della dedicazione o della benedizione. Il can. 1212, infine, stabilisce che <<i luoghi sacri perdono la dedicazione o la benedizione se sono stati distrutti in gran parte oppure destinati permanentemente a usi profani con decreto del competente Ordinario o di fatto>>. La perdita della qualifica di res sacra di un bene non implica il necessario venir meno, per lo stesso, dell’“interesse
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intese poste in essere con le confessioni diverse dalla Cattolica prevedono la nascita di commissioni paritetiche e altri organismi di collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, ma tra queste soltanto due hanno trovato compiuta attuazione: quella con la Tavola Valdese e quella con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane129. Le intese esistenti con la Chiesa Evangelica Luterana in Italia
religioso”. L’utilizzo di un bene per finalità di culto non esaurisce tale categoria. Cfr.
Sacrosantum concilium, sub n. 7, nel quale si precisa che il culmine della liturgia è il
sacrificio eucaristico, in cui Cristo è fisicamente presente tanto negli elementi materiali con cui essa si celebra, secondo il dogma della transustanziazione, quanto nel ministro celebrante. Appartengono, ad ogni modo, alla liturgia anche gli altri sacramenti, nonché la proclamazione della scrittura e, per finire, la chiesa stessa radunatasi attorno all’altare. Nell’ordinamento italiano, invece, la L. 222/1985, art. 16 lett. a, con riguardo agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, non differenzia tra attività di culto ed attività religiose, definendole indistintamente come preordinate «all’esercizio del culto, alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana». Il can. 1222, d’altro canto, precisa che <<Se una chiesa non può in alcun modo essere adibita al culto divino […] il Vescovo diocesano può ridurla a uso profano non indecoroso>>, sancendo normativamente la distinzione tra attività di culto e attività religiosa. Unico modo per desumere normativamente il carattere di “religiosità”, distinguendolo dal “culto” vero e proprio è l’analisi delle finalità propria della Chiesa come istituzione, di cui al can. 1254 e alle altre fonti extra codicem vigenti. Cfr. G. Passaseo, La tutela
dell’interesse religioso nei beni culturali. Riflessioni tra ius conditum e ius condendum,
in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, Rivista Telematica (www.statochiese.it), n. 7 del 2018, pp. 1-29.
129 Legge 11 Agosto 1984 n. 449 Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola Valdese, art. 17:«La Repubblica Italiana e la
Tavola Valdese collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale delle chiese rappresentate dalla Tavola Valdese, istituendo a tale fine apposite commissioni miste. Tali commissioni hanno, tra l’altro, il compito della compilazione e dell’aggiornamento dell’inventario dei beni culturali suddetti.»; Legge 8 Marzo 1989 n. 101 Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, art. 17: «1. Lo Stato,
l'Unione e le Comunità collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e artistico, culturale, ambientale e architettonico, archeologico, archivistico e librario dell'ebraismo italiano. 2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge sarà costituita una Commissione mista per le finalità di cui al comma 1 e con lo scopo di agevolare la raccolta, il riordinamento e il godimento dei beni culturali ebraici. 3. La Commissione determina le modalità di partecipazione dell'Unione alla conservazione e alla gestione delle catacombe ebraiche e le
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e con l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, pur prevedendo espressamente la nascita di commissioni paritetiche cui sono attribuite funzioni ben delimitate, al momento non hanno trovato, sotto questo profilo, alcuna attuazione130. Le intese prevedono al loro interno una
specifica disposizione secondo cui lo Stato e la confessione di volta in volta nominata, nello sviluppo futuro dei loro rapporti, si impegnano a collaborare ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale afferente alla stessa. In nessuno dei casi in questione, tuttavia, si è mai giunti all’instaurazione di alcuna forma di collaborazione istituzionalizzata con gli organi statali deputati alla tutela dei beni culturali e le disposizioni contenute a tal fine nelle intese hanno finito col restare meramente programmatiche131. Un bene che venga alla
condizioni per il rispetto in esse delle prescrizioni rituali ebraiche. 4. Alla medesima Commissione è data notizia del reperimento di beni di cui al comma 1.».
130 Legge 29 Novembre 1995 n. 120 Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia, art. 16: «1. La Repubblica Italiana e la CELI
collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale delle comunità rappresentate, istituendo a tal fine apposite commissione miste. 2. Le commissioni di cui al comma 1 hanno, tra l’altro, il compito della compilazione e dell’aggiornamento dell’inventario dei beni suddetti.»; Legge 28 Giugno 2016 n. 130 Norme per la regolazione dei rapporti tra lo
Stato Italiano e l’ Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, art. 21: «La Repubblica e l’IBISG si impegnano a
collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio culturale dell’Istituto e dei soggetti di cui all’art. 11, eventualmente anche istituendo a tal fine un’apposita commissione mista».
131 Cfr. Legge 22 Novembre 1988 n. 516, art. 34, che regola la tutela dei beni culturali
nel quadro dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno; Legge 22 Novembre 1988 n. 517, art. 26, sulla tutela dei beni culturali nei rapporti dello Stato con le Assemblee di Dio in Italia; Legge 12 Aprile 1995 n. 116, art. 18, relativa alla la tutela dei beni culturali nell’ ambito dei rapporti con l’ Unione Cristiana Evangelica Battista d’ Italia; Legge 30 Luglio 2012 n. 126, art. 12 riguardante la tutela dei beni culturali nei rapporti tra Stato e Sacra Arcidiocesi d’ Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale; Legge 30 Luglio 2012 n. 127, art. 16 sulla tutela dei beni culturali nel quadro delle relazioni tra Stato e Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni; Legge 30 Luglio 2012 n. 128, art. 29 relativa alla tutela dei beni culturali nei rapporti con la Chiesa Apostolica in Italia; Legge 31 Dicembre 2012 n. 245, art. 17 sulla la tutela dei beni culturali nei rapporti tra Stato e Unione Buddista
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luce per opera dell’uomo è, nella maggior parte dei casi, intrinsecamente preordinato allo svolgimento di una precipua funzione: quella, appunto, per cui l’artefice lo ha ideato e prodotto. Questa caratteristica risulta certamente rafforzata quando si cerchino di analizzare i profili comuni ai beni culturali di interesse religioso. Essi, infatti, nascono da principio come beni volti ad assolvere l’esigenza di attività religiose o di culto e solo successivamente la collettività ha riconosciuto agli stessi un valore culturale che li ha resi degni di particolare protezione e tutela132. È comune che tali beni permangano
in uso al giorno d’oggi: ciò comporta la necessità di operare un bilanciamento tra la funzione di carattere religioso che essi svolgono e le esigenze conservative dei beni stessi, di cui si vuole assicurare la trasmissione alle future generazioni. Di fronte alla necessità di garantire al contempo l’adattabilità di tali beni alle esigenze della pratica religiosa contemporanea ed il rispetto delle loro peculiarità storiche, artistiche, architettoniche, che si considera auspicabile tramandare, l’ ordinamento italiano ha optato per una rigida applicazione del modello pattizio di cui agli art. 7 e 8 della Costituzione, differenziando notevolmente il grado di autonomia che ciascuna confessione mantiene in relazione ai beni culturali che le sono propri. L’art. 12 della Legge 25 Marzo 1985 n. 121 rimanda espressamente ad una futura convenzione volta a conciliare le finalità eminentemente cultuali e religiose di un bene con le esigenze di carattere conservativo e culturale. L’intesa attualmente in vigore, firmata il 26 Gennaio 2005, prevede che, in sede di programmazione pluriennale ed annuale degli interventi da realizzarsi sul patrimonio storico e artistico, i competenti organi centrali e periferici del ministero invitino ad apposite riunioni i
Italiana; Legge 31 Dicembre 2012 n. 246, art. 18, riguardante la tutela dei beni culturali rapporti tra lo Stato e l’ Unione Induista Italiana.
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corrispondenti organi ecclesiastici. In queste sedi le parti devono assolvere ad uno specifico obbligo di informazione reciproca riguardante le opere che le stesse intendano porre in essere sui beni culturali di interesse religioso di proprietà di enti ed istituzioni ecclesiastiche che si trovino sul territorio italiano. Si prevede, quindi, un sistema multilivello di tipo assembleare volto all’elaborazione di soluzioni comuni con riguardo alla manutenzione e all’adeguamento dei beni culturali di interesse religioso. Queste commissioni si articolano su tre livelli: centrale, di competenza della Conferenza Episcopale Italiana e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e suoi Dipartimenti; regionale, ad appannaggio dei segretariati regionali del Ministero e delle conferenze episcopali regionali; locale, di competenza dei vescovi diocesani e delle Soprintendenze. Vi sono, inoltre, specifiche casistiche riguardanti i beni propri degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, per i quali si prevede l’intervento diretto di questi ultimi nei consessi dove si analizzano le opere da compiere su tali beni133. L’attività preliminare che è posta a
fondamento di ogni successivo intervento da concordarsi sul piano materiale è la catalogazione dei beni culturali di interesse religioso. A ciò è dedicata un’apposita disposizione dell’intesa, la quale chiarisce che «l’inventariazione e la catalogazione dei beni culturali mobili e immobili di cui al comma 1 costituiscono il fondamento conoscitivo di ogni successivo intervento. A tal fine, la CEI collabora all’attività di catalogazione di tali beni curata dal Ministero; a sua volta il Ministero assicura, ove possibile, il sostegno all’attività di inventariazione
133 Cfr. Intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, firmata in Roma il 26 Gennaio
2005 e recepita con d.P.R. 4 Febbraio 2005 n. 78 (di seguito Intesa Mibac-CEI 26 gennaio 2005), art. 1 c. 2-6.
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promossa dalla CEI e le parti garantiscono il reciproco accesso alle relative banche dati»134. Simili disposizioni, si è visto, sono anche
presenti nelle Intese ex art. 8 c. 3 della Costituzione firmate con le rappresentanze della Tavola Valdese, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Il nodo centrale dell’intesa tra Ministero dei beni e delle attività culturali e Conferenza Episcopale Italiana risiede nella disciplina relativa alla collaborazione tra le due istituzioni in materia di deliberazione, programmazione ed esecuzione delle opere di restauro dei beni mobili e immobili di proprietà di enti ed istituti ecclesiastici, anche con riguardo alla copertura finanziaria di tali interventi. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce, a carico dei soggetti privati proprietari di beni culturali, l’obbligo giuridico di provvedere alla loro conservazione, avendo cura di precisare che tale obbligo si estende agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti135. L’intesa in oggetto
conferma questo principio, ma aggiunge che gli organi del Ministero e gli organi ecclesiastici possano, a vari livelli, accordarsi per la realizzazione di interventi ed iniziative che prevedono la partecipazione organizzativa e finanziaria, rispettivamente, dello Stato e di enti e istituzioni ecclesiastiche, oltre che di altri soggetti eventualmente interpellati136. Ciò implica che non è esclusa la
partecipazione economica di terzi al fine di supportare gli organi ecclesiastici nell’esecuzione delle attività di recupero e conservazione dei beni, né che lo Stato possa attivamente promuovere una tale
134 Ivi, art. 2 c. 3.
135 D.lgv 22 gennaio 2004 n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio […], art. 1 c.
5: «I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione.»; art. 30 c. 3: «I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione.».
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partecipazione nell’interesse supremo della salvaguardia del patrimonio culturale della Chiesa, intrinsecamente legato alla storia del nostro paese. L’intervento economico del Ministero, per altri versi, è direttamente disciplinato dal Codice dei Beni Culturali e Ambientali, nel quale si prevede che, nel caso di intervento conservativo imposto a norma dell’art. 32, lo stesso sia possibile a copertura totale o parziale dei costi, qualora le opera da porre in essere siano di particolare rilevanza o riguardino beni destinati ad uso o godimento pubblico137.
Simili disposizioni sarebbero parimenti previste con riferimento agli interventi conservativi volontari, ma in epoca di austerity finanziaria il governo guidato da Mario Monti decise di sospendere la corresponsione di quei contributi fino alla data del 31 Dicembre 2015. Successivamente il termine di cui sopra è stato prorogato a tempo indeterminato138. Per ciò che attiene al profilo della programmazione
delle opere da compiere, al Vescovo diocesano è lasciato ampio potere
137 D.lgv 42/2004, art. 34: «1. Gli oneri per gli interventi su beni culturali, imposti o
eseguiti direttamente dal Ministero ai sensi dell'articolo 32, sono a carico del proprietario, possessore o detentore. Tuttavia, se gli interventi sono di particolare rilevanza ovvero sono eseguiti su beni in uso o godimento pubblico, il Ministero può concorrere in tutto o in parte alla relativa spesa […] 2. Se le spese degli interventi sono sostenute dal proprietario, possessore o detentore, il Ministero provvede al loro rimborso 3. Per le spese degli interventi sostenute direttamente, il Ministero determina la somma da porre a carico del proprietario, possessore o detentore, e ne